Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miss_Fantasy    05/01/2021    1 recensioni
Solo un sogno.... che non realizzerò mai o forse sì.....
Un ragazzo disabile. Un sogno. Un incontro. Tanti casini.
(Questa storia è collegata a "Tutta colpa di Kurama!!!!" ma se si vuole si può anche leggerla singolarmente)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg
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Apro gli occhi e li sbatto più volte per mettere a fuoco la stanza. Una volta che capisco di essere nella mia stanza, mi stiracchio sbadigliando e scivolando con poca grazia fuori dalle coperte per poi dirigermi con passo strisciato verso il bagno.

-Mi fanno male le gambe…- mi lamento mentre con non poca fatica mi siedo sullo sgabello che ho posizionato davanti al grande specchio che abbiamo in bagno. Dopo essere sicuro di essere quanto meno presentabile, decido di scendere e vedo che non c’è nessuno.

-Sophie! Julien! Siete in casa?!- chiamo a gran voce per farmi sentire, ma non ricevo nessuna risposta. Vedo sul tavolo un biglietto che mi dice che entrambe sono uscite e che ci vedremo stasera. Guardo l’orologio che segna le undici del mattino, ma ho un leggero languirono… così decido di prepararmi qualcosa come il caffellatte.

-Mio dio, che freddo!!- dico ad alta voce mentre alzo la temperatura della casa. Il fatto che io parli da solo non è una cosa rara, anzi, lo faccio quasi sempre quando sono solo per tenermi compagnia oppure metto su la musica classica. Accendo la televisione che ho collegato con il mio account di Youtube, e mi metto a cercare della musica da ballo, ma in quel momento mi viene la voglia risentire la canzone che ho sentito al concerto e con un po’ di titubanza scrivo il nome del gruppo; però mi ricordo che non so il nome della canzone. Potrei chiedere ai miei fratellastri o amici ma non voglio che si facciano strane idee; siccome non so a chi chiedere, lascio aperta la schermata di ricerca mentre mi prendo le cose per la colazione pensando a chi chiedere senza che faccia troppe domande. Per sbaglio inciampo nel mio tripode che mi fa perdere momentaneamente l’equilibrio, ma proprio all’ultimo riesco a riprenderlo in qualche modo e tiro un sospiro di sollievo.

Metto su il caffè come mi ha insegnato Sophie per poi cercare di prendere la mia tazza preferita, che però si trova in alto. Così per raggiungerla mi devo allungare fino a mettermi in punta di piedi; il che è particolarmente pericoloso dato che non ho molto equilibrio, ma in quel momento succede cioè che temevo e mi cade la tazza sul pavimento, rompendosi in mille pezzi.

-Verdammt!!- impreco mentre mi inginocchio per prendere i cocci della tazza, ma in quel momento sento il capannello suonare e, preso dallo spavento, mi ferisco con uno dei cocci filati. Decido di aprire la porta, nonostante il dolore alla mano e il fatto che sanguini.

-Oi! Tutto ok? Ho sentito il rumore di vetri che si rompevano- mi chiede il mio vicino, Levi, con voce piatta e il volto più inespressivo che io abbia mai visto. Nel mentre io nascondo la mano che sanguina dietro la schiena.

-No, no tranquillo!!- gli rispondo, sventolando la mano. Solo allora mi ricordo che quella mano sanguina. Lo sento afferrarmi la mano delicatamente per non farmi male, per poi guardarla per qualche secondo.

-Sei in casa da solo?- chiede senza troppi giri di parole e io, che sono ancora mezzo scemo per colpa del suo tocco, semplicemente annuisco. Lui in tutta risposta, mi prende in braccio come se non pesassi niente e mi posa delicatezza sul divano. 

-Hai per caso un kit di pronto soccorso in casa?- mi chiede, mentre mi riprendo per poi assumere uno sguardo truce.

-Perché sei qui? Cosa vuoi da me?- ribatto freddamente. Lui si blocca per qualche secondo e si gira verso di me sempre con il suo volto inespressivo; tra di noi c’è una battaglia di sguardi.

-Vedo che sei sempre molto simpatico e gentile con le persone che ti vogliono aiutare- mi dice in modo sarcastico, incrociando le braccia, per poi guardarmi alzando un sopracciglio.

