Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: ALoserLikeMe    02/01/2021    0 recensioni
Gothel è una ragazzina timida e insicura, passa la maggior parte delle sue giornate in casa con la propria famiglia. Il mondo esterno quasi la spaventa. Tutto cambia quando, per la festa dei quindici anni suoi e di sua sorella gemella, incontra una ragazza, Talitha.
Quest'ultima è dotata di poteri magici, argomento completamente evitato in famiglia. I genitori di Gothel, la quale a sua volta è dotata di tali capacità, credono che sia la causa di ogni male della figlia.
Incuriosita, la ragazza vuole approfondire la conoscenza con Talitha, la quale ne modifica completamente sia il carattere che il modo di vedere le cose.
Gothel non sarà più la timida ragazzina di cui tutti si approfittano e che trattano male, imparerà a farsi valere.
Ma questo porterà delle conseguenze, perché una volta assaggiato il potere non riuscirà a tirarsi indietro...
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5

 
 
Probabilmente per la prima volta in vita sua, Gothel si risvegliò senza avere Annabella di fianco a sé. Nello aprire gli occhi provò una stranissima sensazione, una sorta di disorientamento. Era assolutamente lucida, eppure guardava verso il soffitto e il cornicione sulla finestra alta con fare confuso. Era la prima volta che dormiva fuori casa, durante il corso dell’ultimo anno, anche quando aveva fatto molto tardi la sera, era sempre tornata a dormire nel suo letto, accanto a sua sorella. Adesso invece si trovava su un materasso fine e scomodo, talmente basso e sottile che poteva sentire le natiche toccare il pavimento. Sotto il materasso non c’erano le classiche assi di un letto.
Voltò leggermente lo sguardo e vide, poco più in alto di lei, un vero letto senza nessuno dentro, e le coperte non sistemate. Dopo l’iniziale disorientamento, Gothel ricordò tutto quello che era successo la sera prima: il litigio con Annabella, la festa di compleanno, la torta… e anche il fatto che si era diretta da Talitha per passare la notte da lei. La ragazza non aveva fatto tante storie al riguardo, né le aveva chiesto cosa fosse successo. Non aveva nemmeno provato a consolarla, si era semplicemente limitata a stendere un materasso sul pavimento, e darle una coperta calda così che non sentisse freddo durante la notte.
Gothel, dopo un anno che la conosceva, ancora non era riuscita ad inquadrarla per bene. Insomma, non si poteva certo dire che non fossero in ottimi rapporti, eppure Talitha si dimostrava ancora molto fredda e distante, non aveva mai delle parole o dei gesti carini per gli altri. Non faceva amicizia facilmente, e anche quando lo faceva non si apriva mai veramente -per esempio, erano sole in casa, Gothel non aveva visto nessuna figura genitoriale o fraterna, Talitha ce l’aveva un padre e una madre? Se sì, cosa facevano nella loro vita? Alla piccola strega questo suo atteggiamento non dava fastidio, era semplicemente il suo modo di essere, e l’accettava così com’era. Avrebbe sicuramente voluto al suo fianco un’amica un po’ più entusiasta della vita e di lei, come lo era Annabella, ma sapeva di non poter avere tutto dalla vita.
Si alzò a fatica, con la schiena dolorante e i piedi quasi paralizzati dal freddo. Talitha stava in aperta campagna, ancora più lontana dal centro di Camelot di quanto non fosse la casa di Gothel. Si alzò in piedi e si ravviò leggermente i capelli. Aveva ancora addosso i vestiti della sera prima, un vestito elegante che le stringeva sui fianchi, che sua sorella le aveva fatto indossare perché credeva che sarebbe sembrata fantastica. Si sentiva tutto meno che attraente, in quel momento.
In cucina trovò Talitha a sedere su uno sgabello, con le ginocchia rannicchiate vicino al petto, una tazza in mano che guardava fuori dalla finestra. Non voltò nemmeno lo sguardo per salutarla, rimase immobile a guardare la natura fuori da casa propria. Gothel, in punta di piedi perché non voleva disturbarla, si avvicinò leggermente al tavolo e prese un tocco di pane per farci colazione.
Talitha, sempre con lo sguardo perso nel vuoto, sospirò: << Dicono che una volta che compi sedici anni acquisti un senso di libertà tutto nuovo. Chissà se è davvero così. >>
Gothel rimase per qualche secondo a riflettere sulle parole dell’altra. << Aspetta, tu non hai ancora compiuto sedici anni? >> Piccola pausa. << Lo sapevo di essere più grande di te. >>
In tutta risposta Talitha sorrise, forse il primo sorriso genuino che non sembrasse un ghigno da quando si conoscevano. Posò la tazza sul tavolo, e successivamente le gambe a terra. Si alzò e andò a buttare altra legna nel camino per ravvivare il fuoco. Quando si voltò il suo volto era più serio, come se le fosse venuto in mente un episodio spiacevole in mente. Per un momento Gothel pensò che volesse parlarle della sera prima, chiederle com’erano andate le cose per filo e per segno con sua sorella. Ma Talitha non sembrava il tipo di persona che si interessa a drammi di questo genere, li considerava come minori e a volte addirittura inutili.
