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Autore: Milagar    08/01/2021    2 recensioni
Bill Weasley ha appena rinunciato al suo incarico da Spezzincantesimi in Egitto per collaborare con l'Ordine della Fenice.
Fleur Delacour è appena stata assunta dalla Gringott per migliorare il suo inglese.
All'apparenza non possono essere più diversi, eppure un evento particolare li porterà ad avvicinarsi e scoprire che sono indispensabili l'uno per l'altra.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Autunno 1995
 
Bill non riuscì a perdonarsi. Aveva visto fuggire Fleur in lacrime solo perché lui stava parlando con un’altra donna davanti al Paiolo Magico e ammise che era tutto ciò che non avrebbe mai voluto che accadesse. Quella sera aveva lasciato Tonks in malo modo, cercando di rincorrere Fleur per i vicoli di Diagon Alley. Aveva bussato più volte alla porta dell’appartamento sopra al Ghirigoro, ma non aveva riposto nessuno. In cuor suo, Bill sperava che fosse solo un brutto sogno.
 
I giorni seguenti a quel fallito appuntamento, sulla sua scrivania alla Gringott, non c’era la solita tazza di caffè bollente. Fleur non si faceva vedere più così tanto spesso come prima: al suo posto, quell’odiosa di Hernietta Edgecombe[1] aveva iniziato a intrattenersi più spesso nel suo ufficio, quando veniva a consegnargli le pratiche del giorno.
 
Bill si era convinto a parlarle di prima mattina, quando entravano alla Gringott, ma dovette arrendersi presto, quando si accorse che Fleur aveva preso l’insana abitudine di entrare assieme a Brutus Bartleby – quel viscido, schifoso, lavativo! Lo stomaco di Bill si accartocciava ogni volta che li vedeva entrare, Fleur meravigliosa come sempre e – se i suoi occhi non lo ingannavano – ancora più splendente e algida.
 
Il vuoto che Bill sentiva attorno a sé lo faceva rabbrividire, come se si sentisse nudo, privo di qualcosa di vitale. In quelle settimane, si era buttato a capofitto sulle questioni dell’Ordine: era riuscito ad ottenere, senza la mediazione di alcun folletto, un breve colloquio con Ragnok – senza successo, visto il sentimento anti-mago che la comunità goblinese coltivava dopo la questione con Ludo Bagman; il processo di Harry aveva posto sotto pressione gran parte dei membri dell’Ordine e solo la sua assoluzione fece tirare a tutti un sospiro di sollievo, soprattutto a sua madre, e Bill sapeva quanto fosse stata in ansia per quella questione. Da quando l’aveva vista crollare emotivamente dopo la terza prova del Torneo, Bill aveva preso coscienza di quanto Harry contasse per lei e per tutta la sua famiglia ed era anche per quello che aveva deciso di lasciare l’Egitto. Cercava di dedicarsi alla famiglia il più possibile, passando del tempo coi suoi genitori, i suoi fratelli, recuperando gli anni persi lontano da casa. Vedeva Ginny crescere velocemente sotto il suo sguardo e diventare donna, Fred e George confabulare sottovoce guardando la sezione di compravendita di immobili sulla “Gazzetta del Profeta”[2] – chissà cosa avevano in mente! Inoltre, vedeva Ron, il più piccolo maschietto di casa e il suo preferito, mostrarsi un amico leale, fraterno e solido per Harry. Tutto ciò, cercava di lenire nel profondo la mancanza di quei capelli argentei e di quella bellezza ammaliante che Bill aveva avuto per sé per quasi un mese, forse senza rendersi conto di quanto fosse preziosa e quanto valesse per lui quella presenza.  
 
***
 
Fu in un primo pomeriggio di fine estate che bussò alla finestra del suo ufficio il piccolo e agitato Leotordo. Portava con sé una piccola busta che Bill aprì impazientemente, pensando portasse nefaste notizie da Grimmauld Place. Invece, fu felice di leggervi il messaggio della madre che annunciava che Ron ed Hermione erano diventati Prefetti di Grifondoro e che quella sera si sarebbe tenuta una piccola festicciola in loro onore.
 
“Grande, fratellino!” esclamò fra sé Bill, scribacchiando un sincero messaggio di congratulazioni come risposta alla madre. Era davvero contento che il piccolino di casa avesse raggiunto un traguardo così importante. Sorrideva ancora tra sé, riprendendo il lavoro, pregustando la cena di quella sera, quando sentì una voce roca provenire dalla porta.

