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Autore: _Malila_Pevensie    30/12/2020    0 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 19
- SENSO DI COLPA -


Nei giorni successivi i temporali si susseguirono ininterrottamente. Appena riconquistata la libertà, Freya e Aran dovettero rinunciarvi di nuovo.
La mattina il cielo li accoglieva plumbeo, insieme a una pioggia tanto fitta e gelida da rendere quasi impossibile distinguere i campi al di là della sua cortina. I due ragazzi facevano colazione insieme nelle cucine, seduti accanto al fuoco e stretti nei loro mantelli per contrastare il freddo. Quando avevano terminato lasciavano il tepore a malincuore per recarsi in Biblioteca.
Lì, le lezioni proseguivano a pieno ritmo. Ogni giorno il maestro Athal esponeva un argomento diverso: parlava della lunga storia del regno di Mirea, del pensiero dei letterati di Riagàn, di botanica e persino di miti e leggende. Freya e Aran ascoltavano attentamente e poi lo tempestavano di domande, a cui l'uomo rispondeva spesso con altri interrogativi. A quel punto si aprivano lunghe discussioni.
Una mattina il botta e risposta fra i due ragazzi durò talmente a lungo che prese dell'ultima parte della lezione stessa. Fu una parola ad accendere il loro interesse: profezia. Il precettore aveva appena parlato loro di queste antiche predizioni, che potevano giungere inaspettate o venir lette volontariamente nel moto delle stelle: spesso erano enigmatiche, ma potevano svelare importanti dettagli del futuro. Ora quasi nessuno ci credeva più, nel razionale Regno di Riagàn, ma in passato chi sapeva decifrarle era tenuto in gran considerazione. Alcune erano state talmente complesse che per interpretarle erano stati impiegati interi anni.
Il quesito da cui  tutto ebbe inizio fu questo: «Parlando come se foste certi che esistano, quale influenza potrebbe avere una profezia nella vita di un individuo?»
Aran rispose prontamente: «Le profezie dovrebbero mostrare il futuro, no? Amesso di riuscire a capire cosa ti vogliano dire, sapere esattamente cosa accadrà nella tua vita può cambiare tutto. Saprai con certezza che, qualunque passo compirai, arriverai a quel dato avvenimento, bello o brutto che sia; vedresti tutto in modo diverso.»
Freya sorrise. «Questo solo se parti dal presupposto che per forza di cose la profezia sia qualcosa di definitivo.»
Il Principe rivolse tutta la propria attenzione a lei. «Dipende da quanto credi nel destino e da come lo concepisci» ribatté. «Innanzi tutto, la fiducia in quest'ultimo determina anche la fiducia nelle profezie. Se non credi nel primo, difficilmente crederai alle seconde, perché vedrai l'avvenire come qualcosa d'indeterminato e impossibile da prevedere. Se invece pensi che il destino esista, che influenzi il tuo futuro e che sia inciso nella pietra, allora intenderai la profezia come qualcosa di immutabile.»
Ne avevano già parlato, in passato: secondo Aran, larghe parti della propria esistenza non potevano essere cambiate. Era una convinzione che gli era derivata dalla propria condizione: come Principe reale avrebbe sempre dovuto ricoprire un determinato ruolo, senza possibilità di scelta. Poco importava che gli piacesse o meno: era destinato a quello. Per lui era il prezzo giusto da pagare in cambio di tutto ciò che aveva ricevuto dalla Regina Mirea. La giovane, invece, ancora si rattristava al pensiero che, col passare del tempo, Aran avrebbe dovuto rinunciare a tante delle sue passioni.
Tenendo presente cosa significasse per lui quel discorso, Freya rispose con decisione, ma anche delicatezza. «Sai perfettamente come la penso, se tiri in ballo il destino.» Con la coda dell'occhio vide Athal che li osservava, quieto. «Io credo nella sua presenza, ma credo anche che non abbia un unico volto. Il destino, per me, ha mille sfaccettature: è quello che non possiamo evitare, ma anche ciò che deriva dalle nostre decisioni; è fatto di tappe che dovremo attraversare, ma anche di tutte le possibilità che ci creiamo noi. Non è immutabile: cambia in base a come noi lo consideriamo e si costruisce insieme a noi. » Prese una pausa.  «Perciò, per rispondere riguardo le profezie, non le credo sentenze incise per l'eternità. Se il destino può essere cambiato, anche una profezia può esserlo. E vedendola così, saprai che essa è solo una delle tante eventualità che il destino ti pone. »
«E cosa ci garantisce che le nostre decisioni contino davvero?» Aran espose la propria domanda con la stessa fermezza di lei, ma sorrideva. Non c'era mai da annoiarsi, con lui. «Se anche le decisioni di cui parli facessero parte di un disegno e fossero già predestinate?»
