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Autore: Signorina Granger    30/12/2020    6 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
In un mondo dove il Ministro della Magia detiene un potere quasi assoluto e la sua carica è ereditaria, i Cavendish e i Saint-Clair, La Rosa Bianca e La Rosa Rossa, rappresentano le famiglie più potenti della società magica e per questo sono in competizione e conflitto quasi perenne. La faida durata secoli raggiunge uno stallo solo quando, nel 1865, George Cavendish, futuro Ministro, sposa una Saint-Clair, ma i conflitti si riaccendono pochi decenni dopo, quando nel 1900 egli disereda il suo unico figlio per motivi sconosciuti e nomina suo erede Rodulphus Saint-Clair, scatenando le ire della famiglia.
Dieci anni dopo Rodulphus viene rinvenuto morto per un apparente - ma inscenato - suicidio. La sua famiglia punta il dito contro i Cavendish: la guerra delle due rose è aperta.
Genere: Introspettivo, Noir, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 16
 
 
Estate 1912
 
Sua moglie, seduta alla sua destra come ogni mattina da più di quarant’anni, gli stava raccontando qualcosa mentre imburrava una fetta di pane tostato, forse un pettegolezzo particolarmente succulento.
George, però, non la stava a sentire: seduto a capo del lungo tavolo rettangolare della sala da pranzo apparecchiato solo per due, teneva gli occhi cerulei fissi sul proprio piatto senza aver quasi toccato cibo. La voce della moglie appariva al suo udito quasi ovattata, come avesse avuto qualcosa a coprirgli le orecchie.
Ben presto però Gwendoline sembrò accorgersi della distrazione del marito, perché la donna aggrottò leggermente la fronte – guardandolo con una vena di rimprovero – e gli domandò che cosa avesse.
“George, sai come la penso, se non ti va di ascoltarmi almeno sforzati e fingi, mi darai quantomeno un briciolo di soddisfazione!”
“Scusa mia cara. Per una volta temo di essere io ad avere qualcosa da dirti, oggi.”

 
George sollevò lo sguardo sulla moglie con un accenno di sorriso sulle labbra, allungando al contempo la mano pallida e segnata dagli anni di età del suo proprietario verso quella della donna, che lo guardò ancor più seria: era raro che il marito si concedesse un’intera conversazione di prima mattina, quindi doveva per forza trattarsi di qualcosa di importante.
“Che cosa, George?”
“Io… temo di non stare più molto bene, Wendy. I medici non sono molto ottimisti.”
Il volto dell’ex Ministro venne rasserenato da un sorriso affettuoso mentre pronunciava quelle parole cautamente, guardando la donna irrigidirsi per un istante. Eppure Gwen, pur udendo quel particolare soprannome che il marito usava per rivolgerlesi quando erano soli, non battè ciglio, limitandosi a chiedere quanto grave fosse.
 
“Qualche mese, non pensano che arriverò al prossimo inverno. Ma so che lascio tutto e tutti in buone mani, con te al mio fianco.”
La donna annuì e abbozzò un sorriso, sforzandosi di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni – una parte di lei era certa che il marito non avrebbe gradito, nemmeno in quella circostanza – prima di chiedergli con un mormorio quando intendeva dirlo ad Edward.
“Il più tardi possibile, non voglio allarmismi e finire i miei giorni con sguardi carichi di pietà e compassione, trattato come un moribondo… Ti chiedo di mantenere il massimo riserbo, è uno degli ultimi favori che ti chiedo.”
“… Come desideri caro.”
 
 
 
 
“Per la sottana di Tosca… non ci posso credere!”
Clio teneva gli occhi chiari fissi sul piccolo scrigno che aveva appena estratto da una cavità della parete posta sopra al letto dei suoi nonni, dietro lo scudo bronzeo con lo stemma di famiglia. Poggiatolo sul letto, ora stava in piedi accanto a Riocard, e nessuno dei due sembrava avere il coraggio di aprirlo.
 
“Sembra che l’abbia trovato. Forse sarò costretto a rivalutare le sue doti da detective.”
Nonostante la tensione il mago le si rivolse con un accenno di sorriso, scatenando un’espressione quasi offesa sul bel volto della ragazza, che incrociò le braccia al petto:
“Glie l’avevo detto! Sarò anche imbranata, ma non sciocca.”
“Mai insinuato il contrario, anche se probabilmente come Auror tenderebbe a farsi scoprire da ogni criminale da acciuffare…”
“Non penso proprio, se vuole la prossima volta invece di cercare cimeli di famiglia segreti pedineremo qualcuno e le farò vedere che sbaglia.”
 
“Bene, ma nel frattempo… direi che dobbiamo scoprire a cosa è dovuto questo trambusto. C’è una chiave, lì dentro?”
Clio scosse la testa mentre Riocard sfiorava lo scrigno e la sua serratura, cercando di aprirlo ma senza successo.
“Grandioso, suo padre deve aver tenuto la chiave… Beh, c’era da aspettarselo.”
Riocard sbuffò sonoramente mentre si metteva le mani sui fianchi, guardando l’oggetto di legno con cipiglio torvo mentre Clio, aggrottando la fronte, lo sfiorava a sua volta.
“Ma se ha la chiave, perché non ha preso con sé anche questo?”
“Non ne ho idea, ma forse è arrivato il momento di affrontare con lui la questione a viso aperto… Come ha fatto?!”
 
Clio sollevò il coperchio con una facilità disarmante, come fosse stato fatto di piume, e la ragazza ricambiò lo sguardo stralunato del giovane con un’espressione alquanto perplessa sul volto:
“Niente, non era chiuso a chiave.”
“Come sarebbe a dire, ha visto che con me non si apriva!”
“Forse neanche lei è un Auror nato, allora, se non apre neanche uno scrigno!”


Riocard alzò gli occhi al cielo, ma decise che al mistero dello scrigno ci avrebbe pensato più tardi: la cosa importante era che fossero riusciti ad aprirlo, in qualche modo.
Entrambi abbassarono lo sguardo, simultaneamente, su ciò che Edward Cavendish aveva sottratto a Rodulphus Saint-Clair e che tanto si era dato pena di celare alla sua stessa famiglia.
Qualcosa di sorprendentemente piccolo, in effetti, che fece aggrottare la fronte ad entrambi i giovani maghi:
 
“Tutto qui?!”
“Come minimo mi aspettavo… non lo so, un tesoro preziosissimo. Ha idea di che cosa sia?”
“Mmh, no, e lei?”
“Tantomeno. Beh, ci resta una sola cosa da fare. Andare da suo padre e chiederglielo, al diavolo. Voglio capire di che si tratta… se ha davvero ucciso lui mio padre, è probabile che sia per questo.”


Clio sbuffò e, voltandosi verso Riocard, asserì che suo padre non aveva ucciso proprio nessuno. Certo il suo comportamento degli ultimi tempi era stato alquanto sospetto, ma mai avrebbe potuto togliere la vita a qualcuno di proposito, ne era più che certa.
Il ragazzo non battè ciglio, ma si strinse nelle spalle con noncuranza e, chiuso lo scrigno, se lo mise sottobraccio prima di rivolgersi alla giovane con tono neutro, come se le stesse chiedendo di andare a fare una passeggiata al parco:
“Beh, andiamo a scoprirlo. Mi faccia strada, penso che mi autoinviterò a casa sua.”
“Non so se è una buona idea, sa… mio padre, i miei fratelli…”
“Al diavolo. Mio padre è morto, Clio. Sono stanco di non capire.”


 
*
 
Imbecille.”
“GEORGE!”
 
Lo schiaffò poderoso del padre lo colpì in pieno viso, costringendolo a voltarsi, ma l’umiliazione fu molto più dolorosa. Edward strinse i denti mentre Gwendoline, alzandosi dal divano, guardava scandalizzata il marito e gli ordinava di non colpire il ragazzo e George lo fissava con evidente delusione.
 
