Confidenze fra estranei
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“Aspetta,
ti aiuto.”
Nelson le fu subito
accanto e l’aiutò ad alzarsi, porgendole una mano,
esattamente come aveva fatto
il primo giorno che lei era tornata a Springfield.
“Grazie” disse,
imbarazzata, stringendogli la mano e dopo, una volta in piedi, facendo
finta di
togliersi della polvere dai jeans.
Nelson
guardò Bart che,
sdraiato per terra, rideva. Si passò una mano fra i capelli
e sospirò. “Ci sono
i tuoi in casa?” chiese a Lisa, guardandola.
Lei scosse la testa. “Sono
sola”.
Ok. Il ragazzo si chinò e
prese un braccio di Bart portandoselo sulla spalla e tirandoselo sulla
schiena.
“Fammi strada” disse, rivolto al Lisa.
Lisa
osservò stupita
Nelson che si caricava addosso Bart e rimase imbambolata a guardarlo.
Quando
lui le chiese di indirizzarlo scrollò le spalle e
annuì, entrando in casa e
salendo le scale meccanicamente davanti a loro.
“Lisa… Lisa…” la chiamava
suo fratello.
“Bart, ma cosa hai
combinato? Perché hai bevuto così
tanto?”
“Oh, Lisa, non mi hai
visto? Nelson mi ha dato un pugno, ho tutta la faccia
nera…”
“Cosa?” Lisa si girò di
colpo e per poco Nelson non le finì addosso. “Cosa
gli hai fatto?”
“Non è andata proprio
così…” si giustificò lui.
La risata roca e
biascicosa di Bart tranquillizzò un po’ Lisa, che
cercò di vedere con i propri
occhi il danno.
“Facciamo che lo metto sul
letto e lo guardi lì? È un po’
pesante…” Lisa divenne rossa, annuì
alle parole
di Nelson e aprì la porta della stanza di Bart, facendogli
cenno di entrare.
Nelson
raggiunse il letto
e ci lasciò cadere, forse un po’ troppo
pesantemente, un Bart ridacchiante e
ciarliero.
“Cosa avete combinato?” Il
tono di rimprovero di Lisa lo fece imbarazzare, ma poi si riprese quasi
subito.
“Non abbiamo combinato
niente. Bart voleva far colpo sulla cameriera e ha continuato a
ordinare da
bere…”
“E perché non lo hai
fermato?” Lei aveva ancora quel tono.
“Perché non sono la sua
balia, forse? È grande abbastanza” disse, alzando
le spalle.
Ma Nelson si sentì in
colpa quando Lisa guardò il fratello con occhi preoccupati.
“Ma starà bene?” Quando
lei si morse il labbro, Nelson dovette fare un passo indietro e
togliere lo
sguardo.
“Certo. Vero, Bart, che
starai bene?” gli chiese, toccandogli un piede con la punta
della scarpa. Per
tutta risposta, lui scalciò le scarpe e si mise su un
fianco, blaterando di
metodi per la buonanotte.
Quando Bart frugò nel
comodino, vide Lisa trasalire e se ne stupì.
“Sì, starò bene dopo che
avrò fumato qualcosa per addormentarmi… Ehi, ma
dov’è il mio spliff?
Non lo trovo… Cavolo, pensavo di
averlo lasciato qui… Ehi, Nelson me ne rolli uno?”
“Te sei fuori… Non ti
rollo niente!”
“Allora devo cercare
dov’è…” disse Bart, cercando
di mettersi seduto per alzarsi.
“Adesso è il caso che tu
dorma…”
“No, voglio trovare il
mio…”
“Bart, mettiti giù, non
c’è più la tua…
canna…” La voce di Lisa era quasi un sussurro,
mentre si
avvicinava al fratello e cercava di spingerlo a sdraiarsi.
Bart la guardò in viso e
si lasciò cadere mentre rideva. “Oddio, me
l’hai fumata tu? Grande sorellina!
