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Autore: l y r a _    10/01/2021    2 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 15

Tutti contro tutti

«Non posso credere che tu ne stia parlando con me invece che con le tue amiche!»
«Kenjiro, tu sei mio amico. E sei fin troppo felice della cosa.»
«Potrei non esserlo? Faccio il tifo per quell’imbecille di Oikawa, così il campo è libero.»
«Waka-nii non è gay.»
«Che importa? Sempre meglio che sapere che gli ronzi intorno come una mosca fastidiosa!»
«Dai, non essere crudele!» si lamentò Megumi lanciandogli contro il cancellino della lavagna, che Shirabu schivò con maestria «Ne parlo con te perché le altre non capirebbero, non deludermi.»
«Vuoi che reciti la parte dell’amico gay dei telefilm americani? Non ti metterò mai lo smalto sulle unghie.»
«Non mi serve l’amico gay dei film americani, mi serve un amico disinteressato.» precisò l’altra a braccia incrociate «Le ragazze non lo sono.»
«Va bene, Oikawa ti ha abbracciata e dato un bacio, rigorosamente non sulle labbra come dici tu.» riassunse in poche parole «Ma a te è piaciuto sì o no? Rispondi sinceramente o me ne vado e il turno di pulizie lo finisci da sola.»
Megumi esitò prima di rispondere. Ripensò al tepore dell’abbraccio della sera precedente, al profumo di Tooru, al velluto delle sue labbra sulla pelle, alle parole rassicuranti che aveva pronunciato. Forse quel ti voglio bene lo aveva ripetuto a tutte le ragazze che aveva avuto, eppure le ispirava così tanta fiducia che avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo la sua sincerità. Fra le braccia del ragazzo si era sentita apprezzata e amata come non lo era mai stata prima e il cuore le scalpitava al solo ricordo.
«Mi è piaciuto.» ammise preoccupata.
«Bene» sentenziò Kenjiro lucidando maniacalmente il banco «Questo dice più di mille parole.»
«Ma mi piace anche quando lo fa Waka-nii!» puntualizzò allarmata.
Kenjiro lasciò perdere lo straccio e il banco e le rivolse uno sguardo seccato.
«Vuoi farmi credere che lo faccia?»
«Ci abbracciamo qualche volta, perlopiù perché sono io a volerlo. Ma lui non mi ha mai dato nessun bacio, di nessun tipo.»
Il ragazzo strinse i pugni e gli occhi. «Ah, che tu sia maledetta, Megumi Sakurai!»
«D’accordo, che io sia maledetta, ma non è questo il punto. Cosa faccio? Sono nel panico: io sono sicura di essere innamorata di Wakatoshi, ma questo sentimento che provo per Tooru…»
Kenjiro la interruppe puntandole contro l’indice.
«Quindi ammetti di provare qualcosa per il tuo bel palleggiatore!»
«Obiezione, vostro onore, non riesco ad identificare questo sentimento!»
«Obiezione respinta: le è appena stata diagnosticata una rarissima forma di innamoramento. La giudico pertanto incapace d’intendere e di volere.»
Megumi tirò una sedia da un banco e ci si lasciò cadere stancamente.
«Lo dice anche Kaori, ma io non credo sia possibile.»
«Saggia donna, Nonaka. Legge le persone come fossero riviste di gossip, dovresti ascoltarla più spesso. Sa più cose lei su di voi di quante ne abbiate capite da quando siete nate. E cosa dice che dovresti fare?»
«Che se non sono sicura, dovrei fare delle prove: uscirci ancora, parlarci ancora, abbracciarlo ancora. Mi ha perfino detto di accettare l’invito a casa sua.»
«Addirittura? Suggerimento temerario, vacci pure ma stai lontana dal suo letto. Che c’è? È un bel ragazzo, lo dico oggettivamente.»
«Ti sembro una che finisce nel letto di Oikawa?» commentò risentita.
«Mi sembri una con le idee confuse, non si sa mai.»
«Stronzo! Sai che faccio? Mi faccio baciare da Waka-nii così posso fare il confronto ed essere meno confusa.»
Kenjiro la colpì ripetutamente su una spalla con lo straccio, mentre lei se la rideva.
«Sei tu la stronza!»
«Kenjiro, che barbaro! Non ti hanno insegnato che le ragazze non si toccano nemmeno con un fiore?»
«Hai il coraggio di definirti una ragazza? Vuoi farmi ridere, forse?» la prese in giro l’amico.
«Diventi ogni giorno più perfido, devo pensare che sia colpa del fatto che io abbia preso un voto più alto del tuo in inglese? Si tratta solo di una materia su dieci, in tutte le altre regni incontrastato tu e le due sgobbone del primo banco.» lo stuzzicò lei «E lo sai benissimo che il resto dei miei voti non è tutto questo granché, raggiungo a stento la sufficienza in matematica e lo faccio grazie a te.»
«Non sono arrabbiato, è solo che non riesco a capire come sia possibile che tu sia tanto brava in inglese e faccia così schifo in tutte le altre materie, educazione fisica a parte.»
«Abbiamo gli stessi voti in educazione fisica, se contasse qualcosa, e me la cavo anche in giapponese e storia, anche se capisco che per te cavarsela significhi necessariamente prendere almeno A+.»
Kenjiro le rivolse uno sguardo di rimprovero.
«Hai preso una S in inglese ed è rarissimo che la Harris metta quel voto. Lo sanno tutti in questa scuola… si può sapere perché sei così brava? Non mi risulta che tu sia mai uscita da Minamisaka e men che meno dal Giappone!»
Megumi sollevò le spalle: non sapeva nemmeno lei perché riuscisse tanto bene in inglese, lo trovava semplice da studiare e le piaceva. Oltretutto era la lingua che la FIVB utilizzava regolarmente sui propri canali ed era sempre stata troppo impaziente per attendere una traduzione, così aveva preso un dizionario e la buona abitudine di far da sé. Se credeva che fosse abbastanza per meritarsi una S sul registro? Assolutamente no, ma era felice di non essere un totale fallimento in tutte le discipline scolastiche.
«Pensavo che l’anno prossimo potrei frequentare con la Harris il corso di letterature internazionali.»
Shirabu storse il naso.
«Quello sì che lo fanno solo gli invasati e i secchioni. Precisamente a cosa serve?»
«A nulla. Voglio dire, è il genere di corso che i miei genitori disapproverebbero: direbbero che sarebbe molto meglio seguire i corsi di potenziamento di economia o di informatica o di qualsiasi cosa che sia utile a superare il test d’accesso di una facoltà universitaria decente.»
«E non avrebbero torto: non puoi mica pensare di far soldi con Shakespeare, Blake o le sorelle Brontë.»
«Non si tratta solo di letteratura inglese.»
«Perfetto, ma conoscere anche Hugo non migliorerà la tua situazione.»
«Lo so, ma credo che mi piacciano le lingue straniere. E poi non ci voglio andare all’università, lo sai. Mai nella vita: una volta fuori dal liceo, brucerò tutti i libri!»
L’amico rabbrividì, ma non disse nulla.
In effetti, rabbrividì anche lei: qualche mese prima, l’idea di non proseguire gli studi oltre l’istruzione superiore le sembrava coerente, concreta, allettante. Megumi Sakurai voleva giocare a pallavolo per il resto della sua vita e avrebbe fatto di tutto perché il suo desiderio si realizzasse; dopo Hattori, aveva rinchiuso quell’aspirazione irrequieta nel cassetto delle cose da buttar via e aveva completamente perso di vista la meta. Durante l’estate si era chiesta che cosa volesse fare della propria vita e non era riuscita a darsi una risposta: aveva deluso la propria famiglia, perciò aveva deciso che sarebbe diventata la brava studentessa che si aspettavano e mantenuto un profilo basso. Era tornata al club spinta da una forza inconscia, ma priva dell’ambizione feroce e arrogante che fino ad allora l’aveva guidata, per quanto malsana fosse stata.
Non se n’era accorta. Era proprio quell’assenza di obiettivi che in campo la faceva sentire spaesata e insicura, che le riempiva la testa di pensieri e i polmoni di terrore. Aveva passato gli ultimi mesi a credere che le mancasse il talento, il cervello o il coraggio; capì in quell’istante che le mancava l’ambizione. Qualcosa che aveva sempre avuto!