“Hai venduto… la nostra cosa più preziosa. E proprio ai Saint-Clair. Quanti soldi ti ha offerto Rodulphus, eh?!”
“Non l’ho fatto per i soldi.”
“Non ritirare fuori quella stupidaggine di Estelle, non ci credo che l’hai fatto solo perché lui non la sposasse! Non puoi essere stato così sciocco, Edward!”

 
Edward chinò il capo, non osando guardare il padre in faccia, tenendo le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani strette a pugno, sibilando che se non capiva era lui, nella stanza, l’unico sciocco, e che per di più non aveva mai amato davvero nessuno.
 
Probabilmente George lo avrebbe colpito di nuovo se la madre non si fosse messa in mezzo, ordinandogli di andarsene in camera sua per riparlarne con più lucidità.
Edward obbedì, ma la verità era che non si sentiva affatto pentito. Aveva fatto la sua scelta, e anche se suo padre non la comprendeva e sbraitava che non gli avrebbe mai perdonato quel gesto, sentiva che avrebbe potuto renderlo molto più felice di quanto quell’anello avrebbe mai potuto.
 
 
Rodulphus sorrise soddisfatto, gli occhi azzurri luccicanti mentre si rigirava quel piccolo e prezioso oggetto tra le mani. Stando a ciò che aveva sentito, non era un anello comune, e aveva tutta l’intenzione di provarlo.
Lo intascò con soddisfazione girò sui tacchi, allontanandosi dopo aver assistito dalla finestra alla lite. George sembrava ancora furioso, e di certo non gli sarebbe passata in fretta.
Infondo era quella, la cosa più importante, dividerli tanto quanto loro avevano fatto con la sua famiglia. Era una fortuna che suo cugino gli avesse parlato di quel prezioso cimelio, era stata l’occasione perfetta.
 
 
Quando Clio si era presentata sulla soglia di casa insieme a Riocard Saint-Clair, Estelle aveva creduto di avere le allucinazioni. Stava già per correre a chiamare il medico quando Neit, che stava uscendo dal salotto, si pietrificò e guardò la sorella con gli occhi spalancati:
 
“Clio, che cosa diavolo…”
“Non ho tempo di dare spiegazioni, ma dobbiamo parlare con papà, dov’è?”
Dobbiamo? Tu e LUI? Merlino, grazie al cielo Egan è al lavoro…”

Clio alzò gli occhi al cielo, fece cenno a Riocard di seguirla e si diresse a passo di marcia verso la porta dello studio del padre con Neit al seguitò, che asserì di voler sapere che cosa stesse succedendo.
 
“Papà! Papà, abbiamo delle domande da farti.”
 
“Tu e chi?”
Clio entrò nella stanza, ed Edward fece appena in tempo ad alzare lo sguardo per vedere il figlio di Rodulphus varcare la soglia del suo studio con un Neit perplesso e corrucciato al seguito.
“CLIO, che diavolo ci fa LUI qui?”
“E’ quello che vorrei capire anche io!”


“Finitela, sarò io a fare le domande, per una volta. Oh, che bello, quasi non mi sembra vero, in genere sono l’imbranata della famiglia…”
 
Clio sorrise, allegra, ma si costrinse a tornare seria quando intercettò lo sguardo cupo di Riocard, affrettandosi a schiarirsi la gola mentre Neit chiudeva la porta e la sorella prendeva lo scrigno di legno dalle mani del giovane per portarlo sulla scrivania del padre.
 
Edward guardò il familiare oggetto e sospirò, appoggiando la piuma e mettendo da parte la lettera che stava scrivendo per dedicare tutte le sue attenzioni ai suoi inaspettati ospiti.
“E così lo avete trovato, alla fine. Beh, sedetevi. Che cosa volete sapere?”
“Che cosa vogliamo sapere? Perché tanto trambusto per uno stupido anello, ecco cosa. C’entra con la morte di mio padre?”
 
“Anello? Che anello?”
“Neit, sh!”
“Non farmi sh!”
 
*
 
 
“Riocard, io non ho ucciso tuo padre, te lo posso assicurare. Non eravamo di certo in buoni rapporti quando è morto, lo sanno tutti, ma non sono stato io… Mio cugino te lo può provare, perché quella notte io e Robert andammo al Ministero per sottrargli ciò che avete trovato.”
“Papà, ti sei dato ai furti?!”
Clio spalancò gli occhi, scandalizzata, mentre Neit alzava gli occhi al cielo e il padre sospirava, lanciando un’occhiata cupa alla figlia mentre teneva le mani poggiate sulla scrivania, le dita intrecciate tra loro.
 
“No tesoro. Questo anello appartiene ai Cavendish da innumerevoli generazioni, è stato forgiato dai Folletti, si dice che lo abbiano donato al nostro primo Ministro, e ha proprietà magiche. Si dice che il diadema di Priscilla Corvonero rendesse più saggi, mentre chi indossa questo anello ha la possibilità di… esaudire delle richieste.”
“Caspita!”


Clio guardò lo scrigno con improvvisa curiosità, e stava quasi per chiedere se poteva provarlo quando colse l’occhiata torva che Neit le rivolse, vietandole silenziosamente di interrompere il padre mentre lo ascoltava a braccia conserte.
 
“E perché lo aveva mio padre, se è vostro?”  
Riocard, seduto accanto a Clio davanti alla scrivania, guardò il padrone di casa aggrottando la fronte, senza capire. Senza contare che non aveva mai visto quell’oggetto prima di quella sera, anche se era stato di suo padre.
“Glie l’ho venduto, diciamo. Diversi anni fa. E’ per questo che vostro nonno ce l’ha avuta con me per anni… Rodulphus avrebbe dovuto sposare Estelle, ma io… io non potevo accettarlo. Lui mi disse che avrebbe rifiutato la sua mano, se io gli avessi dato l’anello. E l’ho fatto, per sposare Estelle. Ma vostro nonno non mi ha perdonato, l’ha visto come un affronto terribile… si rifiutò di vedere che io ero solo un ragazzino ingenuo e che Rodulphus approfittò del mio debole per vostra madre per estorcermelo.”
 
Clio aprì la bocca, senza parole, mentre Neit non si mosse, apparentemente impassibile anche se la sua mente era in subbuglio. Riocard, invece, si mise dritto sulla sedia e replicò senza esitare, visibilmente irritato dal ritratto appena fatto da Edward del defunto padre.
“Mio padre non era un mostro. Convengo che non è stato un bel gesto, ma avrà avuto i suoi motivi!”
“Riocard, all’epoca tuo padre e io eravamo molto legati. Non so perché abbia voluto farmi questo, non l’ho mai capito. Ho fatto finta di niente per anni, dicendomi che non contava, mentre mio padre continuava a disprezzarmi. La cosa buffa è che non se la prese con Rodulphus, ma con me, asserendo che ero stato io l’idiota e lui un semplice “uomo d’affari”. Gli offrì la carica di Ministro solo per punirmi, non perché non mi riteneva degno di ricoprire quel ruolo… Rod si era preso il nostro cimelio più antico e più prezioso per colpa mia, e mio padre decise di punirmi ulteriormente affibbiandomi pubblicamente la colpa di aver tolto ai Cavendish la nostra carica.”
 
“Ma non ha senso, perché il nonno l’ha fatto?”
Neit guardò il padre aggrottando la fronte, confuso e quasi rifiutandosi di credere alle sue parole mentre Clio non emetteva un fiato e Riocard, livido, stava a capo chino.

