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Autore: lapacechenonho    31/12/2020    3 recensioni
L’anziana coppia che abitava ormai quella casa da moltissimi anni, era seduta nella veranda che molto tempo addietro era stato uno degli elementi fondamentali per la scelta dell’abitazione. Per volere di lei, ovviamente, lui si sarebbe accontentato di vivere sotto un ponte purché al suo fianco ci fosse lei. Si godevano la brezza fresca di quel primo settembre, una data che nel tempo era stata un momento importante, e adesso riguardavano a tutti quei momenti con un pizzico di malinconia tipico degli anziani quando ripensano alla loro vita.
Questa storia partecipa alla challenge “Things you said“ indetta da Juriaka sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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31- 028: Things you said when you met my parents (Le cose che hai detto quando incontrasti i miei genitori).
 
Da quando avevano deciso di andare a vivere insieme erano passati un bel po’ di mesi. Per un primo periodo Ginny si era trasferita a Grimmauld Place, poi avevano deciso che non avrebbero voluto vivere per sempre in una casa con un quadro che strilla o dormire in una stanza con i poster di ragazze in costume. Era piuttosto imbarazzante, soprattutto per Harry. Tra l’altro era una casa decisamente troppo grande per viverci in due.
Avevano iniziato a cercare delle case in giro, avevano visto nella Londra Babbana ma, oltre ad avere monolocali di dubbio gusto, non offriva niente per loro due. Hogsmeade al momento non offriva niente di buono e per di più nessuno dei due aveva intenzione di vivere così vicino alla scuola.
«Costruiamoci una casa e andiamo a vivere isolati come Bill e Fleur» propose Harry sull’orlo della disperazione. Ginny gli lanciò un’occhiata torva e tanto bastò ad Harry per cancellare dalla testa quell’idea folle.
Sembrava tutto perduto e che loro due fossero destinati a vivere nella vecchia dimora dei Black, quando Ginny una mattina tornò tutta entusiasta da un allenamento di Quidditch. «Ho una bella notizia!» esclamò poggiando il borsone da Quidditch sul pavimento. In lontananza si sentivano gli strepiti della signora Black ed Harry alzò gli occhi al cielo esasperato.
«Hai trovato il modo per farla stare zitta?» chiese sorseggiando il suo tè caldo.
«Meglio!» continuò. Gli occhi le brillavano dalla felicità. «Ho trovato una casa!»
Harry sollevò la testa dalle scartoffie che stava analizzando. Nel frattempo aveva finito l’Accademia ed era entrato ufficialmente a far parte della squadra degli Auror del Ministero. Era ancora un novellino ed i più esperti avevano la tendenza ad affidare il lavoro più sporco e faticoso ai nuovi arrivati.
«Giuralo!» rispose lui entusiasta. Il lavoro aveva perso tutto il suo fascino.
«Lo giuro su Godric Grifondoro!» rispose lei altrettanto entusiasta. «Me l’ha detto Beth, la mia compagna di squadra» spiegò. Si fermò un attimo titubante ed Harry era pronto a trovare la fregatura. «C’è solo un problema…»
«Cos’è, stavolta vogliono che firmiamo il contratto con il sangue?» domandò leggermente depresso. Erano mesi che trovavano case perfette ma puntualmente c’era qualcosa che non andava bene per loro. Erano cose piccole che in un primo tempo avrebbero potuto ignorare, ma successivamente sarebbero diventate un vero e proprio problema. Com’era stato per Grimmauld Place, avevano pensato di poter condividere la casa con dei quadri attaccati con un incantesimo di Adesione Permanente, ma ben presto si erano accorti che era impossibile.
«No. È a Godric’s Hollow» rispose incerta. Harry si rabbuiò. L’idea di andare a vivere nel posto in cui erano morti i suoi genitori, dove aveva quasi rischiato la vita, dove Voldemort lo aveva quasi catturato per ben due volte, non era per niente allettante. Ma era anche il luogo dove era nato e aveva vissuto per il suo primo anno di vita, era l’unico luogo che aveva in comune con i suoi genitori, l’unico luogo dove era stato tra le braccia di sua madre e suo padre, anche se non lo ricordava. Era una scelta difficile, ma sembrava anche l’unica possibile.