Le sfuggì una risatina, Kenjiro le scoccò uno sguardo preoccupato.
«Ti sei ammattita? È proprio vero che i prediletti della Harris sono tutti da internare!»
«E dai, Kenjiro, piantala!» protestò lei improvvisamente su di morale «Ho appena realizzato qualcosa d’importante, proprio grazie a te.»
«Hai realizzato che è ora di lasciar perdere il capitano e buttarti a pesce su Oikawa?»
Megumi gli fece una smorfia.
«Non ci provare!» ribatté indispettita «Non farò niente del genere.»
«Non farai niente del genere ma intanto domattina lui sarà qui e qualcosa ti toccherà fare. Io sarò lì, tutt’occhi e tutt’orecchie. Che c’è? Sei stata tu a chiedermi di far squadra insieme, ovviamente sono furioso.»
«Perché ti ho tolto la possibilità di giocare con Wakatoshi come fai ogni santissimo giorno? Pensavo che, per una volta sola, avresti trovato lo scambio divertente.»
«Stai soltanto cercando di tenermi lontano da lui, così che tu possa tenere un piede in due scarpe.»
«Non è vero, non l’ho fatto apposta! Dai, Kenjiro, non prendertela!» si difese allarmata.
«Guarda che ti sto prendendo in giro. Con lui ci gioco tutti i giorni, l’hai detto tu, mi fa piacere provare qualcosa di nuovo. Mi offenderei, però, se il tuo bell’Oikawa s’iscrivesse e mi sostituisse, questo sì.»
«Gliel’ho proibito. Se ne starà buono buono a guardare, non sarò io ad accorciargli la convalescenza. Gli hanno detto che può ricominciare a dicembre e che dicembre sia.»
«Che masochista. Gli brucerà da morire, noi a gennaio andiamo all’Harukou e lui si guarda buono buono il nostro torneo fatto in casa. Deve essere proprio innamorato per sopportare un’umiliazione simile.» sospirò chiudendo gli occhi e stiracchiandosi verso l’alto, poi le scoccò uno sguardo malizioso «E anche tu.»
A Megumi dispiaceva per Tooru. Ancora nutriva dei dubbi sulle ragioni che lo avessero spinto ad accettare di presentarsi al festival, ma sapeva per certo che non sarebbe stato semplice per lui inserirsi nel contesto dell’Accademia. Uno che strappava l’invito formale del preside ad iscriversi ad una scuola tanto prestigiosa faceva scalpore e, quando due anni prima Wakatoshi gliel’aveva raccontato, lei stessa era stata sconvolta dalla sua mancanza di rispetto.
Si ricordava del tempo in cui Tooru Oikawa era solo il nome di un volto appena familiare, un ragazzino quasi tutt’ossa che aveva conosciuto quando lei indossava ancora ancora l’uniforme alla marinaretta delle medie e saltava le lezioni pomeridiane per sgattaiolare alle partite di Wakatoshi. C’era stato quel periodo in cui l’amico non aveva che il suo nome sulla bocca, coinciso grossomodo proprio con il suo rinuncia alla convocazione da parte dell’Accademia. Ricordava di averlo detestato così tanto da non voler sentirne parlare mai più, tuttavia le sue compagne di squadra continuavano a cinguettare di quanto fosse carino e in gamba e di quanto fosse un peccato che non s’iscrivesse alle superiori insieme a loro, e i ragazzi si lamentavano che fosse un ingrato a iscriversi ad un’altra scuola. Aveva maledetto lui e il nutrito seguito di esaltate starnazzanti che aveva acquisito da quando aveva iniziato a frequentare l’Aoba Johsai, le stesse che gridavano sempre il suo nome ogni volta che si scontrava con Wakatoshi, impedendole di concentrarsi. Aveva considerato lui vanesio e loro prive di cervello. Anni dopo, le martellava il cuore quando ripensava a quel bacio castissimo sulla guancia.
La verità, che ammise a sé stessa più tardi, mentre ai bordi del campo si riallacciava le scarpe da ginnastica, è che non stava più nella pelle all’idea di rivederlo. Sentiva le guance e le orecchie andarle a fuoco e un’irrequietezza diffusa in tutto il corpo: l’allenamento pomeridiano era servito a liberarle la mente per un paio di ore, ma a partire da quel momento Oikawa ritornava sovrano indiscusso dei suoi pensieri. Avrebbe voluto che le ore, i minuti e i secondi potessero essere compressi in un solo attimo e che il sole del giorno successivo spalancasse i cancelli dell’accademia in quello stesso istante. Si ostinava a ribadirsi che Kaori e Kenjiro non avessero ragione, ciò nonostante avrebbe voluto stringerlo di nuovo e godersi il suo tepore rassicurante.
La signorina Kato si accovacciò a gambe incrociate davanti a lei e le rivolse uno dei suoi sorrisi misteriosi; Megumi pregò che il rossore sulle sue guance potesse essere scambiato per semplice stanchezza. Naomi, dopo aver precisato ancora una volta che preferiva la si chiamasse per nome, si complimentò per come le era riuscita l’amichevole appena conclusasi. Era la prima volta che Megumi la vedeva tanto soddisfatta della sua performance e riconobbe i segni di una sensazione da tempo dimenticata: il compiacimento.
«Penso che tu sia pronta.» le spiegò fra una direttiva per lo stretching e l’altra «Negli ultimi tempi sei molto più concentrata e oggi eri quasi irriconoscibile, tanta era la grinta che hai tirato fuori. Ho deciso di fissare per l’inizio dell’anno prossimo un’amichevole con il liceo Ookamidani, lo allena una mia vecchia collega.»
«Il nome mi dice qualcosa» commentò Megumi allungandosi in avanti quanto più poteva «Ma non mi sembra sia da queste parti.»
«In effetti non lo è, sei mai stata a Nara?»
«Nara? Dove ci sono i cervi?»
Naomi rise e annuì, poi le chiese di spostarsi sulla gamba destra.
Il liceo Ookamidani di Nara, rifletté spingendosi sulla gamba destra e lasciando che il retro della coscia tirasse: era certa di averlo sentito da qualche parte. Le vennero in mente delle belle uniformi grigio freddo, percorse da intricate linee azzurro neon, una bella ragazza dai capelli scuri, lucenti di sfumature bluastre. «Yamanaka Jun, classe 1994.» bisbigliò fra le labbra senza ben sapere perché. No, lo sapeva! Si rialzò di scatto, sorpresa.
«Hanno vinto l’Harukou dell’anno scorso!» esclamò agitata «C’era quell’alzatrice, Yamanaka… faceva delle cose pazzesche, l’hanno convocata al ritiro nazionale! Era su Monthly Volleyball di luglio, un’intervista di due pagine intere!»
«Felice che tu ne sia tanto entusiasta.»
«Entusiasta? No, Naomi, ci mangeranno vive! Faremo una pessima figura!»
«Sta’ tranquilla, Megumi! Si tratta solo di un’amichevole e abbiamo ancora due mesi interi per prepararci: ne faremo molte altre prima, chiederemo la disponibilità alle scuole in zona. Vedila così: sarà un battesimo di fuoco. Adesso tira la gamba sinistra!»
A cena, Kaori spinse più avanti il proprio vassoio e sbatté la copia di Monthly Volleyball sul tavolo. Megumi e Arisu si scambiarono uno sguardo preoccupato.
«Non è una tragedia.» iniziò Arisu con cautela, ma Kaori la interruppe.
«Rideranno di me. Banchetteranno sulle nostre ossa e rideranno di me. Come può la signorina Kato aver pensato che siamo pronte per affrontare la squadra di Yamanaka? Siamo penose!»
«Teoricamente siamo sempre fra le otto migliori della prefettura.» osservò Arisu.
«Siamo le ultime delle prime otto, ad un passo dall’uscirne fuori!» precisò Kaori disperata «Sapete come ci chiamano quelli delle altre scuole?»
Kawanishi, seduto di fronte a loro, tossicchiò per mandar giù il boccone che gli era andato di traverso.
«Papere, vi chiamano le papere. E non solo quelli delle altre scuole, lo facciamo anche noi.»
Megumi non sapeva nulla di quel nomignolo e nemmeno Arisu, a giudicare dall’espressione sorpresa.
«Vi chiamano così perché siete goffe» spiegò Wakatoshi accomodandosi sulla sedia libera accanto a Megumi «e rumorose.»
