Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    07/01/2021    2 recensioni
Una volta iscrittosi all'università, Syaoran si trasferisce in un nuovo appartamento con due coinquilini e mezzo, e si ritrova a vivere esperienze del tutto impreviste. La sua vita però cambierà del tutto quando verrà assunto per lavorare presso una persona con cui non sapeva neppure di aver instaurato un legame... Un legame che lo riporterà alle sue origini, spingendolo a trovare quella famiglia che gli manca.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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XXI



 
 
 
Anche dopo che sono passate ore da quando io e Tomoyo-chan ci siamo messe a letto non riesco a prendere sonno. Il mio cuore batte fortissimo, e lo stomaco sembra come stretto in una morsa. Chissà che non abbia mangiato qualcosa che mi ha fatto male, anche se lo escluderei, visto che il pesce era fresco e i cibi cucinati da Fay-san sono sempre stati deliziosi e sani.
No, è più qualcosa dentro di me che imperversa e mi agita, come un mare in tempesta. Il mare…
Ad occhi chiusi tento di sgomberare la mente e concentrarmi sul suono delle onde, seppure distante.
Ho sempre ritenuto di vivere un rapporto ambiguo col mare. Lo amo, e al contempo lo temo; soprattutto quando scendono le tenebre. 
Incapace di addormentarmi decido di alzarmi e uscire dalla villa, per prendere una boccata d’aria. Indosso le ciabatte per raggiungere la riva, da dove fisso la notte stellata. La luna piena, come il sole quel pomeriggio, si riflette pallida e contemporaneamente brillante su queste acque nere, ricreando quel sentiero tortuoso che conduce verso l’orizzonte.
Mi arresto a pochi passi dal bagnasciuga, immergendomi nei miei pensieri, ancora una volta. Chiudo gli occhi e, quasi stessi unendo anelli di una catena, improvvisamente rivivo diverse scene di vita. Di quella volta in cui andammo in America, al mare, e mio padre mi aveva comprato un gonfiabile rosa a forma di fenicottero; a mio fratello aveva preso, su sua richiesta, quello dell’orca assassina, e lui mi inseguiva a cavallo di essa, minacciandomi. Naturalmente, giocavamo. Era in quella stessa occasione che nii-sama, per assicurarsi che non mi succedesse nulla, mi aveva insegnato a nuotare. 
Ma non è l’unico ricordo col mare… No, una volta siamo andati ad Okinawa, a trovare Hana-chan, insieme a Tomoyo-chan e alla sua famiglia. Il mare lì era pulito e cristallino come in Australia, della stessa trasparenza, con la differenza che lì le spiagge erano più bianche e il colore dell’acqua, anche a largo, si manteneva di un lucente verde acqua interrotto dal turchese.
Continuo a scavare nella mia mente, cercandone altri. Devono essercene altri. So che dopo l’incidente in cui ho quasi perso la vita non mi è stato più concesso uscire per vacanze o cose simili, ma prima… prima dei miei sette anni…
Visualizzo una spiaggia… no, degli scogli, e una parete fatta di rocce frastagliate. Non sembra molto sicura, e somiglia spaventosamente a una di quelle che compare nei miei sogni. Che io stia confondendo il mondo onirico con quello reale? Ci sono alberi al di là dei sassolini, mentre dalla scogliera si staglia un dirupo vertiginoso… Anche al di sotto di esso, ci sono diverse rocce…
Mi sento cadere…
Precipito, e vengo avvolta dall’acqua, dal freddo, ma c’è qualcuno… Qualcuno a cui tendo disperatamente la mano, tentando di salvarmi… Il suo viso, non riesco a scorgerlo. È soltanto una figura buia, che grida il mio nome con una voce senza suono, e per qualche ragione sento che sillaba il mio vero nome… 
Annaspo, in cerca d’aria, e riapro gli occhi, rendendomi conto di essere finita stesa, e di essere sorretta dalle braccia di Syaoran. Dall’espressione sul suo viso, mi sembra spaventatissimo.
«Menomale!» esclama agitato, tirando un sospiro di sollievo. Mi sposta alcuni capelli dal viso, aiutandomi a mettermi seduta. «Ti senti bene?»
«Io… sì…» Mi guardo intorno spaesata, e dal mio corpo bagnato capisco che, inconsapevolmente, devo essere entrata in acqua più di quanto fosse nelle mie intenzioni.