Allora non sei noiosa…”
Nelson vide chiaramente
Lisa bloccarsi e rimarci male per le parole del fratello.
“Bart, fai meno
l’imbecille, dai. Mettiti giù e smettila di
parlare” intervenne lui, spostando
la ragazza e pigiando una mano sul petto di Bart. Lui annuì
e non fece
resistenza.
“Ok… Finché non si ferma
la stanza, rimango sdraiato.”
“Ecco, bravo…” Nelson vide
Lisa avviarsi verso il corridoio e, una volta che lei ebbe varcato la
soglia
della stanza, si chinò su Bart. “E smettila di
dire certe cose a tua sorella,
c’è rimasta male, idiota”. Gli diede un
pugno su una spalla ma cercò di non
fargli male.
Si alzò, ma prima che
riuscisse a rimettersi dritto, Bart gli afferrò un braccio
con un gesto
preciso, come se fosse diventato sobrio tutto d’un tratto.
“Ti piace Lisa?” Scosse il
capo.
“Sei stato stronzo.”
“Lei ci odia. Odia tutto
di Springfield. Forse odia anche te.”
“Me ne farò una ragione.”
Bart lo guardò con
l’ultimo barlume di lucidità e poi chiuse gli
occhi sospirando.
Lisa,
dal corridoio, dove
si era rifugiata quando Bart aveva detto quello che aveva fatto,
osservò Nelson
sospirare e raggiungerla subito dopo. Senza dire una parola percorsero
a
ritroso il tragitto di poco prima e, una volta fuori, lui disse:
“Ti giuro che
non ho fatto apposta, è stato un incidente in
palestra”.
Lei annuì: di sicuro, se
si fossero picchiati, Nelson non avrebbe
riaccompagnato a casa Bart e, sicuramente, non lo avrebbe messo a letto!
“Grazie per averlo
riportato, allora.”
Si avviò verso la panchina
artigianale di suo padre e si sedette. Mentre cercava quel che era
rimasto
della canna, lanciò qualche occhieta verso Nelson che era
rimasto sul vialetto
e la guardava con uno strano cipiglio.
Nelson
la guardò sedersi e
poi, quando lei si voltò verso di lui, si sentì
in imbarazzo: forse lo stava
invitando ad andarsene. Quando Lisa raccolse qualcosa da terra e
rabbrividì,
appoggiandosi al muro della casa, le chiese perché stesse
fuori.
“Sto aspettando mia
sorella. È uscita con dei tipi che non conosco
e…” Nelson sorrise, mettendosi
le mani in tasca.
“Capisco perfettamente”
disse. Ellie lo aveva fatto preoccupare svariate volte e non aveva
ancora
smesso.
“Vero, anche tu hai una
sorella…” La voce di Lisa era stanca, ma sorrise
quando lo disse.
“E non sai quanto mi ha
fatto dannare!”
“Aspetti con me?” Quando
Lisa lo interruppe, Nelson non seppe cosa rispondere, così
si voltò verso il
carro attrezzi come per trarne ispirazione.
Poi, lentamente, annuì.
“Va bene. Ma sposto il mostro” disse, indicando il
mezzo.
Lisa
osservò il ragazzo
salire sul carro attrezzi e si chiese perché gli avesse
domandato di rimanere
con lei. Quando tornò, dopo pochi minuti, camminando sul
marciapiede, pensò di
aver fatto un errore madornale. Ma poi lui, senza dire niente, si
sedette di
fianco a lei sulla panchina e, quando la guardò, Lisa
provò una sensazione
bellissima.
Non dissero niente per
qualche minuto, ma il loro silenzio era così pieno di
serenità, che Lisa pensò
che fosse un peccato infrangerlo.
Lei
tirò fuori un
accendino dalla tasca della felpa che indossava e accese una canna che
era
apparsa magicamente nella sua mano, secondo Nelson. “Allora
ce l’avevi tu
davvero!” esclamò Nelson, sorpreso: non lo avrebbe
mai detto.
