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Autore: thors    08/01/2021    1 recensioni
[note] I fatti narrati in questa storia si svolgono poco tempo dopo gli eventi raccontati nelle serie animata “Avatar: The legend of Aang” (quindi c’è qualche spoiler) e costituiscono un enorme “what if” della successiva stagione “The legend of Korra” (alla quale non viene fatto nessun riferimento).
[intro] Il nuovo Signore del Fuoco viene travolto dalle più terribili violenze, mentre sui quattro regni spira un nuovo vento di guerra che lo trascinerà in un abisso oscuro e profondo, ma Ethiel, una giovanissima mezzelfa, affiderà a lui la sua vita e gli mostrerà in cambio un nuovo futuro.
[cit] Nel vederlo, Ethiel ne fu sorpresa, confusa ed inorridita.
«Non… non è un elfo…» protestò, senza smettere di fissare l’orrenda bruciatura che sfigurava il volto del ragazzo davanti a lei.
«No, non lo sono», replicò lui con tono seccato, mentre ricambiava lo sguardo della ragazzina con un’espressione altrettanto perplessa.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mai, Zuko | Coppie: Mai/Zuko
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di una mezzelfa'
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3. Il regno degli elfi
 

Introduzione

Dopo quasi un intero anno di calma, vi era stato un notevole aumento nel viavai di soldati lungo le vie di collegamento tra la roccaforte di Pohuai e l’entroterra, e questo cambiamento non era passato inosservato agli antichi abitanti della foresta.

Gli elfi vivevano pacificamente in quel territorio da molto prima della nascita dei quattro regni, ed erano potenti, un tempo, tanto che gli uomini non avrebbero mai osato sfidarli. Quando nacquero le arti di dominio, però, l’equilibrio si spezzò, e gli elfi non poterono opporsi alla devastazione della loro terra.

L’offesa più vile, sanguinosa ed umiliante avvenne tredici anni prima, all’epoca in cui i dominatori del fuoco, guidati dal comandante Shinu, costrinsero gli elfi alla resa, arrogandosi il diritto di incendiare una parte della foresta per costruire una strada ed una ferrovia che tagliavano a metà il territorio elfico.

Gli sconfitti tornarono a nascondersi, sperando di poter piangere in pace i propri morti. Poi la guerra centenaria finì, i conquistatori se ne tornarono alle loro isole, e per lungo tempo gli umani sembrarono non nutrire più alcun interesse verso la foresta.

Quando i dominatori della terra vennero a sostituire i binari di metallo con lastre di pietra, gli elfi capirono di essersi sbagliati e si tennero nuovamente in disparte, convinti dalla regina Fanie che assecondare il proprio rancore li avrebbe condotti soltanto alla morte.

 

§

 

La cattura di un umano in possesso di un antico e potente amuleto mise in silenzioso subbuglio il piccolo regno degli elfi. Era stato trovato ai piedi di un albero, ferito e denutrito al punto di esser vicino alla morte, e su ordine della regina venne curato, imprigionato e da lei stessa interrogato. Due giorni dopo, al tramonto, Fanie convocò il suo popolo per discutere di alcune faccende divenuti urgenti, compresa la sorte di quel prigioniero.

La grande sala delle udienze era un ambiente di forma quadrata, decorato da ghirlande di fiori e foglie, e non dissimile, se non per la sua dimensione maestosa, da ogni altro ambiente costruito dagli elfi in quella foresta: si trovava a venti passi dal suolo, non vi erano pareti, il pavimento era di solide assi di legno abilmente ancorate ai rami portanti di tre grandi querce ed il tetto era formato esclusivamente dalle verdi foglie di quegli stessi alberi. Le trecento persone lì raccolte, tutti i sopravvissuti della guerra contro i dominatori del fuoco che in quel momento non erano di guardia ai confini del regno, ascoltavano in totale silenzio la loro regina.