Mi stringo le braccia al petto, rabbrividendo, e Syaoran prontamente mi attira a sé, strofinando le mani sulla mia schiena. Quasi cercasse di trasmettermi calore. Arrossisco, riconoscendo che si sta rivelando efficace.
«Che cos’è successo? Ho notato che eri uscita e ti ho raggiunta, anche se è stato solo un fortuito caso visto che ero ancora sveglio e stavo sul balcone. Perché non sei venuta da me, se stavi male?»
Mi accorgo che c’è una nota di panico a infrangere la sua voce, mista a un lieve rimprovero, per cui cerco di tranquillizzarlo come posso.
«Non sto male, semplicemente non riuscivo a dormire.»
«Perché non sei venuta da me?» insiste allo stesso modo.
«Non pensavo fosse il caso, per una sciocchezza simile.»
«Non è una sciocchezza!» Alza la voce, stupendomi, e solo ora che mi ritrovo il suo viso tanto vicino mi rendo conto che altro che spaventato, sembra terrorizzato. «Non è una sciocchezza», ripete, «se quando arrivo ti trovo quasi completamente sommersa, e per quanto io ti chiami non mi rispondi, come se fossi vittima di un incantesimo, e continuassi a proseguire e ti buttassi in avanti, come se…»
La sua voce trema, quasi volesse negare quell’idea, e io vengo attraversata da un lampo di comprensione. Improvvisamente rievoco il discorso vago e surreale che facemmo sul “Ginga tetsudō no yoru”, e la sua richiesta finale.
«Oh, devo essermi addormentata in piedi! Scusami, non volevo allarmarti, stavo solo rivivendo dei ricordi. Ti assicuro che non volevo… andare da nessuna parte.»
Mi prende per le spalle, allontanandomi solo per guardarmi dritto negli occhi.
«Me lo prometti? Prometti che non tenterai mai, mai, di suicidarti?»
«Tu pensi che io potrei…» mi esce in tono flebile, ma lui non mi concede il tempo di continuare; mi stringe di nuovo tra le sue braccia, sembrando disperato.
«Promettilo!»
«Lo prometto!» Alzo la voce, avvolgendo anche le mie braccia attorno alla sua schiena, notando che sta tremando. Non mi spiego come mai abbia pensato subito al peggio. Abbasso la voce, adattandomi ad una tonalità più morbida, che possa tranquillizzarlo. «Syaoran… vuoi parlarne?»
Dato il suo silenzio suppongo che preferisca di no, ma quando parla stringendomi ancora più forte a sé mi dice qualcosa di inaspettato.
«Negli ultimi tempi mi sta capitando spesso di sognare… te…» Avvampo, non aspettandomelo, felicemente sorpresa nell’udirlo. Allora non sono l’unica ad aver cominciato a sognarlo… Anche se, nei miei sogni, viviamo una condizione del tutto diversa da quella reale. Siamo semplicemente due amici che si frequentano, vivendo una vita normale, concedendoci quel che si concedono tutti gli adolescenti. Forse, nei miei sogni, io sono realmente la sua amica di infanzia.
Ma nel suo caso, non sembra essere lo stesso.
«E sono brutti sogni?» Mi rabbuio. Potessi dargli i miei sogni meravigliosi… Pensandoci, un metodo ci sarebbe! Ma prima preferisco che finisca di parlare.
«Sempre.» Serra le dita attorno alla mia maglia, la sua voce si spezza ancora di più. Infossa il viso contro il mio collo, quasi singhiozzando. «Ti vedo sempre sparire. Ti vedo sempre morire. E io non posso mai fare nulla per salvarti. Il tuo corpo si dissolve, il tuo calore scompare, e quello che mi resta di te, alla fine, è solo una lapide bianca e un ricordo doloroso…»
«Syaoran…»
Mi distanzio di poco, scoprendo le copiose lacrime che gli rigano le guance. Mi guarda straziato, e io sento il mio cuore spappolarsi. Non è giusto che lui stia tanto male…
Poso le mani ai lati del suo viso, asciugandogli le gote, e poso la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi.  
«Esci brutto sogno, esci fuori da Syaoran», recito, ricordando la formula che lui ha usato con me, per farmi stare meglio. L’incantesimo di sua madre. Spero solo che possa funzionare anche con lui… «Bel sogno che sei dentro di me, entra dentro Syaoran. Mostragli il sogno più dolce…» Mi interrompo, non sapendo come continuare. Riapro le palpebre e lo trovo a sua volta ad occhi chiusi, con un’aria più rasserenata, più confortata. Penso a quale dei tanti sogni che ho vorrei trasmettergli e mi faccio ancora più vicina, al punto che i nostri nasi si sfiorano. «E rendilo felice», sussurro per concludere, pensando intensamente a uno degli ultimi sogni di cui lui era protagonista. 