“Pensavi anche tu che
fossi noiosa, eh?” disse, un po’ triste.
“E invece vi sbagliate. Vi sbagliate
tutti…” La sua voce si affievolì subito
prima di aspirare un tiro e poi iniziò
a tossire.
Lisa
si diede della
stupida: aveva fatto la grande, mostrando la canna e tutto il resto e
poi aveva
iniziato a tossire come una tredicenne! Sarebbe sembrata proprio quello
che
era: non noiosa, ma stupida. Lei aveva fumato forse due volte in tutta
la sua
vita, al college, con Kristen, e di sicuro, non era la grande esperta
che
voleva far credere.
Tossiva come se avesse un
polmone in gola e dovesse sputarlo per sopravvivere. Nelson le tolse di
mano la
canna e le batté delicatamente la mano sulla schiena. Oddio.
Lisa smise di tossire e
lui aveva ancora in mano la canna che, stranamente, non si era ancora
spenta.
“Non sei noiosa” disse, prima di fare un tiro anche
lui. “Sei saputella,
precisina, perfezionista e pignola. Ma non sei noiosa”.
Aveva ancora la mano sulla
sua schiena. La mosse su e giù e Lisa ci mise un attimo di
più a rendersi conto
di cosa le aveva detto.
La
ragazza lo guardò con
un’occhiataccia. Nelson pensò che gli avrebbe
detto di andarsene. Appoggiò la
mano sulla panchina, pronto ad alzarsi e diede un altro tiro alla
canna: se
doveva andarsene subito, tanto valeva approfittare della situazione.
“Nient’altro?”
Nelson trattenne una
risata. “No. Nient’altro”.
“Sicuro di non esserti
scordato niente?”
Lui annuì, dopo aver fatto
finta di pensare e sorrise: si stava divertendo.
“Sicuro”.
Vide chiaramente quanto
lei cercasse di non dire ciò che stava pensando.
“Puoi dire anche tu quello che
pensi di me. Mi sa che ormai siamo in confidenza: offendimi
pure” concesse,
divertito.
“No.”
La risposta di Lisa lo stupì,
lei lo capì benissimo. Si allungò verso di lui,
si riprese la canna e ci
riprovò: tossì solo una volta e riuscì
a inspirare il fumo senza morire
soffocata. Lo prese come un traguardo e sorrise, guardando quella
piccola
ciminiera di veleno. “Ci sono riuscita”.
Quello che non disse era
che non sapeva cosa pensasse di lui, non aveva ancora le idee chiare.
Tornare
dopo quattro anni e trovarselo davanti aveva scombussolato la sua mente.
Si ricordava benissimo
quando lo incontrava per le vie di Springfield gli anni passati,
soprattutto
quando erano al liceo: Nelson girava con gente che a lei piaceva poco e
la
guardava sempre facendola sentire insicura. A volte l’aveva
presa in giro,
incontrandola da Apu o da qualche altra parte, a volte lei si
nascondeva per
non essere vista e lo guardava quando era con gli altri. Forse una di
quelle
volte che lo aveva visto con delle ragazze, c’era in mezzo
anche Ellie.
“Cos’è
la storia del polo
nord?” Nelson si decise a chiedere quando lei non
parlò più.
“È un lavoro che ho
trovato.”
Il ragazzo annuì come se
fosse una cosa normale, per lui, andare a lavorare al polo nord.
“Te lo ha trovato
l’università? Per… quello che hai
studiato? Cosa hai…”
“Veterinaria.”
Nelson annuì ancora, come
se dovesse dimostrare di essere d’accordo.
“Quindi vai per studiare
gli orsi…” Nelson cercò di pensare
velocemente: al polo nord c’erano gli orsi
polari o i pinguini? Perché confondeva sempre le cose? E
perché ci teneva così
tanto a dire la cosa giusta?
