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Autore: Slytherin_Divergent    11/01/2021    1 recensioni
Kenjirou non ha mai visto un essere umano. È convinto del fatto che siano creature mostruose e senza scupoli, pronte a sacrificare tutto per dei pezzi di carta e di metallo.
Eita non ha mai visto una sirena. È sempre stato affascinato dalle leggende e ha passato tutta la vita a sognare di volerne incontrare una.
Kenjirou si rende conto del fatto che la sua vita cambia radicalmente quando viene catturato dagli umani durante una tempesta. Mentre si trova sulla nave dove viene tenuto prigioniero non riesce a pensare ad altro che al fatto che sta per morire. Eita, invece, disperso durante la tempesta, non vede l'ora di potergli parlare.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Shiratorizawa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Kenjirou riprese conoscenza all'interno della cella. La prima cosa che sentì fu la paglia pizzicare sulla pelle nuda della schiena, poi percepì il calore di due mani attorno alla testa e pensò che qualche angelo dal profumo di cioccolato e vaniglia lo stesse coccolando. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti il viso assorto e perso nel vuoto che Eita che gli stava accarezzando con cadenza regolare la fronte. Rimase ad osservare assorto il suo viso per parecchi secondi, poi alzò una mano e fece per prendere quella del biondo, ma il ricordo di ciò che era successo si presentò dirompente nella sua mente e lui rabbrividì.
Avevano provato ad affogarlo. Lo avevano rinchiuso in una cella. Lo avevano abbandonato a se stesso. Strinse i pugni ma non scacciò Eita. Aspettò che lui si accorgesse che era sveglio e Semi quando se ne rese conto gli rivolse un dolce sorriso che fece quasi sciogliere l'altro. «Come ti senti?»
Shirabu conficcò le unghie nella pelle nel tentativo di non metter su l'espressione più ebete che gli veniva in mente solo a guardar lo sguardo di Eita. «Spiegami cos'è successo.»
Il biondo sospirò. Sapeva che Kenjirou avrebbe insistito per sapere cosa fosse successo prima che svenisse, quindi si era mentalmente preparato una sottospecie di discorsetto. Si schiarì la gola e fece sistemare il più piccolo contro al suo petto, continuando ad accarezzargli i capelli con una mano. «Conosci la leggenda dell'Anomalia della Nave, Kenjirou?»
Shirabu scosse la testa. «No.»
«Si narra che tanto tempo fa ci fosse una donna nobile nata su una piccola isola e che questa donna fosse la figlia del sindaco del posto. Il sindaco e sua moglie decisero che quando loro figlia avesse raggiunto la giusta età allora le avrebbero fatto sposare un ricco nobile e quando compì sedici anni sulla loro isola arrivò un inglese molto ricco per poterla sposare. Lei scappò assieme ad una ciurma di pirati, contraria al suo matrimonio forzato, e per anni visse su un'isola assieme ad un vecchio e i suoi animali, in seguito ad un naufragio, e l'uomo le insegnò la magia nera.» Kenjirou ascoltava interessato e quasi si era dimenticato del perché fosse così arrabbiato. «Quando la donna, divenuta ormai una ventenne, ritornò sulla sua piccola isola la ritrovò in mano al nobile inglese che aveva fatto impiccare i suoi genitori dopo averla definita morta in mare e si aggirava per le strade proclamandosi suo vedovo e girando di bordello in bordello. Lei s'adirò e lanciò su tutta la città una potente maledizione. Nel giro di poche settimane tutti gli abitanti furono colpiti da un morbo sconosciuto che in poco tempo fece avvizzire i loro corpi e contagiò anche coloro che venivano toccati dai malati. L'unico a scampare a quella sciagura fu il suo promesso sposo.»
Eita fece una piccola pausa per riprendere fiato e puntò lo sguardo negli occhi interessati di Kenjirou. «Si narra che la donna avesse il controllo sui corpi morti e avvizziti degli abitanti della città e che s'imbarcò su una nave per girare i mari alla ricerca del suo promesso sposo e maledire anche lui. Da quel momento la sua nave vaga per la terra avvolta in una nebbia verde e trasforma in Maledetti tutti coloro che incontra.»
Kenjirou deglutì. «Ma questa è solo una leggenda, no?»
Eita strinse le labbra e scosse la testa. «No. Abbiamo già avuto a che fare con l'Anomalia e Tendou ci ha quasi rimesso la vita. Aveva toccato per sbaglio uno dei Maledetti e la sua mano...»
Shirabu sentì il sangue gelarsi. «È per questo che avete provato ad affogarmi? Perché il ragazzo della nave poteva essere uno dei Maledetti?»
