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Autore: AleeraRedwoods    03/01/2021    2 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-La Contea-


    Confusione. Incertezza. Gioia. Desiderio. Paura. Per secoli, Thranduil era rimasto impassibile ad osservare lo scorrere di quel tempo che non lo toccava e adesso non riusciva nemmeno a respirare con calma.
    Nonostante la fermezza, la saggezza e la cinica razionalità acquisite durante interi millenni passati su quella mutevole terra, il Re degli Elfi era, a tutti gli effetti, in balia di un’inaspettata e irrefrenabile tempesta interiore.
    L’unica cosa che ancora lo teneva incollato alla realtà era l’incredibile ed irresistibile concretezza del freddo corpo della stella, di nuovo dinnanzi al suo. Oltre ad esso, nemmeno la consapevolezza di essere tornato a diecimila piedi di altezza lo sfiorava e persino rimanere saldo sul dorso della Maia Gwain si stava rivelando un’operazione difficoltosa. 
    Cosa era accaduto, la sera prima? 
    Un bacio, certo, di quello era più che sicuro.
    Molto più che sicuro.
    Al solo pensiero, il Re degli Elfi chiuse gli occhi, costringendosi a respirare a fondo. Per la seconda volta, aveva mostrato alla Stella dei Valar la parte più vulnerabile e intima di sé, giungendo persino a quel contatto che mai avrebbe pensato di desiderare nuovamente.
    Ma prima di questo, cosa si erano detti davvero?
    In qualche modo, nel silenzio del volo dell’aquila, Thranduil riuscì a scrutare dentro sé stesso, in cerca di risposte. Dopo un comprensibile momento di incredulità e sollievo, nell’animo del Re erano subentrati turbinii di emozioni ben diverse e pensieri senza alcuna logica o razionalità.
    Per cercare di far chiarezza, Thranduil ripercorse per intero la discussione avvenuta con Sillen, a partire da ciò che l’aveva scatenata. Gelosia, innanzi tutto: la disorientante immagine della stella in compagnia dell’elfo dorato, durante un’intima situazione che ancora, al solo pensiero, gli faceva ribollire il sangue immortale nelle vene. 
    Avevano fatto il bagno insieme, dannazione.
    Ricordò fin troppo chiaramente i capelli umidi di Glorfindel, quando si era accidentalmente imbattuto in lui nei corridoi della Cittadella. Doveva essere accaduto allora. Oppure, quante altre volte era successo?
    Serrò la mascella, allentando la presa su di lei per evitare di attirare l’attenzione con la sua istintiva e rabbiosa reazione, che intanto aveva già teso i suoi muscoli nervosi. Come se non fossero abbastanza infiammati dallo sforzo di non uccidere l’altro maledetto elfo ogni qual volta lo guardava.
    Con ogni fibra del suo corpo, avrebbe voluto esternare tutta la sua violenta possessività, che ancora proiettava sulla stella come fosse di sua proprietà, per ricordare al Vanyar di rimanere al suo posto, lontano da loro.
    Sospirò, riprendendo pazientemente il controllo delle proprie emozioni. Le cose erano decisamente cambiate, da quanto ancora poteva rivendicare il suo diritto su di lei. Inutile negarlo, aveva già compreso che la stella fosse cresciuta, lontana da lui, come forse era giusto che avvenisse.
    Dunque, perché sorprendersi di quella relazione tra i due alleati? Aveva più volte allontanato Sillen da sé, senza permetterle di riacquistare quella dolce familiarità che avevano raggiunto al Reame Boscoso e lei, dopotutto, era pur sempre una giovane donna, come quell’intenso bacio gli avevano ricordato: cercare conforto tra le braccia di qualcuno era un comportamento normale, estremamente… umano. Thranduil poteva non comprenderlo appieno ma lo accettava.
    E conosceva bene le abitudini disinibite dell’antico Vanyar, che da secoli, anzi, millenni, si divertiva a sedurre fanciulle e giovani di qualsivoglia razza, solo per mero divertimento.
    No, non era sorpreso. Le sue labbra s’incurvarono in un sorriso amaro, quando realizzò cosa stesse provando davvero: avrebbe voluto essere lui a farle conoscere quella parte di realtà che, al tempo della loro convivenza, ancora non era contemplata.
    Con tutta la pazienza e l’autocontrollo che possedeva, Thranduil dovette affrontare ancora la sua furiosa e irrazionale invidia, che lo spinse a lanciare l’ennesimo sguardo carico di odio verso l’elfo dorato.
    Questo, ignaro di tutto, volava tranquillamente sul dorso dell’aquila bruna, svariati piedi più in alto.
    Per fortuna, l’attenzione del Re degli Elfi fu attirata dai movimenti della stella, che si strinse nel mantello con un respiro profondo. Thranduil sapeva che era tesa, e non a causa sua ma di ciò che era accaduto al fiume, a Tharbad. A ben vedere, avrebbe dovuto concentrarsi anche lui su quegli avvenimenti, invece che lasciarsi trascinare dalle emozioni in quel deplorevole modo.
    Dopotutto, ancora non era certo di ciò che lei stesse provando e, come la loro storia gli aveva duramente insegnato, giungere a conclusioni da solo non era affatto saggio.
    Lui si era sempre comportato con freddezza, distacco e non poteva credere che un bacio, seppur disarmante come quello che avevano condiviso, potesse aggiustare un’intera relazione tanto burrascosa.
    E, infine, lui non la conosceva. Almeno, non più.
    Non conosceva ciò che le era accaduto in tutto quel tempo passato lontani l’uno dall’altra e sentiva di aver perso dei preziosi momenti che, indubbiamente, l’avevano profondamente segnata, nel bene e nel male.
    Lei non era più la ragazzina che aveva raccolto nel cuore del suo Regno, mesi prima. Almeno questo, pensò, lo aveva accettato completamente.
    Con un gesto attento, Thranduil aggiustò i lembi del proprio mantello attorno alle spalle della stella, evitando di toccarla. La Maia Gwain aveva preso improvvisamente velocità, seguendo le aquile compagne che planavano più in alto e l’aria fredda del mattino s’insinuava tagliente tra i vestiti dei viaggiatori.
    -Ciò che ha detto Glorfindel ieri sera m’impensierisce.- Stava dicendo la stella, preoccupata. Thranduil si riscosse, al suono della sua voce. Abbassò lo sguardo, abbastanza da scorgere il profilo teso della giovane. Lei tormentò il tessuto scuro del mantello, colta dall’improvviso desiderio di piangere: -Sono l’unica che può vedere quell’altra, a quanto pare. Sembra che a voi appaia solo come una… sensazione, mentre io vedo in lei il mio identico riflesso. Non riesco a spiegarmelo.-
    Thranduil stesso, nella sua lunga vita, non aveva mai sentito parlare di niente di simile: -Forse è un’illusione del servo di Pallando.- Suggerì, non troppo convinto. Sillen scosse la testa, ricordando fin troppo chiaramente la sua esperienza contro il Maestro delle Illusioni: -No, saprei riconoscerle bene, oramai. Questa cosa agisce sul piano fisico, non solo sulla mia mente. Ha sfondato un muro con un pugno.- Gli ricordò, laconica.
    Infatti, con il favore delle prime luci dell’alba, la compagnia aveva ripercorso le stradine di Tharbad con attenzione, cercando indizi risolutivi e, purtroppo, tutto ciò che trovarono allora fu una serie di muri distrutti, ciottoli sconnessi e tetti sfondati, segni evidenti della terribile forza di quell’altra.
    L’unica cosa certa, era il fatto che questa attaccasse solo ed esclusivamente Sillen. Svaniva non appena un’altra presenza si avvicinava troppo alla stella, come se non desiderasse uccidere altri tranne che lei. E ciò, in realtà, aveva tranquillizzato non poco tutti i presenti, che avevano momentaneamente convenuto con il Re degli Elfi: Sillen non poteva più restare sola, nemmeno per un momento.
    -Una volta scoperto ciò che Mithrandir ha nascosto, avremo più possibilità di venire a capo di questa storia.- La tranquillizzò Thranduil, la voce calda dal tono insolitamente paziente.
    La stella annuì, sperando con tutta sé stessa che fosse vero. Istintivamente, cercò la mano dell’elfo sotto al mantello ma, prima ancora di sfiorarla, rinunciò, serrando le labbra. Si erano scambiati un bacio ma, da quel momento, Thranduil non l’aveva sfiorata nemmeno per sbaglio. Era chiaro che non fosse sua intenzione lasciarla avvicinare ulteriormente.
    Sillen, nonostante la sua lontananza, aveva imparato a conoscerlo bene e sapeva che il Re degli Elfi non avrebbe più agito senza prima aver preteso delle conferme: lei, dal canto suo, non vedeva l’ora di dargliele tutte, per poi mettere da parte quell’indifferenza che le spezzava il respiro.
    D’improvviso, sopra di loro, la voce di Glorfindel risuonò alta e chiara, facendoli sussultare: -Ehi, voi due. Cominciamo ad abbassarci. Stiamo sorvolando la Vecchia Foresta, ci siamo quasi. Mancano poco più di cento miglia.-
    Anche le altre aquile erano dunque scese di quota, pronte ad atterrare.
    La stella, curiosa, lanciò uno sguardo sotto di sé e i suoi occhi si persero tra le fronde scure degli alberi della foresta e l’ondeggiare dell’erba brillante delle numerose colline. Il Brandivino poi, come una lontana pennellata di luce, li accompagnò nel silenzioso atterraggio nel Decumano Ovest: finalmente, erano giunti nella Contea.