C’eravamo io e lui, stesi come quella volta nel mio letto, a guardare le stelle. Ma lì il firmamento era vero, e noi eravamo distesi supini in un campo di cosmos. Lui mi indicava molte costellazioni, e me ne narrava le storie, inventandone di nuove ogni volta che prendevo io l’iniziativa, individuando stelle mai scoperte, unendole a formare delle figure e battezzandole.
Mi distanzio di poco, chiedendomi se sono pronta, finalmente, a sollevare il viso. Incrocio per un attimo il suo sguardo e, vedendolo più tranquillo di prima, decido che sì, posso farlo. Soprattutto se lui è al mio fianco.
Così mi stendo, decidendo di realizzare quel sogno, e quando mi ritrovo dinanzi quel manto stellato, tanto fitto da sembrare appena dipinto, resto senza fiato. Un’emozione più grande mi travolge, pungendomi gli occhi con le sue lacrime. 
«Credo che questa sia la prima volta, dopo tanto tempo, in cui posso vedere le stelle», sussurro commossa.
Lui si stende al mio fianco, posandosi le mani sull’addome, guardando a sua volta sopra di noi. 
«Sei fortunata, c’è anche la luna piena, e nemmeno una nuvola a coprirle», osserva, con una voce meno gracile e roca di prima. 
Tiro un inudibile sospiro di sollievo, tornando con gli occhi su quei luccichii. 
«Tu prima vivevi in una zona montuosa…» Al suo mormorio di consenso proseguo con la mia curiosità: «Era sempre così visibile il cielo, di notte?»
«C’erano dei periodi dell’anno in cui era particolarmente chiaro, al punto tale che si vedeva ad occhio nudo la Via Lattea. Anche qui si intravede, ma lì era ancora più turchese. Yuuko-san diceva che fosse opera della magia.»
«Magia?» ripeto, incantata dalle sue parole.
«Te l’ho detto, è sempre stata affascinata da storie e teorie bizzarre. Soprattutto se metafisiche e inconsuete. Secondo lei quel colore tanto cangiante era un accumulo di tutti gli incantesimi attuati in quell’ultimo periodo, che da questo mondo si stavano trasferendo e propagando verso altri mondi.»
«Sono racconti meravigliosi.»
«A me sembravano sempre troppo trascendentali, però… forse un fondo di verità, un piccolo insegnamento, c’era in ogni sua storia.»
Per lunghi minuti non aggiunge più altro, e io decido di voltarmi su un lato, titubante. Vorrei davvero, davvero parlargli anche di me, ma non so se è un bene… Non saprei neppure da dove cominciare…
«Syaoran, i miei genitori… che spiegazione ti hanno dato per il lavoro che ti hanno assegnato?» 
«Hanno detto che c’era bisogno di una persona di cui ci si potesse fidare… E sono onorato di essere io.»
Si volta verso di me, pieno di gratitudine, e io gli rivolgo un piccolo sorriso in risposta. 
«E poi? Sai la ragione?»
«Non sono entrati in dettagli, ma…» Mi osserva inquieto, puntellandosi su un gomito, aggiungendo austero: «Ma non sei tenuta a rivelarmelo, se ti fa male».
Mi risollevo anch’io col busto, mettendomi seduta. 
«Non mi ascolteresti se io volessi parlartene?»
«Certo che ti ascolterei, ma se devi rievocare brutte esperienze per questo -»
Alzo una mano per interromperlo, scuotendo il capo. Ormai sono cose superate e, soprattutto da quando conosco lui, mi sento così sicura. Sicura di me stessa, sicura che al mondo non ci siano solo persone malvagie e con doppi fini, ma anche persone in grado di voler bene con onestà. 
Fisso lo sguardo sulla luna piena, lasciando che essa illumini tutta la risoluzione che c’è in me per parlarne. 