Lei indossava un abito bianco, che ne esaltava la regale bellezza, e guardava la folla con sguardo al tempo stesso duro e gentile. Nei suoi occhi, però, vi era un velo di stanchezza sin troppo evidente allo sguardo attento di un elfo, e la pelle troppo pallida rivelava un malessere la cui natura e gravità era al corrente di pochi amici fidati. Per apparire in condizioni migliori di quanto non fosse, si sforzò di sedere eretta sul trono di rami intrecciati e di parlare con voce forte e sicura.

«Ciò che è andato perduto non può essere ancora riconquistato», esordì con impeto. «Dobbiamo continuare a nasconderci, come abbiamo sempre fatto, ed attendere con pazienza.» Rivolse quindi un’occhiata severa e minacciosa ad alcuni dei presenti e continuò: «So che tra i guerrieri vi è chi sta pensando di spingere gli spettri sulla strada degli umani, convinti di poterli ripagare di quanto subimmo nell’epoca più dolorosa che noi tutti possiamo ricordare. Io, però, vi ordino di non compiere gesti simili. I dominatori della terra hanno superato le zone infestate a settentrione e meridione e non sono meno potenti dei dominatori del fuoco. Se fossero attaccati dagli spiriti, alcuni morirebbero, certamente, ma, alla fine, li respingerebbero nella nostra foresta, e noi otterremo solo una nuova devastazione. Lasciate che simili stratagemmi siano usati solo da mostri senza onore, vermi indegni di qualunque altro titolo».

Nessuno osò replicare, ed alcuni chinarono il capo umilmente.

Sul finire della riunione, dopo che gli elfi ebbero espresso le loro preoccupazioni per le attività degli umani nei territori vicini, Fanie osservò lentamente i volti dei suoi sudditi, si appoggiò sullo schienale e disse con voce dolce ma minacciosa: «Domani il prigioniero se ne andrà dalla nostra foresta. Nessuno dovrà ostacolarlo in nessun modo, né lui, né chi lo accompagnerà».

 

Di ciò che fu discusso al consiglio degli elfi, Ethiel ebbe le prime notizie dai commenti ad alta voce di qualche guerriero. Due mesi prima aveva compiuto dodici anni e, da quando aveva memoria, era sempre stata costretta a restare in una prigione senza pareti, sbarre o catene. Viveva da sola su di un albero, non poteva allontanarsi da una precisa zona a lei riservata, e nessuno le parlava mai. Solamente sua madre faceva eccezione. Le faceva visita ogni giorno e soltanto lei poteva portarla in giro per la foresta. In quel caso, però, Ethiel doveva tener celato il viso e poteva parlarle solo a bassa voce, ma soltanto dopo essersi assicurata che nessun altro la potesse sentire.

Invidiava tutti gli altri elfi della foresta, che potevano muoversi e parlare liberamente, e talvolta si domandava se non fosse stato meglio per lei avere un’altra madre. Se non fosse stata la figlia della regina, sarebbe stata esiliata non appena fosse stata capace di usare un arco, e nessuno avrebbe potuto opporsi. Sarebbe stata costretta a vivere per sempre da sola e, probabilmente, non sarebbe sopravvissuta a lungo; questo lo sapeva bene, ma sentiva ugualmente il desiderio di fuggire. E forse lo avrebbe fatto, se sua madre non le avesse predetto che un guerriero valoroso, un giorno, sarebbe giunto per stare al suo fianco. Ad ogni modo, non le riusciva di conciliare la gentilezza che gli elfi dimostravano verso piante ed animali con la crudeltà che riservavano invece a lei. E se ancora non sentiva di odiarli, era solo per l’amore di sua madre.

 

Fanie venne a far visita a sua figlia poco dopo aver parlato al suo popolo. Fingendo un’allegria che non provava e sforzandosi di apparire curiosa, Ethiel forzò un sorriso e le disse: «Ho sentito che il prigioniero lascerà la foresta. Davvero non sapeva di avere con sé un prezioso talismano degli elfi?»