«Waka-nii, lo pensi anche tu?»
L’amico la osservò pensoso per qualche istante, poi confermò.
«Le papere sono carine, però…» pigolò Arisu «Quanti animali posso essere contemporaneamente?»
Risero tutti, perfino Kaori, per quanto preoccupata fosse.
«Risu, tu sei uno scoiattolo al cento per cento, l’unica che valga davvero qualcosa fra noi. Insieme a Yoshida, s’intende. Ragazzi, questo fa di Naomi mamma papera?»
«Povera Kato!» esclamò Kaori «Da leonessa a mamma papera in meno di tre mesi.»
«Quindi giocate contro la squadra di Jun Yamanaka.» riprese Wakatoshi accennando alla rivista aperta sulla foto dell’incriminata.
«Ci facciamo sbranare dai lupi, esatto. Naomi dice che sarà il nostro battesimo di fuoco, io penso sia il nostro funerale. Conosci Yamanaka?»
«Io no, ma Yoshida sì. L’anno scorso è stata al campo anche lei e hanno giocato insieme nella nazionale under-18. Pare che sia un tipetto particolare, dovresti chiederglielo. Nella nazionale under-18 c’è anche il loro libero, Emiko Tsuji o qualcosa del genere.»
Mancava poco che Kaori si appuntasse tutto sul cellulare. Megumi sapeva che il giorno dopo avrebbe tartassato la senpai Yoshida di domande e che probabilmente sarebbe finita ancora più nel panico di quanto non lo fosse in quel momento. Anche Arisu, dal momento che Wakatoshi aveva menzionato un libero della nazionale giovanile, non sembrava più tanto calma quanto lo era stata fino ad allora. Quanto a sé stessa, avrebbe voluto farsi piccola piccola e sparire nel nulla: in nazionale non sapevano nemmeno chi fosse e la circostanza le faceva provare una frustrazione e un’invidia affatto indifferente. Ad aprile si era ripromessa che entro novembre avrebbe ricevuto l’invito ad un ritiro, invece piagnucolava aggrappandosi alle sottane di Naomi, in un recinto di papere. Wakatoshi le diede un leggero calcio sotto il tavolo, per farla ridestare.
«Comunque è una bella occasione.» ricominciò, per rassicurarla.
Apprezzava il tentativo, ma serviva molto più di quello.
«E anche quella di domani lo è.» continuò «Tendou è deciso, vi stracceremo.»
L’accenno al festival del giorno successivo bastò a riaccenderle le guance ed accelerare di colpo il battito del suo cuore. Tutto quel discutere di Yamanaka le aveva fatto dimenticare Oikawa e la sua stupida faccia, e il suo stupido profumo, e il suo stupido abbraccio. Kaori doveva aver capito quale fosse il filo dei suoi pensieri, perché ridacchiò dietro una mano.
«Megumi-chan, ti senti bene?» le domandò Arisu confusa «Ti sei fatta tutta rossa!»
Grazie al cielo Kenjiro era uno di quelli che la sera tornava a casa, se avesse cenato con loro in mensa sarebbe scoppiato a ridere così tanto da lacrimare. Almeno Kaori era più discreta e Arisu viveva in un mondo tutto suo.
«Tendou dice che tu esci con Oikawa, quindi suppongo che domani verrà.»
«Difficile che non venga, visto che sei stato tu ad invitarlo, Waka-nii! E poi Tendou… è inqualificabile, non ha capito proprio nulla: gli ho spiegato mille volte che non esco con lui nel senso che intende!»
Kawanishi, che fino a pochi minuti prima non aveva mai sentito accennare alla questione, sollevò un sopracciglio e si mise in attento ascolto, buscandosi un’occhiata di rimprovero da parte di Kaori.
«A proposito, che fine ha fatto quel pettegolo? Se lo prendo lo apro in due!»
«In punizione per aver distrutto metà delle provette del laboratorio di chimica. Ha cenato con un pacchetto di patatine del distributore nel corridoio. Deve ancora bilanciare cinque reazioni redox.»
«Ha fatto incazzare il professor Suzuki?» commentò Kawanishi «Eroe nazionale!»
Mentre la conversazione degli altri tre virava sui meriti di Tendou, Megumi tirò la manica di Wakatoshi per reclamare la sua attenzione e gli ribadì nell’orecchio che lei non usciva con Tooru nel senso che intendeva Tendou.
«Perciò, per favore, domani non metterlo in imbarazzo. Non puoi fingere che non esista?» continuò supplichevole.
«Megumi-chan, io fingo sempre che non esista. In genere è lui che accende il fuoco.»
«Allora perché lo avresti invitato?»
«Perché mi sembrava che volesse passare del tempo con te. Dopo tutto quel che ha fatto…»
«E tu che ne sai di cosa ha fatto per me?»
«Lo so che è il ragazzo che era con te e Hattori nella galleria, anche se tu ti ostini a non dirmelo.»
«Te l’ha detto qualcuno, non è così?»
«Non importa chi me l’abbia detto, prima o poi sarebbe comunque saltato fuori. Immagino che debba testimoniare.»
«Spero il più tardi possibile, ma l’avvocato sostiene sia inevitabile.»
L’amico la prese per un braccio e la invitò silenziosamente a seguirla, borbottando che aveva bisogno di mostrarle qualcosa. Si allontanarono fuori dalla sala mensa sotto lo sguardo perplesso di Kaori, Arisu e Kawanishi. Kaori protestò che la loro cena si sarebbe raffreddata, ma Wakatoshi sapeva essere irremovibile.
«Stai cercando di ricompensarlo perché testimoni?» obiettò Megumi nervosa «Vuoi che io lo intrattenga per ricambiare il fastidio di presentarsi a un’udienza?»
«Tu gli piaci, Megumi-chan
«E con questo? Se gli fosse piaciuta qualcun’altra avresti spinto lei fra le sue braccia? Mi hai presa per cosa? Una prostituta? Lo fa già mezza scuola! Pensavo che tu fossi diverso, di contare qualcosa per te!»
Wakatoshi aggrottò le sopracciglia, serioso. Non riusciva ad esprimersi come desiderava ed aveva ottenuto soltanto di far infuriare l’amica ancor più di prima. Detestava che fosse sempre così drammatica, quando lui invece era sempre placido.
«E poi cosa credi di saperne, di come è Tooru? Pensi che sia così superficiale e gretto da ragionare per convenienza? Se vuole testimoniare per me stai sicuro che lo farà senza chiedermi niente in cambio, non si fermerebbe nemmeno se glielo chiedessi: lui non è così e io non sono merce di scambio.»
«Tooru» ripeté l’amico pensoso «Anche a te lui piace.»
Wakatoshi aveva espresso la sua conclusione con una disinvoltura spiazzante: non era arrabbiato con lei e – soprattutto – non era geloso come Tendou aveva supposto. Megumi era sconfitta su tutti i fronti: non l’avrebbe mai spuntata contro di lui, era destinata a fallire ogni tipo di competizione.
«Non dire sciocchezze!» sibilò arrossendo «Lo sai che sono innamorata di te! E se solo tu mi dessi l’occasione di dimostrartelo e smettessi di ripetermi che io non ti piaccio, che sono solo un’amica qualsiasi…»
Quando quella mattina Megumi aveva scherzato con Shirabu, sostenendo che si sarebbe fatta dare un bacio da Wakatoshi per schiarirsi le idee, non immaginava che entro sera lui l’avrebbe afferrata stretta per le spalle, che si sarebbe chinato appena in avanti per pareggiare i centimetri di altezza che le mancavano e che avrebbe appoggiato goffamente le sue labbra sulle sue. L’ultimo bacio che Megumi aveva dato a qualcuno era stato di tutt’altra natura e si era sempre raccontata che con lui sarebbe stato diverso, che avrebbe sentito il cuore esploderle di gioia e che avrebbe desiderato che non finisse mai.
Ed invece restò rigida e impalata come una statua di cera. Eppure il suo migliore amico, Wakatoshi Ushijima, a cui si era dichiarata diciannove volte, l’aveva baciata. Il suo primo amore l’aveva baciata e lei non aveva sentito nulla, nemmeno un sussulto nel petto, nemmeno le farfalle nello stomaco.