“Evidentemente era disposto a togliere anche il Ministero alla famiglia, pur di punirmi. Riocard, ho odiato tuo padre per anni, ma non pensare che fosse un mostro, non lo era. Da una parte continuo a sperare che abbia avuto un motivo per farmi ciò che ha fatto, anche se lo ignoro. Non volevo che nessuno lo trovasse perché era di tuo padre quando morì, e l’avrebbero presa come una prova della mia colpevolezza. Così l’ho nascosto e ho fatto in modo che solo un Cavendish potesse aprire lo scrigno, ma non avevo fatto i conti con la mia curiosa e testarda figlia.”



 
 
 
“Credi che mio padre abbia ucciso il tuo?”
“No, gli credo, immagino. Non lo conosco bene, ma è sembrato sincero.”
Riocard si strinse nelle spalle, le mani nelle tasche mentre usciva da casa Cavendish con una Clio quasi preoccupata al seguito. All’improvviso però il giovane si voltò verso di lei, abbozzando un debole sorriso:
 
“Mi ha dato del tu?”
“Oh, scusami… cioè…”
“Non fa niente, va bene. Mi chiedo solo… chi possa essere stato, allora. Forse non lo capirò mai.”
Il mago alzò lo sguardo sul cielo stellato che sovrastava Londra mentre Clio scuoteva la testa con decisione, assicurandogli che di certo ne sarebbe venuto a capo, prima o poi.
 
“Lo spero. Nel mentre grazie per il tuo aiuto, e chiedi scusa a tua madre per… l’improvvisata. Meno male che non c’era Egan, non è un mio fan. Buonanotte Clio.”
Clio guardò il ragazzo farle il baciamano e si ritrovò malauguratamente ad arrossire copiosamente, mormorando un “Buonanotte” sommesso a sua volta prima di guardarlo scendere i gradini, attraversare il vialetto e uscire dal cancello prima di Smaterializzarsi.
Non aveva l’anello con sé, non gli importava: lo aveva lasciato ad Edward mormorando che era di nuovo della sua famiglia, per quanto lo riguardava.
 
 
“Eri disposto a fargli sposare Caroline pur di non farlo trovare?”
“Quando il contenuto di una casa viene dato in beneficenza, gli Auror la controllano da cima a fondo temendo che gli eredi possano giocare scherzi… con gli incantesimi giusti lo avrebbero trovato, Neit. E indovina chi sarebbe stato processato per omicidio? Per fortuna due anni fa non avevano prove, visto che ero il sospettato numero uno.”
Edward sbuffò mentre si rigirava il bicchiere di Whiskey tra le mani, e Neit annuì con un debole sorriso, mormorando che aveva ragione.
 
“Me lo chiedevo da sempre, perché il nonno ti disprezzasse. Mi dispiace. Non ne aveva motivi, per quello che vale penso che tu abbia fatto una scelta meravigliosa e molto coraggiosa.”
 
“... Grazie Neit.”
“A tal proposito, c’è una cosa che riguarda Carol che gradirei dirti…”


 
*
 
Il giorno seguente
 
 
“Ah, eccoti. Volevo informarti che stasera abbiamo tuo cugino e famiglia a cena.”
“Gentile da parte tua rendermelo noto il giorno stesso Penelope, ti ringrazio sentitamente.”
 
Robert alzò gli occhi al cielo mentre, tornato brevemente a casa per pranzare prima di tornare al Ministero, lasciava valigetta e sciarpa sul divano. Penelope, seduta con grazia e gli occhi fissi su di lui, abbozzò un sorriso eloquente mentre guardava il marito sfilarsi il cappotto.
“Beh, del resto sarebbe più facile avvertirti per tempo se non passassi molte sere a settimana fuori casa. Ma del resto l’hai sempre fatto anche quando i ragazzi erano piccoli, perché sperare in un cambiamento?”
“Penelope, ti prego, a volte a stento mi sopporti, lo dici tu stessa. Talvolta penso persino di farti un favore, non facendomi vedere!”
 
“Certo, emerito troll, come se me ne fosse mai importato di te… Il punto è che abbiamo due figli, ma hanno entrambi superato il quarto di secolo conoscendo a stento il loro padre. E dire che almeno Ezra ti vede al lavoro, tutto sommato è fortunato.”
 
Penelope finì di parlare con amarezza, lanciando un’occhiata torva al marito mentre guardava Robert girare sui tacchi con un sospiro esasperato e dirigersi verso la sala da pranzo. La strega stava tornando a concentrarsi sulla sua copia del Settimanale delle Streghe quando udì nuovamente il marito parlare, ormai fuori dalla stanza:
“Ti rendi conto di averli sempre messi contro di me, vero Pen?”              
“Ci hai pensato da solo, a metterti in cattiva luce. Avessi abbracciato una sola volta tua figlia da quando non è più una bambina…”
 
Robert non replicò e si allontanò facendo finta di nulla, ma Penelope seppe che aveva udito chiaramente le sue parole. E se avesse potuto guardarlo, forse avrebbe colto una debole nota di malinconia nello sguardo cinico del marito.
 
                                                                                             *
 
Ambrose Bouchard-Saint-Clair era cresciuto con ben tre sorelle minori a carico. Sorelle molto diverse tra loro ma che disgraziatamente condividevano tutte una cosa: una spiccata testardaggine.
Ambrose era un fratello maggiore da ormai 23 anni, da quando era nata Cassiopea. In tutti quegli anni aveva imparato, quando sentiva urla, strilli e liti furiose, a non osare avvicinarsi e a farsi gli affari propri (una volta era stato quasi colpito da una fattura entrando nella stanza di Cassiopea, e da allora preferiva stare alla larga dai battibecchi delle sorelle), ma quel giorno non poté esimersi: tornato brevemente a casa per pranzo, stava rovistando in camera sua per cercare dei rotoli di pergamena bianchi quando lo starnazzare infondo al corridoio divenne insopportabile.
 
“Si può sapere che diavolo state combinando, voi tre?!”
Il mago aprì la porta della stanza di Colleen quasi aspettandosi di trovare le tre con le bacchette sfoderate, ma si trovò, invece, a guardare la sorella minore seduta alla toeletta con le maggiori in piedi alle sue spalle con spazzole, forcine e orecchini in mano.
 
“Ambrose, che ti prende?”
“Cosa mi prende? Urlate così forte che vi si sente in Cornovaglia!”
“Non essere ridicolo, stiamo aiutando Cherry a prepararsi, ovviamente, da brave sorelle maggiori quali siamo.”
 
Ambrose aggrottò la fronte, spostando lo sguardo da una all’altra mentre Lady Ophelia saltellava sul pavimento annusando il parquet.
Se Cassiopea e Clara avevano unito le forze, doveva essere qualcosa di importante. O di molto grave.
 
“Che cosa devi fare, Cherry?”
“Che domande, deve vedere Thomas, quindi la facciamo carina. Non che tu di solito non lo sia, è ovvio.”
Cassy rivolse un sorriso carico d’affetto alla sorellina, che ricambiò mentre Clara sbuffava, asserendo che dovevano darsi una mossa, se non volevano far aspettare il cugino in eterno.
 
In un batter d’occhio le tre avevano ripreso a discutere su quali guanti, orecchini, collana e profumo mettere, e Ambrose decise saggiamente di battere in ritirata affrettandosi ad uscire dalla stanza: si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, scuotendo il capo e facendo i suoi migliori auguri ai poveretti che avrebbero dovuto sorbirsi le sue sorelle come consorti.
 
*
 
“Stamani mia madre ha detto che siete a cena da noi questa sera.”
“Veramente? Perché diamine non ne sapevo niente?”
 
“Non saprei, ma se ti consola io stesso l’ho saputo solo stamattina.”
 
