Parole: 1085
Salve
cari :D
Capitolo tre giunto, la prima parte l’ho scritta tutta
d’un fiato però la
seconda ho dovuto elaborarla più volte... Quel
tizio è il mio
personaggio preferito di penso tutti i tempi, per apprezzarlo a dovere
ho attraversato
un processo irreversibile +__+
Comunque XD, grazie a BloodNyar per la recensione, è sempre
così cara... (LL) Thanks to Mote_Ely per aver inserito fra i
preferiti la storia e per il commento… Sempre piacere,
sempre piacere, hai ragione al ciiinquanta percento XD! Spero anche
questo capitolo possa piacerti ^^
Colgo l’occasione (?) per offrire da bere a tutti coloro che
leggono e
commentano le fan fiction postate in questo account condiviso, siete il
nostro saaangue! *Condizionata*
Bene, vi lascio al nostro ritrovato Matt ^^, potreeebbe
fare la sua comparsa un Wammy a caso, non si sa mai :P
Buona lettura ^^!
Capitolo tre.
73
~ Luce.
Misa
si risveglia poco a poco. La pesantezza del sonno
l’abbandona lentamente, e con la stessa calma la mente
riacquista lucidità.
Quando apre gli occhi fatica un poco a mettere a fuoco la stanza;
presto, al
sospetto si sostituisce la delusione bruciante.
Allunga il braccio nella parte di letto vuota, poi solleva la testa.
«Matt?» chiama. Il pacchetto di sigarette vuoto sul
comodino sprigiona un
profumo leggero che colpisce l’olfatto sviluppato della
donna, costringendola a
una smorfia disgustata.
«Qui» è la risposta, nulla
più di un mugugno appena comprensibile.
Seduto a gambe larghe sul piccolo divano di pelle nera, chino sulla
PSP, le
cuffie nelle orecchie e un mozzicone spento fra le labbra: una visione
alla
quale Amane è ormai abituata.
Lui alza lo sguardo dal gioco con fare annoiato, incontrando una signora
insolitamente seria.
Non più un bambino, quel ragazzo è una ventata
d’aria fresca, sebbene
l’atmosfera stantia sia impossibile da eliminare del tutto.
Costretto in un seminterrato, circondato da gesti ostili e sguardi
avidi,
quella madre adottiva piuttosto particolare gli aveva offerto la prima
sigaretta da appena dodicenne nel tentativo di donargli un odore meno
invitante
per la famiglia.
Ma
anche fra i vampiri ci sono degli ex-fumatori.
A dire il vero, a Matt non è mai stato detto chiaramente con
chi stesse
avendo a che fare, però non è uno stupido:
abituato alla preghiera serale, non
scorderà mai la bella signora che urlava come
un’ossessa di «non dire le
parolacce di fronte a lei».
Preso da un attimo di confusione, si era dato da fare per spiegarle che
non
ricordava di aver mai detto una sola parola brutta in tutta la sua
vita, però
era difficile: non c’era una vita precedente da analizzare.
Una mattinata
dedita alla paura e ai brutti incontri: Misa che lo inseguiva
dicendogli di
essere la sua nuova mamma e ridendo di quel gioco, il signor Light che
lo
guardava serio e gli intimava di far poco rumore, la risata inquietante
dello
zio B mentre indicava qualcosa sopra alla sua testa.
«Mail? Che nome... strano» aveva
commentato assottigliando gli occhi
rossi, per poi scoppiare nuovamente.
«Sono le sei, dormi ancora un po’».
«Voglio il mio Matt!» piagnucola lei, sventolando
le braccia e tornando col
capo sul cuscino. «Ah, se avessi il mio bellissimo piccolo
Matt fra le mani...
Me lo mangerei di baci! Dov’è il mio
Matt?».
«È
occupato» sbuffa, tornando sul
videogame.
Sente la voce stridula della madre che urla per sovrastare la colonna
sonora
del gioco.
«Devo insegnarti come comportarsi con una donna, vieni
qui» ordina, liberando
dalle coperte la porzione di letto dell’altro.
«Mh, la settimana prossima» rimanda, lasciandosi
sfuggire un’imprecazione
diretta alla play.
L’ibrido accarezza con nostalgia il
coprimaterasso scuro, ogni tanto
lasciandosi sfuggire un sospiro sofferente. Guarda di sottecchi il
figlioccio, ricambiata
con rassegnazione crescente.