«Facciamo un tentativo, ok?» propose. «Andiamo, vediamo la casa e se ci piace ci pensiamo un po’ prima di prenderla» Ginny annuì comprensiva.
«Lo sai che non sei obbligato se non vuoi, vero?» domandò con voce soffice.
«Lo so» rispose. «Ma voglio provarci comunque».
 
Era settembre inoltrato e l’aria si era fatta un po’ più frizzantina. I due giovani maghi erano stretti nei loro giacchettini Babbani. Godric’s Hollow era un villaggio misto, fatto sia da Babbani che da maghi, perciò si erano vestiti cercando di dare nell’occhio il meno possibile. La strada di quel piccolo villaggio inglese era invasa dai raggi solari che mandavano un po’ di calore compensando l’aria fresca in anticipo di qualche giorno.
«Ci siamo» commentò Harry prendendo la mano della fidanzata. Ginny la strinse un po’ più forte del solito ed Harry sorrise per ringraziarla. Nessuno dei due era molto bravo con le parole, bastavano quei pochi gesti a far intuire quanto fosse grande l’amore che provavano l’uno verso l’altro.
Ginny gli aveva dato l’indirizzo della casa, non erano neanche troppo lontani rispetto a dove si erano smaterializzati, ma Harry quella mattina si era svegliato con un’idea folle. Anziché fermarsi davanti alla casa che avevano scelto, proseguì dritto, trascinando anche Ginny.
«Harry, stai sbagliando strada. L’indirizzo che ci hanno dato era di quella casa che abbiamo appena superato» notò Ginny. Aveva un’espressione confusa. Harry si fermò e la guardò negli occhi.
«Ti fidi di me?» domandò solamente. Ora, se Ginny fosse stata una persona razionale almeno quanto Hermione, avrebbe risposto di no, che dovevano prima vedere la casa e poi fare ciò che aveva in mente lui. Ma, grazie a Godric, lei non era Hermione ed era impulsiva almeno quanto lui, perciò annuì ed Harry riprese a camminare spedito con la mano intrecciata a quella di Ginny. Giunsero e superarono il Monumento ai Caduti che si trasformava in una statua di sua madre che lo teneva in braccio e arrivarono davanti ad un cancello di metallo pitturato di nero. Dietro al cancello, il cimitero.
«Harry…» mormorò Ginny.
Un signore con una lunga tunica nera li saluto con un gesto reverenziale ma Harry non ci badò più di tanto cercando di trovare le parole adatte. «Ascolta» iniziò prima che la fidanzata potesse dire altro. «Stiamo insieme da un bel po’, abbiamo fatto un passo importante andando a vivere insieme, ne stiamo facendo uno ancora più grande acquistando una casa non si sa dove. Non mi ricordo i miei genitori dal vivo e l’unico modo in cui posso parlare con loro è attraverso una foto attaccata sulla lapide di un cimitero. Non posso presentarteli di persona, ma posso farti vedere almeno due foto».
Detto questo aprì il cancelletto e fece entrare Ginny, lo aspettò qualche passo più avanti e poi, mano nella mano, Harry la condusse verso la tomba dei genitori. Ricordava ancora la prima volta che era stato lì con Hermione, era Natale del ’97 ed erano nel bel mezzo di una guerra. Sembravano ricordi appartenenti ad una vita precedente, una vita fatta di dolore e paura.
Quando arrivarono davanti alla lapide, i suoi genitori sorridevano tranquilli sotto un raggio di sole che li colpiva in pieno. Non avevano l’aria di chi era stato ucciso all’improvviso da un mago oscuro solo per la smania del potere. Sembravano eternamente giovani ed eternamente vivi.
«Sono molto belli» commentò Ginny. Si era inginocchiata davanti alla foto e la guardava attentamente, come se si aspettasse che da un momento all’altro avrebbero parlato. L’avrebbe voluto anche Harry, ma sapeva che non sarebbe stato possibile. Quel pensiero fugace lo ferì come un coltello, ma cercò di relegare il dolore in un angolo lontano. Dopotutto era come se stesse presentando Ginny ai suoi. «Salve signori Potter». La voce di Ginny riscosse Harry e per un attimo gli sembrò che la voce della ragazza avesse avuto lo stesso effetto anche sulla foto dei suoi genitori.