Ezra si strinse nelle spalle mentre Neit, seduto di fronte a lui ad un tavolino del caffè interno al Ministero, alzava gli occhi al cielo. Il cugino lo guardò in tralice e gli domandò, tra un boccone e l’altro, se per caso intendesse dare una certa notizia alla famiglia, quella sera.
“Alla famiglia… parola grossa, Ezra. C’è forse qualcuno che non ne sia al corrente, tuo padre e mia madre?”
Neit inarcò un sopracciglio, scettico, e il cugino ed ex compagno di Casa sorrise, quasi divertito:

“Neit, ti illudi che tua madre non lo sappia? Lei e la mia sono amiche molto intime, secondo te Penelope Cavendish non è corsa a dirglielo? Figuriamoci, ha evitato di appendere dei manifesti in casa solo per via di mio padre.”
“Hai ragione, scordavo quanto quelle due siano pettegole. Ma cosa c’è di così divertente, nel fare pettegolezzi… non lo comprenderò mai.”
“Mia madre sostiene imperterrita che si tratti di una nobile arta compresa solo dalle più fini menti… Valla a capire. Se non fosse una donna di spicco avrebbe già fondato un giornale scandalistico, fidati. Ad ogni modo, ci ho riflettuto appieno e sono giunto alla conclusione che tu e Caroline avete la mia benedizione.”
“Quale onore… il fratello minore più protettivo che io abbia mai conosciuto. Anzi, mi correggo, tu ed Egan fate a gara.”
Neit abbozzò un sorriso mentre guardava, divertito, il cugino pulirsi le labbra con eleganza e infine stringersi nelle spalle, il gomito destro poggiato sullo schienale della sedia mentre gli si rivolgeva con tono neutro:
 
“Non serve che ti dica quanto mia sorella sia importante per me. Ed è la persona più dolce e di buon cuore che io abbia mai conosciuto… Non ho mai voluto che qualcuno la ferisse, tutto qui. Si merita tutto l’affetto che è in grado di dare.”
“Lo so.”
“Sì, so che lo sai, e so anche che siamo i più svegli della famiglia, quindi sarò franco: sei mio cugino, ti voglio bene e ti stimo molto, ma se vedo mia sorella versare mezza lacrima per te le mie abili mani nell’arte delle Pozioni e dei veleni potrebbero scivolare su un tuo bicchiere di Whiskey.”
“Prometto solennemente che non ce ne sarà bisogno.”


Neit sorrise e, preso il suo bicchiere piantando il gomito fasciato dalla giacca blu sul tavolo, lo inclinò verso il cugino. Ezra esitò ma dopo un paio di istanti lo imitò, facendo tintinnare i bicchieri con un sorriso:
“Beh, alla nostra stramba famiglia allargata. E ora, per onorare le nostre madri, passiamo ai pettegolezzi. Dimmi, come se la passa il nostro Egan con la Saint-Clair?”
“Tragedia, Ezra. Tragedia. Ho la preoccupante sensazione che questa volta non sia solo per via del bel visino della signorina…”
“E se gli piacesse veramente? Insomma, i vostri padri si odiano.”
“Oh, lo so. Penso che sia la volta buona in cui mio fratello farà finire papà al San Mungo…”
 
*
 
Elizabeth stava strigliando il manto baio del suo cavallo con inesorabile lentezza, quel pomeriggio: lei e Cassiopea avevano in programma una passeggiata, ma l’ex Serpeverde – già vestita di tutto punto per montare – aveva la testa altrove e ci stava mettendo più tempo del dovuto per preparare Enea.
Continuava a pensare a suo padre, e a come la sera prima avesse annunciato una rapida visita in Francia programmata per il giorno successivo. Persino sua madre lo aveva guardato con la fronte aggrottata, visibilmente scettica, ma Theseus non si era dilungato in molte spiegazioni e aveva assicurato che sarebbe stato via solo per qualche ora.
Di tanto in tanto le capitava anche di pensare ad un giovane avvenente e dai capelli rossi, ma continuava a scacciarsi quell’immagine dalla mente con testardaggine inesorabile.
 
“Papà, se proprio devi prenderti un giorno lontano dal Ministero forse sarebbe meglio che tu ti riposassi..”
“Lizzy, tornerò entro la fine della giornata con una Passaporta, non è nulla di che. Non preoccuparti.”

 
Il Ministro le aveva sorriso rassicurante, ma Elizabeth lo aveva guardato ritirarsi poco dopo aver cenato con una buona dose di scetticismo. Aveva persino condiviso i suoi dubbi con la madre, ma al solito Astrid aveva liquidato il discorso in fretta assicurandole che suo padre sapeva cosa faceva, e che di certo doveva trattarsi di qualcosa di importante, se lasciava il Paese così di punto in bianco.
 
 
“A chi sta pensando, Miss Elizabeth? Al tuo cavaliere dagli occhi lucenti?”
“Non mi risulta di conoscerne, di cavalieri dagli occhi lucenti. E soprattutto… non ne ho bisogno.”
Elizabeth lanciò un’occhiata eloquente alla cugina, che la raggiunse sorridendo divertita e con le braccia esili strette al petto. Cassiopea, a sua volta pronta per salire a cavallo, attraversò la stalla e si fermò accanto ad Enea, carezzandone il muso striato di bianco prima di rivolgersi di nuovo alla cugina:
 
“No, sul serio, a cosa stai pensando? In genere prepari Enea in un lampo, e devi ancora mettergli le briglie!”
“Lo so, scusa, mio padre è andato a Parigi oggi, e mi chiedo perché.”
“Non pensarci, sarà roba da politici… come se a noi povere figlie femmine raccontassero qualcosa di affari, figuriamoci!”
“Non sono sicura fosse per lavoro, ad essere onesta. Tua madre ne sa nulla?”
“Non credo, o almeno a noi non ne ha fatto cenno. Anche lei però è un po’ preoccupata per lui, sai, lo vede molto stressato per il lavoro e per… beh, insomma, lo sai.”


Cassy esitò, evitando di menzionare la misteriosa morte dello zio che stava lentamente logorando Theseus mentre Elizabeth, annuendo, poggiava la striglia marrone per prendere il nettapiedi*. Chinandosi leggermente, la strega picchiettò con delicatezza il retro del ginocchio anteriore sinistro del cavallo, invitandolo a sollevare lo zoccolo.
“Ti dispiace darmi una mano? Così finisco prima.”
“No, certo. Prendo la sottocoperta e la sella.”
 
*
 
 
“Oh, per chi sono quei bei fiori?”
Thomas ricambiò il sorriso della madre, guardando Astrid avvicinarsi a lui e al mazzo di peonie rosa che teneva in mano.
“Credo che tu già lo sappia mamma, sei una donna molto sveglia.”
“Ti ringrazio caro… Ma se pensi di uscire di casa con tutti questi peli sui vestiti in mia presenza, ti sbagli.”
 
Thomas roteò gli occhi chiari ma non osò muoversi, lasciando che la madre pulisse magicamente il suo bel completo elegante ma pieno, come sempre, di peli di animali qua e là, tra cui le amabili volpi della sorella minore che adoravano accoccolarglisi in grembo.
 
“Oh, non fare quella faccia Thomas, lo faccio per te! Vuoi andare a portare dei fiori ad una signorina ricoperto da peli e piume?”
“Onestamente non so quanto Colleen ci farebbe caso… Ad ogni modo, grazie per la premura. Ci vediamo più tardi.”
 
Thomas sorrise e si chinò per darle un leggero bacio su una guancia, guardandola sorridergli con affetto prima di augurargli un buon pomeriggio.
“Thomas? Ti voglio bene, lo sai vero?”
“Certo mamma. Forse dovresti solo… dirlo un po’ più spesso a Lizzy, però.”
 
Thomas, ormai in piedi sulla porta d’ingresso, abbozzò un sorriso in direzione della madre e la guardò annuire, quasi cupa, prima di voltarsi e uscire definitamente di casa.
 