    Le Aquile attraversarono con attenzione gli sporadici alberi al confine con i boschetti di castagni, che costeggiavano la Grande Via Est, lasciando che le alte fronde e i rami spessi prendessero il posto del cielo. Si posarono sull’erba tenera con un tonfo ovattato, scuotendo le ali stanche.
    Visto da laggiù, quel luogo pareva ancora più incantato: il vento leggero si attardava a mormorare tra le foglie affusolate, accompagnando il canto di rondini e fringuelli, mentre il gorgogliare placido di qualche torrente vicino faceva a gara con il frinire instancabile delle cicale. Sillen non era mai stata in un posto tanto rumoroso in vita sua. Sorrise, guardando le lepri rincorrersi nel campo vicino: -Dunque è questa la Contea.- Sollevò una mano, schermando il sole che illuminava la radura smeraldina.
    -Siamo alle porte di Hobbiville, la città dove Gandalf pare ci abbia guidati.- Ammiccò Glorfindel con fare poco convinto, cominciando a raccogliere i bagagli: -Faremo meglio a tenere le armi e tutto il corredo ben nascosti. Non vogliamo certo spaventare questa brava gente.-  Ridacchiò e scambiò uno sguardo d’intesa con i saggi Maiar. Essi si spostarono lentamente nella pacifica foresta, al riparo da occhi indiscreti.
    -Dicono che gli Hobbit siano molto curiosi.- Bofonchiò Thorin, grattandosi la barba intrecciata: -Sarà un bene farsi vedere per le strade in pieno giorno?- Con un pizzico d’incoscienza, Sillen sollevò le spalle, inevitabilmente contagiata dall’allegria di quella radura affollata: -Non sanno di certo chi siamo, mio signore. Lasciamo credere loro di essersi imbattuti negli ennesimi raminghi del Nord e non incontreremo ostacoli.- Si incamminò nell’erba alta, diretta verso il sentiero che serpeggiava poco più avanti.
    Era impaziente di incontrare i mezz’uomini, protagonisti della grande avventura conclusasi solo trent’anni prima e, quando cominciò ad udire un caotico chiacchiericcio oltre la collina davanti a sé, non poté fare a meno di aumentare il passo.
    Fu la passeggiata più bella di tutta la sua breve vita e poté ammirare più varietà di piante, animali e insetti di quante ne avesse viste altrove.
    Giunta sul basso crinale, trattenne il respiro, sorpresa: l’intera valle dai profili ondulati, ricca di campi d’orzo e frutteti, era gremita di piccoli ometti e piccole donnine, intenti nei più disparati lavori. C’era chi mungeva grandi mucche, chi raccoglieva pomodori, chi conciava la lana, chi intagliava buffissimi sgabelli e ci beveva grandi boccali di birra chiara. Ognuno vestiva abiti dai colori allegri, tra bretelle, panciotti e grandi gonne piene di nastri.
    Glorfindel chiuse la bocca della stella, sollevandole il mento con un dito, e le tirò il cappuccio in testa: -Muoviti, prima che faccia notte. Avrai tempo per contemplare la cittadina a guerra conclusa, sai? Promesso.- Commentò, ironico. Lei annuì, ancora troppo stregata ed emozionata per ribattere.
    Quel luogo pareva risiedere fuori dal tempo e dallo spazio e i suoi abitanti, paffuti e rubicondi, si affaccendavano tra una chiacchierata e l’altra, ignari di ogni pericolo esterno.
    Quando i quattro compagni incontrarono le prime case, dovettero fare i conti con le occhiatacce torve dei mezz’uomini, per niente felici di averli lì.
    Sillen si avvicinò prudentemente a un lato del sentiero, catturata dall’aspetto caratteristico delle case hobbit: alcune erano casette di legno e pietra, a ridosso delle collinette erbose, mentre altre, le più sorprendenti, erano state ricavate nei colli stessi, con tanto di finestre, giardini e orticelli.
    La stella sorrise, salutando una coppia di anziani hobbit intenti a lavorare nel loro orto stracolmo di verdure dall’aspetto invitante: -Salve gentili signori, dove posso trovare Casa Baggins?- Erano davvero bassi e lei dovette accucciarsi per parlare faccia a faccia con loro.
    La vecchina, turbata, tirò la giacca al marito, fissando la stella con cipiglio infastidito: -Pimberli? Ehi Pimberli! Questa ce l’ha con noi.- Il mezz’uomo, ancora chino a strappare le erbacce, sventolò una mano, infastidito: -Non rompere, non rompere. Ho da fare.- Ma l’altra non demorse: -Sei sordo come un serpente, cieco come una talpa e scemo come un allocco. Guarda, guarda qui!-
    Sillen si portò una mano alle labbra, tentando di non ridere.
    -Beh, che cosa diamine c’è, acida di una donnaccia?- Esclamò Pimberli allora, con il viso paffuto corrucciato. La moglie gli indicò teatralmente la stella, con fare allusivo.
    Lo hobbit, grattandosi la testa, finalmente si accorse della straniera incappucciata e, senza tanti convenevoli, si rivolse nuovamente alla moglie: -Per tutti gli zucchini di zio Saccoccia, chi è?- L’altra alzò le spalle, in un rimbalzare di stoffa colorata e boccoli bianchi e grigi. -Che ne so, dice che cerca qualcuno.- E scoccò un’occhiataccia alla stella: -Chi è che cercavi, tu?-
    Sillen si sporse leggermente in avanti, per evitare di sembrare scortese: -Baggins, signori. Casa Baggins.- Pimberli la indicò, irritato: -E chi accidentaccio potevano cercare. Sì che i Baggins non ci sono più… ma nemmeno i nuovi proprietari sono- La moglie gli colpì il braccio con un buffetto di rimprovero: -Non parlare male del Sindaco, Pimberli! Lui si che è un rispettabilissimo hobbit, anzi, dovresti imparare!-
    -Oh certo, dopo tutte le assurde scorribande che lui e quei suoi amici svalvolati hanno fatto in giro per tutta la Terra di Mezzo? Baggianate, dico io. Calzano qui come il primo venerdì del mese![1]
    Sillen si schiarì la voce, attirando nuovamente l’attenzione su di sé. Questa volta, la donnina cercò di essere più gentile: -Se cerchi Casa Baggins, vai in fondo a questa strada, attraversa il centro del paese, sali la prima collina a destra dopo il pozzo e segui le indicazioni per via Saccoforino. Non puoi sbagliare.-
    La stella sorrise, chinando la testa educatamente: -Vi ringrazio immensamente.- Pimberli scrutò con fare indagatorio gli altri membri della strana compagnia, sondando prima il nano, poi i due elfi: -Sì, prego.- Grugnì.
    Sillen, divertita, tornò dai compagni, seguita dagli occhietti pungenti dei due coniugi. I loro mormorii erano tanto concitati da raggiungere senza alcun filtro le orecchie dei quattro viaggiatori: -C’era un nano, hai visto Pimberli? Siamo alle solite. E quello alto?! Secondo te chi è?-
    -Ma che ne so! E poi ce ne sono due alti, quale intendi?-
    -Quello bello dico, non quello con la faccia da funerale!- Al commento dell’anziana, Sillen e Glorfindel si voltarono simultaneamente verso Thranduil, che li freddò con un’occhiataccia: -Se vi azzardate a dire qualcosa, vi sotterro personalmente.-