Questa volta toccava a Freya appellarsi alla propria questione personale. «Bene, ti risponderò parlando di ciò che conosco» affermò. «Io sono fermamente convinta che arrivare qui, a Errania, fosse nel mio destino. Ma se quel giorno di mesi fa avessi detto di no al capitano Craius, non vi sarei mai giunta. Almeno, non per questa via. Perciò sì, credo che le scelte contino eccome. Elaborando ulteriormente il mio precedente pensiero: il destino esiste, ma anche abbracciarlo è una nostra decisione. Anzi, è la prima scelta che siamo chiamati a compiere quando esso si presenta a noi. Se ci voltiamo dall'altra parte, il destino cambierà forma e troverà altre strade da farci percorrere.»
«Resta comunque il fatto che, alla fine, arriveremo dove lui ci vorrà condurre» ribatté Aran.
Freya sorrise di nuovo. «Il punto è che tu dai per scontato che il cammino verso quel luogo non conti e di sapere dove andrai a finire. Invece, non si può mai sapere nulla con certezza.»
«A meno che tu non abbia una profezia, s'intende.»
A quel punto la giovane scosse il capo e, infine, i due ragazzi scoppiarono in una risata. Sapevano venirsi incontro, ascoltarsi, ma non scendere a compromessi; quella conversazione sarebbe potuta andare avanti all'infinito.
Anche il maestro Athal sorrideva, adesso. Con il fare dell'arbitro, sentenziò: «Bene, bene. Due visioni opposte della questione: da un lato chi crede che il destino sia un libro già compiuto che ci viene consegnato alla nascita.» Guardò Aran. «Dall'altra chi pensa che sia un racconto che scriviamo noi vivendo.» Guardò Freya.
L'uomo sembrava molto soddisfatto della loro predisposizione al dibattito e non faceva mai nulla per scoraggiarli dal parlare. Perciò, anche in quel caso, non commentò né tanto meno corresse il pensiero di nessuno dei due. Non lo diceva mai ad alta voce, ma avevano entrambi l'impressione che fosse molto orgoglioso di loro. Ascoltava ciò che avevano da dire; partecipava alla loro ilarità quando riconoscevano la rispettiva testardaggine; e a volte interveniva perfino con i suoi commenti pungenti.
Intanto, il dilemma di Creantis non abbandonava mai Freya: anzi, la tormentava anche in quei momenti. La sera stessa del loro rientro da Errania, tornata alla sua stanza, aveva consultato le Saghe di Finian; sapeva bene cosa vi avrebbe trovato, ma non si sarebbe data pace fino a che non l'avesse riletto e perciò l'aveva fatto. Mentre leggeva, l'inquietudine aumentava: esattamente come ricordava, l'autore del compendio descriveva il culto di Riagàn come giusto e generoso. Da quel momento, le parole di Aran e quelle del misterioso scrittore avevano iniziato ad alternarsi nella sua mente, tanto diverse da stridere terribilmente.
Col passare dei giorni, la giovane si convinceva sempre di più a confrontarsi proprio con il maestro Athal. Una parte di lei si sentiva in colpa: aveva promesso ad Aran di essere sincera, eppure esitava a parlare. L'altra parte, però, era certa che la cosa migliore da fare fosse discuterne prima con il precettore. Da ciò che aveva capito, era stata la Regina stessa a spiegare ad Aran perché avesse bandito il culto di Creantis e perché non volesse che ne parlassero; mettere in discussione le parole di Aran significava questionare Mirea stessa. E per quanto curioso e sempre aperto a ogni possibilità, il Principe sarebbe rimasto sconvolto dall'ipotesi che sua madre avesse mentito. Attivando i suoi poteri gli aveva già dato abbastanza a cui pensare: quella era una faccenda di cui doveva occuparsi lei.
