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Autore: Merkelig    05/01/2021    1 recensioni
Storia partecipante al contest “Manuale di sopravvivenza Vol.1” indetto da Spettro94 sul forum EFP.
La brama consuma gli uomini. Ma quale desiderio arde nel cuore nero di Serafina, la regina oscura?
La sete di conquista?
L'ambizione di portare finalmente a compimento l'opera paterna?
O la cupidigia per Astelera, la bellissima regina elfica?
Dal testo:"Fu così che la sovrana seppe che i tempi erano ormai maturi; ben presto avrebbe appagato il desiderio suo e di suo padre, la brama che la consumava da quando era fanciulla, per un regno incantato che non era ancora nelle sue mani."
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Città Sotterranea
 
 
                       
Alle prime luci arrivarono finalmente ai margini della fitta foresta che abbracciava il regno. Serafina guidò la piccola carovana su un sentiero che si inoltrava nella vegetazione, e che andava snodandosi in direzione delle basse montagne di granito che ogni alba venivano orlate dai primi raggi del sole.
Giunta ai piedi del monte, nel punto in cui la strada polverosa iniziava a salire, la regina comandò agli altri di attenderla e prese a percorrere il cammino in solitaria.
A metà circa della scalata verso la vetta costrinse il cavallo a fermarsi di fronte ad una piccola insenatura naturale; smontò e legò le briglie ad una sporgenza.
L'animale si stava agitando, sbuffava fiato caldo dalle narici e grattava il terreno con gli zoccoli; sentiva la presenza di qualcosa di oscuro oltre quelle rocce.
Serafina tentò maldestramente di calmarlo con qualche carezza sul muso, poi scivolò dentro lo stretto passaggio.
Il buio era totale ma la sovrana si muoveva senza difficoltà attraverso le viscere della montagna, diretta al suo cuore. Il percorso le era stato stampato nella mente come se lo stesse percorrendo alla luce del giorno.
Finalmente le pareti si allargarono e dei raggi luminosi che filtravano dall'alto attraverso crepe invisibili le restituirono i contorni delle cose.
Accucciato nell'angolo più lontano da quelle deboli fonti di luce c'era un enorme drago di tenebra con gli occhi brillanti come tizzoni.
Non appena avvertì una presenza umana l'enorme fiera si fece avanti, pronta a sbranare l'intruso; ma subito riconobbe la sua padrona e tornò ad acciambellarsi, chinando il testone con fare docile.
- Eccoti qui - disse Serafina, più a se stessa che alla creatura d'ombra.
Il drago era stato l'animale più grosso che aveva mai plasmato e il prodotto più impegnativo di quel tipo di magia; a differenza degli altri Serafina non riusciva a sentire il legame con lui con la consueta facilità, ma forse, ipotizzava, questo era dovuto al fatto che il drago era anche e di gran lunga la sua creazione più longeva.
- Mostramelo - gli ordinò dunque in un sussurro.
La creatura obbediente si alzò dritta sulle zampe anteriori, esponendo il petto. Laddove avrebbe dovuto trovarsi il suo cuore mancava una squama, e nel vuoto lasciato da essa si intravedeva un battito molto più esile e minuto.
Serafina osservava quel baluginio scarlatto pulsare delicatamente e ricordò il giorno in cui era strisciata fino a quel luogo celato e aveva creato il drago, per poi strapparsi il cuore e affidarglielo.
Quel maledetto era stato la causa della sua rovina e se voleva portare a termine la sua guerra avrebbe dovuto disfarsene.
Ma non poteva non lasciare nulla dentro di sé, sarebbe stato altrettanto pericoloso: le persone si gettano su qualunque cosa per riempire il proprio vuoto. Così si affisse nel petto la scaglia che aveva strappato all'animale, e che si era fatta dura come l'acciaio, ed era riemersa dall'oscurità per rivendicare il trono che era suo di diritto.
Finché fosse rimasto lì, lontano da lei, nessun potere elfico avrebbe mai avuto presa su di lei.
Rassicurata la sovrana gettò un'ultima occhiata alla creatura e si voltò per tornare alla luce del sole.
 