    Sillen fece strada, seguendo le indicazioni dei due simpatici hobbit, ma attraversare il centro del paese fu più difficile di quanto avesse immaginato. Il sentiero serpeggiava tra le colline abitate, costeggiato da campi, locande, recinti, pascoli e orti, e gli hobbit spuntavano da ogni dove, carichi di sacchi, guidando carriole o trascinandosi dietro pecore e buoi.
    L’unico a sentirsi abbastanza a proprio agio, anche grazie alla maggior familiarità tra le due razze, era Thorin Elminpietra, che addirittura si attardò ad acquistare un sacchetto di focaccine di ceci: -Questo posto non è per niente male. Il cibo è ottimo!- Commentò, allungandone un pezzo alla stella con un gesto complice.
    Era davvero così: il piccolo mondo della Contea era estremamente semplice, tranquillo e le preoccupazioni di quella gente si fermavano a quale formaggio della bancarella lì accanto fosse il più buono.
    Glorfindel strinse brevemente a sé la distratta stella, tirandola a destra poco prima che un carretto pieno di angurie la investisse: -Attenta, non stare con il naso per aria.- Ridacchiò, divertito dalle espressioni confuse e fanciullesche della Stella dei Valar. Lei rise a sua volta, per nulla disturbata dalla loro vicinanza: -Non posso farne a meno, è tutto così bello!-
    Glorfindel la osservò con attenzione, indeciso se parlarle o meno di ciò che da tempo gli torturava la mente. Lanciò uno sguardo rapido dietro di loro: avevano distanziato giusto un poco gli altri due compagni, forse era la sua occasione. Deglutì quando, per un solo istante, incontrò lo sguardo di ghiaccio di Thranduil.
    Lentamente, lasciò la stella, limitandosi a camminarle accanto: -Da quanto ho capito, tu e il Re degli Elfi vi siete chiariti, ieri sera.- Iniziò, sforzandosi di piegare le labbra nel suo tipico sorrisetto sardonico.
    Sillen inclinò la testa di lato, aggrottando le sopracciglia delicate: -A dire il vero, non ne ho idea. Non mi parla se non sono io a interpellarlo e non si avvicina nemmeno per caso.- Commentò, sincera.
    L’elfo dorato scrutò il suo profilo delicato, le labbra tese: -Vi siete baciati.- Suonava più come un’affermazione, che una domanda. Sillen sgranò gli occhi, sussultando: -T-tu hai visto?-
    L’altro soffocò una risatina, sorta spontanea d’innanzi all’ingenuità della stella: -No. Ma sono troppo saggio ed esperto per non notare certe cose, sai?- Sussurrò, malizioso, sfiorandole una guancia con il dito affusolato. -Guardati, sei arrossita come una piccola hobbit.- Ignorò il formicolio leggero che sentì percorrergli il braccio e, con tono provocatorio, continuò.
    -Dovresti essere felice. Finalmente quel giovane elfo si è deciso ad aver ragione di sé. Anche se mi aspettavo questa resistenza da parte sua.- E il suo ghigno si allargò: -Soprattutto perché immagino quanto strenuamente devi esserti impegnata, per convincerlo che non ho davvero fatto il bagno con te.-
    A quelle parole, Sillen si voltò a guardarlo, confusa: -Cosa intendi dire?- Per poco, il divino Glorfindel non inciampò nei suoi stessi piedi: -Beh, mi era parso contrariato da quel piccolo fraintendimento. Senz’altro lo avrai rassicurato.- Ma fissando quegli occhi ametistini, capì che la storia era ben più imbarazzante e splendidamente divertente di quanto si fosse aspettato.
    Mascherò un’altra risata, con un colpo di tosse: -Sillen, lascia che ti chieda una cosa. Tu sai cosa succede quando due persone condividono il letto, giusto?-
    Lei sollevò le sopracciglia: -Vuoi dire come abbiamo fatto io e te?- Glorfindel imprecò, sbattendo il piede contro una pala lasciata disordinatamente a terra e si affrettò a ricomporsi, elegante come sempre: -No, non come noi. Intendo un uomo e una donna, o comunque due individui, che sono attratti l’uno dall’altra. Una coppia, ecco. Come Elessar e la Regina Arwen.-
    Sillen ci pensò su per un po’. Poi, come per una sorta di strano incantesimo, la sua pelle dorata si arrossò al punto da sembrare incandescente e i suoi occhi d’ametista cercarono sconvolti quelli dell’elfo dorato: -Oh. OH! Oh Glorfindel, io… Scusami! Che stupida, ma perché mai non me lo hai detto? Quindi lui ha pensato che noi… che io e te… nella vasca?!- Si prese il viso stranamente bollente tra le mani fredde, imbarazzata più che mai.
    Ma certo che sapeva cosa poteva accadere, lo sapeva bene!
    Aveva conosciuto quella parte istintiva e naturale degli esseri viventi in svariati modi, dal comportamento animale alle ovvie domande che si era posta sulla riproduzione. Per questo era imperdonabile! Non le era minimamente passato per l’anticamera del cervello che quella legge naturale valesse anche per lei.
    Glorfindel le scostò le mani, sorridendo dolcemente. -Non hai fatto niente per cui tu debba vergognarti, Stella dei Valar.- Poi, strinse gli occhi a due fessure luminose, malizioso: -Però il Re degli Elfi conosce un’altra storia, dove tu fai il bagno con me e tutto il resto. Meglio avvertirlo dell’errore, no?-
    E non riuscì a non rivelarle quel pensiero che un po’ lo allettava, nonostante la sua maschera irriverente: -Anche se non mi dispiace vederlo in balìa della gelosia, così impegnato a invidiare me e tutto quello che ho potenzialmente combinato, in quella vasca da bagno.- Ghignò, sfiorandole l’orecchio con la sua voce bassa e melodiosa.
    Sillen gli assestò un pugno sulla spalla, più che sconvolta:
    -Smettila! Non voglio nemmeno pensare a che razza di figuraccia ho appena fatto!- Fissò il terreno, stringendo le labbra piene: -Abbi pietà di me e uccidimi.- Gemette, terribilmente dispiaciuta.
    Glorfindel scoppiò a ridere, senza dar peso alla tenerezza che aveva prepotentemente invaso il suo petto a quella visione: -Non preoccuparti, Sillen. Sono certo che, una volta risolto questo vostro malinteso, potrete comprendervi meglio.-
    Lei annuì, un po’ rincuorata. Poi allungò una mano, stringendo il mantello grigio dell’elfo al suo fianco: -Come… Come sapevi dei miei sentimenti? Ho sempre eluso le tue domande e ho tenuto nascosta gran parte del mio passato al Reame Boscoso.- Sussurrò, tenendo lo sguardo sulla strada che stavano percorrendo.
    L’elfo dorato, invece, studiò il suo viso chino, sentendo tutta la spavalderia soccombere gradualmente a un sentimento decisamente meno opportuno: -Sono nato prima ancora che le razze libere calcassero queste terre, Stella dei Valar. Conosco i sentimenti meglio di quanto tu creda. Inoltre, non sei l’unica a cui ho posto le mie domande.- E il suo capo ammiccò in direzione del Re degli Elfi, dietro di loro. -Thranduil è stato come un fratello per me, tempo fa. Può anche non crederci ma riesco a leggerlo meglio di chiunque altro. È innamorato di te… ed è giusto che entrambi ve ne rendiate conto.- Mormorò infine, guardando davanti a sé.
    Sillen respirò profondamente, cercando di calmare i battiti impazziti del suo cuore. Fece per ribattere ma Glorfindel le afferrò una mano, accelerando la sua andatura: -Guarda, Saccoforino. Dobbiamo salire per di qua.- Esclamò, indicandole un cartello di legno chiaro.
    Parve voler troncare lì la conversazione e lei non osò continuare, poiché l’espressione dell’elfo dorato si era fatta nuovamente più seria, in quel modo insolito che lei non si spiegava. Gli sorrise comunque, ricambiando la stretta della sua mano gentile.
    Era davvero fortunata ad avere al suo fianco un confidente così saggio.
    Thranduil, che per tutto il tempo aveva fissato i due alleati ridere e conversare davanti a lui senza poter ascoltare una parola, era oltremodo innervosito e, con modi piuttosto rudi, passò in mezzo a loro, costringendoli a separarsi di colpo: -Prima ci allontaniamo da questa bolgia, meglio è. Non perdiamo tempo.- Commentò, seccamente.
    Glorfindel scrollò la testa, sospirando, senza però voltarsi verso la stella che, invece, cercava il suo sguardo con fare agitato. 
    Meglio così, pensò l’elfo dorato, meglio che il Re degli Elfi cercasse di intralciarlo in ogni modo possibile.