«Spero che tu adesso abbia capito perché fra noi non funziona: perché tu sei mia amica e, qualsiasi cosa tu dica, io sono tuo amico e l’unico ragazzo a cui tu sia stata vicina finora.»
Megumi balbettò qualcosa di sconnesso, ancora sconvolta dalla rivelazione che l’aveva investita come un’onda anomala, ma il ragazzo non le lasciò articolare nulla che contenesse del senso.
«Sei importante per me e io so di essere importante per te, ma in modo diverso. Quello che voglio che tu capisca è che per me non è un tradimento, anzi non me ne importerà nulla se dovessi trovarti un fidanzato, a meno che non ti faccia soffrire. Quel giorno, quando l’ho invitato al palazzetto, io sapevo già che Oikawa fosse il ragazzo della galleria e sapevo già che avesse una cotta per te: lo avevo capito da quando a giugno vi siete azzuffati negli spogliatoi. Quello di cui non ero a conoscenza era il modo in cui tu lo guardi e, fidati, tu non guardi me in quel modo. Eri così preoccupata che io potessi offenderlo e, anche adesso, lo hai difeso con così tanta forza… Non dico che sia il grande amore della tua vita, ma farebbe comodo a tutti e due se almeno ammettessi che ne sei attratta.»
Megumi protestò che aveva torto, ma Wakatoshi la interruppe di nuovo.
«Hai promesso di dirmi sempre la verità. Puoi mentire a te stessa, ma non a me. Perciò, lui ti piace?»
Megumi si mordicchiò il labbro inferiore, cercò di sfuggire al peso del suo sguardo guardando a destra e a sinistra, nella speranza che qualcuno giungesse ad interromperli. Ma, quando fu chiaro che non avrebbe potuto in alcun modo evitare di rispondere, si rassegnò. La risposta la conosceva già, in cuor suo, ma la sola idea di pronunciarla la faceva tremare. Una vocina interiore, dispettosa e perfida, le sussurrava che sarebbe stato molto più emozionante se a baciarla sulle labbra fosse stato Tooru e lei non riusciva a farla tacere in nessun modo.
«Forse un po’.» confessò timidamente «Ma non sono sicura. Voglio dire, tu ce l’hai presente: ha sempre tutte quelle ammiratrici intorno, sono tutte così carine e femminili e fa sempre tanto il pavone con tutte. E io sono… mi conosci, io sono tutt’altro. Magari gli piaccio adesso perché gli sembro diversa, ma più in là potrebbe stancarsi di me e spezzarmi il cuore come ha fatto finora con le altre… sacrificherei un’amicizia preziosissima. Io non credo di poterlo sopportare, non dopo quello che mi è successo.»
Wakatoshi le sorrise e Megumi constatò che quel bacio impacciato non aveva cancellato i suoi super-poteri curativi: era risentita per il gesto ma si sentì ugualmente sollevata, nonostante il suo cuore fosse in tempesta.
«Ma adesso non sei più sola.» replicò, come se fosse la cosa più scontata del mondo «Ci sono sempre io, e Scoiattolo, Nonaka, Ikeda, Shirabu… se glielo chiedi, c’è anche Tendou. Tutti noi saremmo ben felici di dare a Tooru Oikawa una lezione, se dovesse farti soffrire. Sempre che non voglia farlo tu personalmente: mi riferiscono che picchi molto forte. Quindi prenditi i tuoi tempi: è per questo che l’ho invitato qui, per osservarlo e capire se ci tiene davvero.»
In quei pochi minuti erano accadute troppe cose e tutte insieme, tutte inedite. Wakatoshi che parlava così tanto, che si arrendeva a baciarla per dimostrarle quanto si fosse sbagliata. Lei che si accorgeva che qualcosa era cambiato: c’era stato certamente un tempo in cui lo aveva amato, in cui quel bacio l’avrebbe resa immensamente felice, ma non avrebbe saputo dire quando i suoi sentimenti fossero mutati, né quanto fossero durati: aveva continuato a dirsi innamorata di lui per abitudine e cocciutaggine. Quanto a Wakatoshi, ammirava la sua coerenza: dall’inizio alla fine era sempre stato cristallino per quanto riguardasse ciò che non provava per lei e aveva sopportato con pazienza tutti i suoi tormenti inopportuni. Si rese conto di avergli provocato non poco imbarazzo ogni volta che gli aveva teso un’imboscata per strappargli un segnale d’interesse, era stata irrispettosa e molesta, e Wakatoshi non aveva mai meritato un trattamento simile. Lo trovava un ragazzo maturo e affascinante e – ad onor del vero – la seccava comunque che non avesse interesse per lei, ma comprese quella sera che il loro legame, iniziato una decina di anni prima in mezzo a un campo di angurie pieno di cicale chiassose, era piuttosto lontano dall’amore romantico e molto più vicino a quello familiare.
«Adesso rientriamo» suggerì lui spingendola appena verso l’ingresso «O si raffredderà tutto sul serio.»

Breve elenco delle questioni che Megumi non aveva affrontato con Kenjiro.
Primo, i segni da usare durante il torneo: quelli classici? Qualcosa di più complicato per scongiurare il rischio di essere prevedibili? Oppure avrebbero semplicemente dovuto lasciarsi guidare dal dispiegarsi degli eventi in campo?
Secondo, cosa fare se malauguratamente la triade Tendou-Ikeda-Ushijima fosse stata accoppiata contro di loro? Per Tendou serviva una strategia, per Mikoto un esorcista in gamba, per Wakatoshi forse bastavano lei e Arisu, che al momento sembrava scoppiare di energia.
Terzo, Wakatoshi l’aveva baciata.
Quarto, erano solo amici.
Quinto – tanto per ribadirlo ancora una volta – era assolutamente certa che Wakatoshi non fosse gay. Lo conosceva da una vita e l’aveva baciata: non poteva essere gay.
In sintesi, quella era la domenica mattina peggiore che avesse mai vissuto fino ad allora. Negli anni successivi ne avrebbe avute di parecchio peggiori, ma non poteva ancora saperlo.
Alle dieci Kurihara e Tendou avevano già raccolto le adesioni per le squadre del torneo ed erano molto più numerose di quanto si fossero aspettati: c’erano genitori, curiosi, studenti di altre scuole, universitari, ex-alunni e dozzine e dozzine di ragazzi all’ultimo anno delle medie indecisi circa l’istituto da frequentare dopo gli esami finali, per lo più ragazzi. C’erano unità per almeno otto squadre e un sacco di confusione.
Tooru sarebbe arrivato in tempo per la pausa pranzo, perciò Megumi aveva tempo per almeno una partita e – se avessero vinto – anche per due. Non era così ottimista da vedersi in finale, ma in quel momento la preoccupava più del dovuto il fatto che lui la trovasse tutta sfatta e sudata. Le urtava i nervi che non si fosse mai posta prima quel problema: l’aveva vista in condizioni ben peggiori e l’aveva già vista tutta sudata e sfatta il primo giorno che si erano incontrati ma a lei non era importato proprio niente. Odiava quel sentimento irrequieto nello stomaco: le faceva sembrare tutto complicato e incerto, così complicato e incerto che si ricordò di non aver infilato le ginocchiere soltanto dopo essersi allacciata le scarpe.
Arisu nascose un risolino dietro la mano minuta.
«Volevo dirtelo, ma era troppo divertente: eri nel mondo dei sogni.» spiegò «Si può sapere perché sei così tesa? È solo un gioco per il festival.»
La ragazza valutò l’opzione di mentirle e di raccontarle che sperava di non scontrarsi mai contro Wakatoshi, ma si accorse da sola che era una scusa che avrebbe fatto acqua da tutte le parti. In tutta franchezza, non vedeva mai l’ora di scontrarsi con Wakatoshi e non aveva alcuna intenzione di perdere contro di lui nemmeno una partitella stupida organizzata da Tendou con otto squadre di fortuna. Era anche piuttosto risentita con lui per essere stato così brusco nel mostrarle quali fossero i suoi veri sentimenti e per averla messa nei guai con Kenjiro: non ci aveva dormito la notte. Perciò scelse la verità: Arisu non era Mikoto né Kaori ed era sempre tanto cara e comprensiva con lei.
«Tooru sarà qui all’ora di pranzo.» ammise, pronunciando le parole troppo velocemente.