“No”. Il tono risoluto di
Lisa lo mise al suo posto.
“Oh, ho sbagliato? I
pinguini, allora.”
“No. Non hai sbagliato: è
giusto, ci sono gli orsi polari. Io però vado in Groenlandia
e sarò in una
stazione per l’osservazione metereologica.”
Nelson si stupì. “E cosa
ci vai a fare?” Lei alzò le spalle.
“Francamente poco, da quel
che ho capito. Saremo in tre. Bastava avere la laurea e ti prendevano,
ma non
ci voleva andare nessuno. Infatti è pagato molto
bene…”
“Lo fai per pagare il
prestito universitario?” le chiese lui.
Lisa
si sorprese della sua
domanda. Gli aveva detto del prestito la sera che erano andati al diner
e lui
se lo ricordava ancora. Si sentì le guance in fiamme a
scoprire che la cosa le
faceva un enorme piacere.
“Voglio pagarmi un corso
extra per curare le specie selvatiche dell’Africa e
dell’Asia… Ma non posso
aprire un altro prestito, né chiedere i soldi ai miei
genitori.”
“Africa e Asia? Quindi è
vero che odi Springfield e vuoi andartene.”
“Beh, non mi sembra che
Springfield sia così bella!”
“Ma c’è la tua famiglia. I
tuoi genitori, i tuoi fratelli…”
Lisa alzò le spalle.
Nelson
avrebbe dato un
occhio della testa per poter rivedere sua madre, nonostante tutto. E
aveva
sacrificato l’università per Ellie, la sua
sorellastra. E ora stava curando
Trevor che dopo il primo infarto aveva problemi seri. Per un attimo si
innervosì: le persone che avevano così tanto non
se ne accorgevano mai.
“Sei mai andato fuori da
Springfield, Nelson?” Ora il tono di Lisa non gli piaceva
più: sembrava
accondiscendente, come quando parli a un bambino stupido cercando di
farlo
ragionare. Lei doveva pensare che lui fosse un povero provincialotto.
Si stupì
del fatto che fosse più deluso che offeso dalla cosa.
“Certo che sono andato
fuori da Springfield. Non conosco solo le mura di casa mia. Ho visto
anche
altri posti. Mio padre mi ha anche portato in Europa. È solo
che mi piace stare
qui. A casa.”
Nelson si alzò.
Lisa
capì di averlo offeso
e si vergognò di come avesse posto la domanda.
“Non intendevo…”
“Veramente immagino
proprio che tu lo intendessi. Ma posso capire, sai? Probabilmente lo
avrei
pensato anch’io. Devo essere molto diverso da quei ragazzi
che escono dall’università
e indossano camicie e cravatte.”
Quando sentì il suo tono
rassegnato, Lisa si sentì una stupida. “No,
scusami, non dovevo…” Allungò una
mano verso di lui e gli afferrò il braccio, la parte
più vicina a lei.
Nelson
abbassò lo sguardo
sulla mano della ragazza e vide le sue piccole dita stringergli il
braccio poco
più su del polso. Il suo contatto era una carezza lieve e
capì che lei era
veramente dispiaciuta perché la sua mano tremava un pochino
mentre cercava di
trattenerlo dall’andarsene. Quando spostò lo sguardo su di lei, Lisa lo
guardò negli occhi
e Nelson non riuscì a dire più niente. Si
risedette e lei fece un piccolo
sorriso.
“Ti va una birra?” gli
chiese, ma il ragazzo scosse la testa. “Una coca?”
insistette.
Lisa
sperò che dal suo
tono non si capisse la voglia che aveva di rimediare
all’errore e rimase ad
aspettare con ansia la sua risposta. Quando lui annuì,
sorrise e si alzò per
andare in casa.
Cercò di fare il più
presto possibile e quando tornò, dopo pochi minuti, con due
lattine, Lisa si
stupì che non se ne fosse andato lo stesso.