   Poco dopo, la compagnia si fermò di fronte ad una casa hobbit dalla grande porta tonda, di un bel color verde bottiglia. Sulla cassettina della posta, sbiadita dalle intemperie, si poteva ancora leggere l’elegante scritta “Baggins”, confermando ai quattro che erano finalmente giunti a destinazione.
    Sillen fece un passo indietro, mordendosi il labbro inferiore: da quel momento in avanti, sarebbe toccato a Glorfindel parlare con coloro che lì abitavano e lei doveva farsi da parte.
    Infatti, l’elfo dorato tolse il cappuccio, liberando la lunga chioma e avanzando con eleganza. Divorata dalla curiosità, la stella gli tenne comunque dietro, incollata al suo mantello grigio.
    Persino da dietro la porta chiusa, i compagni riuscivano ad udire un discreto numero di voci e rumori molesti provenire dalla casa e si scambiarono sguardi interdetti.
    Finché Glorfindel non bussò alla porta, senza esitazione: per un secondo, i rumori nella casa cessarono, accompagnando la grande sorpresa dei suoi abitanti. Poi ci fu un movimento frenetico e numerosi passi si rincorsero verso la porta d’ingresso.
    Una considerevole quantità di “ahia”, “vado io” e “oggi tocca a me” si susseguirono, prima di vedere la porta verde aprirsi di colpo. Sillen e Glorfindel abbassarono automaticamente lo sguardo, ricambiando quelli limpidi e curiosi di ben cinque bambini hobbit, ammucchiati sulla soglia come topolini.
    Assurdo che riuscissero a fare tanto rumore solo in cinque!
    Quella che pareva essere la sorellina più grande sbarrò gli occhi e corse nuovamente dentro la casa, urlando a squarciagola:
    -Mamma, papà, c’è qualcuno di stranissimo alla porta!-
    Intanto, gli altri piccoletti erano rimasti pietrificati sul posto, intenti a fissare gli stranieri. Un biondino con i calzoni rattoppati indicò Glorfindel con un ditino: -Caspita, questo sì che è alto!- Per venir poi zittito da un’eloquente gomitata del fratello vicino.
    In effetti, quei bimbi erano talmente bassi da non arrivare al ginocchio dell’elfo davanti a loro. Una donnina dal grembiule infarinato fece capolino alla porta, raccogliendo i lunghi ricci color miele sulla testa: -Oh cielo bambini, non state tutti sulla porta! Ma cosa c’è? Su, spostatevi, fatemi passare!- E si affacciò.
    Quando si rese conto della presenza dei quattro viaggiatori, aprì la bocca rosa in una piccola O sorpresa: -B-buongiorno. Come posso esservi utile?- Sorrise, titubante.
    Glorfindel s’inchinò con deferenza, facendo arrossare ulteriormente le guance paffute dell’adorabile hobbit: -Il mio nome è Glorfindel, mia signora. Sono qui per conto dell’Alleanza riunitasi a Minas Tirith. Mi duole turbare la vostra quiete ma dobbiamo parlare con il padrone di casa.-
    Lei sgranò gli occhi verdi: -Ma certo! Prego, entrate, entrate!- E si scostò, aggiustando il vestito spiegazzato: -Perdonatemi per il disordine.- Sorrise e sospinse con gesti secchi i bambini, ancora attaccati alle sue gonne: -Via bambini, andate a giocare fuori. Gli adulti devono parlare di cose importanti.-
    Recalcitranti, i cinque piccoli hobbit si apprestarono ad uscire in giardino, lanciando occhiate poco rassicuranti ai nuovi arrivati. La madre, che li conosceva benissimo, li fulminò con lo sguardo: stavano tramando di nuovo qualcosa, era evidente. -Guai-a-voi- Sillabò silenziosamente, chiudendo la porta dietro di sé.
    Sillen si guardò attorno, sbalordita: la casa era più grande di quanto si fosse aspettata ma, naturalmente, era a misura di hobbit. Come Thranduil e Glorfindel, dovette procedere piegata in avanti, per evitare di sbattere la testa contro le volte tonde del soffitto.
    -Prego, di qui. Accomodatevi.- Indicò la donnina, affrettandosi a sistemare le sedie. Thorin si mosse comodamente nella saletta, quasi perfetta per lui: -Posso sapere il tuo nome, gentile signora?- Chiese, con un affascinante sorriso sul volto regale. La hobbit arrossì nuovamente: -Rosa. Rosa Cotton. Ma i gentili signori possono chiamarmi Rosie.- Sorrise, chinando la testa.
    -I vostri bambini sono davvero adorabili.- Aggiunse Sillen, cercando di farla sentire a suo agio nonostante la loro invadente presenza.
    Rosie agitò una mano: -Oh, grazie! Beh, fossero educati come i loro otto fratelli maggiori…- La Stella dei Valar spalancò nuovamente la bocca nell’udire quella notizia e Glorfindel soffocò una risata, divertito. -Dunque… Vado a preparare del tè freddo.- Sorrise imbarazzata Rosie, poi si dileguò nel corridoio con una leggera riverenza, lasciandoli soli nella saletta.
    Thranduil si accomodò a fatica sullo sgabello accanto alla finestra, piegando le lunghissime gambe in una posa decisamente scomoda: -Questo posto è soffocante.- Commentò, posando i gomiti sulle ginocchia.
    Sillen, con le guance nuovamente in fiamme, si accomodò a terra con le gambe incrociate, attenta a non scontrare niente, soprattutto lui: -Sembra di essere entrati in un mondo in miniatura.- Nonostante l’insolito rossore sul suo viso, la stella pareva davvero raggiante e Thranduil non poté fare a meno di rilassarsi lievemente, vedendola così allegra.
    Poco dopo, Rosie apparve nuovamente, questa volta seguita da qualcuno. Quando questi entrò, Glorfindel si aprì in un sorriso, che parve illuminare la stanza: -Mastro Gamgee. Quanto tempo è passato!- Lo hobbit davanti a loro sgranò gli occhi, sconcertato:
-G-Glorfindel di Gran Burrone! Siete proprio voi?-[2]
    Il magnifico elfo dorato annuì, portandosi una mano al cuore:
-Temo di sì. E questi alle mie spalle sono La Stella dei Valar, Re Thorin III Elminpietra e Re Thranduil, del Reame Boscoso.- Si abbassò un poco, per guardare lo hobbit in viso: -Veniamo da Minas Tirith portando domande, che esigono con urgenza delle risposte. Ma sono felice di dirti che il Re degli Uomini e i tuoi vecchi compagni ti mandano i loro più affettuosi saluti. Sarebbero voluti venire personalmente. Tuttavia, come puoi immaginare dalla nostra visita, le cose a Gondor si sono fatte complicate.- Samvise Gamgee, aggiustandosi le bretelle sulla camicia chiara, espirò rumorosamente: -Già, immaginavo davvero. Anche se sono molto felice di ricevere ospiti tanto illustri e tanto graditi.- E volse lo sguardo sugli altri, incuriosito.
    Il Re dei Nani e il padre del coraggioso Legolas che visitano la sua casa, chi l’avrebbe mai detto! E chissà chi era quella strana fanciulla che Glorfindel aveva chiamato “Stella dei Valar”.
    Thorin si avvicinò di un passo, attirando l’attenzione su di sé:
-Abbiamo sentito che sei Sindaco della città. Congratulazioni! Tu e i tuoi compagni mezz’uomini siete famosi anche tra la mia gente. Sono felice di poterti conoscere, Samvise l’Impavido!- Sam arrossì, balbettando: -N-non c’è bisogno di tanta cortesia! Vi prego, fate come se foste a casa vostra.-
    Si rivolse alla moglie, tentando di apparire rassicurante:
    -Noialtri mangeremo nello studio. Ho il sospetto che ci saranno molte cose da dire e non voglio turbare i bambini.- Rosie annuì, lasciandogli un bacio affettuoso sulla guancia prima di dirigersi nuovamente in cucina, sollevata dall’affidare la situazione in mano al marito.
    I compagni si sistemarono allora nello studio spazioso, guidati dal loro anfitrione.
    -Vossignoria desidera dell’erba pipa?- Fece Sam, rivolto al Re dei Nani, ben consapevole di quanto anche questi ultimi amassero fumare. Thorin ammiccò: -Di Pianilungone? Hai proprio buon gusto, Impavido!-
    Subito, Thranduil intrecciò le mani dietro la schiena, rompendo la momentanea atmosfera rilassata con cui l’accogliente casa aveva avvolto i viaggiatori: -Glorfindel, sbrigati a parlare e non perdere tempo. Non siamo qui per godere della nostra reciproca compagnia.- Commentò, altezzoso.
    Sam annuì, mortificato: -Scusatemi Vossignoria, sono tutto orecchie. Dunque, cosa accade ad Aragorn e ai miei amici, in questi tempi di pace?- Glorfindel prese posto difronte a lui, serio e cercò di riassumere gli accadimenti degli ultimi mesi in modo semplice e comprensibile, per quanto fosse possibile.
    A racconto terminato, Sam era senza fiato: -Tutto questo è davvero gravissimo. Persino una stella ora è giunta su questa Terra…- E lanciò uno sguardo titubante verso Sillen, deglutendo:
-Se fosse ancora vivo, il vecchio Gaffiere stenterebbe a crederci.- Commentò infine, grattandosi la zazzera di capelli biondi ormai screziati d’argento.
    Glorfindel sorrise, comprensivo: -Non lo biasimerei. Ma ella è qui ed è reale quanto me e te.- Avvicinandosi ai due, Sillen chinò la testa, mestamente: -È  un grande onore conoscerti, eroe della Terza Era. Mi dispiace coinvolgerti, date le gravi circostanze.-
    Ma Sam scosse velocemente una mano, colpito da tanta sincerità: -Nessun disturbo! Sarei felice di esservi utile. Avete parlato di un biglietto di Gandalf, che riguarda la Contea, giusto?- Ragionò, tentando di mantenere la calma.
    Glorfindel annuì, allungando la mano: -Ti prego di dirci tutto ciò che sai.- E lo hobbit prese il foglietto tra le mani, aprendolo con delicatezza. Lesse con attenzione, una, due volte, poi tornò a fissarli: -Siete davvero certi che questo sia il biglietto giusto?-
    Thranduil sollevò un sopracciglio, lo sguardo tagliente: -Credi avremmo attraversato metà Terra di Mezzo come dannati raminghi con il biglietto sbagliato?-
    Sam bofonchiò, chinando la testa: -Beh, chiedevo.- Quanta arroganza! Certo, era un Re, ma il padre del gentile Legolas era decisamente diverso da qualsiasi altro elfo avesse mai incontrato!
    Si rivolse nuovamente a Glorfindel, di gran lunga più cortese:
-Questo è il titolo di un libro di cucina molto comune, da queste parti. Un ricettario per famiglie altolocate, tra gli hobbit del Decumano Ovest.- Si alzò sui grandi piedi scalzi, seguito a ruota dalla stella: -E tu ne possiedi uno?- Domandò questa, speranzosa.
    Lo hobbit scosse la testa, affaccendandosi contro la libreria a muro: -No, ma questa casa non è sempre stata mia, signora Stella dei Valar. Apparteneva a Padron Frodo. Era un Baggins, uno hobbit di buona famiglia, parola mia! Sono quasi certo che suo zio Padron Bilbo, ai suoi tempi, avesse uno di questi libri: anche solo per buon costume, deve di certo averlo acquistato dalla stessa Myrtle Bracegirdle.-
    Sillen fissò la montagna di libri davanti a loro e strinse i pugni, risoluta: -Va bene, cerchiamolo.-


