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Autore: Calipso19    07/01/2021    1 recensioni
Un viaggio infinito che racconta l'ormai leggenda di un mito troppo grande per una vita sola. Una storia vissuta sulle ali della musica, respinta dalla razionalità umana, colpevole solo d'essere troppo anomala in una civiltà che si dirige alla deriva. La rivisitazione di un esempio da seguire.
( Capitolo 4 modificato in data 14 marzo 2016)
Dalla storia:
- Sono cambiate tantissime cose da quando guardavamo le stelle nel guardino a Gary.
- E ne cambieranno altrettante Mike. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme te ne accorgerai.
Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, e concluse quel bellissimo quadro con un sorriso.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
- Ci credi davvero Michael? - lei lo guardò con occhi seri e sinceri. - Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente.
- Certo che lo credo, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, avere un po’ più di fiducia.
Abbassò gli occhi per vedere le proprie mani cingere la vita di Jackie, scorse una piccola macchia di pelle bianca sul polso.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Tutto cambiava, senza sosta.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Prima del capitolo, ho un avviso da dare: sono passati molti anni dall'inizio di questa fanfiction, molti lettori se ne sono andati e anche io ho continuato per la mia strada. Nonostante i ritardi, ho sempre dato un occhio a questa storia, che mi è molto cara, sia perché l'ho iniziata dieci anni fa, sia per l'impegno che mi ero presa nello scriverla. Adesso sono altre le mie priorità. Mi dispiacerebbe lasciarla incompleta, quindi d'ora in poi gli aggiornamenti saranno composti dagli appunti di scrittura che ho prodotto nel corso degli anni, con un lavoro minimo di correzione, in più dei brevi riassunti di come sarebbe andata avanti la storia. In questo modo spero di accontentare i pochi lettori rimasti e chi passerà di qui in futuro.
La fine di questa storia è già scritta (da troppi anni), quindi sarà solo questione di tempo (non troppo spero) perché venga pubblicata qui.
Buona lettura e grazie a chiunque passi di qui.

 
Un amico si vede sempre.



- Abiti in America? Strabiliante! E dove precisamente? - domandò Paolo eccitato non appena Jackie gli ebbe raccontato qualcosa di sè.

- Los Angeles. Lavoro insieme a Michael Jackson. - spiegò lei, sperando di poter fare una buona pubblicità all'amico cantante. Trovò terreno fertile a quanto pare, perché il ragazzo strabuzzò gli occhi e allargò il sorriso di qualche centimetro.

- Ma è la mia star preferita! - esclamò in preda all'emozione. - Non posso credere di parlare con una persona che lo conosce!

Jackie sorrise, e pensò di essersi guadagnata la simpatia del ragazzo. Ora probabilmente avrebbe potuto parlare di Josephine per il lavoro.
Era andata lì con quello scopo e non aveva intenzione di andarsene senza aver tentato nell'impresa in maniera significativa. Aspettò che Paolo finisse di servire qualche cliente e tornasse da loro.

- Ascolta Paolo - cominciò, imponendosi di essere convincente ma non assillante. - La verità è che sono venuta qui non solo per pranzare, ma anche per parlare di Josephine.

- Cos'ha Josephine? - chiese lui preoccupato, sbirciando la ragazza che, ignara di tutto, arrotolava la mozzarella filante della propria pizza con una forchetta e sguardo vacuo.

- Non ha niente, solo bisogno di un lavoro. E so che qui state cercando un pizzaiolo. Josephine non ama forse fare la pizza? - Vedendo lo sguardo del ragazzo incupirsi, Jackie provò a marcare meglio il proprio discorso. - E poi sei un suo grande amico. Sono certa che lavorare per te la motiverebbe cento volte di più.

- Non lo metto in dubbio. - rispose lui in modo cupo. - Infatti, per me non ci sarebbe alcun problema ad assumerla. Mi considero abbastanza privo di pregiudizi per soffermarmi sul fatto che sia autistica. Ma mio padre non la pensa così.

- Allora potrei provare a parlare con tuo padre?