-Non la voglio la tua schifosa compassione, né la tua né quella di nessun altro- gli rispondo facendo una smorfia. Odio quando mi guardano come se fossi un cane bastonato e sono gentili solo perché sono disabile. 

-Non c’è nessuna compassione da parte mia. Hai semplicemente fatto un casino che si è sentito fino a Shinjuku, e mi sono allarmato. Tutto qui- mi risponde in modo inaspettato e decido di abbassare un pochino l’ostilità che si era formata fra di noi, ma rimango sempre in allerta. 

Gli dico dove può trovare il kit, che va a prendere, per poi medicarmi bene la mano. Lo guardo in silenzio perché sembra molto concentrato su quello che sta facendo. 

-Oh, allora suppongo di doverti ringraziare...- gli dico imbarazzato per via del fatto che mi abbia dovuto medicare e la scenata. Il moro annuisce, ma non dice niente. Poi tra di noi c’è un silenzio imbarazzante e lui si mette a raccogliere i pezzi della tazza con le mani.

-Ehi!! Guarda che non devi... me la so cavare da solo- gli faccio mentre mi affretto a raggiungerlo. Mi guarda mentre prendo un sacchetto per metterci dentro quello che ne rimane della tazza.

-Hai una scopa?- mi chiede mentre si guarda intorno, e io gli dico dove si trovano gli oggetti per pulire in casa. Non torna subito e sto per andare a cercarlo, quando lui torna con una faccia contrariata.

-Cosa c’è?- chiedo preoccupato. Il moro serra le labbra in una linea con lo sguardo truce di chi sarebbe capace di ucciderti senza problemi.

-Chi pulisce qui?- mi chiede senza neanche rispondere alla mia domanda. Sbatto gli occhi più volte confuso perché non credo di aver capito bene.

-Dipende... da chi tocca per quel giorno...- gli rispondo piuttosto confuso. Sta per rispondere, ma la TV mi avverte che ho lasciato Youtube aperto e se lo voglio chiudere. Mi alzo per prendere il telecomando per spegnere la TV, e Levi mi segue con lo sguardo come per controllare che non mi faccia male, ma non appena vede che sulla barra di ricerca si trova cercato “No Name”;  noto che il suo sguardo si assottiglia di più. Di solito non osserverei con la coda dell’occhio una persona, però in qualche modo il fatto che lui mi guardi mi riassicura molto… o forse sono io che sono paranoico, e penso che mi stia fissando.

-Sei un fan dei No Name?- mi chiede, mentre raccoglie i cocci rotti con la scopa. All’inizio non capisco e rimango un attimo in silenzio per capire esattamente cosa mi ha chiesto… poi scoppio a ridere senza ritegno.

-No, no… solo che qualche giorno fa sono stato a un loro concerto e lì, ho ascoltato una canzone che mi ha colpito particolarmente, ma non so il nome. Ti svelo un segreto: prima di andare al concerto non sapevo neanche chi fossero. Credo che le loro fan non la prenderebbero molto bene- gli spiego mentre mi tengo lo stomaco per le risate. Lui sembra più tranquillo, ma è difficile da dire visto che il suo volto non ha espressione. 

-Sai, più o meno, quando l’hanno cantata?- mi chiede mentre finisce di buttare i pezzi in un sacchetto a parte, che chiude subito dopo. Mi si avvicina e mi prende il telecomando dalle mani. Poi si siede elegantemente sul mio divano con le gambe accavallate; io rimango interdetto per qualche minuto perché non me l’aspettavo che si sedesse sul mio divano senza il mio permesso.

-All’inizio. Ma è anche l’unica che ho veramente ascoltato, dopo mi sono messo a disegnare e quindi il resto del concentro mi ha fatto da sottofondo più che altro- ammetto con tutta naturalezza e la cosa mi spaventa tanto, perché gli sto parlando come se ci conoscessimo da anni; la cosa non va assolutamente bene.

-Mh...- mugugna lui trafficando con il telecomando e digitando qualcosa velocemente su i tasti digitali della TV. 

-La canzone si intitola: “Kneel down, pigs”; è la loro canzone più famosa- mi informa mentre gioca distrattamente con il suo telefonino. 

-Grazie! Ma come fai a conoscere le canzoni dei No Name?- lo ringrazio e lui incrocia le braccia la petto, alza le spalle e poi mi guarda come se avessi detto qualche idiozia… ma capisce che davvero non lo so. Mi mordo il labbro inferiore in modo nervoso.