Arisu sollevò un sopracciglio, fu costretta a riflettere qualche istante prima di capire a chi si riferisse, poi restò con la bocca mezz’aperta, il viso improvvisamente cinereo.
«Risu, ti senti bene?»
«Oikawa verrà qui? Alla fine hai deciso di lasciarlo venire?»
«Non sono riuscita a dissuaderlo. Sicura di non aver mangiato nulla di strano a colazione?»
«Quindi… voi due… è successo qualcosa?»
Ancora una volta le venne in mente l’abbraccio alla fermata dell’autobus e sentì di nuovo le guance e le orecchie scottare. Arisu non mancò di notare la sua reazione e tirò le labbra in un sorriso così teso da tremare. Aveva gli occhi lucidi e Megumi fu colta da una realizzazione spiazzante: a Risu piaceva Oikawa. Doveva essere quella la ragione per cui quella sera del luna park era così nervosa e le aveva fatto tutte quelle domande su come si fosse comportato con lei. Non doveva meravigliarsi: aveva ammesso perfino lei che Tooru fosse un bel ragazzo ed era opinione comune fra un sacco di ragazze oltre loro due, ma questo complicava ancor più la situazione. Proprio quando la ragazza cominciava ad accettare cautamente l’idea di poter essersi innamorata di lui, si accorgeva che una loro eventuale relazione avrebbe ferito Arisu.
Non voleva perdere Tooru e non voleva perdere Risu, Megumi aveva già fatto soffrire l’amica a sufficienza in passato e si sentiva perfida a portarle via anche la sua cotta dopo la fiducia delle sue amiche.
Il suo cellulare trillò senza pietà e sullo schermo apparve il nome di Tooru: nel messaggio c’era un selfie di lui davanti allo specchio, vestito di tutto punto per camuffarsi fra gli studenti dell’accademia. In realtà era così carino con gli occhiali da sole che avrebbe comunque attirato l’attenzione delle ragazze e forse perfino degli scout di qualsiasi agenzia di idol esistesse in Giappone e fuori. Sorrise ma poi si ricordò che Risu la stava guardando e si ricompose.
«È lui?» le domandò malinconica «Si vede, cambi espressione quando è lui. Be’, sono contenta che tu sia felice.»
«Risu, c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi? Non devi vergognarti di me, io capirò.»
L’amica arrossì e strinse gli occhi e le labbra. Si asciugò rapidamente una lacrima per impedire a Megumi di accorgersene, ma fu inutile.
«Non c’è niente da dire, Megumi-chan. Siete una bella coppia.» disse piano, voltandole le spalle così che non potesse più guardarla in faccia.
«Non siamo una coppia!» si affrettò a puntualizzare Megumi.
«Non ancora.» ribatté l’altra «Ora scusami, mi sono ricordata di aver lasciato un… una…una cosa in camera.»
«Risu-chan, aspetta! Iniziamo tra poco!» protestò, ma Arisu era già scomparsa fra la folla e lei aveva di nuovo le scarpe slacciate e le ginocchiere ancora in mano.
Un ulteriore riepilogo degli scontri previsti per la giornata: Kenjiro contro di lei quando avesse scoperto del bacio, lei contro Wakatoshi sempre per colpa del bacio, Arisu contro di lei perché le aveva di nuovo soffiato qualcosa a cui teneva, Tooru contro Wakatoshi e l’intera scuola non appena avesse varcato la soglia del cancello. Era un tutti contro tutti senza pietà, altro che un torneo scherzoso per il festival!
Ma poi – si chiese arrabbiata – perché Risu non le aveva mai detto della sua cotta per Tooru? Se glielo avesse detto prima non si sarebbe concessa di affezionarsi tanto e avrebbe ammazzato subito quelle dannate farfalle nello stomaco prima che nascessero! Era così turbata da quel groviglio di problemi che, quando mise piede fuori dallo spogliatoio, inciampò in un povero ospite iscritto al torneo e rovinarono entrambi a terra, l’una sull’altro.
Terrificata dall’essere piombata addosso ad uno sconosciuto, Megumi si rimise in piedi all’istante e si perse in mille e mille scuse: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era aggiungere un’ulteriore conflitto alla sua già nutrita lista. Il malcapitato ragazzo, tutto rosso in viso sotto il bizzarro taglio a scodella in cui portava i capelli neri, si profuse in un altrettanto lunga litania di scuse. Era qualche centimetro più alto di lei e portava la sua stessa casacca rossa, perciò doveva essere stato inserito nella sua stessa squadra. Non sapendo come fermarlo, gli sorrise tesa e lui si fece dello stesso colore acceso della pettorina.
«Sembra che siamo nella stessa squadra.» gli disse per allentare la tensione «Sei di un altro liceo?»
«No io…» balbettò lo sconosciuto «Io mi diplomo alle medie quest’anno.»
«Uno studente delle medie?» ripeté Megumi sbigottita «Ma se sei più alto di me!»
Il ragazzo sorrise, chiaramente lusingato dall’osservazione.
«Anche tu sei alta, per essere una ragazza!»
«A mia discolpa, sono al primo anno: crescerò ancora, o almeno lo spero. Pensi di venire qui il prossimo anno?»
«Sono qui per farmi notare e ottenere una raccomandazione dall’Accademia.»
«E lo dici così? Se aspiri all’invito devi essere molto bravo, anche io ne ho avuto uno lo scorso anno! Sono impaziente di vederti in azione, come ti chiami?»
«Goshiki!» balbettò il ragazzo.
«È il tuo nome o il tuo cognome?»
«Il cognome, mi chiamo Tsutomu. Sono una banda, non te l’ho detto.»
«Io mi chiamo Megumi ma non so ancora bene cosa sono: fino a qualche mese fa ero una banda come te ma da qualche tempo sono la parodia di un’opposta.»
«Non puoi essere così male, hai detto di aver ricevuto l’invito!»
«Una vita fa e comunque non abbiamo la pretesa di essere al livello del club maschile.» confessò Megumi «A proposito, sei molto fortunato: il palleggiatore della nostra squadra è un membro titolare, è davvero molto in gamba. Sono certa che ti passerà dei bei palloni, vedrai! Alla fine della giornata di oggi, tornerai a casa con una bella raccomandazione.»
«A dirti la verità» spiegò «la maggior parte di noi oggi è qui per il mio stesso motivo. C’è una concorrenza spietata, il club maschile è molto popolare.»
Una folla di studenti delle medie in disperata attesa di una raccomandazione per l’iscrizione, la stessa che Tooru aveva rifiutato con così tanta nonchalance? Perfetto, quale migliore scenario per un appuntamento che non avrebbero mai dovuto avere?
«E tu perché vorresti fare parte proprio del club della nostra scuola?»
Gli occhi del ragazzo scintillarono d’eccitazione.
«Perché io supererò Ushijima!» annunciò confidente.
Quinto conflitto della giornata: Tsutomu, lo studente delle medie, contro Wakatoshi, il quale ignorava completamente la sua esistenza sulla faccia della terra. Avrebbe voluto dirgli, tanto per mettere i puntini sulle i, che Waka-nii era insuperabile ma le dispiacque troppo rovinare il morale del più giovane. Gli diede appuntamento a poco dopo, il tempo – gli disse – di recuperare il loro libero.
Il ragazzo, come scoprì nel corso della partita, sapeva davvero il fatto suo. La loro squadra era composta anche da una ex-studentessa e altri due ragazzi all’ultimo anno delle medie, ma Tsutomu spiccò più di chiunque altro, stampando nei tre metri delle parallele assurde. Per fortuna erano stati appaiati contro due squadre senza troppe ambizioni e vinsero due partite di seguito senza tirarla troppo per le lunghe: incredibilmente erano in finale. A fine partita, Arisu sfuggì ad ogni suo tentativo di prenderla da parte per parlare. Kenjiro, invece, era su di morale, anche se battibeccava un po’ con Tsutomu, troppo energico e vispo per i suoi ritmi nonostante gli ottimi risultati ottenuti in campo. Megumi non riusciva a guardarlo senza ricordarsi del bacio di Wakatoshi e provare una fitta di rimorso: certo, nessuno le impediva di mantenere il segreto, ma si sentiva una traditrice. Si sfilò la casacca, indossò nuovamente la felpa nera e viola del club femminile e si avviò in direzione dell’uscita della palestra B; il prossimo turno sarebbe stato nel pomeriggio e aveva tutto il tempo di andare ad accogliere Tooru al cancello prima che subisse il linciaggio. Non sapeva come comportarsi con lui: da una parte non vedeva l’ora di abbracciarlo nuovamente, dall’altra si sentiva in colpa nei confronti di Risu.