*
 
 
Parigi, Istituto d’Alchimia Nicolas Flamel
 
La sala era vuota, e i suoi passi echeggiarono sul pavimento lastricato di marmo bianco mentre, sfilandosi il cappello nero, si avvicinava al grande quadro dalla cornice d’oro che raffigurava una giovane donna dai lunghi capelli rossi e una veste verde bosco addosso.
Una donna che ricambiava il suo sguardo, studiandolo avvicinarlesi affiancato da due Auror.
Deirdre aveva già visto una scena molto simile, in effetti.
Esattamente due anni prima.
 
 
1810
 
“Salve.”
“Oh, salve. Nessuno di voi mi ha fatto visita per anni e adesso due di voi nell’arco di meno di un decennio… mi sento lusingata.”
Diedre gli sorrise e Rodulphus, le mani nelle tasche del lungo cappotto nero, ricambiò il suo sguardo con vivo interesse, studiando il bellissimo volto della strega di cui aveva sentito tanto parlare da sua zia, anni prima.
 
“So che hai conosciuto mia sorella Amethyst.”
“Sì, ma non mi riferivo a lei. Tu perché sei qui?”
“Mia zia ci ha parlato moltissimo di te, e già che ero a Parigi non sono riuscito a tenere a freno la curiosità.”
 
 
“Salve Deirdre… Sono Theseus Saint-Clair.”
La strega, che nel ritratto dimostrava circa dieci anni in meno di lui, gli sorrise quasi fosse felice di avere visite e di conoscerlo, studiandolo con uno sguardo intelligente e fatto di puro magnetismo.
“Sei il fratello di quell’altro? Rodulphus?”
 
Theseus deglutì e annuì piano con un tuffo al cuore, quasi sorpreso di aver dubitato di sua zia quando Gwendoline gli aveva suggerito che il fratello potesse aver fatto visita alla loro antenata. Del resto, quella donna non sbagliava quasi mai.
 
“Sì. In effetti sono qui per chiederti perchè è venuto da te, due anni fa. E’ morto subito dopo essere tornato da Parigi, quella stessa notte.”
“Oh. Mi dispiace.”


Il sorriso svanì dal volto pallido e levigato, come porcellana, della strega, ma Deirdre si riprese in fretta e inclinò la testa, guardandolo con viva curiosità:
 
“Aveva un paio di domande da farmi, come tutti voi del resto.”
 
 
“Hai davvero ucciso tuo marito?”
“Sì. E’ solo questo che volevi chiedermi?”
 
“Mio padre… diceva che in parte erano solo storie, mi sono sempre chiesto se fosse accaduto realmente.”
“Certo che è accaduto realmente. In effetti è ironico che questo ritratto si trovi a Parigi, dal momento che per anni è stata la mia prigione… Ma Nicolas ci teneva.”
 
Deirdre si strinse nelle spalle e Rodulphus, studiandola con attenzione, le fece un’altra domanda:
 
“Mia sorella diceva che quando ti conobbe e ti disse della morte dei nostri genitori, tu le dissi che molti uomini della nostra famiglia sono morti prematuramente.”
“E’ così, il mio primogenito è morto ad appena trent’anni, si ammalò gravemente.”

 
“Mio padre non ha avuto un incidente, però. Sono sicuro che sia stato ucciso.”
“Su questo non ti posso aiutare, Rodulphus. Certo è che col tempo siete diventati una famiglia molto influente, e il denaro e il potere attirano guai, è inevitabile.”



Deirdre parlò senza battere ciglio e l’uomo sospirò, chinando il capo mentre stringeva il cappello di feltro che teneva in mano.
 
“Ma se vuoi saperne di più sulla famiglia, posso dirti dove devi guardare, Rodulphus.”

 
 
“Mio fratello è stato ucciso, non è stato un incidente.”
“Disse che anche per vostro padre è stato così.”
 
Le parole della strega sembrarono colpire l’uomo nel vivo, perché Theseus deglutì e distolse in fretta lo sguardo, parlando a mezza voce mentre stringeva il cappello tra le mani.
Guardandolo, Deirdre non poté fare a meno di pensare al suo defunto fratello maggiore.
“Io… io non ne ho idea. Le cause dell’incidente sono rimaste poco chiare.”
“Tuo fratello sembrava interessato al fatto che molti uomini della nostra famiglia muoiano prematuramente, in un modo o nell’altro. In effetti, è stato così anche per lui e per vostro padre, stando a quanto mi dici. Io gli dissi che per saperne di più poteva consultare l’unico nostro albero genealogico completo e assolutamente affidabile.”
 
“E dove si trova? Non ne ho mai sentito parlare.”
Le labbra di Deirdre di distesero in un dolce sorriso, e la strega annuì mentre lo guardava quasi divertita:
 
“Si trova qui a Parigi, perciò penso che tuo fratello sia andato a cercarlo, dopo aver parlato con me. Al Ministero, nell’archivio delle famiglie magiche francesi.”
“Ma sei stata tu a portare la magia nella famiglia, e non sei… non eri francese.”
“Ma i miei figli legalmente lo sono stati, e sono stati loro i primi veri Saint-Clair maghi, per questo si trova qui. Non ne sono sicura, ma forse consultarlo ti aiuterà a capire qualcosa di più su tuo fratello, Theseus.”

 
*
 
Esattamente come si conveniva ad un giovane della sua posizione, Ezra sedette solo dopo aver scostato la sedia della sorella, seduta di fronte a lui. Poi fece il giro del tavolo e prese posto accanto a Neit, ignorando deliberatamente il sorriso che lui e Caroline si scambiarono.
Sedette, si sistemò il tovagliolo di lino sulle ginocchia, e solo allora posò lo sguardo sui piatti che aveva dinanzi.
 
Un’ombra di terrore oltrepassò il bel volto del giovane mago, che deglutì e sollevò di scatto lo sguardo sulla sorella maggiore, chiedendosi se anche lei fosse stata colta dallo stesso pensiero.
“Ezruccio, che hai?”
 
Il ragazzo ignorò il commento cantilenante di Egan, mandandolo mentalmente al diavolo prima di voltarsi di scatto verso sua madre, che stava chiacchierando amabilmente con Estelle.
Edward non sembrava avere molta voglia di conversare e fissava il suo bicchiere ancora vuoto tamburellando e dita sulla tovaglia bianca, forse desiderando che si riempisse da solo magicamente.
Robert, invece, sembrò avere lo stesso pensiero del figlio, perché sfoggiò una smorfia e poi lanciò un’occhiata preoccupata in direzione della moglie.
 
“Ezra, che ti prende?”
Alla domanda di un Neit sempre più perplesso Ezra deglutì, voltandosi verso il cugino prima di sibilare qualcosa a mezza voce:
“I piatti! Non è… non è il servizio buono!”
“E quindi?! Da quando ti intendi di piatti, scusa?”
“Da mai, ma questo… questo servizio è un dono nuziale da parte della prozia di mio padre. Mia madre la odiava, diceva che era una vecchia ficcanaso, e muore dalla voglia di liberarsi di questo servizio di piatti da anni.”
 
Neit, dal canto suo, continuava a non capire cosa ci fosse di così preoccupante, mentre Ezra e Caroline invece osservavano intimoriti la madre.
“Carol, mi dici che succede?”
Il giovane, sportosi verso la cugina, parlò con la fronte notevolmente aggrottata mentre Egan addentava un grissino sotto gli occhi fiammeggianti della madre, che gli intimarono di essere educato mentre Clio, come il padre, appariva più assente che mai.

“Beh, ecco… quando mia madre serve con dei piatti che detesta, c’è sempre il rischio che progetti di lanciarli contro mio padre, ad essere del tutto onesti.”
 
Neit, accigliato, guardò lo zio. Per lo meno ora si spiegava la sua espressione intimorita e il suo progressivo spostarsi cautamente dalla moglie di qualche centimetro.
 