Nelson
voleva andarsene,
ma non gli piaceva l’idea di farlo quando lei era in casa.
Gli sembrava di
nascondersi e invece non doveva più farlo. E non voleva.
Quando lei tornò fuori,
gli porse la lattina e si risedette, aprendo la sua e bevendo un lungo
sorso.
“Quando mia madre è morta,
mio padre mi portò via per un po’. Sai, lui non
aveva problemi di soldi e mi
chiese se volessi vivere con lui. Per un po’ ci andai. Lui
viaggiava un sacco
e io non sapevo cosa fare della mia vita. Ma non mi piaceva neanche la
sua.
Sono stato in posti diversi, ho conosciuto do… persone
diverse…” Nelson si
interruppe e un po’ si vergognò quando aveva
voluto censurare la parte sulle
donne. “La sua era una vita fantastica: viaggi, culture, cibi
totalmente
diversi. Ma io sono tornato qui. A Springfield. E sai
perché?”
Lisa
ascoltò Nelson
parlare e gli rispose annuendo con il capo: stava capendo.
“Sei tornato per
Ellie?”
Il ragazzo si avvicinò la
lattina alle labbra e guardò verso la strada. Anche mentre
parlava non aveva
mai guardato verso di lei. Quando finì di bere si
passò la lingua sulle labbra
e disse: “Sì, proprio per Ellie. Per Ellie e
Trevor. Se mio padre e mia madre
erano la famiglia che mi è capitata, Ellie è la
sorella che mi sono scelto…”
Bevette ancora.
“È una cosa molto bella
quella che hai detto, Nelson” sussurrò. Lui si
voltò verso di lei, ma non disse
niente. “E lo sfasciacarrozze?”
“Me lo ha lasciato mio
padre l’anno scorso, quando è morto.”
“E chi ti ha insegnato ad
aggiustare le auto?” gli chiese Lisa, ancor prima di pensare
la frase.
“Trevor. Aveva un’auto
degli anni ’60 in garage, l’abbiamo ristrutturata
insieme. Ho imparato da lui
tutto quello che so.”
La ragazza sorrise e lui
non disse più niente. Passarono pochi minuti di silenzio e
poi Lisa, memore di
ciò che le aveva detto Milhouse, disse: “Tu sai
che è stata fatta una petizione…”,
ma si interruppe quando vide passare davanti a casa proprio la macchina
di
Milhouse con il ragazzo che guardava verso di loro. “Ma cosa
cav…”
La macchina sportiva
sbandò, quasi finendo sull’altro marciapiede.
Nelson
si alzò di nuovo.
“Forse dovrei andare…” Ma Lisa lo
guardò con uno sguardo così brutto che si
bloccò.
“Non puoi aspettare che
torni indietro?” gli chiese.
“Come?”
“Milhouse abita di là”
disse, indicando con il braccio la direzione opposta a quella dove era
andata
l’auto del ragazzo. “Tornerà indietro e
se mi vedrà da sola, si fermerà
e…”
Lisa sospirò e si passò una mano fra le ciocche
di capelli.
Nelson però non si
risedette. “Lisa, vai in casa se ti dà fastidio
Miloser, io me ne vado” disse.
“Grazie, sei molto
gentile” borbottò ancora, ironica. Nelson rise, ma
non cambiò idea.
Possibile che lei non
capisse? Se Milhouse fosse tornato veramente indietro e li avesse visti
ancora
lì, cosa avrebbe pensato? Un conto era dare fastidio allo
sfigatello facendogli
paura, un conto era tirare in ballo Lisa.
“Fidati, ti sto facendo un
favore” disse.
Lisa
alzò lo sguardo su di
lui, senza capire le sue parole. Alzò un sopracciglio e,
senza accorgersene, arricciò
il naso. Si alzò in piedi, ma prima che potesse dire
qualsiasi cosa lui abbassò
lo sguardo sulla lattina che ancora teneva in mano. “Potrebbe
pensare che noi…”
Lisa sentì le guance
arrossarsi. Non aveva pensato che far sedere Nelson in giardino avrebbe
potuto
dar adito a certe voci. Poi aggrottò la fronte.