Mentre attraversava la calca di spettatori ammassati sulle pareti della palestra, qualcuno la prese per un braccio e la tirò a sé con una gentilezza tale da farle riconoscere il tocco dei suoi polpastrelli sulla pelle prima ancora di guardarlo in viso.
«Bella quella diagonale proprio sulla linea di fondo campo! Ho ancora la pelle d’oca, vuoi vedere?»
Megumi rise e per un attimo la matassa di pensieri ingarbugliati svanì nel sorriso di Tooru. La diagonale di cui parlava l’aveva schiacciata durante il primo set dell’ultimo incontro, perciò doveva essere arrivato molto prima di quanto le aveva preannunciato.
«Dimmi che non ti è riuscita per caso e dovrai raccogliermi da terra col cucchiaino.»
«Ti sorprenderà ma era tutto calcolato.» confermò compiaciuta.
«È stato… posso dirlo, non ti offendi? È stato erotico
«Sei sempre il solito maiale… non ti andrebbe di parlarne fuori di qui? Vorrei offrirti il pranzo.»
Lui le sorrise e le prese la mano, un gesto coraggioso che diventava ogni giorno sempre più automatico.
«Guidami.» le sussurrò nell’orecchio e questa volta la pelle d’oca venne a lei.
Oltrepassarono il cortile d’ingresso gremito dalla folla e si diressero chiacchierando verso l’ingresso principale dell’edificio scolastico, per quel giorno agghindato a festa e stracolmo di persone. A Megumi faceva uno strano effetto vedere quei corridoi così vivaci e allegri: durante i giorni di lezione regnava sempre sovrano l’ordine. Qualche studente doveva aver reclamato il possesso della sala mixer, perché in filodiffusione passava della musica molto più aggiornata del solito.
Tooru si guardava intorno curioso: non credeva – ammise – che l’Accademia fosse davvero così grande come raccontavano, né che avessero ben tre palestre coperte e un vero teatro. Era tutto così nuovo e ben tenuto che il denaro richiesto come tassa d’iscrizione assumeva un senso ben preciso. Le aule, in quel momento occupate dalle più disparate iniziative creative dei propri studenti, erano ampie e luminose, in ognuna le tradizionali lavagne a gesso erano affiancate da più nuovi proiettori, con uno di questi il club di cinema stava proiettando un film in lingua straniera.
Qualcuno salutava Megumi frettolosamente, qualcun altro la guardava con diffidenza o ridacchiava alle sue spalle, altri ancora riconobbero lui e presero a parlottare indignati. Mentre sia accingevano ad acquistare dei panini fumanti presso il chioschetto allestito da una terza, una figura familiare comparve per servirli e Megumi arrossì di colpo.
«Sakurai! È da tanto tempo che non t’incontravo, perché non passi mai a salutare le tue senpai
«Inoue-san? Non sapevo che questa fosse la tua classe!»
L’ex-capitana del club di pallavolo femminile aggrottò le sopracciglia.
«Questo è perché non parlavi mai con nessuna di noi, avrei voluto conoscerti molto di più prima di lasciare la squadra. Ormai noi del terzo anno eravamo andate via, ma ho pensato che se mi avessi parlato di quella certa questione… be’ io avrei capito, Sakurai. Vorrei scusarmi per non essermene accorta.»
Megumi strinse più forte la mano di Tooru.
«Non sono arrabbiata con voi, è stata una mia scelta non confidarmi e me ne rammarico: eri un’ottima capitana. Non fraintendermi, Yoshida è brava ma il polso fermo che avevi tu non ce l’ha nessuno.»
La più grande rise mentre tirava fuori i loro panini dalla piastra e li avvolgeva nei tovaglioli colorati; le porse il primo.
«Sai, il brutto dell’essere capitano è doversi spesso trattenere per dare il buon esempio. Ricordi quella volta a giugno quando hai attaccato briga con i ragazzi del liceo Seijoh? Allora ero terrorizzata all’idea che venissi sospesa o espulsa e ti ho rimproverata duramente, però adesso che sono fuori dal giro posso dirtelo: è stato memorabile, l’esperienza più epica che io abbia mai vissuto in tre anni. Arrivo lì e scopro che ce ne vogliono tre per tenerti ferma e che Oikawa è a terra con la faccia gonfia, che smacco gli hai dato! Si dà sempre così tante arie! Quando ci penso mi viene ancora da ridere! L’hai più rivisto? Spero di no, al posto suo metterei la faccia sottoterra.»
Megumi avrebbe voluto un razzo personale per volare su Marte e trascorrevi il resto della sua sfortunata esistenza in eremitica solitudine, vergogna e pentimento. Tooru, al suo fianco, tossicchiò nervoso.
«A dire la verità io sarei qui, ma continua pure Inoue-san.» osservò sarcastico.
Solo allora l’ex-capitana si soffermò sull’accompagnatore di Megumi e, sbigottita, si coprì con una mano la bocca semiaperta. Guardò la ragazza e poi lui e dopo di nuovo lei e poi ancora lui, ripetendo sommessamente «Oh mio Dio».
Megumi si fece rosso fuoco.
«Voi due state insieme adesso?» esclamò indicando le loro mani intrecciate. Un paio di ragazze si voltarono a guardare.
All’istante i due sciolsero la presa ed infilarono le mani in tasca.
«No!» si affrettò a rispondere Megumi «Inoue-san, non è come sembra!»
«Infatti» precisò ironico Tooru «Gumi-chan mi teneva la mano soltanto perché teme che io possa perdermi in questo castello.»
«Tooru!»
«Sei troppo carina quando ti imbarazzi. Che c’è?» continuò cogliendo il suo cipiglio minaccioso «Cercavo di sdrammatizzare!»
«Quindi state insieme sì o no?»
Megumi nascose il viso dietro le mani, perciò toccò a lui rispondere.
«Diciamo che ci frequentiamo ma non stiamo insieme. Va bene così, Gumi-chan
La ragazza sbirciò fra le dita per scoprire Inoue che annuiva impressionata.
«Quindi per trovarmi un ragazzo devo picchiarlo? Buono a sapersi!» commentò porgendo a Tooru il secondo panino, poi proseguì: «Sakurai, sei una vera scoperta!»
Per le ore successive, Megumi navigò nel panico più ineluttabile: mezza scuola l’aveva vista con Tooru, Inoue l’aveva offeso e credeva che fossero una coppia, il tempo che Arisu lo sapesse e si sarebbe scatenata la rivoluzione. Con quale coraggio sarebbe tornata in palestra per giocare l’ultimo turno? Per fortuna erano riusciti a trovare un posticino tranquillo e soleggiato alle spalle del dormitorio e si erano rifugiati lì per pranzare. Si scusò per come erano andate le cose, affermò che sarebbe dovuta essere più accorta nel scegliere il tragitto da percorrere.
«Cosa c’è di cui scusarti? È stato divertente! La faccia di Inoue quando ha capito che ero proprio io era impagabile.»
«Adesso crederanno tutti che stiamo per metterci insieme.» si lamentò Megumi prima di dare un ultimo morso sgraziato al panino.
«È questo il bello delle credenze: forse è vero, forse no. Ti preoccupi che lo sappia Ushiwaka? Puoi sempre chiarire con lui che sei ancora single e disponibile.»
Megumi smise di masticare e mandò faticosamente giù il boccone: non poteva riferirgli la conversazione avuta con Wakatoshi, né le deduzioni che ne erano seguite e soprattutto non poteva menzionargli quel bacio senza spezzargli il cuore. Inconsciamente si soffermò con gli occhi sulle sue labbra: quanto avrebbe voluto provare solo una volta a baciare lui e scoprire quali sensazioni avrebbe suscitato!
«Ho qualcosa in faccia?» le domandò lui strofinandosi il mento con il dorso della mano.
«No, è soltanto che stavo pensando che…» doveva trovare in fretta una scusa «… mi spiace averti aggredito quella volta. Ti eri confuso e io potevo anche lasciar perdere.»
Lui rise.