No, in quel momento voleva parlare di Gothel, e del suo modo di comportarsi ogni volta che andavano “in missione”. La Strega non poté fare a meno di sgranare gli occhi, di fronte all’accusa che le era appena stata posta, perché riteneva di essersi sempre comportata in modo corretto.
Talitha, con tono calmo e, stranamente, non accusatorio, provò a spiegarsi: << E’ una cosa che inizialmente mi era stata riferita, ma con cui mi sono ritrovata ad essere d’accordo. Sei molto… come dire? Aggressiva, lo sai questo vero? >>
Gothel la guardò confusa, no che non lo sapeva. Aggrottò la fronte, e tutta quella situazione le sembrò quasi surreale. Non poteva criticarla veramente su quel punto, non lei che a malapena trovava la forza di aprire bocca e parlare per esprimere la propria opinione. Talitha l’aveva spesso ripresa, durante il corso di quell’anno, dicendole che era troppo remissiva e quindi era per questo che le persone si approfittavano di lei, che quando parlava lo faceva con un filo di voce e nessuno la capiva. Tutti punti su cui Gothel aveva concordato, e aveva cercato di cambiare. E comunque quello che era diventata sembrava non andare bene.
Talitha, che non voleva ferire i sentimenti della sua amica, provò a spiegarsi meglio. << Sono sicura che tu non lo faccia con cattiveria, probabilmente non te ne rendi nemmeno conto, ma quando… ti esprimi, diciamo, quando manifesti i tuoi poteri lo fai con decisamente troppa potenza. Sei troppo esagerata >>
<< Troppo esagerata? >>
<< Sì… >> La ragazza si stava tormentando le dita delle mani, in cerca delle parole giuste da usare. Non la guardava nemmeno negli occhi, alzava lo sguardo verso il soffitto, oppure lo voltava di lato. << Noi siamo solo dei teppistelli, niente di più, non so se mi spiego. >>
<< No, non ti spieghi. >>
<< Nel senso che sì, ci divertiamo a spaventare determinate persone, farle prendere paura o cose del genere. In questo modo ci sembra di riportare un senso di giustizia a questo mondo. Solo che tu… >>
Quando non sentì terminare la frase, Gothel iniziò a spazientirsi. << Solo che io cosa? >>
<< Ecco, Gothel, tu la prendi decisamente più sul personale, ti accanisci veramente tanto contro le persone che ti ritrovi davanti. Porti tutto ad un livello troppo più grave. >>
La piccola strega rimase senza parole, non replicò oltre. Non sapeva nemmeno quali emozioni stava provando dentro di sé, un misto tra delusione e rabbia. Talitha, così come i suoi amici, avevano passato un intero anno a dirle di uscire dal guscio, di farsi valere e far sentire la propria voce. Talitha stessa aveva insistito affinché Gothel riuscisse ad utilizzare correttamente i propri poteri, eppure adesso che era quasi completamente padrona delle sue abilità veniva fuori che era troppo potente? Non capiva, l’avevano spronata a esprimersi al massimo delle sue capacità, solo per dirle successivamente che queste sue capacità erano troppo pericolose.
<< Stiamo un po’ tutti rivalutando quello che stiamo facendo, sai? >> continuò Talitha. << Quando io e Carson avevamo deciso di formare questa banda, questo assurdo gruppo, eravamo poco più che dei ragazzini arrabbiati con il mondo. Credevamo che così saremmo riusciti a portare giustizia in questo mondo. Solo adesso mi rendo conto di quanto sciocco tutto questo sia. >>
Gothel, ancora incapace di aprire bocca, non riuscì comunque a non dimostrare quanto sbigottita fosse da quella affermazione. Non poteva essere vero, quelle erano state decisamente le ventiquattro ore più brutte della sua vita. Talitha non poteva assolutamente sciogliere quel gruppo, era l’unica cosa al mondo a dare gioia e senso di vitalità a Gothel. Quelle persone la facevano sentire come se appartenesse a qualcosa, come se avesse uno scopo nella vita, invece di semplicemente esistere e occupare spazio. I suoi poteri avevano un senso, un significato, in questo modo le sembrava di utilizzarli per un fine ben preciso, per fare del bene -per quanto “bene” fosse una visione puramente soggettiva della questione.