“Hai avuto buone notizie?”

Bill alzò lo sguardo di scatto, quasi da farsi venire il mal di collo. Fleur era in piedi, avvolta in un’elegante veste color cielo, lo zigomo alto tirato in un’espressione greve e preoccupata. Il cuore del ragazzo sobbalzò e arrivò pulsante all’altezza dell’ombelico.

“Fleur… io… ehm, sì. Buone notizie. Mio fratello è diventato prefetto”.

Fleur avanzò di un passo, incrociando le braccia al petto in un modo così stretto che Bill si chiese se sarebbe stata in grado di sgrovigliarle.

Bien. Falli tonti complimonti da parte mia”, disse fredda e quasi sarcastica la ragazza.

Nella piccola stanza scese il gelo.

“Ehm… per quella sera, io…”

“Non volio più saper rien. È ondata così”.
 
Bill non sapeva se guardare Fleur o sotterrarsi. Lei, in compenso, non staccava un attimo gli occhi da lui e per quel poco che riuscì a sostenere il suo sguardo, Bill notò che l’entusiasmo che aveva durante i loro momenti insieme era svanito, lasciando il posto ad un’immensa freddezza.
 
“E allora perché sei qui?” sbottò Bill, non senza nascondere quella crescente rabbia che provava, sia per Fleur sia per se stesso. Le parole arrivarono a Fleur più dure di quello che la ragazza avrebbe mai immaginato, perché per un attimo sembrò titubare e abbassare quello sguardo gelido.

“Mi trasferisco alle Valute Internazionali. Volevo dir questo”.

A Bill pulsarono le tempie. Fleur ce l’aveva fatta, aveva ottenuto ciò che voleva. Bartleby le aveva ronzato attorno ben bene, l’aveva convinta. Chissà a quali patti era dovuta scendere…

“E così hai ceduto a Bartleby. Ma brava!” disse Bill, con la voce tremante dalla rabbia, sputando fuori quello che da calmo non le avrebbe mai voluto dire.
 
“Ponsi che non sono capasce a descidere da sola, con la mia testa, c’est vrai?” Fleur aveva assunto ancora quell’espressione accorata di quando si erano parlati la mattina dopo Tinworth. “Ponsi che sono solo un bel corpo e bei capelli, non? Ponsavo fossi diverso, Bill. Invesce, sei come tutti li altri”. Fleur aveva parlato con voce ferma, chiara, decisa. Quelle poche parole investirono Bill, inevitabilmente. La stava perdendo per sempre, ed era colpa sua.

La ragazza aveva già voltato le spalle a Bill, quando si sentì richiamare dal ragazzo.

“Fleur. Cosa siamo noi, adesso?” Bill lo chiese per disperazione e per se stesso. Cos’erano stati, lui e Fleur? Cosa sarebbero diventati, ora?

Rien. Non siamo nionte, Bill”.
 
***
 
Non fu facile per Bill stamparsi il miglior sorriso che aveva e presenziare alla festa organizzata in onore di Ron ed Hermione: cercò di distrarsi chiacchierando con Malocchio, lottando con sua madre in difesa dei suoi capelli lunghi (quelli che a Fleur piacevano, in fondo), godendosi i suoi fratelli più piccoli per l’ultima sera prima del loro ritorno ad Hogwarts. C’era anche Tonks, quella sera, che lo avvicinò guardinga, mentre sorseggiava una Burrobirra davanti al camino. Non avevano avuto modo di parlare di altro, in quelle ultime settimane, se non di questioni legate all’Ordine.

“È da un po’ di tempo che volevo chiederti una cosa” iniziò Tonks, appoggiandosi con la spalla alla mensola del camino. “Quella sera che sono venuta a salutarti alla Gringott… avevi un appuntamento con qualcuna?”

Bill sbuffò impercettibilmente col naso, continuando a fissare le fiamme che danzavano nel camino. “Preferirei non parlarne, Tonks”.
 
“Ascolta” ribatté la giovane Auror dopo un istante di silenzio “L’ho vista, la tipa. Mi ha letteralmente incenerita con lo sguardo. Dev’essere veramente innamorata di te, se ha fatto una scenata così grossa di gelosia”.

“Non è….” Iniziò Bill, ma si interruppe, rendendosi conto di quello che stava per dire “Cioè… non credo… insomma… dici che è innamorata di me?”
 