«Non ho molti ricordi del mio passato, ma ti posso dire con certezza cos’è successo da… da quando cominciano le mie memorie. Avevo poco più di sette anni quando mi sono svegliata in una stanza d’ospedale. Inizialmente ero confusa, a malapena avevo idea di chi fossi, e riuscii a riconoscere solo i miei genitori e mio fratello per i loro ruoli, ma non come le persone che sono. Col tempo, durante il periodo di riabilitazione, ho cominciato a riacquisire una certa coscienza di me e degli altri. Soprattutto, ho cominciato a capire come fossi fatta davvero. Quando migliorai provai ad indagare sulle mie ferite, per capire cosa mi fosse successo, e il perché di quel risveglio immerso in un niveo odore di disinfettante, ma nessuno sembrava disposto a darmi delle risposte esaurienti. Si parlava vagamente di un incidente, di me che ero scivolata e caduta sbattendo la testa… Eppure io sentivo che ci fosse di più dietro, e poiché dopo qualche anno ho cominciato a divenire alquanto indisponente e volevo rivendicare la mia libertà, i miei genitori hanno dovuto necessariamente rivelarmi la verità – o perlomeno una parte di essa. Così ho scoperto che da piccola sono stata rapita e che, a causa di alcuni fraintendimenti, la consegna del riscatto non è andata a buon fine, per cui per poco non mi hanno uccisa.» 
Faccio una pausa, raccogliendo i pensieri, spostando di poco lo sguardo verso gli scogli lontani. Aggrotto la fronte, sentendomi un po’ confusa. Per qualche ragione, sento che in qualche modo c’entri il mare. E quella mano…
«Comunque», riprendo, tornando al discorso e sperando, per entrambi, di riuscire a concluderlo il prima possibile. «A lungo andare i miei genitori cominciarono a sentirsi in colpa, in quanto da quando facemmo ritorno a casa non mi avevano più permesso di mettere piede fuori dal perimetro di essa. Ecco perché quando compii dodici anni mi iscrissero ad una scuola privata, dando un falso nome e chiedendo al preside e al corpo docenti di mantenere segrete le mie vere origini. Inizialmente stava andando tutto a meraviglia, avevo stretto molte amicizie, e mi stava piacendo davvero la scuola… D’altronde, era finalmente una boccata d’aria dopo tanti doveri e tante costrizioni. Tuttavia, dopo nemmeno due semestri, accadde l’inevitabile. In qualche modo si venne a sapere chi fossi realmente, nuovi “amici”, per così dire, mi si presentarono, palesemente ambendo al mio denaro più che a ciò che ero. E un giorno la situazione degenerò. La nostra scuola era affiancata da un istituto superiore e alcuni ragazzi più grandi, evidentemente sentendo le voci che giravano, mi incastrarono prima che io riuscissi ad andarmene. Nessuno dei miei cosiddetti amici mi aiutò, anzi, sembravano tutti avidi di vedere se quei tipi potessero riuscire nel loro intento. Alla fine non volevano nulla di che, anche loro puntavano ai miei soldi, pensando ingenuamente che li portassi con me a scuola.» 
Taccio per un secondo, rendendomi conto che la voce mi trema. Dopotutto, è una storia ancora abbastanza fresca e vivida nella mia mente.
«Quando hanno scoperto di essersi sbagliati ci sono rimasti male, e hanno pensato di compensare quella perdita con altri ricatti. Pensavano che delle mie foto avrebbero potuto vendere e -»
«Sakura.» Sobbalzo, venendo sorprendentemente interrotta, e mi stupisco di sentire anche la sua voce cupa e tremolante. «Non… Non devi per forza rievocarlo. Non sono certo di voler sapere il seguito, posso immaginarlo.»
«Oh no! Devi sapere, o potresti fraintendere!»
Mi volto a guardarlo e mi sento ghiacciare, notando che effettivamente il suo corpo sembra attraversato da fremiti; ha i pugni serrati sulle ginocchia, al punto tale che le sue nocche anche a questa fioca luce sembrano essersi fatte livide, la testa china, e ciononostante vedo che gli pulsa la mascella e digrigna i denti. Mi do una scossa, gattonando fino da lui, per posare le mie mani sulle sue.
«Non farti del male. Non è colpa tua e non avresti potuto farci niente.»
Sta per ribattere con foga, e già immagino cosa stia per dire, per cui lo zittisco posandogli due dita sulla bocca. Gli sorrido un po’ mesta, specificando: «Non intendevo fotografie erotiche. Mi hanno soltanto, uhm… spintonata un po’, ecco, fatta inciampare e cadere, e a quel punto mi hanno fotografata, sperando di ridicolizzarmi. Non che sia stato difficile comunque, come avrai notato sono piuttosto imbranata. Fortunatamente Yukito-san, che allora veniva a prendermi tutti i giorni, è intervenuto tempestivamente. Ha cancellato le foto dai loro cellulari prima ancora che avessero il tempo di pubblicarle o condividerle con qualcuno, e poi ha raccontato tutto alla mia famiglia. I miei genitori si sono pentiti della loro scelta, e hanno deciso di far tornare la mia precedente istruttrice, mentre Touya-niisama era deciso a non fargliela passare liscia; così, dopo aver ottenuto una lista dei colpevoli, è riuscito a far sì che venissero incastrati e arrestati. Non avevano poi una bella fama». 