<< Gothel, non voglio che questa suoni come una minaccia, però i tuoi modi rendono tutto questo >> e agitò le braccia in aria per definire “questo” << più complicato, più serio. Più le persone si fanno male e più le autorità si metteranno a cercarci, a farci del male in caso ci beccassero. E nessuno ha più voglia di partecipare a tutto ciò, il gioco non ne vale decisamente la candela. >>
Se non avessero più avuto un obiettivo comune, un qualcosa che li accumunava tutti, Gothel era certa che si sarebbero sciolti, che nel giro di qualche mese non si sarebbero più frequentati. Non era una sciocca, per quanto non volesse ammetterlo, dentro di sé sapeva che quell’aggregato di persone funzionava unicamente perché avevano un qualcosa che li legava. Senza lei sapeva che li avrebbe persi ad uno ad uno, anche Talitha. Si sarebbe nuovamente ritrovata sola con la sua famiglia che la capiva sempre meno, con gli amici di sua sorella che detestava.
Tenne la testa bassa. << Se in futuro dovessi fare la brava, se dovessi imparare a controllarmi, credi che potrebbe essere la soluzione? >>
Il volto di Talitha si illuminò di gioia. << Direi che questo può essere un inizio. >>
In quel momento Gothel accettò più che volentieri quel compromesso. Non era pronta a perdere quella parte della sua vita, non era disposta a lasciarli tutti andare per le loro strade, strade che non avrebbero incluso anche la sua presenza. Credeva che limitarsi per accontentare gli altri non sarebbe stato poi così male. Certo, in passato aveva compreso che non ne valeva la pena, che non doveva mettersi dei limiti per accondiscendere ai desideri di tutti meno che dei suoi. Ma loro erano diversi, erano i suoi amici, e Gothel credeva che le loro fossero delle richieste innocenti, che non ci fosse niente di male. In una società civile non si può fare sempre cosa ci pare, bisogna anche venire incontro ai bisogni degli altri.
Perciò, per il momento, Gothel accettò di buon grado il compromesso.
 
Quella sera tornò a casa, per ritrovare quasi sulla porta di casa i suoi genitori e sua sorella che la stavano aspettando. Annabella appena la vide le buttò le braccia al collo, le chiese infinitamente scusa per come si era comportata. Le disse che non pensava seriamente tutte le cose che aveva detto, che era stata unicamente colpa della rabbia e dell’impeto del momento. Gothel, mentre veniva stretta tra le braccia della sorella, non ricambiò molto l’abbraccio, si limitò ad appoggiare lievemente le dita sui fianchi di Annabella, guardando un po’ a disagio i suoi genitori che stavano assistendo alla scena. Lì osservò, e le sembrarono dei completi estranei, perfino i lineamenti del loro viso era come se non avessero niente a che fare con i suoi.
Subito dopo essersi staccata, Annabella la rimproverò per essere sparita senza dire dove stava andando, senza dare notizie di sé per un’intera giornata. Le riferì che tutti loro si erano spaventati, e preoccupati per lei. Gothel non rispose, a nessuna delle critiche, ascoltò in silenzio e poi salì in camera. Avrebbe potuto difendersi e dire che in realtà aveva avvisato Annabella di dove era diretta, ma si era fermata, perché sapeva che non aveva senso: nessuno sembrava capirla, parlava ma nessuno ascoltava veramente cos’aveva da dire.
Quella notte, per la prima volta in vita loro, Annabella e Gothel dormirono in due letti separati.
 
I mesi passarono in maniera piuttosto monotona, niente di speciale accadde nella vita della strega, se non le solite uscite con amici. Il rapporto con Annabella diventava sempre più freddo, e le due avevano addirittura quasi smesso di parlarsi, da quando Garrett era diventato un ospite abitudinario della loro famiglia. I suoi genitori stravedevano per lui, lo definivano “un ragazzo per bene di buona famiglia e educato”. Gothel non poteva fare a meno di alzare gli occhi al cielo ogni volta che veniva descritto con quegli aggettivi, e si sentiva particolarmente ferita da sua madre, la quale le aveva sempre riservato delle attenzioni speciali. In passato le aveva odiate, perché la facevano sentire come la pecorella nera, una persona problematica a cui dover star dietro. Ma non apprezzava nemmeno venir ignorata completamente. O meglio, a volte le faceva piacere, perché se essere presa in considerazione voleva dire sentirsi ripetere continuamente cosa non andava bene in lei, e in cosa invece Garrett eccelleva così tanto, allora preferiva essere lasciata in pace. Era difficile per lei spiegare -a se stessa in primis- cosa provasse, era come se volesse tornare a un qualcosa che non c’era mai stato, un’armonia familiare che avevano perso ormai troppi anni prima, e che non sarebbe più stata ritrovata.