- Non credo sia una buona idea. Ci ho già provato io, ma non vuole sentire ragioni. E' molto testardo...

- Posso sempre tentare. Tanto cos'abbiamo da perdere?

Paolo la guardò dubbioso, e poi guardò Josephine riflettendo. Jackie si morse il labbro, sperando che l'affetto per l'amica prevalesse sul timore del padre. Infatti, dopo qualche minuto di silenzio, Paolo si rivolse di nuovo a lei, stavolta con un viso un poco più acceso.

- Non sono sicuro che possa funzionare ma hai ragione, tanto vale tentare.

- Grazie! - esclamò Jackie entusiasta. Paolo si alzò per chiamare il padre, ma prima di congedarsi si voltò e la guardò in volto. Jackie si sentì studiata, quasi radiografata, e gli rivolse uno sguardo perplesso.

- Sei una vera amica Jaqueline. - disse lui con voce neutra, e si allontanò. Jackie abbassò lo sguardo, pensierosa. Svolgere un'azione così spontanea e normale per una persona in difficoltà la elevava al livello di vera amica? Bastava davvero così poco?

- Salve, sono Gianluca Bianchi. Mio figlio Paolo mi ha mandato da lei, signorina. - un uomo dalla voce profonda la riscosse dai suoi pensieri.
Jackie alzò lo sguardo, incontrando la figura del gestore che, diversamente da quello che aveva immaginato, non aveva la tipica conformazione di un padre padrone, grande e grosso e con le spalle potenti. Bensì, era un ometto di bassa statura e ragionevole robustezza che la squadrava con i suoi piccoli occhi grigi. Il suo sguardo non era aggressivo o feroce, ma esprimeva una grande curiosità e un po' di perplessità.

- Buongiorno signore. - si alzò per stringergli la mano con cortesia. Con la coda dell'occhio notò che Josephine li guardava di sottecchi e si era irrigidita sulla sedia. Seguendo il suo sguardo, anche il signor Bianchi notò la ragazza, e storse la bocca senza che Jackie ne capisse il motivo. Decise di far finta di nulla.

- Mi scusi se la disturbo, ma vorrei parlare con lei di una faccenda abbastanza importante. - Scosse la testa, accorgendosi di non essersi presentata. - Scusi, che sbadata. Mi chiamo Jaqueline Foster.

L'uomo, che pareva averla seguita abbastanza distrattamente, si riscosse non appena udì le ultime sillabe.

- Come prego? Lei si chiama Foster?- Boccheggiò per qualche secondo. - Non è mica una parente della Anna Flint?

- Bè, effettivamente si… - rispose Jackie con una certa difficoltà. - Sono sua figlia.

L'uomo sbarrò gli occhi e spalancò la bocca dallo stupore.

- Non ci credo! - esclamò con un forte accento toscano, attirando l'attenzione di alcuni clienti. - Non posso credere di avere proprio nel mio ristorante la figlia scomparsa dell'Anna!

- Conosceva mia madre?

- Tutti la conoscevano vent'anni fa, boia! Non c'era fiorentino che non avesse assistito a un suo balletto. Era molto popolare sa? Fu una tragedia quello che accadde, ed un vero peccato. Ma mi scusi se sono stato inopportuno con questo commento. Stimavo sua madre e l'ammiravo, e non mi vergogno ad ammetterlo, a differenza di qualche marrano che vive ancora qui intorno...

Jackie era stupita dal radicale cambio d'atteggiamento dell'uomo dopo che aveva scoperto di chi fosse figlia. Imbarazzata, ascoltò con pazienza ciò che il signor Bianchi le raccontava sui bei tempi in cui sua madre ballava per loro, e l'allegria nelle sue parole pareva aver cancellato ogni traccia di circospezione nei propri confronti. Sembrava quasi innaturale.
Paolo si fermò più volte, fra un'ordinazione e l'altra, a osservare ciò che stava accadendo, e pareva sempre più perplesso. Ogni tanto Jackie gli lanciava un sorriso rassicurante, e allora lui riprendeva a servire i tavoli un po' più tranquillo.
Il sudore sulla fronte e i capelli scompigliati tradivano tuttavia la sua angoscia.
Improvvisamente, il signor Bianchi si accorse di aver parlato un po' troppo, e terminò i suoi racconti con una sfilza di inutili e mielose scuse.