Terminata la lezione, i due ragazzi tornavano alle cucine per pranzare. Le cuoche facevano sempre trovar loro un buon pasto caldo e chiacchieravano insieme ai giovani allegramente, a proprio agio come lo sarebbero state con i loro figli. Freya anelava spesso quegli attimi di tranquillità: le permettevano di immaginare la vita semplice e normale che le mancava sempre di più. Aveva creduto che Errania sarebbe stata la fine di tutte le domande; invece, in quel palazzo, ne aveva trovate infinite altre, ancor più complicate. In un certo senso era affascinante essere sempre alla ricerca di qualcosa, ma ciò non toglieva quanto fosse estenuante.
Terminato il pasto avevano solitamente un paio di ore di pausa. Era il momento in cui Freya e Aran soddisfacevano il proprio bisogno di stare soli con sé stessi e si dedicavano ad attività differenti, separandosi fino all'ora dell'addestramento. Dal momento in cui avevano affrontato l'argomento profezie, Aran aveva iniziato a leggere trattati di astronomia. Non si poteva rintracciare nulla riguardo le predizioni, dato che la Regina considerava le vecchie credenze inutili, ma la trovava lo stesso un'interessante branca della conoscenza. Freya, invece, aveva iniziato a scrivere; si trattava più che altro di una raccolta dei propri pensieri, che metteva giù su fogli di pergamena sparsi, seduta al tavolino della propria stanza. Stava scoprendo come le parole, prendendo forma fisica, diventavano all'improvviso più sensate.
Con l'accorciarsi delle giornate e l'avvento del freddo, però, il programma cambiò: appena il tempo di digerire e poi si recavano immediatamente alla sala d'addestramento interna. Si trattava di una stanza lunga e piuttosto stretta, cui si accedeva attraversando l'armeria adiacente i campi d'allenamento esterni. Lì i Principi e i membri della guardia personale della Regina si allenavano nella scherma quando il tempo non permetteva altrimenti.
Seduta sul pavimento, la giovane restava a guardare i duelli di Aran e Darragh, che in quel frangente non avevano alcuna possibilità di evitarsi. Non parlavano praticamente mai; si limitavano semplicemente a fare ciò che il maestro d'arme comandava loro. Quando l'insegnante li lasciava andare, Darragh proseguiva ancora insieme alle guardie; Aran, invece, riprendeva con Freya. Oramai, tutti gli altri uomini si erano abituati alla sua strana consuetudine di allenare la ragazza e non li osservavano più increduli come prima.
Seppur lentamente, iniziavano a vedersi alcuni miglioramenti. Le braccia della giovane non tremavano più, quando parava un colpo; i suoi movimenti di base erano diventati più fluidi. Non era ancora mai riuscita a disarmare Aran, ma per lo meno gli teneva testa. Per lei, che non aveva mai pensato di essere portata per la spada, era comunque fonte di soddisfazione.
Le prime ore pomeridiane scivolavano via in quel modo.
Era solo nella seconda metà del pomeriggio che i due ragazzi si potevano concedere un po'; di riposo. Si dedicavano alle loro attività personali, poi ritornavano alla Biblioteca e davano inizio alla loro esplorazione. L'avevano ripresa il giorno dopo la visita a Errania e l'impossibilità di uscire dava loro una motivazione in più per proseguire: durante l'inverno sarebbe certamente diventata una delle occupazioni principali dei loro giorni di libertà. Continuavano a trovare di tutto, tranne che l'oggetto delle loro ricerche: una mappa estesa e dettagliata del mondo così com'era al presente.
A sera percorrevano la strada di ritorno alle loro stanze in silenzio e infine si congedavano. Attendevano che le voci dei loro sogni si facessero sentire, per capire se ora che sapevano l'uno dell'altra avrebbero avuto qualcosa da dire. Per il momento, però, le loro notti vennero attraversate solo da quella stessa identica visione del pilastro, sempre più insistente.
Le voci restavano silenti.

Dovettero attendere quasi una settimana prima che gli acquazzoni cessassero.
Un mattino Freya si alzò e si accorse che il cielo era sgombro, sebbene il sole fosse pallido e il freddo fosse sempre più tagliente. Ben sapendo cosa avrebbero fatto quel giorno, la ragazza si preparò alla cavalcata: indossò un bell'abito di lana blu; poi i nuovi stivali alti procurati da Malia, la quale non aveva più sopportato di vederla indossare i suoi calzari vecchi e logori; infine il mantello più pesante che avesse. Contrariamente al solito, lasciò indietro l'arco: non le sarebbe servito.
Quel giorno sarebbe stato interamente dedicato alla magia. Quel giorno, lo sentiva, avrebbe parlato ad Aran della scomparsa di Eleana. Al pensiero, un brivido ben più profondo di quelli causati dal gelo la squassò.