Tonks storse appena il naso “Forse un poco. Io non farei scenate così con chiunque – e mentre lo diceva, Bill si accorse che il suo sguardo aveva impercettibilmente sfiorato la figura trasandata di Remus Lupin, che stava chiacchierando con Harry – beh, forse non lo farei e basta. Non sono il tipo. In ogni caso” concluse Tonks “Meglio che tu non te la faccia scappare”. Si allontanò appena dal camino, ma si fermò, prima di spostarsi in direzione di Ginny ed Hermione “Scusa ancora se ti ho rovinato la serata”.
 
Bill seguì con lo sguardo Tonks, rimuginando a quel che le aveva detto. Davvero Fleur poteva essere innamorata di lui? E lui, cosa provava per Fleur? A sue spese, Bill aveva scoperto che la giovane francese stava diventando un pensiero fisso, quello che lo accoglieva ogni mattina appena sveglio, che gli dava la forza per scendere dal letto e andare a fare un lavoro che gli stava stretto; era la figura accogliente nella quale i suoi sogni venivano coccolati la sera prima di addormentarsi. Era lentamente diventato il motivo per cui si stava impegnando così tanto per l’Ordine: per darle un posto migliore in cui vivere.
 
***
 
Settembre arrivò, portando anche un consistente calo delle temperature. Il cielo iniziò presto ad incupirsi e iniziarono lunghe giornate piovose. Bill perse l’abitudine di andare al lavoro a piedi, visto anche il ritorno della sua famiglia alla Tana, e cominciò a smaterializzarsi direttamente fuori dalla Gringott. Questo gli risparmiava il doloroso ricordo dei momenti passati con Fleur quando passava davanti alla gelateria Fortebraccio, oppure quando scorgeva l’insegna del Ghirigoro.

Fu una di quelle mattine uggiose, che Bill, entrando, si imbatté in Bartok.

“Buongiorno Bartok” lo salutò Bill, più per educazione che per vero interesse.

“Buongiorno, William Weasley. Ho saputo che sei riuscito a parlare con Ragnok” disse il folletto.

“Ma senza successo” concluse Bill, sospirando. “Ci sono novità che devo sapere?” continuò, cambiando discorso.

Il folletto lo sguardò di sottecchi, assottigliando gli occhi.  

“I nostri esperti hanno fatto ricerche in merito all’eredità Dupaty. Oh, cose molto interessanti davvero, sono emerse da quell’eredità” disse Bartok, con deferenza.

“Davvero? Che cosa, in particolare?” chiese Bill, effettivamente curioso e non senza un colpo al cuore. Quel caso lo sentiva particolarmente suo. E di Fleur.

“Cose molto interessanti, degne di uno Spezzincantesimi di prim’ordine. Ma, ricordati, William Weasley, finché non riuscirai a distinguere un Incanto di Adesione Permanente da un altro incanto, molto più potente, farò fatica a definirti tale”.
 
Come già altre volte aveva fatto, il folletto scomparve zampettando verso il varco delle camere blindate e Bill dovette maledirlo mentalmente. Senza nemmeno raggiungere l’ufficio, lo Spezzincantesimi si diresse alla biblioteca della Gringott. La questione dell’eredità Dupaty lo stava sfibrando, a maggior ragione da quando Fleur non faceva più parte della sua vita. Doveva capire quale incantesimo fosse legato a quella casa e a quel forziere. Non poteva fallire. Non doveva fallire. Era sempre stato il suo sogno diventare Spezzincantesimi; Vitious glielo aveva detto sin dai primi anni ad Hogwarts che era portato per Incantesimi...
 
***
 
Grossi volumi erano sparpagliati sul tavolo della biblioteca della Gringott, insieme a rotoli di pergamena scritti fitti fitti. Bill faceva scorrere gli occhi sui volumi con estrema velocità, prendendo appunti. I suoi capelli erano raccolti nella solita crocchia tenuta ferma da una matita. Stava ammattendo da giorni: aveva deciso di tralasciare le pratiche, che – ne era sicuro – si stavano ammucchiando sulla sua scrivania, per dedicarsi allo studio. Si sentiva come a Hogwarts, quando stava preparando i M.A.G.O. e passava intere giornate riverso sui libri. Aveva ormai perso di nuovo le speranze: non aveva trovato niente di più e niente di meno rispetto a quello che già sapeva sugli Incantesimi di Adesione Permanente.

“Ancora non hai trovato nulla, William Weasley?”