-Be’ sono molto famosi ed è normale come cosa… Hanno distrutto ogni record nell’ambito musicale e sono il gruppo più discusso o amato del momento- mi spiega, prima che possa anche solo scusarmi per la domanda. Mi sento un idiota e il suo volto inespressivo non aiuta per niente. Sto per dire qualcosa, ma il mio stomaco mi avverte che non ho ancora mangiato mentre divento rosso come una fragola matura. Così decidiamo di spostarci sul tavolo, però lui vuole andare via per lasciarmi fare la colazione in pace… ma con la scusa di volerlo ringraziare come si deve, riesco a farlo restare ancora un po’. Gli offro una tazza di tè, che lui prontamente rifiuta, e io continuo ad insistere per un pochino.

-Scusa, ma non prenderò mai niente da questa casa finché non avrò la certezza che sia immacolata- mi risponde in modo molto diretto che mi lascia spiazzato. Lui sospira, come se fosse irritato da qualcosa, e si porta la mano destra dove si trova la radice del naso, come se stesse pensando a come rispondermi.

-Come te lo posso spigare in modo semplice... sono germofobico; vuol dire che in sostanza odio i germi, i batteri e tutte le altre cose che hanno a che vedere con lo sporco. Non ho una forma grave di germofobia, ma preferisco evitare il più possibile di entrare in contatto con lo sporco- mi spiega. Poi tra di noi scende un silenzio imbarazzante e dico la prima cosa che mi viene in mente in questo momento.

-Allora, perché quel giorno sul treno mi hai aiutato a salire?- gli chiedo mentre piego la testa di lato leggermente. Il moro sospira di nuovo come se si aspettasse la mia domanda.

-Per due ragioni: uno, perché avevi bisogno di una mano e due, come già detto prima, sono germofobico ma non a un livello così grave- mi risponde, dopo aver preso un respiro profondo. Poi mi guarda negli occhi con insistenza mentre il blu opaco si mischia al mio verde-blu. Vorrei poter distogliere lo sguardo, ma i suoi occhi sono così ipnotici che non riesco a farlo.

-Ho una domanda: com’è che quella sera eri da solo? I tuoi amici non ti potevano accompagnare?- mi chiede senza mezzi termini e io mi ridesto dal mio stato di trance. 

-Non credi che me la possa cavare benissimo anche senza aiuto?!- ribatto indignato e lui semplicemente alza le mani.

-No, stavo dicendo solo che è un bel po’ distante Shinjuku da qui con i mezzi e con qualcuno che ti dava una mano sarebbe stato tutto più semplice, no?- mi fa notare. Per quanto mi dispiace ammetterlo, ha ragione… ma mi sono sentito libero e indipendente da tutti o tutto; lo rifarei un milione di volte pur di sentirmi di nuovo così libero.

-Ero con degli amici, ma ho voluto tornare a casa da solo... Ho voluto farlo per provare quello che provate voi ogni giorno... mi sento sempre un peso quando esco con loro...- gli rispondo senza pensarci troppo. Abbasso gli occhi, come se in qualche modo il fatto che possa essere visto negli occhi mi renda vulnerabile, quando mi accorgo di quello che ho appena detto.

-Mi dispiace, mi sono fatto trasportare- cerco di giustificarmi mentre muovo le mani freneticamente. Lui mi osserva, ma non dice niente. Cambiamo discorso parlando di noi, di quello che facciamo nella vita, dei sogni e delle nostre speranze, o meglio, io parlo senza sosta come se stessi sputando fuori tutto quello che mi tengo dentro da troppo tempo… mentre lui si limita ad ascoltarmi, annuendo di tanto in tanto, o rispondendo brevemente alle domande che gli pongo.

Scopro che ha 23 anni e che quindi è più grande di me di cinque anni. È nato in Francia ed è un dottore, ma mentre stiamo parlando il suo telefono suona.

-Cosa c’è?!- risponde lui piuttosto adirato mentre si alza e comincia a camminare avanti e dietro. Intanto io bevo qualche sorso del mio caffè ormai freddo. 