Ci volle un'intera giornata di viaggio attraverso la fitta foresta, ma alla fine il drappello arrivò nei pressi delle grotte naturali che celavano l'ingresso alla Città Sotterranea.
La regina fece cenno agli altri di fermarsi e scese da cavallo.
Sapeva che Astelera aveva posto numerosi incantesimi a protezione di quell'ingresso, ma sapeva anche che la sua magia l'avrebbe aiutata a superarli.
Nessun elfo stava di guardia, ma d'altra parte la segretezza era la miglior protezione per quel passaggio.
La donna dunque avanzò sola fin quasi al nero squarcio che si apriva nelle viscere della terra, e mosse una mano in aria; si scatenò una pioggia di scintille che cadde al suolo sfrigolando. Se vi fossero passati al di sotto sarebbero stati senza dubbio arsi vivi.
Serafina rimase in ascolto ma, non percependo altro, rimontò in sella allo stallone di cui Darda reggeva le redini e fece cenno di proseguire.
All'entrata si divisero; i demoni, sotto forma di ombre prive di corpo, scivolarono via svelti in direzione del confine elfico, mentre i sei cavalieri si apprestarono a scendere nell'oscurità.
Procedettero a lungo nel buio quasi totale, trattenendo il fiato ad ogni suono che tornava loro indietro moltiplicato dall'eco.
Le rocce sembravano respirare con loro, come i polmoni di un gigante che si contraevano ed espandevano seguendone il ritmo vitale.
Fu con sollievo che i componenti del gruppo accolsero il momento in cui il dislivello del suolo cedette e prese a scorrere in piano. Tutti loro sapevano che significava che avevano raggiunto la Città Sotterranea.
Serafina schioccò le dita e una fiammella, molto più intensa delle torce con cui avevano cercato di illuminare la strada ai cavalli, si sprigionò dalle sue dita.
- Allestiamo un accampamento - ordinò con voce chiara malgrado il fatto che avesse mormorato - Domani alle prime luci ci metteremo in cammino.
Svelti, forse ansiosi di occupare le mani perché la mente non divagasse in quel luogo spaventoso, gli uomini scesero dalle cavalcature e predisposero il campo per la notte.
Montarono la tenda reale e accesero un fuoco allegro e zampillante; dopodiché estrassero le provviste dalle bisacce e apparecchiarono un banchetto rudimentale.
Per tutto il tempo Serafina era rimasta seduta composta su una roccia poco lontano, tenendo tra le mani la piccola gabbia d'argento della falena.
Quando Darda si avvicinò per riferirle che tutto era pronto la sentì bisbigliare frasi senza senso, apparentemente rivolta alla propria ombra che si stagliava allungata e guizzante ai suoi piedi..
Mangiarono con appetito, dopodiché uno alla volta i guerrieri si avvolsero nelle loro coperte e si addormentarono con le mani sull'elsa delle spade.
Serafina sola rimase vigile; scrutava nel fuoco e ripercorreva nella mente tutti i passi fatti per arrivare fin lì. Si concentrava sul fatto che ben presto avrebbe appagato la memoria di suo padre e avrebbe ottenuto la sua vendetta.
- Non dormite maestà? - chiese gentilmente Sindar venendo a sedersi vicino al fuoco.
La regina gli scoccò un'occhiata sprezzante, senza rispondere.
Dopo qualche istante di silenzio l'uomo riprese a parlare.
- Mia regina, se posso chiedere... è vero ciò che si racconta nel regno, di ciò che è successo tra voi e la regina elfica?
La donna alzò un sopracciglio sorpresa da tanta audacia, ma il suo interlocutore si limitò a scrutarla curioso.
- Hai parecchio fegato, Sindar - commentò con una nota pericolosa nella voce.
- Mi ha salvato tante volte in battaglia, vostra maestà.
- E immagino che altrettante volte sarebbe potuto essere la causa della tua rovina.
- Credo che abbiate ragione - esclamò l'uomo ridendo di cuore. La regina lo studiò attentamente.
- So bene cosa devi aver sentito. - commentò poi tornando a fissare le fiamme - Che quando conobbi Astelera me ne innamorai al punto da abbandonare il letto di mio marito per sette giorni e sette notti, e nel suo talamo profumato di rose furono molti i segreti sussurrati a fior di labbra tra una carezza e l'altra.
Serafina portò uno sguardo altero su Sindar, che deglutì a vuoto.
- Ed è vero? - le chiese in un sussurro.
- Certamente - commentò l'altra in tono freddo.
Per un po' l'unico rumore che si udì fu lo scoppiettare del fuoco.
- Fu mio padre a mandarmi da lei - affermò la sovrana in un sussurro, proprio quando l'uomo iniziava a pensare che la conversazione fosse giunta alla fine - come ambasciatrice. Molto tempo fa.
- È vero che gli elfi streghino chiunque posi su di loro lo sguardo?
- Oh sì. La loro luce ottenebra i sensi, ti acceca, ti invade la gola fino a raggiungere il cuore e colmarlo del tutto. E allora sarai per sempre in loro potere.
- Voi però siete riuscita a sfuggire all'incantesimo di Astelera.
- Il dolore per la morte di mio padre ha interrotto la malìa - affermò l'altra - e mi ha restituito la lucidità. Ma troppo tardi.
- Che volete dire?
La donna però aveva riacquistato il proprio piglio.
- Basta così - ordinò freddamente - riposa. Domani ci aspetta una lunga marcia.
L'uomo si alzò in piedi e accennò un breve inchino.
- Come desiderate, mia regina. Vi auguro una notte serena.
Serafina rimase sveglia a lungo a meditare con amarezza su quelle ultime parole.
 