Bill trovò arrampicato sul tavolo Bartok, lo sghembo sorriso da folletto sul volto.

“No, Bartok. No. E mi sto sentendo uno schifo, perché non mi ci raccapezzo più” disse Bill, sbuffando e afflosciandosi sulla sedia.

“Ti do un suggerimento” esordì dopo un po’ di silenzio Bartok, le lunghe dita intrecciate. “Hai mai sentito parlare di Incanto Affettivo?”

Bill aggrottò le sopracciglia. “No. È simile all’Incanto Amormìo[3] che lanciavano i faraoni sulle concubine?”

Bartok scrollò la testa, brontolando. “No, no, non ci siamo, William Weasley. L’Incanto Amormìo è il sostituto dei filtri d’amore, non può essere equiparato all’Incanto Affettivo, che è molto più complesso e molto più potente”.

Bill si illuminò, pensando a quando Fleur gli aveva detto, dentro al cottage di Tinworth che l’incanto che aveva percepito era qualcosa di più potente, legato alla coppia che vi aveva abitato.
“Ha a che fare con la coppia dei Dupaty, giusto?” azzardò Bill, guardando di sottecchi il folletto.

“È evidente che non sei mai stato davvero innamorato, William Weasley. Perché solo due anime affettivamente legate possono spezzare i vincoli  dell’Incanto Affettivo e crearne uno nuovo su di loro”.

A Bill mancò il fiato per un attimo e il cuore gli sobbalzò in petto. Due anime affettivamente legate?

“Nel senso che… Fleur è riuscita a prelevare lo scrigno perché è innamorata di qualcuno?”

“Non di qualcuno genericamente” spiegò paziente Bartok “Ma di qualcuno che era lì con lei al momento del prelievo”.

Bartok fissava curioso e al contempo risentito Bill, che aveva il respiro affannato dalla rivelazione che il folletto gli aveva appena fatto.

“Spero di averti chiarito le idee, William Weasley” disse Bartok, uscendo dalla maestosa biblioteca e lasciando solo tra i suoi pensieri Bill.
 
***
 
Il cielo di quel pomeriggio di ottobre era coperto da bassi nuvoloni grigi e il vento soffiava forte e freddo, imbizzarrendo il mare che scrosciava feroce contro le scogliere e ingoiava lingue della spiaggia che si stendeva davanti al cottage incrostato di conchiglie. Un tuono rimbombò, portando con sé le prime gocce di pioggia.

Bill avanzava controvento, ciuffi di capelli gli sbattevano sul bel volto arrossato dal freddo e dalle notizie che aveva raccolto quella mattina. Due anime affettivamente legate. Fleur era riuscita a staccare lo scrigno dell’eredità Dupaty perché era innamorata di lui? Doveva esserlo anche lui, quindi? Ci si sentiva così, quando si era innamorati? Con lo stomaco contratto, i nervi vibranti sotto la pelle, il respiro corto e il cuore battente nel petto, pronto a esplodere nel momento in cui avrebbe visto la persona amata?
 
Fleur, avvolta nel suo mantello color glicine, stava in piedi a pochi metri dal cottage, i capelli danzanti nel vento e imperlati dalle prime gocce di pioggia. Si era stupita quel giorno d’estate, quando la sua pelle aveva percepito su di sé le vibrazioni di quell’incanto potentissimo che era stato lanciato su quella casa, lo stesso che nonna Isabelle aveva lanciato sulla loro casa in Provenza, quando i suoi genitori si erano sposati. Il suo cuore, poi, per un attimo, aveva smesso di battere quando aveva scoperto che quello scrigno le obbediva solo perché nella stessa stanza c’erano lei e Bill.

Lei era innamorata di Bill.
 
E non lo voleva ammettere a se stessa, nemmeno ora che lo vedeva risalire la spiaggia e avanzare verso di lei, i suoi capelli ribelli mossi dal vento. Inevitabilmente diverso da tutti gli altri uomini che le erano piaciuti, in vita sua. Bill non era bello come i ragazzi che le ronzavano intorno quando era a scuola, stucchevolmente perfetti all’apparenza e vuoti nel profondo.

