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Autore: Alarnis    09/01/2021    4 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5 Artigli. A tre zanne.

“Ti prego, presta attenzione.” le aveva suggerito composto Nicandro, abbracciandola, con un calore che superava quello della preziosa pelliccia di brinato zibellino che il ragazzo indossava. Una rivelazione che voleva essere taciuta dalle tenere labbra di lui, perché troppo amara. L’unico avvertimento che riusciva a confermarle, con quella sua voce pacata e riflessiva, ancora fresca di adolescenza “Lasciati guidare dai tuoi sensi.”.
“Artigli. A tre zanne.” sorrise lei, spavalda, sottovalutando il consiglio, mentre ondeggiava i lunghi capelli bruni, che si spostarono in ondulati boccoli sulle spalle.
Lavinia chinò la fronte su quella di Nicandro, in un tocco leggero, promettendo “Farò attenzione.”. I loro capelli che si lambivano leggeri, in una mescolanza di bruno e freddo biondo cenere.
“Promettimelo.” ribadì Nicandro, questa volta con decisione. Ogni partenza era sempre difficile da accettare per lui, come sopportare l’incertezza del ritorno, quando già i suoi occhi avevano provato la tristezza di non vedere più coloro che amava; com’era stato con la morte di Guglielmo Montetardo, di cui ora spartiva lignaggio e nome e, quella del cugino Moros.
“E’ Ludovico che deve preoccuparsi, non tu!” suggerì ottimista lei, per poi ordinare “Ora, rientra.”. La stessa autorità di una madre, più che una sorella.
Nicandro la salutò, facendo scendere il capo obbediente, prendendo licenza e indietreggiando fino ad affiancare la tronfia figura di Gregorio, che invece avanzò, ostentando un mantello di prezioso broccato, rosso scarlatto, filigranato d’oro.
“Trovalo. Uccidilo!” ordinò secco Gregorio, indagando il suo animo con un viso serio: parole crude, com’era nel suo stile. La sua voce invase il piazzale della guarnigione, mettendo in chiaro “I suoi alleati sono nostri nemici.”. Niente sconti a nessuno.
Lei fece un breve cenno d’assenso. Nonostante fosse abituata ad eseguire gli ordini, non riusciva ad ammettere verbalmente fosse capace di assolverli senza scrupolo, soprattutto in presenza di Nicandro. Ma… gli avrebbe eseguiti. Aveva promesso di essere forte, di non aver più incertezze. Se solo lei… A causa sua era morto Guglielmo: per difenderla.
“Andate!” decretò la partenza Gregorio: il viso già impaziente di vederla eseguire il mortale incarico. I soldati del contingente si allinearono in fila al seguito di Lavinia. I loro usberghi erano lucenti, nel loro tessuto metallico; la gualdrappa dei cavalli decorata con l’insegna araldica della nobile aquila nera su sfondo azzurro, loro stemma.
“Salutate Gregorio e Nicandro di Montetardo, signori di Rocca Lisia!” s’impose con voce tonante il fedele soldato Mavio, segnalando ai soldati il momento del commiato, che solerti ripeterono il saluto all’unisono, con voce chiara e intensa.
Trovalo. Uccidilo! quello il suo incarico, si disse Lavinia, ora che sentiva fosse vicina a compiere la propria missione. Tra poco sarebbero giunti al villaggio di Risicone e lì sperava avvenisse finalmente l’epilogo che suo fratello agognava: la morte del legittimo erede di Rocca Lisia.
Lavinia non negò di essersi incollerita con i suoi perlustratori... Al fiume avevano smarrito le tracce di Ludovico, ma fortunatamente le avevano ritrovate: quelle dei tre cavalli che montavano nella fuga. Al villaggio, quei fuggiaschi, non sarebbero passati inosservati e questo avrebbe giocato a loro favore; nonostante l’antipatia che avrebbero suscitato, in quanto nuovi soldati occupanti la rocca.
“Ci siamo quasi, comandante Lavia!” riportò fedelmente Mavio, indicando la sagoma delle case in lontananza, una frase ovvia, ma che manteneva alto l’umore e la tensione.
Lavinia sorrise guardando fiduciosa avanti a sé. La pelle ravvivata nel suo colorito sano e leggermente brunito dal sole.