- Non si preoccupi - tagliò corto Jackie. - Ora però vorrei parlarle della faccenda di cui le ho accennato prima.

- Ma certo mia cara! - sorrise l'uomo. - Cosa posso fare per te?

- Vede, io sono qui con questa mia amica, Josephine - si girò verso la ragazza, che cominciò a sudare freddo. Evidentemente temeva l'uomo. - Mi sembra di capire che vi conosciate già. - mormorò Jackie, cercando di cogliere i timori della mora.

- Certo che ci conosciamo. - rispose il signor Bianchi. - Josephine è una cara amica di mio figlio.

- So che state cercando un pizzaiolo a tempo pieno. - disse Jackie. - Sono venuta per proporre Josephine. - Notando che la bocca dell'uomo aveva assunto una piega amara, cercò di essere più convincente prendendo spunto dalle tecniche di conversazione apprese nel corso degli anni. - Ha una buona mano sa? Ed è discreta e sa cucinare alquanto bene.

- La tua amica è già venuta con sua madre per quel posto. - rispose l'uomo. - Ma non credo sia una buona idea.

- Perché mai, se posso chiedere?

- Una ragazza così giovane dovrebbe cercare un lavoro con uno stipendio più alto. Da parte mia, posso offrire il 20% in meno del compenso normale, non posso permettermi di più attualmente.

Jackie comprese che la questione dello stipendio era una scusa per non fare brutta figura con lei, per non dirle che l'autismo della giovane lo infastidiva o forse lo intimoriva, ma decise di non farci caso.

- A Josephine non interessa una paga alta. A lei andrebbe benissimo così com'è. - insistette. - Vede, lei ha bisogno di lavorare. Ha tutti i requisiti. E se lei le desse solo una possibilità…

- Suvvia Foster - sbottò l'uomo, perdendo la pazienza. - Non può venirmi a dire che questa ragazza ha 'tutti i requisiti'. Non scendiamo nei particolari, ma è evidente che manca qualcosa qui. E io ho bisogno di gente che lavori sodo e consapevole.

- Josephine non è andicappata! - s'indignò Jackie, alzando leggermente la voce. - E lei è senza scrupoli se non intende darle almeno una possibilità!

Quasi tutti i clienti della sala prestavano attenzione alla discussione, e ciò parve mettere in imbarazzo il gestore del locale. Con un rapido gesto allentò il colletto e guardò Jackie con fastidio.
A lei però non importava.
Aveva perso le staffe e tanto valeva nuotare fino al traguardo con tutti i mezzi possibili. Fissò trucemente l'uomo che aveva davanti come se da ciò dipendesse la propria vita, e l'energia emanata dalle proprie iridi così smeraldine e profonde sembrarono intensificare la condanna.
Nessuno avrebbe potuto resisterle. Chiunque, di fronte a lei in quel momento, sarebbe diventato arrendevole.

- E sia. - disse l'uomo dopo un attimo di silenzio. - Faremo una prova.

Jackie sorrise.

- Vedrà che non se ne pentirà, signor Bianchi. - assicurò.

- Anche se sono sicuro che non riuscirà a superarla - rispose lui con una voce quasi strafottente. - Il mio ristorante ha molti clienti, e io sono molto esigente. La pizza dev'essere perfetta e avere il minor tempo di attesa.

- Josephine saprà farsi valere. - disse Jackie, facendo alzare la ragazza che la guardò stupefatta come per dirle 'Adesso?' con lo sguardo. Jackie chiamò Paolo e si avviarono in cucina.

- Non posso credere che sei riuscita a convincerlo a fare almeno una prova - non smetteva di ripetere Paolo in preda a un violento attacco di frenesia. Jackie sorrideva a ogni commento, e cercava di tenere tranquilla Josephine che, anche lei in preda ai timori dell'ansia, non riusciva ad allacciarsi il grembiule tanto le tremavano le mani.