«Se sapessi perché avevo la testa fra le nuvole! Ero molto sconvolto dal tuo rifiuto, l’ho presa molto male, lo confesso. Però, se permetti, è stata una bellissima visione, ne è valsa la pena.»
«Sei stato crudele, il giorno dopo i tuoi amici ridevano ancora tutti delle mie mutande!»
Tooru arrossì.
«No, ridevano di me, ma non ti racconterò per quale motivo… mi vergogno di me stesso.»
«Tooru Oikawa si vergogna? Non ci posso credere.»
«Diciamo che non era stata una delle mie notti migliori.»
«Ora ricordo che avevi delle occhiaie scurissime e un pessimo colorito…»
«Possiamo parlare di altro?» tossì imbarazzato «Vorrei conservare un minimo di dignità ai tuoi occhi.»
«Dai, cosa mai potrà essere di così grave?» insistette approfittando per farsi più vicina al suo viso, lui deglutì nervosamente, la punta delle orecchie in fiamme.
Era troppo audace? Se ne sarebbe pentita dieci minuti dopo? Forse sì, ma aveva bisogno di chiarire la natura dei suoi sentimenti al più presto ed era decisa ad utilizzare la stessa moneta che Wakatoshi aveva usato con lei per comparare le esperienze. Sapeva che Tooru aveva un debole per le pubbliche manifestazioni d’affetto: prima ancora che le si presentasse lo aveva visto diverse volte sbaciucchiarsi con qualche ragazza senza alcun ritegno e, nemmeno un paio di mesi prima, aveva affermato con leggerezza che avrebbe voluto baciare anche lei. Nonostante questo, il ragazzo si ritrasse impercettibilmente. Megumi riusciva a sentirne il respiro caldo nell’aria frizzante di novembre, il suo cuore batteva così tanto che il petto sarebbe potuto esploderle.
Andiamo – si disse speranzosa – fai quello che hai sempre voluto fare, Tooru. Solo una volta.
«Gumi-chan» mormorò lui con voce tremante «Sei troppo vicina.»
«Ah, ecco dov’eravate.»

Quello era il giorno in cui Tooru Oikawa, distinto palleggiatore del club maschile di pallavolo del liceo Aoba Johsai, aveva deciso di morire. In realtà non l’aveva scelto lui ma Wakatoshi Ushijima, sorto alle spalle di Megumi come l’arcangelo protettore della sua purezza, proprio quando lui stava per cedere alla tentazione di baciarla e rovinare tutto quello che aveva faticosamente costruito con lei. Non sapeva con esattezza perché Megumi, che pure era sempre stata tanto restia a farglisi vicina, si fosse sbilanciata così tanto: probabilmente – considerò – non se n’era nemmeno accorta, presa com’era dalla volontà di scoprire cosa fosse accaduto la notte dopo il loro primo incontro. Ad ogni modo lui non gliene avrebbe mai parlato, visto che non era stata neanche lontanamente l’ultima volta in cui si era addormentato solo dopo aver pensato a lei. Perciò il fatto che lei stesse lì di fronte a lui e che gli fosse quasi addosso, proprio dopo avergli ricordato le notti solitarie in camera sua, metteva a dura prova tutte le resistenze opposte dalla sua ragione.
L’angelo della morte Ushijima, dunque, fu il deus ex machina che gli impedì di ricordare a Megumi i baci che Hattori le aveva strappato insieme a chissà quale altra malata pretesa. Tooru non voleva spaventarla: non avrebbe tollerato vederla tremare o piangere, amava troppo quella ragazza così dura e fragile insieme, pronta a spezzarsi come il cristallo più freddo e pregiato, e non avrebbe voluto mai e in alcun modo essere causa della sua sofferenza.
Poteva dunque morire con la coscienza pulita: Ushijima lo avrebbe ammazzato per essersi avvicinato troppo alla sua amica, ma lui avrebbe saputo in cuor suo di non aver sbagliato nulla.
Megumi trasalì e si voltò subito verso di lui.
«Shirabu ti sta cercando, tocca a voi.» annunciò l’amico senza però staccare di dosso gli occhi da Tooru, che fu percorso da un brivido freddo.
«Avete già finito?»
«Vinte entrambe.»
«Con Kurihara al palleggio?» commentò Megumi «Pensavo che lei avrebbe controbilanciato te e Tendou.»
«Ha fatto un lavoro discreto: quel che conta è che a me arrivasse un passaggio decente. Per la cronaca, un paio di doppie sono sfuggite all’arbitro.»
«Certo, e tu hai sparato senza pietà.»
Megumi ribatteva all’amico con una certa punta di freddezza che il ragazzo non aveva mai osservato prima: forse c’era stato un diverbio o qualche fraintendimento, ad ogni modo Ushijima fece spallucce e Tooru non riuscì a trattenersi, nonostante fosse consapevole di trovarsi già con un piede nella fossa.
«Che tristezza: quel che conta è che mi arrivi la palla. A qualcun altro è arrivata, tanto per cambiare, o bastava che attaccassi solo tu?»
L’altro aggrottò le sopracciglia ma, incredibilmente, non raccolse la provocazione.
«Non sono qui per litigare» tagliò corto «ma per riportare Megumi in palestra per la finale del torneo. Puoi seguirci o andartene, fai quel che vuoi.»
Tooru detestava la flemma spiazzante di Ushijima: la maniera indolente in cui si rivolgeva a chiunque e la schiettezza con cui apriva la bocca senza nemmeno pensare erano insopportabili. Si domandava ogni giorno come Megumi, di natura vivace e permalosa, potesse esserne attratta così tanto. Magari – rifletteva – poteva trattarsi di una pura questione fisica: il capitano della Shiratorizawa era robusto e diversi centimetri più alto di lui, e sapeva che alcune ragazze trovassero apprezzabili i suoi lineamenti. Chissà quale di quelle cose piaceva a Megumi e chissà se sarebbe mai riuscito ad eguagliarle.
Lei gli tendeva la mano, le guance ancora imporporate. Lui la prese e si rialzò, scoccando al rivale uno sguardo in cagnesco.
«Ovvio che vengo!» ringhiò nervoso «Sono qui per Gumi-chan
«Nessuno si aspetta altro da te.»
Avrebbe voluto saltargli addosso e picchiarlo di santa ragione per il tono irrispettoso con il quale continuava a rivolgerglisi, era così furioso che sentiva i pugni tremargli e la rabbia fluirgli fino alla punta delle dita. Scattò, ma Megumi gli si parò davanti e gli strinse i polsi con fermezza, aveva dimenticato quanto fosse forte.
«Ti prego» lo supplicò amareggiata «fallo per me.» poi si rivolse a Ushijima, l’espressione improvvisamente indurita «E anche tu, ne avevamo parlato!»
«Non ho fatto niente.»
«Ed invece hai fatto anche abbastanza. Vai, noi ti raggiungiamo fra poco.»
Tooru e Megumi lo guardarono sparire oltre l’angolo del dormitorio e, solo quando l’ebbe giudicato abbastanza lontano, la ragazza gli liberò i polsi. Una ruga di disappunto le era comparsa sulla fronte e stringeva i denti per il nervoso: fra quei due doveva essere certamente successo qualcosa, ma Megumi sembrava così furente che non ebbe il coraggio di chiederglielo. A dire la verità, gli ricordava la Sakurai che aveva conosciuto all’inizio: una miccia accesa pronta ad esplodere da un momento all’altro.
«Contro chi giochi adesso?» le domandò allora, per alleggerire l’atmosfera.
«Contro di lui, è la finale.»
Si accorse di non sapere cosa dirle. Aveva inconsciamente pensato: «Che sfortuna!», ma sentirsi dire una cosa del genere avrebbe fatto infuriare prima di tutto sé stesso. E poi, Megumi ardeva di violenta determinazione, era una visione completamente inedita di lei e lo intrigava così tanto da sentirsi eccitato. Forse Iwaizumi e gli altri avevano ragione: doveva essere malato o qualcosa del genere.