 
**
 
    I cinque bambini rientrarono per cena, affamati e rumorosi come sempre. Subito, curiosarono per casa, cercando allegramente i nuovi arrivati. Quando li trovarono, circondati da centinaia di libri, rimasero decisamente sorpresi.
    -Credo che il piano di Ruby sia saltato: hanno già mangiato. Niente lumache nello stufato…- Sospirò Primrose, una mano a torturare i ricci biondo cenere. -Non fa niente, gli rovesciamo i vasetti di formiche nei mantelli.- La rassicurò Tolman, il più giovane dei fratelli.[3] A quelle parole dolci, Robyn e Bilbo tirarono fuori due grossi contenitori di vetro, ricolmi di formichine nere:
-Ottima idea!-
    Subito, i due discoli più vicini alla porta della cucina sussultarono, mentre un improvviso dolore attanagliava le loro orecchie appuntite. Alzando lo sguardo, incontrarono gli occhi severi di Rosie Cotton, che li aveva afferrati senza tante cerimonie: -Qualcuno vuole proprio saltare la cena!- Al che, i cinque giovani Gamgee cominciarono a correre qua e là, implorando perdono.
    Rosie tentò di riacciuffarli, finendo solo per rovesciare i soprammobili del corridoio: -Accidenti, ma da chi avete ereditato questo spirito ribelle, voialtri!?-
    Nella sala accanto, Sam deglutì: aveva superato orchi, goblin, creature oscure e quant’altro ma non si sarebbe mai abituato alle sfuriate della sua amata moglie. Tornò a concentrarsi, sfogliando l’ennesimo libro pescato dalle profonde mensole.
    Glorfindel intanto, seduto con grazia sulla scrivania, lanciò un altro tomo nella pila dei “già visti”: -Quanti libri può possedere un hobbit?- Sospirò, esausto. Sam non poteva biasimarlo ma sorrise, allietato dai ricordi che quei volumi rievocavano: -Di solito pochi, ma Padron Bilbo era un amante della lettura! Ho imparato a leggere e scrivere proprio qui, con lui e Padron Frodo.-
    Thorin si sgranchì la schiena, flettendosi all’indietro: -Sì, commovente. Però, sono due ore che cerchiamo, forse siamo davvero nel posto sbagliato.-
    Sillen scosse la testa, immersa tra decine di volumi colorati: non si sarebbe arresa finché l’ultimo libro non fosse stato controllato a dovere.
    Thranduil, con fare falsamente annoiato, lasciò vagare lo sguardo sulle mensole di legno massello, sforzando la sua vista di elfo: quella situazione di stallo lo stava innervosendo e dividere la stanza con Sillen senza poterle parlare liberamente lo infastidiva più di quanto volesse ammettere.
    Scostò un paio di volumi, seguendo l’istinto e, finalmente, intravide quello che pareva proprio essere un ricettario. Lo tirò fuori delicatamente, osservando la copertina verde dagli sbalzi leggeri e i bordi frastagliati adorni di linguette sporgenti, che segnavano ordinatamente le lettere dell’alfabeto.
    Senza indugio, controllò la prima pagina e sentì una vaga incredulità pungergli la mente quando si accorse che il frontespizio era stato strappato via.
    Velocemente, afferrò il biglietto di Mithrandir, posato con cura sulla scrivania e si fece spazio al fianco di Glorfindel. Questo lo seguì con lo sguardo e, quando intuì ciò che stava per accadere, s’illuminò: -Sillen!- La stella corse al suo fianco, il battito accelerato e incontrò lo sguardo serio del Re degli Elfi.
    Con un gesto misurato, Thranduil avvicinò la pagina al bordo del frontespizio mancante, facendo aderire i due lembi irregolari.
    Per qualche secondo, rimasero in silenzio, rapiti da quella scena: -Combaciano.- Sussurrò Sillen, stringendo inconsciamente il braccio del Re al suo fianco. Thranduil le passò il libro, allontanandosi leggermente da lei: -Controlla, dunque.- Sillen non se lo fece ripetere e, chiedendo conferma al Portatore del Messaggio, si rigirò il libro tra le mani.
    Al centro del volume, uno spazio evidente lasciava intuire che qualcosa fosse rimasto tra le pagine e, speranzosa, Sillen lo aprì proprio in quel punto.
    Un foglio ripiegato più volte cadde con un fruscio pesante sul tappeto dello studio e i presenti trattennero il respiro. Samvise Gamgee si appoggiò alla sedia intagliata, sconvolto: -Roba da non credere! Ed era qui, a Casa Baggins!-
    -Avanti Glorfindel, aprilo!- Lo spinse Sillen, scocciata dal fatto di non poter agire in prima persona, questa volta.
    Glorfindel si affrettò, aprendo velocemente il foglio con impazienza crescente: -È una mappa…- Sussurrò, dubbioso, studiandola a fondo. -E c’è un messaggio, sul bordo.-
    Girò il grande foglio, cercando di interpretare quella scrittura sregolata e quelle frasi sconnesse, leggendo ad alta voce.