*
 
“Scusa papà, vorrei… parlare qualche minuto con lo zio, se non ti dispiace.”


Edward e Robert erano coinvolti in una fittissima discussione a mezza voce, seduti su due poltrone vicine ed entrambi con un sigaro fumante in mano.
I due cugini alzarono simultaneamente lo sguardo su Neit, smettendo improvvisamente di parlare, ed Edward esitò prima di annuire e alzarsi. Spense il sigaro premendolo sul posacenere di cristallo e, dopo essersi rassettato la giacca, mormorò al cugino che avrebbero ripreso il loro discorso più tardi prima di superare il figlio e uscire dalla stanza.
Edward si era appena chiuso la porta dello studio alle spalle quando Robert, seduto con le gambe accavallate e il sigaro ancora in mano, rivolse un lieve cenno del capo al nipote guardandolo con curiosità:
 
“Prego, siediti Neit.”
L’Indicibile obbedì e prese il posto lasciato vuoto dal padre sulla poltrona di pelle, rifiutando con un cenno il sigaro che lo zio mentre accavallava le lunghe gambe a sua volta, intrecciando le dita delle mani in grembo con i gomiti poggiati sui braccioli.
“Di che cosa vuoi parlarmi?”
“Di Caroline.”
 
“Chissà perché lo immaginavo. Beh, ti ascolto.”


*
 
 
“Cassy?”
“Dopo pranzo è andata dagli zii, e mi ha mandato un gufo per dirmi che si fermava a cena da loro. Colleen è con Thomas.”
“Sì, me l’aveva detto. Sembra che i nostri sforzi non siano stati vani… che cosa ne pensi, a proposito?”
 
Clara sedette accanto alla madre sul divanetto di vimini posto sotto al portico di casa, e guardò Amethyst allungarle la coperta sulle ginocchia mentre delle lanterne magiche illuminavano il giardino già buio a causa dell’inverno imminente librandosi a mezz’aria.
“Voglio bene a Thomas, è un ragazzo meraviglioso. Se a tua sorella piace non posso che rallegrarmene, ovviamente.”
“Confesso che all’inizio il fatto che siamo cugini mi faceva un po’ strano… la sola idea di pensare a Riocard in quel senso mi fa rabbrividire!”
Amethyst ridacchiò di fronte alla smorfia della figlia, sorridendole divertita prima di ricordarle che il cugino fosse uno “scapolo molto ambito”.
“Me ne rendo conto, ma siamo cresciuti insieme, eravamo anche compagni di Casa ad Hogwarts… quando lo zio veniva se lo portava sempre dietro, e io mi infuriavo con lui ed Ambrose perché volevo giocare insieme a loro.”
“Me lo ricordo molto bene, eri già testarda come un mulo all’epoca. Non sai le battaglie mie e delle tate per costringerti a mettere quei bellissimi abitini…”
La donna alzò gli occhi al cielo mentre la figlia, al contrario, sfoggiò una smorfia quasi disgustata.
 
“Sai perché ho sempre adorato lo zio Rod? Giocava sempre con noi, e non si può dire che siano molti, gli uomini a farlo, in famiglie come le nostre. E non mi trattava come una bambolina da esposizione.”
“Lo zio vi adorava, anche se ovviamente tu eri la sua preferita… Voleva tanto avere una bambina dopo Ric, sai? Ma Alexis non è più rimasta incinta. Credo che lei non lo volesse, ed è stato un forte punto di rottura tra di loro, immagino.”
 
“Perché non ha voluto?”
Clara aggrottò la fronte, perplessa, e guardò la madre sorriderle quasi divertita, asserendo che ne avrebbero riparlato dopo averla vista partorire.
“Con calma mamma, con calma. E se anche fosse, non penso proprio di avere intenzione di sfornare quattro marmocchi come hai fatto tu.”
“E’ stato un vero inferno crescervi tutti con così pochi anni di differenza, ma anche la miglior esperienza della mia vita. L’eterno dilemma di essere madre, immagino.”
 
*
 
 
“Di che parlerà Neit con tuo padre?”
Quando Egan, sedendo accanto al cugino, si premurò di scompigliarli completamente i capelli scuri tendenti al riccio Ezra alzò lo sguardo dal suo libro per scoccargli un’occhiata di fuoco, scostandogli la mano con stizza:
“E poi sarei io, lo zuccone… gli starà dicendo di lui e mia sorella, no?”
“Scusa tanto, Mr Simpatia… Le signore giocano a carte, su, raccontami qualcosa.”
 
 
Estelle, Merlino quanto sei scarsa! Alla prossima facciamo madre e figlia, così forse smetterò di perdere.”
Penelope, seduta insieme a figlia, nipote e amica al tavolo quadrato da Bridge, scoccò un’occhiata torva alla donna che le stava di fronte mentre Caroline abbozzava un sorriso, celando una risata.
Edward, intanto, aveva lasciato Neit e Robert soli e, assorto, era in piedi accanto al camino. Di tanto in tanto Clio distoglieva lo sguardo dalle carte per lanciargli un’occhiata, guardando la figura del padre stagliarsi contro le fiamme.
“Attribuire sempre agli altri la colpa di un tuo fallimento è davvero da te, Penny… lo facevi anche ad Hogwarts quando giocavamo a Gobbiglie, se non erro.”  
“Non nominare quel gioco, sono ancora furiosa con quel bigotto del Preside!”
 
Penelope sbuffò, stizzita, e l’ex Tassorosso le si rivolse con sincera curiosità, spalancando gli occhi azzurri:
“Perché zia?”
“Perché non mi ha permesso di entrare nel dannato Club! Le donne non sono ammesse, vecchio rimbambito…”
 
 
“Sì, la zia Penny non era molto felice del fatto che noi non potessimo far parte di nessuna associazione… Avrebbe anche voluto scrivere sul giornalino, ma probabilmente non te lo permisero non perché eri una ragazza, ma perché avresti distrutto chiunque con la tua lingua tagliente.”
Estelle sorrise dietro alle carte, e Clio e Caroline ridacchiarono mentre Penelope alzava il mento con aria di superiorità, asserendo che sarebbe stata senza dubbio una giornalista eccezionale. Era solo nata nell’epoca sbagliata.
 
 

“Ezruccio, che ne pensi di giocare a carte?”
“No grazie, detesto i giochi di carte.”
“Li detesti o non ci giochi perché sono una delle poche cose in cui non eccelli, oltre allo sport? Persino una ragazzina del secondo anno di Hogwarts ti batterebbe a carte.”


Egan sghignazzò divertito, ma le sue risa ebbero vita breve: un attimo dopo il cugino lo colpì sulla spalla con la spessa copertina di pelle del suo libro “La Politica francese del 700”, generando sonore lamentele.
 
“E smettila di chiamarmi Ezruccio! Ho una dignità, io. Hai più visto la tua ultima conquista più improbabile, comunq-“
L’ex Corvonero non finì la frase, perché Egan gli tappò provvidenzialmente la bocca con una mano, scoccandogli un’occhiataccia prima di lanciare uno sguardo al padre, che però sembrava essersi estraniato completamente dal contesto e probabilmente non lo aveva sentito.
“Parla piano, per Merlino! E comunque no. Forse è meglio così.”


“Forse, ma in genere perdi rapidamente interesse, specie se non vedi la signorina in questione per un po’… strano che questa volta sia diverso, no?”
Le labbra di Ezra si incurvarono in un debole sorriso che il cugino non ricambiò, lanciandogli un’occhiata tetra prima di sbuffare torvo.
Odiava dare ragione ad Ezra.
 
*
 
 
“Tutto bene? Sei distratto.”
Edward si voltò e si ritrovò a sorridere immediatamente alla moglie, annuendo mentre Estelle gli accarezzava il braccio con affetto.
 