Non parlarono mai più di quell’evento fatidico, tra Gothel e Garrett sembrava esserci questo accordo non verbale secondo cui non si sarebbero scambiati alcuna parola né sguardo, e alla ragazza andava più che bene così. Pur non volendo ammetterlo, con Annabella si comportava benissimo come aveva sempre fatto, non c’era stata una volta in cui era stato sgarbato con lei, o che semplicemente non l’avesse portata su un vassoio d’argento. Anche con i suoi genitori sembrava andare più che d’accordo: quasi tutte le sere si recava da loro per cenare, e passavano ore infinite in cui raccontava aneddoti interessanti, battute divertenti e storie emozionanti. Gothel iniziò dunque a pensare che forse il problema in quel contesto era lei, dato che tutti andavano così tanto d’accordo.
Aumentarono quindi le uscite serali e notturne, ormai in quella casa lei era come una presenza fantasma, andava e veniva senza avvisare né dare troppo fastidio. Eppure anche quando stava con Talitha qualcosa non andava bene, non quadrava. All’inizio aveva percepito quel nuovo gruppo di amici come una ventata d’aria fresca, un luogo in cui poter per la prima volta essere se stessa, senza limitazioni di alcun tipo. E invece era venuto fuori che anche loro non la accettavano, che doveva controllarsi in loro presenza perché i suoi poteri erano troppo imprevedibili e li spaventavano. Questo faceva molto soffrire la povera Gothel: accettare i propri poteri non era stato affatto facile per lei, li aveva soppressi per molti anni e, adesso che era più brava nel manovrarli, doveva ancora una volta contenerli. Era diventata abbastanza padrona della sua magia, ormai, non era una grandissima esperta, ma sapeva quanto meno dosare la forza. Quindi, quando ne usava “troppa”, non era perché non era capace di usarne meno, ma perché voleva ottenere quell’effetto. Doversi limitare la struggeva e la intristiva, la magia per lei era il modo migliore per esprimersi, e non poter tirare fuori tutto quello che aveva dentro la faceva sentire come sull’orlo di un precipizio.
Iniziò un periodo molto strano per lei, iniziò quasi senza che se ne rendesse conto, e quando realizzò cosa stava facendo era ormai troppo tardi per tirarsene indietro, era diventato come una dipendenza. Una sera, non sapeva nemmeno lei bene perché, notò un tizio -molto probabilmente ubriaco- che stava barcollando verso casa propria. Quando fu in un vicolo buio Gothel lo pestò, gli fece proprio male, lo prese a pugni e a calci urlando. Non conosceva quell’uomo, non le aveva fatto niente di male e, almeno per quello che aveva potuto vedere, era innocuo, eppure fargli del male le procurò tanta di quella gioia che non riuscì più a staccarsene. Iniziò così a cercare persone con l’unico intento di farle del male fisico, pestarle per poi sparire e non rintracciarle mai più. Le vittime erano tutte soggetti randomici, la cosa non era mai premeditata, improvvisamente sentiva questo innato bisogno di sfogare tutte le sensazioni che provava. Non usava mai i propri poteri, visto che a quanto pare nessuno apprezzava il fatto che ne fosse dotata, e quindi si sfogava con la sola forza fisica.
Non ne parlò con nessuno, si vergognava di quello che faceva, sapeva che c’era qualcosa di sbagliato nel farlo, ma non riusciva a trattenersi. Si controllava su qualsiasi ambito della propria vita, tanto che su quello si lasciava completamente andare. Veniva proprio risucchiata da quel vortice.
 
Il suo diciassettesimo compleanno si potrebbe definire uno dei giorni più tristi della sua vita. Per la prima volta in vita sua non lo festeggiò con Annabella. Lei, a onor del vero, aveva insistito affinché lo festeggiassero insieme come ogni anno, come da tradizione, ma Gothel aveva rifiutato dicendo che aveva altri programmi quella sera. Le aveva detto che sarebbe uscita con Talitha e i suoi amici. Non aveva intenzione di passare un altro compleanno come quelli precedenti, dove sembrava fosse la festa solo di Annabella e non la sua. Odiava vestirsi con vestiti che a lei non piacevano, per andare in un posto che lei non sopportava, e fingere di interagire con persone che detestava. Non avrebbe mai più festeggiato un compleanno con sua sorella, aveva deciso.
Malgrado ciò, non lo festeggiò nemmeno con Talitha. Non aveva voglia di stare con loro, non aveva voglia di stare con nessuno. Sentiva un peso enorme nel petto, un senso di malinconia misto a tristezza. Se ne andò sulla riva di un lago, sotto il chiaro di luna, a guardare le leggere increspature dell’acqua e piangere.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato nella sua esistenza, per quanto ci provasse non riusciva mai a raggiungere un po’di benessere interiore. Non riusciva a liberarsi di quel macigno che si portava sul petto da anni.
Pianse unicamente perché non c’era nessun altro intorno.
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: ALoserLikeMe