Tutte le volte che era andato a trovarli, si erano limitati a sorridere come avevano fatto quando era stata scattata la foto, adesso sembrava stessero interagendo con Ginny. Non ci pensò, dando la colpa al troppo lavoro che gli Auror anziani gli avevano affidato. «Sono Ginny Weasley, sapete l’ultima Weasley, non so se conoscevate i miei ma non fa niente. Sono la ragazza di Harry, da un bel po’» continuò. Harry sorrise dalla naturalità di quella scena. La osservava in disparte, come se avesse paura di essere di troppo. «Non si preoccupi signora Potter, suo figlio è un bravo ragazzo, anche se ogni tanto devo rimetterlo in riga. Credo abbia ereditato una certa passione per i guai da suo marito».
«Ehi! Guarda che sono qua, sento tutto!» esclamò stizzito ma anche un po’ commosso da quella scena.
«Scusa» si giustificò guardandolo velocemente per poi ritornare ad osservare le due foto. «E signor Potter suo figlio è veramente un ottimo Cercatore, anche se sono io la giocatrice professionista di Quidditch» disse con una punta di orgoglio. Harry sospirò divertito.
«Da quello che mi hanno detto negli anni passati, secondo me tu saresti andata davvero d’accordo con mio padre» commentò con un sospiro. Ginny rise. Ormai era seduta davanti alla lapide dei suoi suoceri, improvvisamente più seria.
«Grazie per averci dato Harry. Senza di voi nessuno di noi sarebbe qui» disse. Si fermò qualche minuto giocherellando con un filo d’erba. «Come vi dicevo prima, stiamo insieme ormai da un po’ di tempo e volevamo andare a vivere insieme, per voi va bene?» chiese. Poi fissò le foto come se aspettasse una risposta all’improvviso che, ovviamente, non arrivò.
«Sarebbero entusiasti» rispose Harry compensando la risposta che non sarebbe mai arrivata dai suoi genitori.
«Dici?» domandò incerta alzandosi da terra. Harry si avvicinò prendendo il viso di lei tra le mani.
«Ne sono certo» rispose sicuro. «Sei una giocatrice di Quidditch, mio padre sarebbe andato pazzo per te. Probabilmente avrei dovuto essere geloso. E sai fare la tota alla melassa, quindi mia madre sarebbe stata tranquilla perché sarebbe stata certa che sarei stato in ottime mani. Per ultimo, hai fegato e sei sicura di quello che fai e sono sicuro che questo avrebbe messo d’accordo entrambi» la rassicurò. Ginny sospirò e ridusse la distanza tra i loro volti dandogli un bacio profondo.
«Scusate» disse poi rivolta ai signori Potter che continuavano a sorridere. Con un colpo di bacchetta fece comparire dei fiori, Harry si stupì quando vide che erano quelli della Tana, quelli che aveva sentito nell’Amortentia ormai anni prima. «Andiamo a vedere la casa?» chiese poi tendendo la mano verso di lui. Harry annuì e le prese la mano, diede un’occhiata fugace alla lapide e per un istante gli sembrò che James Potter gli stesse facendo l’occhiolino e il sorriso di Lily Evans fosse ancora più ampio. Strabuzzò gli occhi ma quando li riaprì i due Potter erano nelle loro posizioni usuali. Forse aveva davvero bisogno di una bella dormita. Venne distratto da Ginny che si era girata di scatto e sembrava turbata.
«Tutto bene?» chiese premuroso.
«Sì, mi è sembrato…» si guardò ancora in giro. «Niente, lascia perdere…» tagliò corto.
 
La casa davanti a loro era una villetta a due piani, le pareti esterne erano di un giallo tenue, c’erano tre finestre nel piano superiore, una vetrata nel piano inferiore destro (dove Harry si immaginava ci fosse il salotto), e una finestra normale a sinistra, in corrispondenza di quella che doveva essere la sala da pranzo. C’era una tettoia davanti la porta, dove c’era una panchina a dondolo coperta dalla plastica per non farla riempire di polvere, la casa aveva un giardino sia davanti che dietro. Harry faceva fatica a chiudere la bocca per quanto era bella. Sembrava la casa dei sogni ed era solo l’esterno. Diede un’occhiata fugace a Ginny che aveva uno sguardo così innamorato che Harry sospettò che amava più la casa che lui.