Quando Serafina giudicò che in superficie fosse sorto il sole, qualche ora più tardi, svegliò il resto del gruppetto e si misero in marcia.
Tennero un passo sostenuto per buona parte della giornata, e il fatto che non ebbero incontrato alcun tranello li mise in allarme molto di più che se si fossero visti venire incontro l'esercito elfico al completo.
Ruderi di ogni genere si susseguivano monotoni: colonne spezzate e contorte intervallavano muri scheggiati che si ergevano solitari in mezzo a cumuli di polvere, e sotto gli zoccoli dei cavalli scorrevano le mattonelle erose dal tempo che un tempo avevano probabilmente fatto parte di strade e piazzali.
La volta superiore della caverna spariva nell'oscurità dando l'illusione che stessero procedendo all'infinito sotto un cielo senza stelle.
I tre nani se la cavavano meglio di tutti; il loro udito finissimo era in costante allerta, e i loro occhi abituati a penetrare le tenebre del sottosuolo li rendeva ottime sentinelle. Al contrario dei due uomini, che erano praticamente ciechi nonostante le torce che reggevano, sedevano immobili in sella lasciando che di tanto in tanto solo un guizzo delle pupille fosse indizio di vita.
Dopo una lunga marcia, resa ancor più faticosa dalla tensione costante che pervadeva loro le membra, i componenti del piccolo drappello scorsero un debole bagliore diurno in lontananza.
Stupiti alzarono la testa e intravidero un loculo circolare che si apriva nel soffitto della caverna; la luce, che scendeva come un miracolo del cielo, illuminava una vasta porzione di terreno sul quale le pietre rovinate erano state rivestite da un soffice tappeto erboso. Apparentemente molti secoli prima in quel luogo sorgeva un anfiteatro; ora le tribune in pietra grezza erano crollate miseramente, e gambi rampicanti di un verde splendente nella semioscurità avevano ricoperto le macerie disegnando sopra la pietra grezza delicati arabeschi naturali.
Guardinga Serafina fece cenno di smontare da cavallo e procedere con cautela, e Darda e gli altri eseguirono.
Camminare sull'erba verde smeraldo era una sensazione paradisiaca; gli uomini avanzavano guardandosi attorno meravigliati, ovunque giungesse la luce la vegetazione si era propagata e gli steli delicati sembravano allungarsi verso di loro al passaggio.
Era la realtà oppure un'illusione ottica?
Serafina si fermò di colpo, le pupille dilatate.
Bizzarri pollini candidi aleggiavano nell'aria come se danzassero. La donna ne catturò uno nel palmo della mano e lo scrutò con attenzione.
- Cosa c'è mia regina? - le chiese Darda avvicinandosi cauto.
L'altra non rispose. Sentiva che qualcosa non andava.
- Guardate... - commentò Sindar con voce trasognata.
Gli altri si voltarono di scatto verso l'uomo che, come in trance, stava allungando una mano verso una pianta rampicante che si era impadronita di un moncone di colonna. Le foglie sembravano emanare chiarore ed erano loro a diffondere il polline.
- Fermo! - gridò la regina allarmata, ma troppo tardi.
Non appena venne sfiorata la pianta prese vita e avvolse Sindar come le spire di un serpente.
Mentre gli altri mettevano mano alle armi Serafina lanciò un incantesimo, che bruciò la pianta e lasciò cadere al suolo Sindar, illeso.
Altri rampicanti si alzarono da quel mare d'erba, pronti a colpire.
In men che non si dica i cinque presero a mulinare furiosamente le spade, recidendo i rami che si avvolgevano affamati intorno alle loro caviglie e mozzando prontamente quelli che scattavano come strali verso il loro viso.
Serafina chiuse gli occhi e richiamò a sé il proprio potere; dalle sue labbra sgorgarono fiotti di fiamme cremisi che in pochi minuti arsero vive le piante malefiche. Queste sembrarono urlare e contorcersi dal dolore mentre venivano ridotte a spettri di cenere.
- Cos'erano quelle? - ringhiò Amon, abbassando finalmente l'ascia che grondava una linfa verdognola.
- Un incantesimo elfico - gli ricordò Serafina con un'occhiata di biasimo. Rapidamente studiò le condizioni dei suoi.
I nani non avevano subito neanche un graffio; Amon stesso aveva ancora il fiato grosso, forse per paura più che per lo sforzo fisico, mentre Baeron aveva portato una mano sulla spalla del figlio che lo stava rassicurando con un cenno della testa.
Darda aveva il viso graffiato ma non sembrava aver riportato nessun'altra ferita, mentre Sindar sembrava ancora sotto shock, ma illeso.
- Dove sono i cavalli? - chiese Darda in quel momento, allarmato.
- Maledizione!
- Sono fuggiti, spaventati da quelle piante malefiche - osservò torvo Amon.
- Li andiamo a riprendere, mia regina?
- No - decise Serafina dopo un istante di meditazione - ci impiegheremmo troppo tempo a ritrovarli. Proseguiremo senza.
Scettici gli uomini annuirono e si prepararono a rimettersi in marcia, ansiosi di mettere quanta più distanza possibile tra loro e quella tomba vegetale.
 
 
  
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