Arrivata alle cucine scoprì che Aran aveva già fatto colazione, recuperato qualche pezzo di pane e formaggio per il pranzo e l'attendeva alle scuderie. La cuoca sembrava divertita dalla fretta che aveva dimostrato il giovane Principe, ignara della motivazione di tanta agitazione. Anche Freya era agitata, ma sospettava che le sue ragioni fossero leggermente diverse. Mangiò più velocemente che potè, poi si avviò.
Come le era stato detto Aran era già lì, accanto a Nieva, intento a prepararla. La meravigliosa giumenta grigia si lasciava sellare docile, tendendo di tanto in tanto il muso ai cerali nella sua mangiatoia. Quando scorse Freya, alzò la grande testa e nitrì. La reazione dell'animale attirò l'attenzione del ragazzo, che si girò a propria volta. Le sorrise. Sembrava davvero emozionato all'idea che, per la prima volta da quando era comparso, avrebbe provato a evocare il potere di propria volontà.
Nonostante tutto, Freya ricambiò. Era in ansia, certo, ma anche per lei si trattava di una novità: prima di allora aveva sempre cercato di far finta di non possedere alcun tipo di magia, nascondendola perfino a se stessa. Sì, era decisamente emozionante quello che stavano per fare: semplicemente, Freya non riusciva a decidere in quale senso lo fosse per lei.
Fortunatamente, la cavalcata riuscì a risollevare il suo umore, almeno per poco. Lei e Aran fecero a gara nel primo tratto, fino a che Stellato e Nieva non si furono ben scaldati, ridendo e giocando spensierati. Anche i due cavalli sembravano divertirsi, scattando e scartando in quella corsa improvvisata, o almeno così piaceva pensare ai due giovani. Quando furono troppo stanchi rallentarono al trotto e poi al passo.
Restare tanto tempo a contatto con Stellato, in qualche modo, riuscì a rassicurarla. La sua fierezza, la sua sicurezza, la sua calma: ammirava quegli aspetti dell'animale proprio come se lui fosse stato un essere umano. La verità era che lo stallone sapeva perfettamente quanto valeva e questo si rifletteva nel suo temperamento; Freya avrebbe voluto prendere esempio da lui e saper valutare tutto con la stessa fiducia nel proprio istinto. Stellato aveva uno spirito indomito e lo abbracciava al punto da seguirlo sempre. Era una creatura intelligente, con cui le sembrava di parlare anche senza farlo ad alta voce. Mentre procedevano ad andatura lenta si prese del tempo per lasciargli delle lievi carezze a lato del collo. Quando il loro respiro si fu regolarizzato ripartirono al galoppo.
Mancava oramai poco e in breve la solita radura li accolse, unico luogo protetto nella vastità delle piane su cui posava il castello. Freya osservò Aran mentre si guardava intorno, più pensieroso che meravigliato come la prima volta che erano stati lì insieme. Il ragazzo si avvicinò al tronco di uno degli alberi circostanti e vi posò una mano, quasi si aspettasse che reagisse in qualche strana maniera. Per un attimo anche Freya lo credette: ricordava benissimo gli scricchiolii del legno mentre i loro poteri entravano in contatto. Ma la foresta restò immobile, in solenne e assoluto silenzio.
Quando Aran tornò a guardarla le rivolse un sorriso imbarazzato. «Lo so, è stato assurdo da parte mia credere che sarebbe successo di nuovo» disse, camminando verso di lei.
«Non tanto quanto credi» rispose Freya, sedendosi a terra a gambe incrociate. «Succedono un sacco di cose assurde e improvvise quando si parla di questo potere.» Abbassò lo sguardo su foglie e muschio; quando lo rialzò, sul viso di Aran era comparsa la solita espressione preoccupata. Non per la situazione: per lei. «Vorrei saperti dire di più, Aran. Vorrei poterti spiegare meglio che cos'è, ma non ne ho la minima idea io stessa.» Ecco, stava iniziando a liberarsi di una parte del peso che la opprimeva.
Aran continuò ad avanzare fino a sedersi di fronte a lei. Si mise comodo, aggiustandosi il mantello sulle spalle per salvaguardarsi dagli spifferi, poi si fermò con gli occhi puntati in quelli di lei. «Come si è mostrato la prima volta?» chiese, con delicata fermezza.