- Vedrete che andrà tutto bene - disse Jackie ad entrambi, e neanche fosse una benedizione, andò proprio così.

La sera infatti, Jackie tornò insieme a Giada al ristorante per prendere Josephine e sapere il resoconto della prova.

- Appena entreranno ci piglieranno a pesciate in faccia. Tonni, sgombri e crostacei se vogliamo .. - aveva commentato Giada con amarezza prima di varcare la soglia. Jackie sudava freddo. E se una volta entrate avessero trovato Josephine rannicchiata in un angolo, intimorita dalle urla del gestore?

Cercando di scacciare quella visione poco incoraggiante, venne accolta da una sala luminosa e profumata che abbondava di clienti e camerieri. L'aroma di pizza era ben percepibile anche dall'ingresso e, voltandosi verso il forno, Jackie e Giada aprirono la bocca dallo stupore nel vedere la giovane autistica in preda a paste bianche e salse di pomodoro.
Non appena si accorse di loro, Josephine sorrise un momento e continuò a lavorare, concentrata.

- Siete arrivate, benvenute! - le accolse Paolo con un gran sorriso.

- Ciao Paolo! - esclamò Jackie, mentre Giada rimaneva a guardare la figlia con aria incredula. - Immagino che la prova sia andata bene.

Il giovane lanciò un urlo di gioia che a Jackie ricordò il suo amico americano. Dalla gioia, il ragazzo l'abbracciò di slancio.

- Alla grande! - disse staccandosi. - Mio padre non lo ammetterà mai, ma Josephine se l'è cavata più che benissimo! Non ha mai chiesto nulla e non ha combinato disastri. E' stato magnifico, ed è stata assunta!

- Assunta?! - strillò Giada voltandosi verso di loro. - Non posso crederci! - Guardò Jackie. - Come hai fatto?

La ragazza alzò le spalle, e raggiunse Josephine.

- Congratulazioni! - le disse con gioia guadagnandosi uno smagliante sorriso. - E tu padre dov'è ora? Voglio proprio parlargli! - chiese a Paolo.

- Se n'è andato non appena ha visto che andava tutto bene. Ha dato ordine di fare un contratto per un anno ed è tornato a casa. Credo che non se la sentisse di parlare con te. E' troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato. - Paolo guardò Josephine con infinito affetto. - Sono così felice per lei. - mormorò senza smettere di sorridere, e Jackie non poté fare a meno di sentirsi travolgere dall'allegria che quel ragazzo, quel luogo, quelle persone emanavano. Si sentiva a casa, in patria, e allargò il sorriso.

- Che tonno tuo padre ragazzo! - commentò Giada bruscamente, ma Paolo non se la prese.

- Meglio non girare troppo il coltello nella piaga, signora D'Amico! - rispose sorridente, mettendole un braccio attorno alle spalle. - Che ne dice se le offrissi una bella pizza preparata da sua figlia?

Giada rifletté un attimo con viso ombroso, e infine annuì convinta.

- Coi peperoni caro.

- Coi peperoni signora!
 
---


Fabiana era una scrittrice.
O perlomeno, presto lo sarebbe diventata ufficialmente.
Fatto sta che aveva scritto più di cento o trecento racconti, e aveva contattato una casa editrice per pubblicarli in una raccolta.
Jackie conosceva sin dall'adolescenza la passione della sorella per la letteratura e la scrittura, e aveva letto e commentato i suoi lavori con grande piacere.
Fabiana aveva scritto ogni genere, dal fantasy all'avventura, dall'horror all'erotico più fisico e sensoriale, e Jackie aveva letto tutto con voracità.
La sorella riusciva a mettere insieme sillabe e sintassi in modo da formare un'emozione a lettera, e riusciva a esprimerle in modo sensato ed efficace.
Era agli esordi della carriera.