Beth, la compagna di squadra di Ginny, li aspettava nel giardino, stava sistemando alcune vecchie cianfrusaglie. «Ciao Beth!» esclamò Ginny solare.
«Ginny! Harry!» rispose lei di rimando.
Li guidò all’interno della casa. La cucina era ampia, aveva il piano cottura sulla sinistra e sulla destra c’era un tavolo rettangolare in legno. Il salone era altrettanto grande, c’era un divano al centro, antistante ad un tavolino e in corrispondenza dei lati più corti del tavolino c’erano due poltrone dall’aria piuttosto comoda. Mostrò loro lo studio, situato sempre al piano di sotto, c’era uno scrittoio ma niente di che. Il piano di sopra era leggermente più piccolo. Il corridoio era più stretto ed era pitturato di rosso. «Non dovrebbe essere un problema per voi, siete abituati alla sala comune Grifondoro, no?» scherzò Beth. Harry e Ginny risero anche se lui continuava ad essere incantato da quella casa. C’erano quattro stanze da letto e un bagno in fondo al corridoio. Erano ampie e luminose, ma erano vuote.
Una volta finito il giro della casa, Harry e Ginny passeggiarono un po’ per il giardino, Beth aveva un Patronus urgente da inviare a suo marito perciò era rimasta dentro. Stavano camminando nel giardino posteriore, Harry aveva un braccio attorno al collo di Ginny. «Che te ne pare?» gli chiese lei.
«Mi piace» rispose Harry. «E anche tanto» completò. «E poi ha il dondolo che volevi tu» aggiunse facendo ridere sommessamente Ginny.
«Tu te la sentiresti di vivere a Godric’s Hollow?» domandò cauta. Harry sospirò.
«Stamattina è stata utile» cominciò «mi ha fatto capire che non importa dove siamo, l’importante è che tu sia accanto a me».
Ginny si girò e lo baciò di slancio. Harry immerse la mano nei suoi capelli profumati godendosi ogni attimo di quel contatto di labbra. Sorridevano l’uno sulle labbra dell’altra. «Quindi è casa nostra?» chiese conferma quando si furono staccati. Harry annuì e si girò verso la casa.
«È casa nostra» confermò sorridendo.
 
Un bel po’ di anni dopo, la coppia era ancora seduta su quel divano che avevano visto in quella mattina di settembre di molti anni prima, solo che adesso erano vecchi, si muovevano lentamente ma si amavano ancora come quel giorno in cui avevano scelto la casa. Era un ricordo vivido, presente.
«Harry, tu hai detto che ti sembrava di aver visto tuo padre ammiccare, giusto?» chiese Ginny allarmata. Harry aggrottò le sopracciglia.
«Be’, sì, ma ho anche detto che i primi tempi come Auror sono stati tutt’altro che facili. Non ricordi che lavoravo fino a notte fonda?» Ginny annuì.
«Sì ma io non ero stanca e quando mi sono girata di scatto è perché ho sentito qualcuno parlare» disse. Era leggermente impallidita. Harry cercò di calmarla.
«Ginny, sarà stato qualcuno in lontananza. Non è mai successo che qualcuno tornasse dall’oltretomba per congratularsi con la propria nuora» rifletté Harry.
Ginny fece finta di crederci, ma in cuor suo sapeva di aver sentito chiaramente una voce maschile dire “va tutto bene” e una voce femminile “prenditi cura di lui, adesso”. Ma aveva ragione Harry: nessuno era mai tornato dall’aldilà per complimentarsi con la nuora.
«Hai ragione» disse cercando di essere convincente. Probabilmente più verso sé stessa che verso Harry.
Il discorso finì lì e, cercando di tornare al relax iniziale, Ginny iniziò a raccontare una nuova storia.

Angolo autrice:
Tantissimi auguri di un buon 2021, nella speranza che sia diverso da questo 2020 e ci riservi così tante belle sorprese da dimenticare gli ultimi dodici mesi che abbiamo vissuto.
A presto,
Chiara.
   
 
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