Finalmente! si disse, mascherando la sua frustrazione e impazienza.
Respirò l’aria a pieni polmoni. Il villaggio era anticipato da una campagna ben coltivata e ordinata, zolle ben zappate e alte erbe delizia per il pascolo, grazie alla vicinanza del fiume. Uccelli canterini e terraioli, si alzavano dai cespugli al loro passaggio, come altrettanti topolini e rane sbucavano e sparivano frenetici e schivi, sotto i loro occhi. Sollevava l’animo quella quiete, che tanto strideva con gli ambienti caotici delle campagne militari che si combattevano senza sosta nella regione; territori in cui re Bressano voleva consolidare o allargare il proprio dominio, avvalendosi proprio delle armate di Gregorio Montetardo.
L’aria le portò uno strano odore.
Intenso, umano, acre.
Lasciati guidare dai tuoi sensi, ricordò.
Avanti a loro, apparentemente solo erbe verdi, elastiche, alte, sottili e fitte, ai lati del percorso campestre che portava al villaggio di Risicone.
“Un’imboscata!” gridò alzando la propria spada in aria, in un segnale collaudato che faceva dei suoi uomini un unico individuo. I cavalli schierati verso il fronte indicato dalla spada, come fossero una muraglia. Un aspetto di solidità e preparazione che aveva un che di impenetrabile e impossibile da sconfiggere.
Uomini tra le erbe, sbucarono improvvisi, alzando le teste dal fogliame per accanirsi verso di loro.
Una ventina di impreparati contadini tentarono una veloce avanzata, alzando e agitando forconi a tre rebbi, che puntavano avanti a sé, a sgombrare il proprio cammino.
Forconi a tre rebbi. Artigli. Zanne affilate.
Avanguardia del loro drappello di soldati, un sasso sfiorò Mavio, ma l’imprecisione del lancio gli evitò un danno fatale, provocandogli solo uno striscio, da cui fuoriuscì un rivolo di sangue che lui prontamente cercò di arginare, nonostante fosse stato colto alla sprovvista.
“Fermi!” consigliò ai suoi uomini, trattenendo il proprio cavallo. La voce irritata nel gareggiare contro l’ansia del cavallo per le urla che anticipavano la folle corsa dei contadini che volevano raggiungerli per massacrarli. “Aspettate siano vicini.” consigliò Lavinia.
Con uno strattone, obbligò il cavallo ad ubbidire Palafreno, non è il momento adesso per fare i capricci! ringhiò a denti stretti.
Non sarebbe stata debole. Non un suo uomo avrebbe rischiato la propria vita, inutilmente. Quello s’era ripromessa, quando aveva cacciato Moros. L’amore poteva tradire; l’amore poteva essere un’arma. Lei non ne sarebbe mai più stata ostaggio.
Passò le briglie sulla sola mano sinistra, mentre con la destra, raggiungeva la faretra e ne estraeva una freccia.
Passò le briglie alle labbra, mordendo forte il cuoio a trattenerle per armeggiare con la mano sinistra alla stessa spalla. Ecco! Riuscì a prendere l’arco che trasse avanti a sé. Padroneggiò con eleganza ed equilibrio arco e freccia all’unisono: tese il primo, posizionò la seconda dritta davanti a sé.
La sentì vibrare oltre le urla, oltre l’aria.
Veloce come una saetta, percorse il vuoto davanti a lei, non ancora colmato, scontrandosi con la fronte di un contadino che ne fu colpito in pieno, ricadendo all’indietro a terra.
Era l’uomo che li guidava, avanzato per primo ad incitare i compagni: l’esempio che andava distrutto.
Lavinia si concesse di respirare. Il seno le altalenava nel petto, la mano, le braccia tremolanti, compiuto il gesto che aveva arginato l’adrenalina nel suo corpo.
“Ora! Attaccate!” urlò vendetta per i suoi uomini, che avrebbero contraccambiato impietosi quello sgarro ai Montetardo. “Ricordate il monito di mio fratello, o sarò io a rinfrescarvelo!” ironizzò con un sorriso arrogante e complice. Sapeva difenderli e metterli avanti a sé, ma non c’era dubbio che avrebbe altrettanto denunciato la loro codardia.
   
 
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