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    Se questa mappa è stata trovata, i saggi Ent hanno dunque intrapreso la loro marcia nel tempo più oscuro ed infausto: il Male è vicino e una battaglia è già cominciata.
    Ignoto portatore del potere più grande del tuo tempo, non conosco il tuo nome e mai potrò conoscerlo in questa vita, e pertanto non sono certo di quanto tu possa meritare il mio aiuto, ma è mio dovere avvertirti, poiché c’è qualcosa di antico che aspetta di essere trovato: l’Alfiere del Cielo è nascosto nel cuore della Terra.
    Lontano dal firmamento, lontano dalla luce, giace ciò che tutto può distruggere e tutto può salvare. Solo un’anima benedetta che è un’anima maledetta sarà accolta e tutto ciò che il mondo conosce, non sarà più.
    Ti chiederai come possa io conoscere questo mistero e con poche parole risponderò: incontrai questo antico potere nel luogo che ancora è mia tomba e mia culla, laddove perì lo Stregone Grigio e nacque lo Stregone Bianco. Conobbi l’Alfiere del Cielo ma, ahimé, esso non mi rivelò che le parole da me prima riportate, geloso della sua solitudine. Allora, il mio fato mi condusse altrove, poiché non ero colui al quale il suo segreto è destinato, ma in cuor mio so di non poterlo celare al mondo che tanto amo e che, con tanta forza, necessita di protezione.
    Non esultare, ignoto potente del futuro: forse nemmeno tu, chiunque tu sia, sei destinato a incontrare questa forza antica, e come me verrai allontanato. Spetta a te affrontare questa prova, di più non so dire.
Sento dentro di me, nel mio animo di Istar, di poterti affidare questo indizio ma ricorda: Bene e Male convivono in ogni cosa, senza eccezioni, e ad ogni azione corrisponde un’equa conseguenza.

Con tutto il mio spirito, buona fortuna

Gandalf



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    Sam si mosse appena, quasi come avesse paura di respirare ancora: -Tutto misteri ed enigmi. È proprio una lettera di Gandalf!- Sillen crollò seduta sul tappeto, incredula: -L’A-Alfiere del Cielo?-
    Glorfindel scosse la testa, cercando di essere il più razionale possibile: -Credevo fosse una vecchia leggenda ma… Mithrandir parla chiaramente, lui l’ha trovato.- E girò la mappa davanti a sé, in modo che tutti potessero vederla: -E si trova nelle viscere delle Miniere di Moria. La mappa conduce molto in profondità, ben più al di sotto dell’antica Khazad-dûm.-
    Thorin III si passò una mano sul viso, meditabondo: -Quel luogo è ancora abbandonato e oscuro. Tornarci è rischioso, per non dire folle!- Ma l’elfo dorato, questa volta, parve più serio e risoluto, quasi emozionato: -Gli Ent sono antichi come questa Terra e non avrebbero consegnato il messaggio all’Alleanza con tanta leggerezza. L’ora è giunta, Pallando potrebbe divenire presto un nuovo Oscuro Signore. Non possiamo permettere che infuri un'altra infinita guerra! Finché siamo in tempo, finché Gondor può resistere e proteggere la Terra di Mezzo, dobbiamo agire.-
    Sillen strinse istintivamente il ciondolo violetto tra le mani, tesa come la corda di un arco.
    Moria si trovava ad Ovest: il luogo da cui proveniva quel richiamo sordo nella sua testa, si trovava ad Ovest.
    Non poteva essere una coincidenza.
    -Glorfindel ha ragione. Dobbiamo rischiare.-
    Thranduil, immerso nei suoi pensieri, sospirò pesantemente:
-Questo Alfiere, ha una storia singolare. Ma ora che la rammento, riguarda anche le stelle, Sillen. Non può essere un caso.- La stella sollevò lo sguardo, allibita, incontrando i suoi occhi adamantini.
    Il buon Sam, infervorato da tutte quelle scoperte, agitò le mani, balbettando ad alta voce: -Gandalf la raccontò una sera, alla festa del Giorno di Mezzo Anno!- E si tappò la bocca, conscio di aver appena interrotto il Re degli Elfi: -S-scusate Vossignoria, non mozzatemi la lingua. Giuro che la annoderò io stesso!-
    Ma Thranduil non parve infastidito, anzi, lo degnò persino di un cenno garbato, prima di tornare a guardare la stella: -Di questi tempi, rimangono in pochi a conoscere l’Alfiere del Cielo. La sua storia è legata alla creazione della Terra di Mezzo. Originariamente, Arda nacque come un singolo mondo piatto e i Valar crearono Due Lampade per illuminarlo, Illuin e Ormal.-
    Glorfindel continuò, immerso nel racconto: -Poi Melkor le distrusse e i Valar abbandonarono quelle terre oscure per migrare a Ovest, nella nuova Aman. Il luogo rimasto indietro, a Est, era proprio la Terra di Mezzo. Lontana dalla luce dei Due Alberi piantati a Valinor, la Terra di Mezzo rimase avvolta nell’oscurità, sotto un cielo popolato da distanti e fredde stelle.-
    Thranduil annuì, riprendendo la parola con trasporto: -Melkor distrusse anche i Due Alberi, lasciando ai Valar solo due dei loro frutti. Da essi, i Valar ricavarono prima l’astro della Luna, Tilion, protettore degli Elfi, e poi il Sole, Arien, simbolo degli Uomini.[4] Essi furono slegati da ogni vincolo terreno, liberi di seguire il loro percorso e illuminare i giorni e le notti della Terra di Mezzo. Nessuno poteva prevedere ciò che sarebbe accaduto in seguito.-
    Thorin III, rapito da quel racconto che nemmeno lui conosceva, sedette pesantemente accanto alla stella che, a bocca aperta, fissava i due elfi come una falena attirata dal fuoco.
    Glorfindel sorrise, rivolgendosi a Samvise L’Impavido: -Vai avanti, Sam.- E questo, colto di sorpresa, si raddrizzò velocemente, scandendo ogni parola con voce alta e solenne.
    -Perché Melkor, conosciute le nuove creazioni dei Valar, ne fu profondamente invidioso e volle a tutti i costi rapire Arien, il Sole. Non immaginava che Tilion, l’astro della Luna, fosse profondamente innamorato di Arien! Egli, infatti, furioso e disperato, chiese alle stelle di fabbricare per lui un artefatto potentissimo, in grado di liberare il suo amore dalle catene cui Melkor l’aveva costretto. Allora le stelle, proprio in quell’occasione, gli donarono l’Alfiere del Cielo. Nessuno sa per certo cosa fosse ma riuscì davvero a liberare Arien! Purtroppo, il suo potere era troppo grande perché Tilion riuscisse a governarlo a lungo, dunque l'astro tentò di restituirlo alle stelle, in modo che esse potessero distruggerlo, così come l’avevano creato.- Poi si grattò la testa, imbarazzato: -Io ricordo solo fino a qui, Vossignoria.-
    Glorfindel annuì, soddisfatto: -È ovvio, quest’ultima parte è rimasta segreta a molti, persino in passato. Ad ogni modo, le stelle non vollero sigillare il potere dell’Alfiere, troppo orgogliose della loro creazione ed esso, offeso dal rifiuto di Tilion e Arien, si lasciò cadere sulla Terra di Mezzo, conficcandosi nelle sue viscere e giurando al cielo che mai più avrebbe riportato alla luce il suo immenso potere.-
    Sillen affondò le mani tra i capelli, reggendosi la testa: -Tutto questo è davvero assurdo. Un artefatto leggendario… Come potremmo noi sfruttarlo?- Si chiese, mesta.
    Glorfindel sentì uno strano calore invaderlo e sorrise, involontariamente. Piegare un potere tanto immenso e antico era difficile, molto difficile, ma lui era nato durante gli Anni degli Alberi e, adesso, era l’unico essere in grado di farlo.
    L’unico che meritasse tale onore.
    E, come a conferma di ciò, riconobbe senza difficoltà il fuoco che si era acceso dentro di lui: il guerriero dorato avrebbe avuto la sua rivalsa.
    Thorin III Elminpietra strofinò le grandi mani, deciso: -Beh, tanto dobbiamo andare a vedere. Ormai siamo arrivati qui!-
    Lanciò uno sguardo ammiccante in direzione della stella: -Per fortuna sono venuto con voi! Chi meglio di un nano può guidare una spedizione sotto terra?!- E rise di gusto, allentando un poco la tensione che aveva assalito la compagnia.