Si confuse fra gli spettatori dopo averle augurato buona fortuna. Nonostante fosse irritata, Megumi strinse le labbra in un sorriso tutto per lui. Se pensava che solo pochi minuti prima era stato ad un passo dal baciarle, gli veniva voglia di prendersi a schiaffi da solo. La guardò conversare con il ragazzo dai capelli neri in squadra con lei, quello che durante le partite precedenti aveva eseguito delle parallele impeccabili; trovava che fosse un po’ troppo su di morale e che le stesse troppo appiccicato, ma non poteva intervenire in alcun modo. Il palleggiatore della squadra di Megumi, lo stesso che era in campo durante gli interscolastici per il club maschile della Shiratorizawa, lo intercettò con lo sguardo fra la folla e si fissarono perplessi per qualche secondo, prima che il ragazzo decidesse di separare Megumi dal suo insistente ammiratore, lasciando Tooru ancora più dubbioso di prima.
Dall’altra parte della rete, Mikoto Ikeda tramava la distruzione del mondo parlando fitto fitto con Satori Tendou: forse avrebbe dovuto scattare una foto ed inviarla ai ragazzi. Se l’inferno avesse dei rappresentanti in terra – avrebbe sentenziato Mattsun serioso – sarebbero di certo quei due accoppiati. Ebbe un fremito quando entrambi si voltarono a guardarlo e presero a ridacchiare ambiguamente. Ushijima, dietro di loro, attendeva pazientemente il fischio d’inizio, sorvegliando Megumi con un’espressione indecifrabile sul viso. La palleggiatrice, Kurihara, sembrava più concentrata di quanto lo fosse l’unico giorno in cui l’aveva vista giocare. C’era poi un’altra ragazza del club femminile, coi capelli biondi e voluminosi, e una coppia di studenti delle medie in cerca di gloria.
La partita era appena iniziata quando si sentì picchiettare sulla spalla.
Kaori gli sorrideva cordiale, accompagnata da un ragazzo piuttosto alto che era certo facesse parte del sestetto titolare del club maschile, perché il suo viso non gli era affatto nuovo. Fu sollevato d’incontrare qualcuno che conoscesse e che non volesse la sua testa su un piatto d’argento.
«C’ero quando hai giocato durante lo scorso turno» le disse dopo aver ricambiato il saluto «E così sei una collega? Non lo sapevo.»
Kaori arrossì. «Ma quale collega!» ribatté ridendo tesa «Sono solo un’alzatrice apprendista!»
In campo, Megumi sbottava perché Tendou le aveva appena murato una diagonale: poteva capire la sensazione, ai suoi schiacciatori accadeva sempre quando si scontravano contro la Shiratorizawa. La ragazza restituì uno sguardo in cagnesco al centrale e lui gli rispose sollevando le mani fingendo resa.
«Non è vero, invece non sei per niente male come palleggiatrice.»
«Se lo dice anche Oikawa forse ci crederai, Nonaka.» intervenne il ragazzo che era con lei.
«Kawanishi-kun, Oikawa è solo educato.»
«No, dico sul serio! Sicuramente meglio di quella lì» spiegò Tooru accennando col capo a Kurihara «che fa tutto abbastanza meccanicamente. Capisco perché Megumi abbia tanto da ridire su di lei.»
«Macché, qui c’è davvero tanta gente molto più in gamba di me. Poco fa ha giocato contro la squadra di Mikoto un palleggiatore bravissimo, forse esigente, ma davvero mostruoso! Ed era un ragazzino delle medie, avresti dovuto vederlo! Un po’ m’innervosiva perché aveva la pretesa di controllare tutto il gioco, credo abbiano perso proprio per questo. Kawanishi-kun, tu eri nella sua squadra, com’è che si chiamava?»
«Kageyama, credo. Era qui per la raccomandazione, ma non credo abbia fatto tutta questa bella figura» spiegò il ragazzo frustrato, che adesso riconosceva come uno dei centrali della Shiratorizawa «giocava in un modo tutto suo.»
Arisu recuperò un servizio di Ushijima e il palleggiatore alzò per Megumi, che segnò un punto eccellente per recuperare il muro di qualche minuto prima.
«Kageyama non ha fatto una bella figura?» ripetè Tooru gongolando nemmeno troppo segretamente. Si guardò intorno, ma dello studente più giovane non c’era più alcuna traccia: ne dedusse che aveva abbandonato il campo di battaglia con la coda fra le gambe subito dopo essersi umiliato pubblicamente. Avrebbe voluto rigirare il dito nella piaga, ma a quanto pareva il ragazzo si era fatto più intelligente di prima.
Certo – si ricordò – aveva ben altro su cui indagare: la misteriosa tensione, a quanto pare unilaterale, fra Megumi e Ushiwaka lo intrigava non poco ed era deciso a scoprire di più: avrebbe potuto chiedere a Nonaka, che era sempre così aggiornata e prodiga di informazioni, ma non gli sembrava una mossa troppo prudente quella di essere diretto.
Di fatto, Megumi stava provocando l’amico. Lo faceva di proposito e giocava assecondando una fissazione personale che lui non aveva colto e che non ricambiava, o che almeno non aveva ricambiato fino a quel muro.
«Non ci posso credere, l’ha murato davvero?» commentò Kawanishi a bocca aperta.
«Come si trattiene un tiro del genere senza farsi spezzare le braccia o rompersi un dito?» domandò Nonaka sbigottita.
«Si può fare» spiegò Tooru sorpreso «Megumi conosce bene il gioco di Kurihara e suppongo che conosce quello di Ushiwaka ancora meglio: poco fa ha perfino ricevuto un suo servizio e difeso alcuni suoi attacchi senza scomporsi. Non è saltata a vuoto ed era pronta all’impatto: sapeva esattamente dove avrebbe colpito, quando avrebbe colpito e con che intensità lo avrebbe fatto: non ha lasciato al caso nemmeno uno virgola, è… terrificante. Lo fa spesso?»
Nonaka scosse il capo, più impressionata di prima.
«Era da un po’ che non la vedevo così aggressiva. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, mi mette i brividi.»
Con uno schianto che quasi fece vibrare i muri dell’edificio, la diagonale strettissima di Megumi piombò al confine fra la prima linea e quella laterale. Tooru era certo che all’inizio avesse intenzione di schiacciare una parallela, ma che il muro di Tendou l’avesse infastidita al punto di farle cambiare idea all’ultimo. Era impressionante quanto rapidamente riuscisse a riorganizzare i piani e adattarsi così bene. Il ragazzo coi capelli neri era in visibilio e Tooru non avrebbe potuto biasimarlo se se la fosse fatta sotto per l’emozione.
Così tronfia e fiera, Megumi riservava a Ushijima, che la rotazione aveva portato proprio di fronte a lei, uno sguardo di aperta sfida.
«Sembra perfino più furiosa di prima» osservò Nonaka aggiustandosi il caschetto biondo «è da ieri sera a cena che si comporta così. Sono usciti dalla sala mensa per dieci minuti e, quando sono rientrati, c’era qualcosa di diverso.»
«E di cosa stavano parlando prima di uscire, Kaori-chan?»
La biondina strinse le labbra, conscia di essere custode involontaria di quello che aveva tutta l’aria di essere un segreto. Kawanishi le diede una leggera spallata, mentre i giocatori cambiavano il campo e Megumi e Ushijima si sfidavano lanciandosi sguardi in cagnesco.
«Sono bravo a tenere i segreti.» le assicurò premuroso.
La ragazza inspirò profondamente, combattuta. Guardò Tooru e poi Kawanishi, che scosse il capo. Nonaka non era una spiona, ma solo una di quelle straordinarie persone che si facevano spontaneamente carico di risolvere i problemi degli altri.
«Parlavano di te.»


NOTE FINALI

 

Io che aggiorno dopo un mese esatto, come sarebbe dovuto essere all'inizio? Questo 2021 vorrebbe proprio aprirsi alla fantascienza! Mi chiedo se riuscirò a mantenere questo ritmo anche per il prossimo mese!

In questo capitolo ne succedono così tante che riassumerlo mi viene difficile, perciò fatemi sapere cosa ne pensate! Vi aspettavate qualcosa di ciò che è accaduto?
Ritornano anche alcune facce vecchie e nuove! Quello di Goshiki, come potete immaginare, non è un cameo eccezionale ma tornerà come studente a pieno titolo fra qualche capitolo.

Come al solito, se mi leggete vi invito a lasciarmi una piccola recensione. Confesso che controllo EFP ogni giorno, come quando aspettavo che caricassero i voti degli esami sul portale dell'università, ma ci resto sempre un po' male.

Vi voglio bene, spero a presto! 

Lyra

   
 
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