Fanie non poté non notare la tristezza che già da troppo tempo traspariva dal viso di sua figlia. L’abbracciò, poi la guardò negli occhi e le disse: «Figlia mia, ti conosco troppo bene perché tu possa mentirmi, e so bene quanto il tuo animo sia pesante. Ora ascoltami: non è un bugiardo ed è giunto sin qui guidato e protetto proprio dal talismano. È la persona che stavamo attendendo, e tu, domani, lo accompagnerai. Ti sembrerà crudele da parte mia, ma solo lui può salvarti e darti la possibilità di vivere la vita che vorrai».

«Mamma…» disse Ethiel spaventata, «perché dovrei andar via con lui? Perché non puoi essere tu ad accompagnarmi? È questa la vita che vorrei!»

Non potendo più trattenere le lacrime, Fanie l’abbracciò di nuovo, tenendola stretta. «Perché presto io non sarò in grado di proteggerti, bambina mia.»

«Non è vero… Tu sei la regina degli elfi… e nessuno è forte come te.»

La regina si asciugò le lacrime, poggiò le mani sulle spalle della ragazzina ed incrociò nuovamente il suo guardo perso. «So che non puoi accettare le mie parole, ma è la verità. Non ti abbandonerei mai, se potessi evitarlo. Dolce figlia mia, tutta la forza che mi rimane deriva dalla nostra foresta, ed io non posso più lasciarla. Ma ovunque tu sarai, io veglierò su di te. E questa è una promessa solenne.»

 

Al mattino la regina tornò dalla figlia e la condusse dal prigioniero, che, pur non essendo legato, non aveva mai considerato l’idea di scendere a terra e tentare la fuga. Nel vederlo, Ethiel ne fu sorpresa, confusa ed inorridita.

«Non… non è un elfo…» protestò, senza smettere di fissare l’orrenda bruciatura che sfigurava il volto del ragazzo davanti a lei.

«No, non lo sono», replicò lui con tono seccato, mentre ricambiava lo sguardo della ragazzina con un’espressione altrettanto perplessa. Non se l’era immaginata così giovane; e, sebbene sapesse che il padre era umano, vi era una tale diversità d’aspetto tra la regina e sua figlia da sconcertarlo. Nonostante Fanie fosse gravata come da un velo di pesante stanchezza, era convinto che nessuna donna gli sarebbe mai apparsa più incantevole; la bellezza non ancora sbocciata di Ethiel, a confronto, gli sembrava rozza, imperfetta e, senza comprenderne appieno il motivo, sgraziata. Avevano gli stessi occhi verdi, profondi, nei quali risplendeva una luce fatata, e le stesse orecchie appuntite. La differenza più chiara ed evidente stava nei loro capelli: mentre quelli lunghi ed argentati della madre erano incredibilmente lucenti, quelli castani della figlia parevano opachi e poco più che ordinari.

Cercò di farsi un’idea dell’età della ragazzina e domandò: «Dovrei dunque essere il suo bambinaio?»

«Nobile Zuko,» rispose la regina con voce melodiosa, «ti presento Ethiel, mia figlia. Che probabilmente smetterebbe di guardare il tuo occhio cieco, se tu volessi accettare le mie cure.»

Infastidita e con le gote imporporate dall’imbarazzo, Ethiel si voltò di scatto verso la madre, rimproverandola con lo sguardo. Il prigioniero, invece, con voce spenta e senza allegria, le rispose: «Sarebbe un problema se non mi staccasse gli occhi di dosso per tutto il viaggio. Ma voi, mia signora, avete davvero il potere di curare il mio volto?»

«A dispetto della tua sfiducia, noi elfi siamo in grado di guarire ferite simili.»

Zuko le gettò comunque un’occhiata diffidente. «Solo l’acqua dove nuotano gli spiriti della luna e dell’oceano ha il potere lenitivo necessario; ma se voi, splendida dama, sarete davvero in grado di sanarmi, la mia inutile vita vi apparterà completamente.»

   
 
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