-Sì, sì, ho capito!! Sto arrivando, cazzo!! Sì, ho ricevuto, pezzo di merda!!- risponde lui, chiudendo la chiamata in malo modo. Lo guardo stupito, sbattendo le ciglia più volte. 

-Scusa, moccioso, ma devo andare, sai com’è; lavoro è lavoro- mi dice mentre si dirige verso la porta e io mi affretto a raggiungerlo.

-Ehi! Io non sono un moccioso!!- ribatto dai miei cinque centimetri di altezza in più mentre Levi mi guarda con uno sguardo glaciale. 

-Sono più grande di te, quindi sei un moccioso. Piuttosto, dimmi: sarai in casa da solo tutto il tempo?- mi chiede sulla soglia di casa, non ho ancora avuto modo di sentire le mie coinquiline stamattina.

-Non lo so- confesso. Lui non dice niente e poi rientra in casa per prendere il sacchetto dove ci sono i pezzi della tazza rotta, lasciandomi confuso dalla situazione. Dopo torna da me come se nulla fosse. 

-Capisco... Ah, questo lo prendo io. Dammi il tuo numero così se ci sono problemi, mi chiami- mi spiega. Rimango interdetto e decido di non fargli perdere altro tempo discutendo, perché potrebbero esserci dei morti in sala operatoria mentre discutiamo. Prendo il telefono di fianco ai fornelli e mi appoggio al muro con la schiena perché mi fanno male le gambe per il troppo stare in piedi. 

-Questo è il mio numero- gli dico mentre gli passo il telefono. Se lo salva velocemente per poi andarsene, ma a me spunta una domanda che mi è entrata nella mente e non riesco a cacciarla via.

-Scusa la domanda, ma come hai fatto a sentire la tazza che si rompeva?- gli esprimo la mia perplessità senza pensare.

-Stavo tornando perché ho portato giù la spazzatura e ho sentito dei rumori provenire da qui, così sono venuto a controllare. Ma ora è meglio che vada, ci si vede, moccioso- mi spiega. Mi sento un idiota perché ora che ci penso… ci potevo arrivare. Lui se ne va salutandomi con un cenno della mano, mentre io rimango vicino alla porta cercando di capire cosa sia appena successo. Scuoto la testa in segno di arresa e chiudo la porta, cercando di attenermi al mio piano di oggi. Dopo cinque secondi mi arriva un messaggio da un numero sconosciuto.

Sconosciuto [12:30]

Oi, moccioso! Pulisci i piatti e i bicchieri che sono uno schifo nel mondo. E vedi di non rompere altre tazze, che se no dopo sarà un casino pulire.

Ridacchio mentre salvo il suo numero, non prima di avergli promesso che avrei fatto attenzione a non rompere niente o che non avrei aperto agli sconosciuti e via dicendo. Passo la maggior parte del tempo a disegnare e a finire di cucire alcune cose che avevo lasciato in sospeso qualche giorno fa.

Non mangio neanche a pranzo perché vorrei dimagrire, nonostante tutti mi dicano che sto bene così. Ma a me non piace il mio corpo; forse l’unica cosa che si salva sono i miei occhi. So benissimo che non fa assolutamente bene non mangiare, ma mi odio davvero tanto… anche se quando sono in compagnia cerco di mangiare per non farli preoccupare. 

Lavo a mano i bicchieri, perché in qualche modo mi rilassa tantissimo farlo, nonostante abbiamo una lavastoviglie, ma mi aiuta fare cose del genere per pensare a cosa mi aspetta domani. Mi arriva un messaggio di Hanji che mi informa che per domani mi devo presentare dove attualmente si trova la loro sede, alla fine della scuola. Aggiunge che mi verranno a prendere loro a scuola, ma io declino l’offerta perché voglio rimanere il ragazzo di sempre. Mi faccio inviare l’indirizzo del posto… che è il palazzo più lussuoso di tutta Tokyo. 