 
**

    Sam indicò alla stella la sua sistemazione, sorridente: -Ecco, spero che questa stanza sia di vostro gradimento, signora Stella dei Valar.- Era una stanza piuttosto spoglia, con una panca, un letto dal materasso visibilmente alto e soffice e un treppiedi come appendiabiti, ma era davvero graziosa.
    Lei posò una mano sulla spalla del padrone di casa, intenerita:
-Ti ringrazio Sam. Chiamami Sillen, d’ora in avanti. Siamo compagni, giusto?- Lo hobbit gonfiò le guance tonde, solenne:
-Certo che lo siamo, signor- volevo dire, Sillen!- E, dopo un breve inchino, zompettò emozionato nel corridoio, i grandi piedi coperti di peli che quasi non toccavano terra.
    Per essere un simpatico hobbit di mezz’età, pensò Sillen, era davvero energico!
    Poi si passò una mano tra i capelli, tirando le onde scure dietro le spalle, con un gesto stanco. Quel viaggio si era rivelato di enorme portata, ancor più di quanto avrebbe mai immaginato la sua vivida fantasia. Persino il sospettoso Glorfindel si era dovuto ricredere, e ora pareva ancor più in fibrillazione di lei all’idea di trovare il tanto misterioso Alfiere del Cielo. Anche se, a rigor di logica, non era certa nemmeno l’esistenza di quest’ultimo.
    Tuttavia, le voci nella testa della stella -ora lontane, svanite- parevano indicare un’altra cosa: l’avevano attirata verso quel viaggio molto tempo prima della notizia di Gandalf il Grigio.
    Senz’ombra di dubbio, Alfiere o meno, laggiù c’era qualcosa che riguardava lei. Qualcosa che aspettava di essere trovato.
    E Sillen non aveva idea di quanto questo potesse essere un bene.
    Sospirando, la stella si apprestò a entrare nella piccola stanza quando, improvvisamente, si sentì afferrare e tirare indietro.
    L’urlo le morì in gola quando realizzò di essere sola, di nuovo, quando quella era la prima ed unica cosa che avrebbe dovuto evitare con cura.
    Bene, tanti saluti all’Alfiere, sarebbe morta prima.
    Invece, la stretta che l’aveva ghermita non le fece affatto male, e il corpo premuto contro la sua schiena non accennò alcun movimento pericoloso.
    La voce di Thranduil le arrivò dall’alto, sopra la sua testa, attutita dai suoi stessi capelli corvini: -Ti ho già detto che non devi stare da sola. Perché non ascolti mai? Sei davvero irritante.- Sussurrò lui, il tono tanto caldo da farle cedere le gambe.
    -Mhm, questa volta… hai ragione.- Biascicò Sillen, tentando di tenere a freno il suo cuore, che batteva a ritmi disumani contro il suo petto.
    Da quando Glorfindel si era divertito a prenderla in giro con le sue allusioni, ogni sguardo rubato al Re degli Elfi la faceva arrossire come una stupida, figurarsi questo!
    Quando sentì le mani dell’elfo scivolarle lungo le braccia in una carezza rilassata, si allontanò con un balzo, tutto fuorché discreto. Si voltò lentamente, sforzandosi di sostenere lo sguardo penetrante del Re.
    -Devo parlarti di una cosa.- Cominciò, facendosi forza. Lisciò meccanicamente la camicia chiara, passando una mano sul collo arrossato, ancora segnato da una vistosa cicatrice: -Temo di non aver chiarito alcuni dettagli, ieri.-
    Thranduil entrò a sua volta nella stanza, abbassando la fastidiosa luce delle lampade a olio attaccate alle pareti: -Mhm, ti ascolto.- Disse, incolore.
    Lei lo seguì con lo sguardo, tormentandosi la collana in mithril.
    Non che si aspettasse una situazione meno tesa, ovviamente.
    -Tu sai che ho visto quell’altra mentre stavo facendo il bagno.- Si schiarì la voce, davvero a disagio per la prima volta nella sua vita. Maledizione a Glorfindel e alle sue maliziose frecciatine: sembrava tutto così… eccessivamente intimo!
    Alle sue parole, il Re degli Elfi s’irrigidì leggermente ma non la interruppe. Così, Sillen si ritrovò a chiudere gli occhi, per cercare di concludere quell’assurdo discorso: -Non era nemmeno la prima volta che la scorgevo, a dire la verità, ma questa è un’altra storia. Quello che voglio dire è che, sì, c’era Glorfindel.- Respirò a fondo, tremando leggermente per lo sforzo di non arrossire di nuovo: -Ma non come credi tu, Thranduil. Lui era lì vicino per portare la cena, come tantissime altre volte ha fatto! Non stava… facendo il bagno con me.-
    Si fece più convinta, stringendo i pugni con fervore: -Mi ha solo salvata da un’innaturale annegamento, tutto qui! Non c’è stato niente tra di noi, niente di quello che puoi aver… erroneamente dedotto.- E si azzardò ad aprire gli occhi.
    Thranduil la stava guardando con una strana espressione, indecifrabile e incredibilmente nuova. Sillen, infatti, non l’aveva mai vista.
    -Hai capito?- Lo incalzò, sperando che dicesse qualcosa.
    Il Re degli Elfi la fissò per qualche secondo, assorbendo quelle maldestre parole una a una, fino ad imprimerle nel suo animo irrigidito dal tempo.
    Scocciata dal suo silenzio, Sillen si avvicinò, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo più vicino: -Parla, avanti! Hai capito quello che ho detto? Non ho mai nemmeno pensato a certe cose, te lo posso giurare. Dì qualcosa, ti preg- E le parole le rimasero bloccate in gola quando sentì le labbra dell’elfo premere sulle sue.
    Questa volta, non fu un bacio irruento, passionale e distruttivo; fu un bacio dolce, tenero, quasi timido, che le fece istintivamente salire le lacrime agli occhi. Si strinse a Thranduil, abbracciandolo con la stessa dolcezza con cui lui la stava accarezzando.
    -Non m’importa.- Le confessò l’elfo, sulle labbra, senza curarsi di infrangere tutte le sue maschere fatte di orgoglio, possessività ed egoismo: -Non mi sarebbe importato ciò che hai fatto con lui. Avrebbe fatto male, dannatamente male, ma non avrebbe cambiato ciò che provo. Ti avrei voluta allo stesso modo.-
    Sillen sgranò gli occhi, sorpresa da quelle parole così sentite e, ancor di più, da quella voce calda dal tono irresistibilmente carezzevole. -Non volevo ferirti.- Rispose, sprofondando in quegli occhi chiari come specchi d’acqua trasparente.
    Thranduil annuì, accennando un sorriso; forse il primo vero sorriso dopo un’indefinita serie di pieghe infastidite e distanti. Era felice e non riusciva nemmeno a capacitarsene.
    Sillen si rilassò in quell’abbraccio, senza fretta o timore, godendo del calore dell’elfo che penetrava nella sua pelle fredda.
    -Partiamo prima di mezzodì. Dovresti dormire.- Le ricordò lui, dopo un po’. La stella si riscosse da quel piacevole torpore, sollevando lo sguardo: -Credo sia meglio, sì. Non voglio esservi di peso, durante il viaggio.- Lui, accennando un altro lieve sorriso, la squadrò con fare critico: -Sarai un peso, inutile umana. Ma andrà bene lo stesso.- E la sospinse verso il letto, irremovibile: -Ora dormi, avanti.-
    Lei guardò prima lui, poi il letto, infine di nuovo lui: -Non posso rimanere da sola. Quindi dormi qui anche tu, giusto?- Il Re degli Elfi si appoggiò alla parete dietro di sé, incrociando le braccia al petto ampio: -Io rimango ma non dormirò. Sai che noi Elfi non abbiamo bisogno di riposare allo stesso modo degli Uomini, no?-
    Sillen annuì, scalciando via gli stivali e le placche addominali per infilarsi sotto le coperte. Tanto era sicura di non riuscire minimamente ad addormentarsi, con lui a due passi di distanza.
    Lo guardò di sottecchi, mentre anche lui chiudeva gli occhi per rilassarsi. Era troppo bello per essere vero. Troppo irreale, magico, nostalgico, emozionante! E perché adesso voleva alzarsi e tornare a baciare quel dispotico e meraviglioso elfo che tanto le rendeva la vita complicata?
    Involontariamente, osservò quello spettacolo con gli occhi spalancati, rendendosi conto di quanto le frecciatine fastidiose dell’elfo dorato avessero attecchito nel suo animo: seguì la linea elegante del collo dell’elfo, fino alle clavicole squadrate, che sparivano nella camicia candida come la neve. Rimase impigliata con il pensiero tra quei fili argentati che gli incorniciavano selvaggiamente il volto affilato, liberi dalla rigida corona del Reame Boscoso. Desiderò essere di nuovo stretta tra quelle braccia forti, vicina al suo corpo slanciato ed elegante. Studiò avidamente le linee muscolose delle sue gambe lunghe, spudoratamente fasciate negli stretti pantaloni di pelle scura.
    Rossa come un pomodoro maturo, tirò automaticamente le coperte davanti al viso, tanto che rimasero fuori solo il suo naso dorato e i grandi occhi viola, sgranati nella loro muta contemplazione. Dopo qualche secondo di silenzio, notò un piccolo spasmo del sopracciglio definito del Re.
    -Smettila di fissarmi, Sillen.- La riprese lui, senza aprire gli occhi, con una nota divertita nella voce. Invece che difendersi o negare, Sillen parlò automaticamente, rimpiangendolo subito dopo: -Se voi elfi non avete bisogno di dormire come gli uomini, perché tu hai un letto così grande e spazioso, nella tua camera?-
    Si sarebbe schiaffeggiata da sola.
    Thranduil riaprì gli occhi chiari, che la trafissero come lingue di fuoco e alla stella non sfuggì il suo violento irrigidirsi. Deglutì, consapevole ancora una volta di quanto fosse immatura, ingenua e avventata.
    L’elfo si costrinse a rimanere immobile, sapendo bene dove i suoi gesti l’avrebbero portato se avesse osato muoversi: dopo tutto il disumano sforzo che aveva compiuto per permetterle di andare a dormire, quella donna osava domandare una cosa simile?
    La vide stringere le labbra e voltarsi rapidamente, dandogli le spalle: -Come non detto, buonanotte Thranduil!-
    Nonostante la spossatezza, quella notte Sillen impiegò più tempo del solito, per addormentarsi.
     