Fino a quel momento non le aveva mai domandato nulla: seppur non conoscendo le motivazioni, capì Freya, lui aveva intuito che quel discorso la metteva in difficoltà. Deglutì a vuoto. Poi si decise a rispondere: «Avevo nove anni. Ero nel bosco con mia madre. Ricordo di essermi chinata per raccogliere una qualche erba di cui avevamo bisogno e...» Prese un respiro profondo. «La luce mi ha accecata all'improvviso. Sul subito non ho nemmeno realizzato che provenisse da me.»
Aran sembrò riflettere. Corrugò le sopracciglia e assottigliò gli occhi, permettendo al piccolo solco che compariva fra di esse in quelle circostanze di fare capolino. «Tua madre cosa ti disse?»
«Solo di non pensare che fosse un gioco» rispose lei, sincera. «Da quando lei se n'è andata non li ho mai più rievocati.»
Il giovane indagò la sua espressione. Sembrava che stesse realizzando che presto si sarebbe sentito dire qualcosa di estremamente ingombrante. Comunque, parve decidere che sarebbe stata lei a parlare, quando se la fosse sentita. Si fregò le mani, oramai intirizzite dal gelo, e si mise sulle ginocchia. «Bene, sono pronto» asserì, chiudendo per il momento l'argomento. «Credo che sia arrivato il momento di vedere cosa ne uscirà questa volta.»
Freya prese la stessa posizione e decise di focalizzarsi su ciò che stavano per fare. L'ultima volta le era bastato mettere le mani nella terra e lasciare che il potere fluisse, perciò anche per Aran non sarebbe dovuto essere tanto diverso. Conscia che in ogni caso non avrebbe potuto consigliargli molto di più, ripeté ad alta voce quello che aveva pensato.
Provarono entrambi nello stesso momento. Freya puntò su quello a cui era abituata: cercare di far crescere qualcosa. Era l'unica abilità che le si fosse palesata e per il momento preferiva limitarsi a perfezionare quella. Aran, invece, tenne le mani posate sulle ginocchia con i palmi rivolti all'insù, chiudendo gli occhi. Non c'era nessuna regola in quella situazione, perciò un metodo valeva l'altro. In fondo, sembrava che anche il vento terrificante che si era alzato la notte del ballo fosse opera loro, perciò il potere poteva non essere legato solo alla terra.
I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Inizialmente non comparve assolutamente nulla, poi, almeno per Freya, si passò a delle brevi e fugaci scintille. Le mani di Aran restavano quiete, ma lui non sembrava troppo sorpreso: stava cercando di evocare una magia di cui per anni non aveva nemmeno sospettato l'esistenza; non si aspettava certo che fosse tanto facile. Per la giovane, invece, era un pò più frustrante: sapeva di averlo sempre rifiutato, ma sembrava proprio che quel giorno fosse il potere a rigettare lei. Era come se le stesse facendo pagare tutti gli anni in cui lei l'aveva recluso e, allo stesso tempo, qualcosa lo bloccasse senza che lei lo volesse.
«Non hai davvero fatto altro che concentrarti, la scorsa volta?» domandò Aran a un certo punto, strappandola dai suoi insuccessi.
Freya riaprì gli occhi e lo mise a fuoco. Annuì. «Ho solamente...» Si zittì bruscamente. «Forse... Forse concentrare non è il termine giusto» mormorò poi, pensierosa. «Credo di aver solo permesso che emergesse. È stato come lasciar fluire qualcosa che sapevo perfettamente essere dentro di me e che mi aspettava appena oltre la soglia della mia anima.»
«Perciò... Credi che la mente vada lasciata da parte?» domandò Aran.
«Penso che la parte razionale sia il mezzo giusto per controllare il potere una volta che lo hai fra le mani, ma non per evocarlo all'inizio» rispose Freya, seguendo il proprio stesso ragionamento.
Ritentarono. Chiusi gli occhi, Freya si rese conto che era proprio quello il problema: la sua mente si agitava frenetica, presa da mille pensieri e dal ricordo di Eleana che si allontanava nella foresta e spariva per sempre. Stava monopolizzando tutta l'energia che avrebbe dovuto impiegare nella magia. Non ci riusciva; sentiva solo un peso terrificante sul cuore e sullo stomaco. Resistette all'impulso di spalancare gli occhi più che potè; ma quando il tutto si fece insostenibile fu costretta a lasciare il buio sempre più soffocante della propria coscienza.