Arriccio il naso; non mi sono mai interessate le cose di lusso, o meglio, non mi piacciono le cose troppo costose o che servono per ostentare la ricchezza e, non so perché, ma il fatto che abbiano quel palazzo purtroppo mi dà questa idea. Decido di non dire niente su questa cosa. Le dico che ci vediamo lì, ma mi comincia a salire l’ansia e sono quasi tentato di prendere il computer per cercare informazioni sulla band… però non voglio farmi influenzare dal parere altrui perché preferisco farmi un parere mio su di loro. Decido di passare il resto del pomeriggio a decidere cosa indossare per l’indomani e modifico alcuni capi che ho già. Alla fine vado per una dolcevita nero carbone che va in netto contrasto con il mantello color cammello e sotto porto dei straight leg che però devo accorciare un po’, per non farli andare sotto i piedi mentre come scarpe opto per degli stivaletti lucidi neri. Finisco di colorare i vestiti da mettere nel mio album di disegni, e mi metto sul tavolo della cucina per colorare, dato che è molto grande, e per non fare troppi casini, dato che sono molto sbadato su queste cose. Dopo qualche ora, decido di salire in camera dove si trova la macchina da cucire con i vesti e le bozze dell’abbigliamento per domani. Ci lavoro su per qualche ora, sia a mano che con la macchina.

Quando il mio stomaco brontola leggermente vuol dire che devo mangiare qualcosina, ma non ho nessuna voglia di scendere per mangiare. Mi ricordo delle cose per disegnare al piano di sotto, così scendo per sistemarle e decido di leggere il libro “Freak” di Vany Butterfly che mi sta piacendo da morire; forse è una delle mie serie preferite. Poi decido di preparare la cioccolata calda. Mi siedo sulla poltrona e mi immergo nel libro, ma decido di mettere la sveglia per le prossime due ore, visto che non ho ancora finito di cucire; voglio prendermi un attimo di pausa. Dopo due ore, ho quasi finito il libro, anche se mi è arrivato qualche giorno fa. Le mie coinquiline scherzano sempre sul fatto che mi dovrebbero regalare una libreria come quella della “Bella e la Bestia” della Disney, ma non ci posso fare niente. Amo troppo leggere e vivere mille avventure che nella vita reale sono impossibili. Salgo in camera tutto felice, anche se rischio di far cadere il tripode giù per le scale ed è una fortuna che i nostri vicini del piano di sotto non sono quasi mai in casa. Quando finalmente finisco di cucire, sono quasi le 11 di sera. Le due ragazze non sono tornate e decido di chiamarle, ma solo ora mi accorgo dei mille messaggi che ho ricevuto durante la giornata. Poi noto che nel gruppo che ho creato con le due c’è un messaggio dove mi avvertono che torneranno molto tardi questa sera, e quindi di non attenderle sveglio.

Mi sistemo i vestiti in modo ordinato sulla sedia in modo che per domani non avrò problemi; sono più tosto orgoglioso del mio lavoro. Poi mi vado a lavare i denti, così da potermi infilare sotto le coperte per rispondere ai messaggi, e dopo quasi un’ora finalmente vado a letto.

Sono le 7:30 e mi dirigo verso la classe. Sento i ragazzi parlare ancora di quanto sia stato figo il concerto, anche se è passata una settimana esatta e sento che alcuni si vantano pure di aver avuto un autografo o una foto con loro o qualunque altra cosa si possa avere da un concerto. Mi viene da sorridere perché so che darebbero un rene pur di essere al mio posto, visto che conosco il volto di due persone del gruppo e visto che probabilmente lavorerò per loro. Non so perché, ma ho una bellissima sensazione per oggi e nessuno mi potrebbe rovinare la giornata; oggi sarà una giornata fantastica, me lo sento!

Mi siedo tranquillo al mio posto, e noto che sul banco ci sono delle nuove parolacce incise sopra. Poi sento la mia testa che comincia ad inumidirsi mentre il liquido aranciato comincia a espandersi per tutta la mia uniforme scolastica. Sento delle risate con le solite battute che fanno ogni giorno da qualche anno a questa parte. I miei occhi si inumidiscono ogni minuto che passa… come vorrei che una voragine si aprisse sotto di me per ingoiare ogni mio dolore, ma questo non succederà mai e in più preferisco morire, piuttosto che qualcuno mi veda piangere. 

Mi alzo velocemente dal banco, prendo il mio zaino e vado fuori dall’edificio più velocemente possibile, mentre di sottofondo sento le risate dei miei compagni. Vado il più veloce possibile come se mi stessero seguendo, ma non controllo dove sto andando quindi vado a scontrarmi contro un uomo girato di spalle.