Luca era un promettente ballerino che tutti ammiravano per la bravura atletica e la bellezza di un angelo. Il suo fisico muscoloso ma snello era l'argomento d'elitè di molte ballerine che insieme a lui formavano la squadra di danza teatrale del grande teatro di marmo dove, ai suoi tempi, si era esibita per gli ultimi spettacoli sua madre Anna. Da lei infatti, aveva ereditato un'incredibile qualità carismatica che a Jackie ricordava molto Michael: si muoveva sul palco con la stessa disinvoltura e quando sorrideva la bocca assumeva la stessa piega.

Entrambi i suoi fratelli si stavano avviando verso una promettente vita lavorativa, e ciò la fece riflettere sulla propria.
Cos'era lei? Cosa aveva costruito in quegli anni di giovinezza?

Bene, ho risolto le mie questioni qui, pensò. Posso tornare a casa.

E così fece, stupendo tutti quanti con una partenza imminente. Fabiana si mise addirittura a piangere nel vederla andare via, e quella commozione coinvolse anche Jackie che si sentì costretta ad allungare i convenevoli di qualche minuto più del previsto. Luca l'abbracciò forte, Guglielmo le promise di venirla a trovare, il nonno le raccomandò di mangiare e la zia le consegnò la ricetta della sua torta speciale.
Giada e Josephine vennero direttamente all'aeroporto per salutarla.
La vecchia amica di sua madre aveva le lacrime agli occhi, e persino sua figlia sembrava molto provata, poiché si era molto affezionata a Jackie, ma non un velo di nebbia irruppe nelle sue iridi.

- Josephine non piange mai. Credo che non possa, o non riesca. - spiegò Giada a Jackie quando notarono l'espressione un po' forzata della ragazza. - Diciamo che è un altro dei suoi strani impedimenti. Però ti assicuro che non vorrebbe vederti partire. Vorrebbe tenerti qui.

Quelle parole le ricordarono il proprio senso di responsabilità nei confronti della terra d'origine, della famiglia di sua madre, dei suoi dintorni, e con trattenuto rammarico si chiese quanto fosse forte il suo trasporto verso l’America per riuscire a farle abbandonare ogni volta la propria patria.
Perché ogni partenza suonava un po' come un abbandono: lei era certa di ritornarci, ma i suoi familiari si comportavano come se ogni volta fosse un addio. Come se ogni volta che lei prendeva il volo non sarebbe più tornata, vinta dai lusinghieri inviti del nuovo mondo a cui, all'epoca, gran parte dei cittadini europei aspiravano.
Durante il viaggio in aereo Jackie meditò a lungo e decise di fare qualcosa per la propria vita, poiché si rese conto che se non fosse per Michael, non sarebbe mai entrata in una sala di registrazione.
Lei era stata imparata alla musica sin da piccola, essendo vissuta praticamente ogni giorno con la famiglia Jackson, che di musica si nutriva e respirava.
Aveva imparato a cantare, ballare, suonare chitarra e pianoforte, recitare e comporre piccole opere da sola, con l'amico del cuore e successivamente con la sua madrina Diana Ross.
Con Berry Gordy era stata inserita nella Motown da bambina e l'uomo, avendola presa a cuore, le aveva insegnato molti trucchetti musicali e d'azienda.
Senza di lui sarebbe stato molto più difficile entrare successivamente a far parte dello staff di Q e infine, a lavorare affianco a Michael, scrivendo addirittura per quello che si rivelò il capolavoro di Thriller.
Una vita ricca di attività, la sua.
Tuttavia sentiva il bisogno di avere qualcosa di concreto in mano, poiché si era guadagnata la fiducia dei suoi superiori solo con la propria bravura e costanza nel lavorare e non perché possedesse un qualche pezzo di carta che attestasse le sue capacità nel campo.
Infatti, a parte il diploma della scuola superiore, Jackie non possedeva altro in quel determinato frangente.
E mettersi a studiare per ottenerne uno in ambito musicale le sembrava un po' inutile, per quanto interessante.
Doveva fare qualcosa di diverso, senza tuttavia smettere di lavorare affianco a Michael.
Pensò a lungo, per quelle dodici ore di volo che la separavano dalla sua seconda casa e quando atterrò, vaga le ronzava in testa l'idea filosofica fine a sé stessa.

 
  
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