“Certo. Pensavo solo a mio padre.”
“A tuo padre? Perché?”
Estelle aggrottò la fronte, perplessa nel sentirgli anche solo menzionare George, ma Edward sorrise e tornò a guardare le fiamme senza battere ciglio.
 
“Niente di particolare. Domani vado a trovare mia madre, non vorrei che si sentisse troppo sola.”
“Vengo con te, se vuoi. Povera Gwendoline… non so come farei, se dovessi trovarmi senza di te.”
Estelle appoggiò la testa sulla sua spalla e sospirò piano, facendo sorridere il marito mentre le sfiorava distrattamente i capelli.
 
 
“Clio, a cosa pensi?”
“Mh? Scusa, oggi ho parlato con mio padre di una cosa che mi ha fatto un po’ riflettere. A volte scordo quanto siano fortunati i miei genitori.”
“Io paragonandoli ai miei non lo potrei mai dimenticare.”


Caroline abbozzò un sorriso malinconico, anche se il pensiero di Neit riuscì a rincuorarla mentre la cugina le sorrideva con affetto e le sfiorava il braccio coperto dal lungo guanto color perla:
 
“Sarai più fortunata. Forse quanto lo sono stati i miei genitori.”


Andava ripetendolo da tutta la vita, Clio Cavendish, che i suoi genitori erano stati fortunati. Quel giorno però, la giovane aveva compreso che non si era affatto trattato di fortuna. L’ex Tassorosso guardò il padre e la madre sorridersi davanti al camino mentre Ezra ed Egan battibeccavano e Penelope minacciava di metterli in castigo come da bambini, e realizzò che era tutto merito di suo padre. Non si era affatto trattato di fortuna, ma solo di una scelta che Edward aveva preso solo per amore di Estelle.
 
 
“Perché non glielo dici? Dovrebbe sapere. L’hai fatto solo per lei. Per sposarla. Ne sarebbe felice, è la più grande prova d’amore di cui io abbia mai sentito.”
Clio guardava suo padre senza comprenderlo, rimasti soli nel suo studio. 

Edward però scosse il capo e le rivolse un debole sorriso, stringendosi nelle spalle:
 
“A cosa servirebbe dirglielo? Non me ne pento, è chiaro, ma ciò che ho fatto ha tolto alla nostra famiglia ciò di quanto più prezioso avevamo… e non parlo solo del Ministero. Mio padre mi disprezzò per questo, e non l’ho mai rivelato a nessuno per paura che altri l’avrebbero pensata allo stesso modo.”


“Se il nonno ti ha davvero disprezzato solo per questo, allora era… mi dispiace, ma per quanto mi riguarda è lui ad aver sbagliato, a non aver capito. Ti ha punito solo perché amavi la mamma, come si può punire qualcuno così a lungo solo per amore?”
“Ho provato a dirglielo, a fargli capire, ma tuo nonno non voleva vedere. I suoi vedevano solo una cosa: io avevo venduto il nostro cimelio più prezioso ai Saint-Clair. Gli dissi che l’avevo fatto per Estelle, ma penso che abbia sempre creduto che io gli stessi mentendo e che in realtà Rodulphus mi avesse offerto un’ingente somma di denaro. Chiaramente non è così, non mi diede e non gli chiesi un centesimo.”


“Ma papà… Rodulphus non voleva sposare la mamma, no? Insomma, non gli importava, era una ragazza come un’altra per lui, no? Perché ti ha sottoposto ad una richiesta simile?”
Edward le sorrise e allungò una mano per prendere quella della figlia, rivolgendole un’occhiata colma d’affetto:
“Tesoro, tu sei dolcissima… Ma Rodulphus sapeva benissimo quello che faceva. Facendomi quella richiesta, o meglio sottoponendomi a quella sorta di ricatto, sapeva che se avessi acconsentito mio padre mi avrebbe disprezzato. Col tempo ho realizzato che non gli importava davvero dell’anello… Voleva solo allontanarmi da mio padre, per un motivo che non ho mai compreso.”
“Ma non eravate grandi amici, prima?”
“Lo eravamo, e lo siamo rimasti. Ci siamo allontanati del tutto solo quando lui ha accettato di diventare il successore del nonno… Per molti anni ho cercato di perdonarlo dicendomi che infondo avevo sposato Estelle e che la cosa più importante era quella. Ho cercato di non vedere, come ha fatto il nonno, ma quando ha accettato la sua proposta è stato impossibile. E a quel punto non ho davvero potuto perdonarlo.”



“Ma perché tanto risentimento se eravate amici? Insomma, eravate anche cugini di primo grado. Una famiglia.”
“Onestamente no ne ho idea, da ragazzini eravamo molto legati… ma devo ammettere che cambiò molto, quando i suoi genitori morirono. Anche nei miei stessi confronti.”

 
 
“Oh, eccoti. Allora?”
 
Clio si ridestò e si voltò a sua volta quando udì Caroline rivolgersi a suo fratello gemello quasi con leggera apprensione, guardando Neit raggiungerle sistemandosi la giacca prima di abbozzare un sorriso alla ragazza e sedere accanto a lei.
“Non ha fatto salti di gioia, non che me lo aspettassi, ma non ha reagito male.”
“Ha borbottato che tutto sommato gli è andata bene?”
“In effetti sì.”
“Beh, allora possiamo considerarlo un grande traguardo. Sono felicissima per voi! Zia Penny, dobbiamo festeggiare!”
“Il barbagianni ha mosso qualche protesta?”
Penelope, che stava rimescolando magicamente le carte per sfidare Estelle e dimostrarle di essere più abile di lei, aggrottò la fronte e si fece improvvisamente seria, osservando Clio, Neit e Caroline con attenzione mentre la figlia, sfiorando la mano del ragazzo, abbozzava un sorriso:
“No mamma.”
“Sarà meglio per lui, l’antifona dei piatti ha funzionato, evidentemente… Ah, come sono contenta, ora non mi resta che sistemare Ezra. Tesoro mio, quando mi presenti una ragazza?”
 
 “Mamma, per portare una ragazza in questo covo di pazzi dovrei quantomeno odiarla e desiderare di farla fuggire.”


*
 
Rodulphus aveva ordinato agli Auror che lo avevano accompagnato di aspettarlo fuori, ed era entrato da solo nell’archivio. Aveva lasciato che un anziano mago dai capelli candidi come la neve prendesse un grosso libro dalla copertina di pelle rilegata a mano per depositarlo su un leggio dopo averlo aperto
Alla fine l’uomo si era congedato con un cenno educato, uscendo dalla stanza e chiudendosi la pesante porta alle spalle.
 
Rodulphus per qualche istante non si mosse, osservando accuratamente le pagine intonse – anche se ingiallite dal tempo – prima di versare un po’ di ceralacca rossastra in alto a sinistra della prima pagina dal contenitore d’oro che gli era stato lasciato. Il Ministro allungò la mano destra e la ruotò, premendo la superficie del suo anello, donatogli dal padre quando aveva compiuto 17 anni come da tradizione, sulla ceralacca.
 
 
“Merci.”
 Theseus abbozzò un sorriso grato all’anziano mago dopo che il francese ebbe tirato fuori per lui il libro giusto, posizionandolo su un alto leggio di legno posto al centro della stanza per poi lasciargli un contenitore d’oro a forma di lampada ad olio.
Gli Auror che lo avevano accompagnato erano fermi e in silenzio alle sue spalle, e Theseus guardò il libro stringendo la lampada in mano prima di versare un po’ di ceralacca in una angolo della pagina.
Il Ministro guardò l’anello che portava al dito ogni giorno da trent’anni, un anello d’oro con lo stemma di famiglia che suo padre non aveva avuto il tempo di far creare per lui: era stata sua zia a donarglielo, invece, quando aveva compiuto 17 anni.
 