-TU!! LURIDO PEZZO DI MERDA!! STRONZO DEL CAZZO!!! GUARDA DOVE STRACAZZO VAI!!!- comincia ad urlare l’uomo, ma dopo quasi un anno che mi tengo tutto dentro finalmente esplodo in un pianto senza ritegno. Non sento più le urla, però sento un tocco delicato che mi prende le mani dove sto nascondendo il viso ormai bagnato dalle lacrime.

-Eren?- mi chiede la voce che riconosco essere quella del mio vicino, Levi. Singhiozzo qualcosa che non so nemmeno io cosa sia. Levi si guarda intorno come per cercare qualcosa che trova praticamente subito. Mi porta in un bar non poco lontano, ci sediamo a un tavolino un po’ appartato e ordina una tazza di cioccolata calda con della panna montata per me mentre per lui un tè nero senza zucchero. Poi guarda la povera cameriera con uno sguardo freddo o molto critico, come se qualunque cosa sbagliata sarebbe successa gliela avrebbe fatta pagare cara. Le nostre ordinazioni arrivano subito, noto che la mia cioccolata non è liquida come quella alle macchinette che sono abituato, ma è della cioccolata vera, di quelle dense. Poi rimaniamo in silenzio e l’unico rumore sono le nostre tazze che tintinnano; solo ora noto il modo singolare di Levi di tenere la tazza del tè.

-Buona? Stai meglio?- mi chiede una volta che ho posato la mia tazza vuota. Sorrido annuendo energicamente, forse lui si aspetta che gli spieghi perché stavo piangendo prima. Però non sono ancora pronto per questa cosa visto che non l’ho ancora detto ai miei amici, o meglio, lo sa solo Naruto. Il moro si alza e va a pagare, perciò mi affretto a raggiungerlo per pagare il mio ordine, ma lui mi ferma con la mano.

-Levi, posso pagare- gli dico io, ma lui di tutta risposta tira fuori una carta nera che striscia per pagare. Una volta pagato il tutto fa per mettersi il cappotto, ma si blocca come se stesse realizzando qualcosa.

-Eren, ma dove hai la giacca?- mi chiede e io alzo le spalle… tanto da qui alla scuola sono solo qualche metro. Il problema è che non so se mi fanno entrare, dato che sono sporco di succo, per non parlare del fatto che sono appiccicoso.

-A scuola- rispondo brevemente e noto che lui mi sta per dare la sua giacca, ma riesco a fermarlo in tempo prima che me lo posi sulle spalle.

-Ti sconsiglio di farlo… sono tutto sporco di succo e te la rovinerei- gli spiego moscio. Lui sembra riflettere per un attimo sul da farsi e poi si mette su la giacca. Mi dice di attenderlo lì un attimo per poi ritornare dieci minuti dopo con due buste, che mi porge.

-Una mia amica mi ha regalato queste cose, ma io non so cosa farmene, e poi ha sbagliato misura; penso che ti vadano bene- mi spiega nel modo più naturale del mondo mentre noto che sono abiti firmati.

-N-non posso accettarli. Sai quanto costano?!- gli dico mentre cerco invano di ridargli le buste, ma lui me le schiaffa in mano.

-Senti, io non so cosa farci con quella roba quindi prendila tu e facciamola finita- ribatte lui arrabbiato. Alla fine, anche se riluttante, accetto il tutto, perché non voglio arrivare troppo tardi a lezione. Poi Levi mi accompagna davanti alla scuola.

-Ti ringrazio infinitamente per l’aiuto che mi hai dato. Appena posso, ti ripagherò- lo ringrazio mentre lui si mette le mani in tasca.

-Non c’è bisogno. E stai più attento la prossima volta, moccioso- mi fa a mo’ di saluto. Ridacchio piano per quello che sembra essere diventato il mio nuovo nomignolo e rientro a scuola per andare in bagno e cambiarmi i vesti; per fortuna avevo dimenticato la cravatta insieme alla giacca del uniforme della scuola. 

Noto che oltre alle cose che mi ha lasciato, c’è anche della biancheria intima sempre firmata. Decido di prendere con me tutto ciò che mi serve per la giornata. Tutto il giorno lo passo con i miei amici, anche se Naruto sembra perso nel suo mondo… vorrei tanto chiedergli di sabato, ma in qualche modo non lo voglio forzare troppo… così lascio perdere la cosa. Gli faccio però capire che sono e sarò sempre lì per lui. Le ore passano veloci fino all’ultima campanella. Di solito ci fermiamo a chiacchierare, ma sembra che oggi siamo tutti impegnati.