“Sei un amico di Bart. Lo hai
appena portato a casa perché era ubriaco e stai aspettando
con me mia sorella.
Perché Milhouse dovrebbe pensare qualcosa di
diverso?”
“Perché è un idiota”
rispose lui, alzando le spalle, ma sorridendo. Rise anche Lisa.
“Giusto.”
Fece due passi e gli prese
la lattina dalle mani. “Vai pure a casa, Nelson. Non
attenterò alla tua
reputazione” disse la ragazza, ma prima di entrare in casa a
gettare le lattine
si voltò e, mentalmente, aggiunse: “Non
stasera”. Appena lo pensò si scoprì a
ridacchiare e le sembrò di essere tornata al liceo. Al primo
anno, quando il
liceo era ancora una cosa simpatica.
Il
rumore di una frenata brusca
fece alzare a Nelson lo sguardo, ma si scoprì sorpreso
quando notò che non era
Miloser: era un’auto grigia, decapottabile e, al volante, un
ragazzino troppo
giovane per essere l’idiota dai capelli blu.
Maggie, la sorella di Lisa
e Bart, scese dal sedile posteriore, salutando i ragazzi seduti davanti
e
parlando di qualcosa che avrebbero dovuto fare l’indomani.
Senza accorgersene,
Nelson si alzò e si avvicinò all’auto:
conosceva sia la macchina che l’autista.
Lisa
sentì le gomme
fischiare sull’asfalto fin dalla cucina e corse verso il
salotto per guardar
fuori dalla finestra e controllare se per caso Miloser, come lo aveva
chiamato
Nelson, fosse effettivamente tornato e si fosse fermato davanti a casa
loro. Ma
la macchina che vide non era quella del perdente e vide scendere sua
sorella da
un’auto decapottabile e abbastanza nuova.
Quando uscì per
assicurarsi che Maggie stesse bene, la vide che osservava Nelson, che
si era
avvicinato al lato del volante e aveva appoggiato la mano sullo
sportello,
parlando con il ragazzo che guidava.
“Che succede?” chiese alla
sorella, una volta fuori.
“È un amico tuo, lui?” le
rispose Maggie, indicando Nelson.
“Perché?” Lisa non sapeva
cosa rispondere. Era un suo amico? E se avesse detto di sì,
Nelson se la
sarebbe presa?
“Cosa sta dicendo a Cory?”
Lisa alzò le spalle. Non sapeva chi fosse Cory, anche se
immaginava che fosse
il ragazzo al posto di guida. E non aveva la più pallida
idea di cosa si
stessero dicendo.
Le ragazze si avvicinarono
all’auto, ma questa se ne andò e loro rimasero sul
marciapiede, insieme a Nelson.
“Che hai detto a Cory?”
chiese Maggie, un po’ sostenuta, al ragazzo.
“Niente. Cose nostre.”
La
ragazzina lo stava
guardando male. Aveva nello sguardo la determinazione di Lisa e un
po’
dell’arroganza di Bart. Doveva essere un peperino.
“Cosa vuol dire cose
vostre?”
Nelson scosse la testa e
le spalle.
“Ma te lo scopi questo
qui?” chiese la piccoletta rivolgendosi alla sorella.
Lisa divenne rossa sulle
guance prima di esclamare: “Maggie!”, stupita da
quello che aveva detto.
“Ehi, ragazzina!” la
sgridò lui.
“Ehi, tu! Ma chi cazzo
sei?”
Lisa
fece un passo avanti
e cercò di salvare la situazione, anche se nessuno dei due
sembrava a disagio.
“Lui è Nelson, Maggie.
Andava a scuola con Bart…” Maggie non poteva
ricordarselo, ma alle elementari
avevano parlato spesso di Nelson e della sua banda. E di solito non ne
parlavano bene, in famiglia.