Bill era affascinante per il suo modo di porsi, così terribilmente alternativo eppure così perfettamente suo. Era sprezzante del giudizio altrui e portava con semplicità e naturalezza la sua essenza. Non era artefatto: era pratico, alla mano, disponibile. La sua natura avventuriera gli aderiva al corpo e all’anima e lo rendeva vero, sincero, trasparente, bellissimo. Non poteva essere niente di meno e niente di più di quello che mostrava agli altri. E anche se gli aveva rinfacciato di essere uguale a tutti gli altri, Fleur sapeva, in cuor suo, quanto Bill l’avesse capita e fosse riuscito ad abbattere quel muro di pregiudizio le si era costruito attorno e dentro al quale lei aveva accettato di abitare, non senza sofferenze e inutili costrizioni. Con Bill era riuscita a mostrare se stessa: era come se parte dell’essenza di Bill fosse entrata in lei e l’avesse aiutata a mostrarsi per quello che era veramente.

Lei era irrimediabilmente innamorata di Bill e non poteva farci niente. L’unica cosa a cui poteva appellarsi era sperare che lui la ricambiasse.

Quando Bill raggiunse Fleur la pioggia era scrosciante.

“È l’Incanto Affettivo, vero? I Dupaty l’hanno lanciato sull’eredità e solo due anime legate da un particolare affetto lo potevano spezzare. Perché non me lo hai voluto dire?” esordì Bill, i capelli appiccicati al volto e gli abiti inumiditi aderenti al corpo.

Fleur rimase un attimo con il viso abbassato, poi si voltò a guardarlo, le ciglia appesantite dalla pioggia (o erano lacrime?).

Rimasero lì in silenzio, sotto la pioggia battente, la sabbia umida e le onde spumeggianti, scrutandosi.

“Io non sapevo cosa mi avresti detto. Se mi ricambiavi”.

Bill sfiorò appena il braccio di Fleur, ma non ci pensò due volte a tirarsela a sé.

“Sei gelida. Vieni, andiamo a scaldarci dentro”.
 
***
 
Fleur era accoccolata sul pavimento, davanti al camino acceso, i capelli sciolti sparsi sulle spalle. Le sue iridi riflettevano le fiamme ristoratrici e schioccavano allegramente. Non aveva spiccicato parola da quando erano entrati, asciugandosi con i getti d’aria calda delle loro bacchette e accendendo il camino.

Bill entrò in quello che doveva essere stato il soggiorno dei vecchi proprietari della casa e Fleur lo guardò con la coda dell’occhio: si era sciolto la coda e si stava rinfilando la camicia, che si era tolto per asciugarla meglio. La pelle della sua schiena era costellata da piccole lentiggini.

“Va meglio, ora?” le chiese Bill, avvicinandosi al camino. Fleur annuì, poi decise di parlare e dire quello che da troppo tempo teneva custodito dentro di sé.

“Mi piasci dal primo momonto che ti ho visto, a Hogvàrt. Non so perché, ma so che sonsa di te sto pegio. E mi dispiasce di averti detto quelle cose”.

Si alzò in piedi, raggiungendo Bill che stava appoggiato alla mensola del camino.

“Bill, cosa siamo noi adesso?”

“Noi siamo tutto”.  

La pioggia batteva implacabile sui vetri delle finestre quando le labbra di Bill e Fleur si sfiorarono per la prima volta, dapprima lentamente, assaporando per la prima volta quelle forme desiderate da tempo, poi sempre più affamati, esplorando quei contorni che avrebbero imparato a conoscere e fare propri, giorno dopo giorno.

Stettero abbracciati per quello che parve un tempo lunghissimo, poi si sedettero, lì dove prima Fleur stava sola. E furono parole, baci e carezze che proseguirono anche oltre la fine del temporale, oltre l’arrivo della sera, senza accorgersi che quelle due anime che avevano dichiarato il loro amore lì dentro, non solo avevano Spezzato i sigilli di quello scrigno, ma avevano inaugurato una nuova e feconda stagione, diventando gli eredi di quella che fino a qualche mese prima era conosciuta come Villa Conchiglia.
 
[1] Henrietta Edgecombe: sorella della più nota Marietta, Corvonero. Personaggio di mia invenzione.
[2] Sezione di mia invenzione.
[3] Ovviamente, incanto di mia invenzione.

Cari lettori, grazie a chi sta seguendo la storia e se siete arrivati fin qui, nonostante gli aggiornamenti sporadici. 
Spero di non ver deluso le aspettative su questa coppia, che sto amando ogni giorno di più e che mi ha fatto emozionare tantissimo, soprattutto in questo capitolo. 
Ma la storia non è ancora conclusa e c'è ancora tanto da dire. 
Vi aspetto nei prossimi capitoli.
Un abbraccio
Milagar
  
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