-Eren!!- mi sento chiamare, ma non faccio nemmeno in tempo a girarmi che vengo travolto in un abbraccio che quasi mi stritola. 

-Hanji!! A Eren gli sarà venuto un infarto- fa la voce di Mike che è di fronte a me, scuotendo la testa.

-Ciao, tesorino!! Ma come sei carino vestito così!!- comincia a straparlare H senza che io capisca nulla, quindi mi limito ad annuire.

-Sei pronto per incontrare il grande capo?- chiede in modo scherzoso, ma a me mette ansia la cosa perché sono amici di L e quindi se lo possono permettere, però io no. In modo quasi meccanico, annuisco e mi accompagnano alla loro auto.

-Tranquillo, è una macchina piccola; usiamo la limousine per gli eventi importanti della band, come per esempio il tappeto rosso o agli eventi pubblici ma si può riassumere con: “tutte le cose che hanno a che vedere con il gruppo”- mi spiega M mentre guida e solo ora noto che sono già vestiti, ma non ancora bendati, quindi vuol dire che sono venuti appositamente per me. Il viaggio non dura molto, ma è molto divertente viaggiare con loro. Poi mi fanno bendare i loro occhi ancora una volta.

Quando scendo dall’auto, mi trovo ai piedi di un enorme grattacielo che avevo sempre visto di sfuggita o in foto, e non potetti fare a meno di rimanere a bocca aperta. Cercai di vedere la fine, ma era impossibile. In quel momento suona il telefono di Hanji.

-Pronto? Vany!! Come stai? Stiamo bene, grazie. Certo, glielo diremo. Sta’ tranquilla, ma dovrai inviargli una copia in anteprima, anzi, fanne anche quattro o cinque in più. Certo, certo… allora ci vediamo per un caffè. Ah sì, ok, glielo dirò- fa sbrigativamente H per poi mettersi a saltellare. 

-Vany?- chiedo io senza pensarci. Hanji mi si avvicina e mi scuote per le spalle.

-Sì, Vany Butterfly , l’autrice che ha scritto “Freak”. Ha finito di scrivere un nuovo libro dal titolo “Yugen” e presenterà la sua amica, Andy- mi spiega e io non posso che essere entusiasta per il nuovo libro. 

-Ma ora entriamo,  prima che L ci faccia una lavata di capo- ci riporta con i piedi per terra M. Così entriamo nell’enorme grattacielo e noto che i colori dominanti sono il nero e l’oro, ma la cosa ancora più strana è che il loro logo si trova ovunque. Noto che quando passano H e M, tutti si inchinano mentre quando passo io c’è solo uno sguardo di odio puro. Mi tengono le porte dell’ascensore aperto in modo che non venga schiacciato insieme al carrozzina. Mike schiaccia l’ultimo bottone che segna il piano cento. Intanto ripasso mentalmente tutte le regole che ho imparato a memoria da internet sui colloqui di lavoro mentre i due mi cercano di riassicurare. 

-Buon pomeriggio, signor Jeagar- mi saluta una voce molto fredda, forse troppo fredda per sembrare quella di un umano. Appena scendo dall’ascensore vedo un uomo di spalle che guarda l’enorme vetrata.

-Mi chiamo…- mi presento, ma lui mi ferma prima che possa anche solo finire la frase.

-Non mi interessa come ti chiami o qualunque altra cosa ti riguardi. E non mi parlare, almeno che non sia io a farlo- mette subito in chiaro il cantante.

-Sul tavolo c’è il contratto con la penna. Firma e incomincia da subito a lavorare. Gli altri avranno il compito di spigarti ogni cosa- mi spiega velocemente cosa devo fare, senza mai girarsi verso di me, come se non gli interessassi. Firmo il contratto titubante e, una volta finito, appoggio la penna; lui mi parla come se fosse un robot e non un umano.

-Ora vai!- mi liquida senza troppe cerimonie con un gesto della mano e a me non resta altro che fare come mi ha detto… anche gli altri due membri sembrano spiazzati dalla cosa. 

Posso dire con certezza che L è un vero stronzo.

   
 
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