Sua sorella continuò a
guardarlo male e sbuffò senza dire niente.
“Visto
che tua sorella è
tornata, vado a casa. Buonanotte.”
Nelson aveva ignorato la
ragazzina, così come lei stava facendo nei suoi confronti e
salutò direttamente
Lisa.
“E dov’è che abiti tu?”
chiese Maggie, guardandosi intorno. “Non hai una macchina,
quindi sei venuto a
piedi?”
Nelson ghignò:
fondamentalmente lei gli piaceva, era sveglia. Non era una di quelle
che avrebbe
trovato in una macchina infangata a Pinehill che ridacchiava o
piagnucolava,
esattamente dove aveva trovato Cory Dowson la settimana prima. Nelson
gli aveva
solo detto che la prossima volta non avrebbe voluto trovarlo nella
stessa
situazione e in compagnia della sorella di Lisa.
“Ho il carro attrezzi lì
dietro” disse, indicando con il pollice la strada alle sue
spalle.
“Il carro attrezzi? Sei
Nelson il fratello di Ellie Reed?”
Nelson si fece attento e
strinse un po’ gli occhi.
Lisa
sentì il tono di voce
della sorella cambiare: sembrava quasi impressionata e il suo modo
arrogante di
parlare era svanito.
“Sì” rispose Nelson. Anche
lui sembrava incuriosito dal cambio di atteggiamento.
“Allora dovresti essere un
tipo a posto. Buonanotte”. Maggie si girò e si
incamminò verso la porta di casa,
alzando il braccio senza voltarsi quando augurò la buona
notte.
Loro la guardarono entrare
e poi Lisa disse, voltandosi verso Nelson: “Avevi ragione,
hanno pensato male”.
“Lei non è un’idiota. Sono
sicuro che capirà se glielo spiegherai.”
Lisa annuì alle sue
parole, contenta del fatto che lui non se la fosse presa.
Nelson
le fece un cenno
con il capo e si girò per incamminarsi verso il carro
attrezzi, quando notò per
terra qualcosa che prima non c’era. Si chinò e
raccolse quella che sembrava una
catenina. Si tirò su, tenendola in mano e osservando il
dondolio di un piccolo
ciondolo a forma di plettro.
“Cos’è?” gli chiese Lisa
avvicinandosi.
“Penso sia un ciondolo.”
“Un ciondolo a forma di
plettro!” esclamò lei, avvicinandosi.
“Sarà di Maggie” le disse
lui, porgendoglielo e notando che era nello stesso posto dove prima era
la
ragazzina.
“Oh, non ho visto chitarre
in camera sua…”
“Potrebbe essere un
regalo, allora.”
“Forse.”
“Tieni, portaglielo.”
Lisa
si avvicinò e prese
la catenina dalle mani di Nelson. Quando le loro dita si toccarono lei
sentì un
brivido percorrerle la pelle e si morse un labbro.
Anche lui dovette sentire
qualcosa, perché la guardò in modo strano.
Nelson
pensò per un attimo
di fare un passo avanti e di stringere Lisa fra le braccia. Quando lei
aveva
preso il ciondolo, le sue dita lo avevano sfiorato e lui aveva sentito
una
carezza molto più intensa di quello che c’era
stato veramente e gli era
mancanto il respiro, come quando un colpo lo colpiva
all’improvviso. Poi lei si
era morsa il labbro inferiore e lui aveva iniziato a non ragionare
più.
Per fortuna in quel
momento il rumore di un’auto che strusciava contro il
marciapiede li fece
voltare e ruppe quel momento di incanto.
Nelson si girò e, per la
prima volta in vita sua, ringraziò il cielo che Miloser non
fosse un bravo
pilota e che, per guardare cosa stessero facendo loro, fosse finito di
nuovo
contro il marciapiede.
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***Eccomi
con un altro capitolo! Grazie a chi legge!