Mi accerto che gli occhi lampeggianti di rabbia di Syaoran si spengano, prima di decidere che posso lasciarlo.
«Questo è quanto. Da allora mio fratello è diventato ancora più iperprotettivo, ed è solo dopo quell’evento che ho scoperto che era stato un diplomatico corrotto a rapirmi. Pare che lavorasse anche con la yakuza. Di conseguenza mio fratello, per “farmi aprire gli occhi e diffidare degli altri”, ha preso l’abitudine di elencarmi ogni volta che poteva tutta una serie di azioni infime e malvagie, soprattutto compiute da uomini privi di scrupoli, spaventandomi non poco… E ha anche fatto sì che, a parte lui, otou-sama e Yukito-san, e qualche sporadico politico fidato di tanto in tanto, ci fossero unicamente donne in casa nostra. Per questo, inizialmente, ha avuto difficoltà ad accettarti.»
Mi scuso da parte sua, ma lui mi guarda contrariato.
«Tuo fratello ha fatto bene», sbotta, infiammandosi di nuovo. «Io avrei fatto lo stesso, se non persino peggio!»
Ho tralasciato di dire il fatto che mio fratello avesse inizialmente intenzione di ammazzare tutte le persone coinvolte in quegli spiacevoli incidenti, ma non pensavo che Syaoran potesse prendere tanto a cuore la questione. Quasi lo coinvolgesse in prima persona.
Prende dei respiri profondi, chiudendo gli occhi, come se stesse cercando di calmarsi; quando sembra riuscirci mi guarda corrucciato, avvicinandomisi con cautela, sfiorandomi appena una guancia.
«Hai dovuto sopportare così tanto…» La sua voce si infrange come mille cocci di vetro, ma io gli sorrido, scuotendo la testa. Gli prendo la mano, aprendomi in un sorriso sincero.
«Non mi pesa più, e sai perché?»
Scuote la testa, sembrando non capacitarsene affatto. Di nulla.
«Perché tutto questo mi ha portato ad incontrare te, e tu sei ciò di più bello che mi sia mai capitato.»
Mi sento scaldarsi le guance, e ringrazio il buio per non tradirmi nel mio stato di agitazione. 
Lui mi fissa stupefatto, con gli occhi lucidi, prima di attrarmi a sé, nascondendomi contro il suo petto. 
«Anche tu, Sakura. Anche tu sei ciò di più bello che mi sia capitato.» Mi lascia un bacio tra i capelli, stringendomi ancora più forte, facendo fare i salti mortali al mio cuore. «E non devi più temere nulla. Ti prometto che ti proteggerò sempre. Da qualunque cosa.»
Annuisco senza esitazione, chiudendo gli occhi, accoccolandomi contro la sua spalla.
Lo so a perfezione. So bene che, qualunque cosa accadrà, Syaoran sarà sempre qui per me. Ci sarà sempre, per ascoltarmi, per supportarmi, per consolarmi e per proteggermi. E io da lui voglio essere protetta, perché è solo stando nelle sue braccia che mi sento tanto calma e quieta, come se esse fossero delle grosse ali che mi cingono e mi avvolgono, tenendo lontana qualsiasi intemperia. E forse è realmente così. Forse Syaoran rappresenta veramente le mie ali.










 
Angolino autrice:
Buonsalveee! Come preannunciato, la storia ha cominciato ad assumere una tonalità più dark (ma è necessario per capire meglio alcune cose - e ahimé, non è ancora finita qui). Niente paura però, prometto che ci saranno anche rose e fiori.
Ora, non voglio prolungarmi troppo sul capitolo perché temo di spoilerare (restano dei dettagli che verranno spiegati meglio più avanti), quindi mi limito a ricordarvi che nii-sama significa "fratellone" e che i riferimenti al "Ginga" e alla formula scaccia-incubi li trovate nel tredicesimo capitolo.
A domani col continuo! 
Steffirah
  
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