Jeevas si alza pesantemente, abbandonando senza troppo riguardo
l’apparecchio
sul divano. Aggira il letto, sistemando il piumone invernale alla
meglio e
buttandocisi sopra.
«Ciao Matt!» cinguetta Misa, gettandogli le braccia
al collo. «Mi sei mancato~
Non mi spiego come faccia tu ad essere così mattutino...».
Scandisce la parola, impegnandosi ad imprimere tutta la sua avversione
verso la
luce in quelle poche sillabe.
«Sono le sei del pomeriggio» si corregge il
ragazzo, alzando il capo e
permettendo alla madre di stringersi meglio a lui. «e non
sono interessato a
trasformarmi un una bestia notturna, grazie».
Di fronte all’espressione cupa, il giovane specifica di
riferirsi agli orari
del sonno.
Malinconica, lei appoggia la fronte sul petto dell’altro; si
adegua al ritmo
cardiaco di lui, rallentando il ritmo delle carezze fra i capelli
rossi,
intonando una ninnananna a bocca chiusa. Fa per parlare un paio di
volte, si
ferma però prima di cominciare.
E la voce solitamente così stridula, a tratti irritante,
diventa una lenta
nenia che concilia il sonno, lo getta contro la sua volontà
in quell’oblio
che profuma di prato tagliato di fresco, tra una pallina di carta
stagnola
lanciata nel tentativo di fare canestro nel cappuccio delle ragazzine e
sorrisi
che non ricorda di aver mai visto.
Rumori intorno a lui.
Un urlo, poi qualcuno che chiama il suo nome. Forse la mamma.
La risata
lugubre di B, poco lontana.
«Il tuo tempo scade oggi»
sorride sulla sua fronte, dove poggia poi un
bacio leggero. «Il bacio della buon
sonno...» spiega, tradendo un
sorriso. «Sono proprio curioso di vedere come
morirai».
Vorrebbe rispondere. Vorrebbe alzarsi e mandare a cagare quel vecchio
pazzo,
vorrebbe raggiungere Misa e chiederle cosa succede, vorrebbe sapere chi
ha
urlato.
Sente qualcosa sul collo, uno spiffero ritmato. Un respiro. Una puntura.
Meno di un istante, meno di uno spillo.
Poi, il buio.
~
Apre gli occhi di scatto, tirandosi a sedere.
Si guarda intorno, spaesato: pareti candide, pavimento di freddo marmo,
una
sola finestra a dare sul cielo bianco di neve.
In qualche istante prende coscienza del proprio corpo, riconoscendosi
s’un
letto tiepido, coperto fino alle gambe da un lenzuolo che carezza la
pelle
nuda.
Unico «arredamento» della stanza, oltre alla branda
con impalcatura di ferro,
sono un comodino dello stesso materiale sul quale sono posati i suoi
abiti
accuratamente piegati e un lavandino che continua l’aspetto
austero e distante
del locale.
Con indosso solo l’intimo si tuffa verso il lavello,
sciacquando viso, bocca e
braccia quasi con furia. Sente una strana sensazione, come un
leggerissimo
foglio di pellicola sottopelle che gli impedisce di avere totale
controllo di
sé stesso.
I muscoli accusano ogni movimento, anche il più
involontario. Ma non è doloroso:
sembrano solo dire «Ci siamo anche noi»,
facendosi sentire appena
possibile.
Fa attenzione quando cammina, controllando come alza i piedi e come
questi
incontrano la fredda pavimentazione, la reazione delle braccia
all’atto del
sedersi nuovamente sul lato del letto.
I ricordi di quel che è successo a casa
sono appena dietro le palpebre,
però non lo tormentano.
Matt non sobbalza, sentendo nuovamente la voce di Beyond su di
sé, non si
angoscia per l’urlo di Misa, non chiede il perché
di quel pizzico sul collo.
Prende la maglia, deciso ad uscire dalla porta metallica ad ogni costo
e capire
dove si trova; solo adesso nota che il colletto è macchiato.
Lo annusa, cercando di capire di cosa si tratti. Nessuna risposta.
Non ha il tempo di chiedersi altro: qualcuno ha varcato la soglia che
non ha
notato aprirsi.
È faticoso distinguere i lineamenti, la luce catturata dai
capelli chiari
simile a una corona intorno al viso non del tutto sconosciuto. In
quegli occhi,
puntati dritti nei suoi, Mail vede il mondo.