La vista che l'accolse non fece altro che accrescere a dismisura il suo conflitto interiore. Aran ci era riuscito: la luce aranciata era ritornata a fluire nelle sue vene e s'irradiava dalle sue mani aperte, brillando come un piccolo sole disceso fra gli alberi. Intorno a lui, scostando tenacemente foglie cadute e muschio, crescevano sottili steli d'erba. Erano di un bel verde, brillante e pieno di vita. Era uno spettacolo stupefacente. Freya sentì la meraviglia mescolarsi all'angoscia, in uno strano miscuglio che le mozzò il respiro.
In quell'istante, Aran la guardò. Era talmente stupito da quello che era riuscito a fare che sembrava non poter fare altro che sorriderle, incredulo. Lei avrebbe voluto ricambiare quel gesto come faceva sempre, l'avrebbe voluto davvero. Invece, abbassò lo sguardo sulle proprie mani e si ritrovò a sussultare: esattamente come la volta precedente, i loro poteri sembravano aver reagito alla reciproca vicinanza. In risposta a quello di Aran, il suo le aveva inondato le vene di luce smeraldina, che improvvisamente le sembrò bruciare come un fardello insostenibile.
Senza più riuscire ad arginare le proprie emozioni, la giovane balzò in piedi, allontanandosi bruscamente dal centro della radura. La luce verde scomparve all'improvviso e a breve anche il potere di Aran si ritrasse, forse per lo spavento che gli aveva fatto prendere. Freya avrebbe voluto spiegare, ma in quel momento le era impossibile respirare, figurarsi formulare un discorso comprensibile. Restò di spalle, cercando di inalare almeno quel poco d'aria che rimettesse in moto i suoi polmoni, ma il nodo che aveva in gola le impediva di farlo. La vista le si annebbiava a tratti, un po' a causa delle lacrime e un po' per l'attacco di panico che la stava assalendo. L'irrazionale sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di tremendo si era fatta incontenibile.
Era talmente persa in quell'incubo a occhi aperti che quando Aran le posò una mano sulla spalla sobbalzò. Si voltò di scatto, tendendo le mani in avanti: si sentiva fuori controllo e provava l'assurdo timore di fargli del male. Il giovane Principe sgranò gli occhi, come se lo avesse colpito con uno schiaffo in pieno viso. Fu solo alla vista della sua espressione che Freya trovò la forza di parlare.
«Sono stata io» disse, la voce che le tremava incontrollata.
«Di cosa stai parlando, Freya?» domandò Aran, realizzando che la sua reazione era legata alla stessa cosa che logorava la sua anima oramai da tempo. Nel suo tono c'erano una preoccupazione e una comprensione che le erano insostenibili.
«Sono stata io!» ripeté, questa volta a voce talmente alta da trasformarsi in un grido. «Io sono la causa della sua scomparsa!»
Di fronte a quell'affermazione Aran s'immobilizzò. Era fin troppo perspicace per aver bisogno di chiederle a chi si stesse riferendo, ma la sua confusione era palese. Le si avvicinò di un passo, ma quando lei arretrò si fermò nuovamente e domandò: «In che modo potrebbe essere colpa tua?» Nel suo tono non c'erano orrore o pena, ma ancora quella dolcezza che lei sentiva di non meritare affatto.
«Se... Se questa dannata cosa non fosse mai comparsa, mia madre non avrebbe... Lei non sarebbe mai...» La voce iniziò a mancarle e con sgomento la giovane si rese conto di non riuscire più a trattenere le lacrime. Iniziarono a scorrerle lente e calde lungo le guance; più lei tentava di ricacciarle indietro, più le sue spalle sobbalzavano, in preda ai singhiozzi. «Lei se n'è andata per... per capire come aiutare me! Per capire cosa fare con questi maledetti poteri! Avrei dovuto chiederle dove sarebbe andata... No, sarei dovuta andare con lei! Invece... Lei è...» Un altro singhiozzo la squassò, spezzando le sue parole. «E io non saprò mai cosa...»
Da anni Feya non si concedeva più il lusso di lasciarsi andare a una simile disperazione. Fino a che si era comportata come se i poteri non si fossero mai fatti vivi, trattenere ogni cosa era stato possibile. Ma ora che la magia splendeva nuovamente nelle sue vene non lo poteva più fare. Perciò smise di lottare e semplicemente pianse, sebbene si sentisse un completo fallimento per essere andata in mille pezzi di fronte ad Aran.