Cercando di non pensare al padre, Theseus premette la superficie levigata e incisa del gioiello sulla ceralacca, e fu con un debole sorriso meravigliato che vide, poco dopo, delle particolari figure tridimensionali prendere forma sulla carta.
 
 
Ogni membro della famiglia appariva sottoforma di una rosa rossa, sotto alla quale si attorcigliava un nome, seguito da delle date che ne segnavano la nascita e la morte. Le persone rappresentate dall’albero genealogico che non erano più in vita apparivano come delle rose appassite, quasi annerite.
Rodulphus guardò, affascinato, delle sottili linee nere allungarsi dai nomi dei figli di Deirdre – Raigan, Brogan e Saoirse – andando a disegnare un’intera dinastia.
Fu con un sorriso che guardò i nomi di suo padre e di sua zia prendere vita. E poi quello di Riocard Saint-Clair legarsi ad Iphigenia Rowle, creando altre tre rose – rosse e vive, a differenza di quelle dei suoi genitori – che andarono a riportare il suo nome e quello dei suoi fratelli.
 
Guardando le date, in effetti, erano molti gli uomini ad essere morti prima del dovuto. Ma ben presto Rodulphus – che da anni quasi viveva nel terrore di patire quella stessa sorte – fu costretto a catalizzare l’attenzione su un altro particolare.
Dalle tre rose se ne stavano creando altre, disegnando i figli che lui, Theseus e Amethyst avevano avuto.
 
La lampada d’oro cadde dalle mani del Ministro provocando un tonfo metallico che echeggio nella stanza vuota, ma Rod non ci badò. Afferrati i bordi del libro boccheggiò, gli occhi azzurri spalancati, stentando a credere alla sua stessa vista.
No. Non poteva essere.
 
 
“Non… non è possibile…”  Theseus deglutì a fatica, quasi non sentendo la lampada cadergli dalle mani e provocare un gran fracasso, tanto che entrambi gli Auror che lo affiancavano gli domandarono, preoccupati, se si stesse sentendo male.
Ma Theseus non rispose, gli occhi quasi lucidi fissi sul più grande errore su cui avesse mai posato lo sguardo.
Perché doveva esserlo per forza, anche se una parte di lui sapeva che il libro non poteva sbagliare.
 
 
 
“PUTTANA!”


In un impeto di rabbia Rodulphus chiuse il libro e lo scagliò sul pavimento di pietra dell’antica sala, poi si voltò e quasi corse fuori dalla stanza, seguito dagli Auror che gli domandarono invano cosa stesse succedendo.
“Torniamo in Inghilterra. ADESSO!”
 
 
*
 
Deirdre sospirò, annoiata, mentre guardava attraverso la finestra a lei più vicina della biblioteca. Pioveva a dirotto, era davvero una terribile giornata, e nessuno aveva voglia di intrattenersi a chiacchierare con lei.
 
O almeno finchè un particolare suono non attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi: una donna vestita elegantemente procedeva verso di lei a passo sicuro, con il bastone da passeggio – puramente ad uso estetico, visto che la strega dai capelli ramati di certo non era abbastanza anziana da averne bisogno – che provocava tonfi sordi e perfettamente cadenzati sul pavimento lucido.
All’improvviso Deirdre sorrise, divertita, e focalizzò su di lei tutta la sua attenzione: finalmente qualcosa di interessante in una giornata tanto tediosa. Senza contare che era da parecchio che un parente non le faceva visita.
 
“Salve Deirdre. Ti ricordi di me?”
“Come dimenticare. Sei più vecchia, ma mi ricordo benissimo di te. Come posso aiutarti, Gwendoline Saint-Clair?”
 
Gwendoline si fermò davanti a lei, le mani guantate fisse sull’impugnatura del bastone e l’elegante cappellino color crema sul capo. Le due si scrutarono per qualche istante e alla fine Gwendoline parlò, senza alcuna esitazione:
“Ho delle altre domande da farti. Sul veleno che uccise tuo marito.”
 
*
 
 
La porta si aprì con un leggero cigolio, e Theseus entrò nella casa già quasi del tutto buia senza far rumore. Si sfilò il cappello e lo lasciò ad un Elfo senza dire una parola, dirigendosi con sguardo vitreo verso le scale  mentre la figlia lo raggiungeva di corsa dal salotto, l’unica stanza ancora illuminata, con un largo sorriso sul volto:
 
“Papà, sei tornato! Come stai? Vuoi che ti faccia preparare qualcosa? Thomas già è salito, ma io volevo aspettare che tornassi.”
“Non ora, Elizabeth. Sono stanco.”
 
“D’accordo…”
La giovane si fermò di colpo, leggermente ferita e sorpresa dal tono con cui il pane le si era rivolto, liquidandola senza neanche guardarla. Tuttavia non osò seguirlo, restando ferma nell’atrio e guardandolo salire le scale prima di voltarsi e, amareggiata, tornare a leggere alla luce delle candele insieme a Phobos e a Deimos.
Forse in quella casa le sue volpi erano le uniche a prestarle davvero attenzione, dopotutto.
 
*
 
 
I loro ospiti erano andati via da poco e Caroline, dopo aver chiacchierato un po’ con Ezra, stava per andare a cambiarsi per la notte quando venne intercettata da un richiamo di suo padre.
“Caroline?”
“Sì?”


La strega, in piedi e a metà della rampa di scale, si fermò con una mano sul corrimano e l’altra impegnata a tenere un lembo del suo vestito abbastanza sollevato da non pestarne la gonna di raso. Caroline abbassò lo sguardo sul padrone di casa, guardandolo in piedi quasi sotto di lei con le mani nelle tasche dei pantaloni e gli occhi scuri fissi nei suoi.
 
“Immagino che te l’abbia detto, ma Neit… mi ha parlato, ecco. E… suppongo che vada bene.”
Caroline esitò, sinceramente sorpresa nell’udire quelle parole, ma si riprese in fretta e annuì, abbozzando un sorriso in direzione del padre:
“D’accordo. Grazie. Buonanotte papà.”


La strega riprese a salire le scale un po’ più allegra di quanto non lo fosse stata fino a poco prima, e Robert la guardò finchè non sparì dal suo campo visivo prima di voltarsi e tornare nel suo studio.
 
*
 
Theseus salì le scale lentamente, accarezzando il corrimano con le dita pallide mentre raggiungeva quasi senza riflettere la propria camera da letto.
Quando varcò la soglia della stanza – quasi buia, a parte per due candele accese sul comodino suo e quello della moglie – il Ministro si sfilò il cappotto, lo lanciò sul letto e chiuse la porta.
“Ciao caro, arrivo subito!”
La voce di Astrid giunse alle sue orecchie dal bagno privato, ma Theseus non rispose, limitandosi a chiudere la porta con giro di chiave prima di avvicinarsi lentamente al proprio letto.
 
 
Quando Astrid giunse sulla soglia della stanza in camicia da notte e vestaglia si fermò, sorpresa nel vederlo steso sul letto perfettamente vestito, poggiato contro lo schienale del baldacchino e con occhi e bacchetta puntati su di lei, mortalmente serio.
 
“Ciao Astrid. Penso che sia il momento di parlare.”
 
 
 
 
 
 
 
 
*nettapiedi: “raschietto” a forma di uncino che viene usato per pulire gli zoccoli dei cavalli.
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Come al solito arrivo un po’ all’ultimo (ma non a mezzanotte, sto facendo progressi), speravo di giungere prima ma è stato davvero un capitolo lungo da scrivere.

Comunque sia spero che vi sia piaciuto, vi do appuntamento a mercoledì prossimo con l’ultimo capitolo prima dell’Epilogo e vi rammento che NON E’ FINITA. Ma se volete riempirmi delle idee che avete, fate pure.
Buona serata!
Signorina Granger
   
 
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