 
 
[1] Primo venerdì del mese: secondo il Calendario della Contea, nessun mese incomincia mai di venerdì. Tra gli Hobbit è quindi un'espressione scherzosa parlare di "venerdì primo del mese", riferendosi ad un qualcosa di assai improbabile o inesistente. L'espressione completa è "venerdì primo Trappolaio", dove il mese di "Trappolaio" è anch'esso inesistente. XD Grazie Tolkienpedia per queste perle, hannon le!
 
[2] Sam conosce l’aspetto di Glorfindel, poiché mi sono attenuta all’episodio del libro dove è lui in sella ad Asfaloth (e non Arwen Undomiel) a condurre Frodo oltre il Brùinen. Inoltre, Glorfindel ha assistito al Consiglio di Elrond ed era presente nella delegazione di Imladris, sia durante la cerimonia di incoronazione di Elessar che per il suo seguente matrimonio con Arwen: di sicuro, bello com’è, non è passato inosservato proprio per nessuno >w<
 
[3] I figli di Sam e Rosie: in tutto sono tredici! Ebbene sì, dalla primogenita Elanor la Bella (nata nel 3021 T.E) al piccolo Tolman (nato invece nell’anno 21 Q.E, dunque in questa storia ha appena 8 anni :3) Se vi fa piacere saperlo, tutti i loro nomi, dalla maggiore al minore, sono Elanor, Frodo, Rosa, Merry, Pipino, Cioccadoro, Hamfast, Daisy, Primrose, Bilbo, Ruby, Robin e Tolman. Sam, inoltre, viene eletto Sindaco della Contea per sette volte consecutive (il mandato singolo conta ben sette anni, quindi lo è stato per 49 anni!)
 
[4] La leggenda di Arien e Tilion si trova in un passo tratto dai lavori del Professor Tolkien, presente in parte anche nel Silmarillion.



 


N.D.A

Ciaoo! Da quanto tempo XD

Ben tre settimane sono passate, dall’ultimo capitolo! Spero che la lunghezza di questo nuovo passaggio sia un buon modo per chiedere scusa T^T
Che faticaccia tirare le fila della storia ma prego davvero che tutto stia continuando sulla giusta strada, con chiarezza e linearità. So che i “colpi di scena” possono confondere o infastidire, quindi non fatevi problemi a chiedere o criticare ciò che non vi è chiaro o non vi è piaciuto :D
Sono davvero felice di essere giunta fino a qui, quest’ultimo pezzo sarà intenso per me e spero anche per voi, ora che volgiamo agli avvenimenti risolutivi! Fatemi sapere cosa ne pensate ;)

Intanto ringrazio chiunque sia arrivato sino a qui, ha letto la storia, l’ha seguita, preferita o ricordata e un abbraccio a chi si è fermato a commentarla e recensirla!
Un grazie speciale a Kaiy-chan, che mi ispira con la sua meravigliosa storia e mi sprona a fare del mio meglio con le sue puntuali ed immancabili recensioni <3
E un bacio grandissimo a Chiara e ai suoi audio epici, che mi fanno morire dal ridere e mi riempiono di orgoglio ed entusiasmo. Condividere queste avventure con te è fantastico! <3

E per oggi è tutto, ci vediamo nel prossimo capitolo!

Con affetto,
Aleera

 
 
   
 
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