La vergogna continuò a bruciare ardente in lei, almeno fino all'istante in cui si sentì circondare e stringere dalle braccia di lui. Provò a opporsi, quasi inconsciamente. «No! Io non... Io non merito la tua compassione!» gridò in mezzo alle lacrime.
Aran non si scompose minimamente. Si limitò a stringerla ancora più forte. Quando le ginocchia di Freya si fecero troppo deboli scese fino a terra con lei, continuando ad abbracciarla in perfetto silenzio.
«Non merito nulla di tutto questo...» mormorò ancora, troppo stanca per poter tenere lo stesso tono di prima.
Le lacrime, nel frattempo, non accennavano a fermarsi. Lo strazio era tale che Freya non riusciva più ad avere alcuna cognizione di ciò che aveva intorno; solo il dolore sembrava avere ragione di essere, l'unico di cui poteva sentire la voce. Non realizzava di star attraversando tutto in una volta anni di emozioni che in passato era stata troppo piccola per processare appieno. Non realizzava di pesare completamente su Aran, il cui abbraccio era l'unica cosa che le impediva di lasciarsi andare a terra e non rialzarsi più.
Alla fine, solo lui fu in grado di arrivarle al di là di quella cortina di pena. A un tratto, a far da contraltare a quell'immensa tristezza comparvero la sua presenza, il suo calore e le sue mani che lentamente le accarezzavano il capo e la schiena. Non parlava, si limitava a quel semplice e rassicurante gesto; in quel momento era tutto ciò di cui Freya avesse bisogno. Forse Aran nemmeno si rendeva conto di quanto stesse facendo per lei.
Rimasero seduti in quel modo per un tempo impossibile da determinare. Quando il pianto cessò Aran non la lasciò andare e Freya non fece nulla per riprendere le distanze. Qualcuno avrebbe anche potuto considerarlo sconveniente, ma a nessuno dei due importava. Esserci l'uno per l'altra era oramai divenuta una consuetudine, per loro; la giovane non sapeva nemmeno più come avrebbe mai potuto rinunciarvi.
Poi, il Principe parlò. La sua voce era sommessa, lieve. «Perché non mi hai mai detto prima come ti sentivi?»
«Perché sono una codarda» mormorò lei, la voce graffiata dal lungo pianto e il viso seppellito nella casacca di lui. Sì, era stata una codarda e lo era anche in quel preciso momento: avrebbe dovuto guardarlo negli occhi, ma non ne aveva la forza. «Non ho saputo far altro che nascondere la verità... Su mia madre, su questo potere... Su me stessa. Io non sono chi pensi tu.»
Aran tacque nuovamente. Stava forse realizzando che lei gli aveva celato qualcosa di estremamente grave e presto si sarebbe allontanato, lasciandola sbriciolarsi come argilla calpestata? Freya non aveva mai sentito di aver bisogno di qualcuno come in quel momento e se in quell'istante non fosse stata tanto fragile se ne sarebbe spaventata.
Eppure, Aran non fece nulla di ciò che lei si era immaginata: non si separò da lei; non la costrinse ad alzare il capo per avere conferma di essere stato ingannato. Contiuò a fare esattamente quello che stava facendo e, nel mentre, parlò. «Vorrei avere le parole necessarie per farti capire che ti sbagli, Freya. Vorrei che tu mi credessi se ti dicessi che tutte le colpe che ti addossi sono dovute al tremendo dolore che hai patito» Nel suo tono fece capolino una vena di tristezza. «Ma so che nulla di ciò a cui potrei pensare avrebbe questo potere. Questo è qualcosa che solo tu potresti fare per te stessa.»
Solo allora Freya alzò la testa e lo guardò. Non importava quanto poco coraggiosa si sentisse: glielo doveva.
Aran ricambiò la sua occhiata.
«C'è solo una cosa che voglio e posso fare: assicurarmi che tu sappia chi sei. Tu, Freya, sei una creatura straordinaria. Non per quello che c'è stato nel tuo passato o per un qualche potere misterioso, ma per quello che sei. Affronti ogni cosa con resilienza; impari da ogni circostanza che la vita ti riserva, in ognuna trovi del buono da proteggere e fai in modo che lo veda anche chi non sa guardare il mondo con i tuoi occhi. Hai una parola gentile per chiunque incroci il tuo cammino, ma non per questo permetti agli altri di piegare te e i tuoi ideali.» Si fermò a riprendere fiato. «Come ogni essere al mondo hai i tuoi difetti. Sei talmente ostinata che vai sempre avanti nei tuoi propositi senza ascoltare niente e nessuno, anche quando sarebbe necessario. Quando t'infervori sei così diretta che sembri una lama pronta a colpire. E spesso pensi che l'unico modo per affrontare il dolore sia chiuderti in te stessa e respingi chiunque e qualunque cosa. Ma non c'è niente che non vada, in te. Non ho mai conosciuto una persona come te e ho imparato sulla mia pelle che vale la pena averti nella propria vita. Tua madre e tuo padre sarebbero orgogliosi di ogni parte di quello che sei diventata.»
Freya non poté; far altro che tacere. Entrambi, seppur per ragioni differenti, tendevano ad avere un carattere piuttosto riservato. Lei aveva presto imparato quanto le venisse difficile esternare le proprie emozioni in mezzo alle persone a cui non era abituata; Aran tendeva a contenersi per com'era stato educato, si trattasse di emozioni positive o negative. Fra di loro, però, non avevano mai faticato a esprimere il proprio mondo interiore.
Nonostante questo, sentirlo parlare in quel modo, a cuore aperto, la colse impreparata. Tutto ciò di cui aveva avuto paura sembrò scivolare via. Non sapeva bene se avrebbe potuto credere a quelle parole, ma voleva disperatamente farlo. Voleva davvero credersi capace di fare tutto quello di cui Aran la riteneva in grado. «Grazie» mormorò, mentre un'ultima lacrima le solcava la guancia.
Più per istinto che per altro, Aran raccolse la goccia salata prima che arrivasse a toccarle il mento. Le sue dita sfiorarono lo zigomo di lei e poi v'indugiarono, fino a che l'intero palmo della sua mano non aderì alla pelle di Freya.
Perfino nello stordimento la giovane riuscì a percepire che stava accadendo di nuovo. Era la stessa identica sensazione di quel giorno a Errania, quando la pioggia li aveva colti alla sprovvista ed erano dovuti correre al riparo. Ricordava perfettamente quell'emozione sconosciuta e sconvolgente, ma quella volta il tuono l'aveva spezzata, riportandola coi piedi per terra.
Adesso Freya rimase immobile, in attesa di vedere che cosa sarebbe successo. Alla stesso modo restò Aran, coinvolto tanto quanto lei in quell'istante d'inspiegabile aspettativa. I loro sguardi restavano uniti, i respiri trattenuti; come se le loro vite potessero cambiare da un istante all'altro, con una sola parola, in un unico gesto.
Poi, le dita di Aran si mossero nuovamente, liberando la fronte di Freya da una ciocca sparsa ed entrambi loro dall'immobilità. La giovane si sporse quasi inconsapevolmente in avanti; lui esitò prima di fare altrettanto, come se fosse diviso fra due possibilità, ma alla fine posò le labbra sulla fronte di lei. Era un gesto semplice, forse meno di quanto avrebbe potuto essere, ma scatenò nel cuore della ragazza qualcosa che non assomigliava a nulla che avesse mai provato prima.
Da una vita Freya non avvertiva sulla propria pelle un contatto simile. Ricordava bene che sua madre le aveva sempre dato la buonanotte nello stesso modo, ma questa non era decisamente la stessa cosa. Non aveva la minima idea di come gestire quella nuova emozione, eppure non ne aveva nemmeno timore; anzi, avrebbe voluto che non l'abbandonasse mai.
Il Principe indugiò un lungo momento in quel gesto. Infine, posò la fronte su quella della ragazza e l'avvicinò ancor di più a sé. «Ricordi quando abbiamo deciso che avremmo affrontato insieme gli incubi e tutto il resto?» le domandò.
«Sì» mormorò Freya. Non l'avrebbe mai dimenticato.
«Questo non è diverso.» La sua voce era risoluta. «Impareremo tutto quello che c'è da sapere insieme. Non succederà nulla di male. Devi solo avere fiducia in te stessa e in me.»
«Non ho mai creduto in nient'altro come in questo» rispose lei, lasciando andare quelle parole come una confessione a lungo serbata.
Aran si scostò e la guardò dritto negli occhi. Nuove domande si andavano formando tra loro; non erano misteriose come tutte quelle già presenti ma, per il momento, erano informulabili. Forse in realtà entrambi già sapevano, o forse no; non era il frangente per scoprirlo.
I due ragazzi ritornarono al silenzio e, in quel silenzio, si strinsero ancora come se nient'altro avesse importanza.
   
 
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