«Un Maledetto porta sul corpo una macchia nera che compare nel punto in cui uno dei marinai della ciurma fantasma lo tocca e non può essere curato. Il suo corpo è destinato ad avvizzire e lui a diventare uno dei milioni di spettri che invadono quel posto. Una persona che tocca un Maledetto invece, se con la parte di corpo con cui ha toccato il Maledetto rimane immersa per due minuti all'interno di acqua con dispersi all'interno sale, menta e limone, non contrarrà la malattia. È per questo che Reon ti ha trattenuto sott'acqua così a lungo. Mi dispiace.» spiegò Eita, accarezzando delicatamente la frangetta di Kenjirou. «Non avrei mai voluto che succedesse.»
Shirabu abbassò lo sguardo e mormorò. «Non preoccuparti. Sono io ad aver sbagliato.»
«No, capisco che non sei abituato ad essere ignorato quando parli.» Eita sorrise e affondò il naso tra i capelli del più piccolo. Kenjirou sentì le guance infiammarsi.
«N-non è...» Semi lo interruppe.
«Sì, che è vero.» rispose. Rimasero in silenzio per parecchi lunghi secondi. Kenjirou chiuse gli occhi e appoggiò l'orecchio contro al petto di Eita, ascoltando il suo battito cardiaco calmo e ritmico che gli mise addosso un senso di spossatezza tale da farlo quasi addormentare.
«Eita...» richiamò d'improvviso il più piccolo.
«Mh?» Semi abbassò lo sguardo su Kenjirou.
«Il tipo è un Maledetto?» Eita scosse la testa. «Come siamo messi fuori? Siamo nell'Anomalia?»
«Se fossimo nell'Anomalia te ne accorgeresti.» mormorò Eita. L'altro lo guardò interessato e il biondo percepì la sua muta domanda. «La nebbia dell'Anomalia non è verde per caso, Kenjirou. All'interno ci sono delle sostante... Dei vapori che noi non siamo fatti per respirare, anche se nessuno è mai sopravvissuto abbastanza per poterli analizzare e capire quali questi siano. Ti offuscano la vista, ti invadono i polmoni e rendono difficile pensare e ragionare lucidamente se li respiri troppo a lungo. Se non sono i pirati della Nave ad ucciderti, lo fa quel gas che ti inibisce il cervello, ti fa alzare la temperatura corporea e ti fa addormentare, per poi soffocarti nel sonno.»
Un brivido di disgusto e paura scosse la colonna vertebrale di Shirabu. Si guardò le mani e si domandò come sarebbe stato addormentarsi sapendo che non si sarebbe più svegliato. Quella prospettiva era talmente spaventosa che gli fece contorcere lo stomaco in una morsa di nausea.
«L'abbiamo aggirata. Non c'è più pericolo, non preoccuparti.» mormorò Eita. A ripensarci a posteriori si sarebbe dato dell'idiota per non aver controllato fuori dall'oblò della cabina.

Hayato avrebbe voluto scaraventare Satori in mare e intimargli di andarsene via di lì a nuoto. L'altra opzione sarebbe stata scaraventare se stesso in mare e affogare e si ripeté più volte che quella prospettiva era molto più rosa e fiori dello stare al timone con al fianco un esemplare terrorizzato di Tendou che continuava a ronzargli intorno in preda all'ansia e a canticchiare una canzoncina orribile per placare i suoi nervi.
«Puoi, cortesemente, tacere?!» il castano si voltò verso il rosso e gli puntò un dito contro. «Se proprio vuoi dare fastidio a qualcuno vai a rompere le scatole a Shirabu e Semi che non stanno facendo nulla, non a me che sto cercando di navigare!»
«Ma Kenjirou-kun ora è svenuto!» canticchiò Satori, senza distogliere lo sguardo dalla nebbia verde che ora si trovava a due chilometri da loro. Erano passate all'incirca due ore da quando avevano visto la nebbia dirigersi nella loro direzione e ora gli stava alle calcagna, mandando su di giri Satori e facendo esasperare più del dovuto Hayato che dal canto suo avrebbe solamente voluto abbandonare il timone che stava governando da ormai sette ore filate e andare a dormire un po'. Lo avrebbe fatto, davvero, ma l'occhiataccia che Jin gli aveva rifilato alla "lavora-e-fai-il-tuo-dovere-come-tutti" quando lo aveva visto allontanarsi era bastata a farlo tornare al suo posto.
«E allora vai in cabina a farti una sega!» sbottò Yamagata, tornando ad afferrare il timone e ruotandolo leggermente verso sud per mantenere la rotta di fuga – aveva provato a domandare a Wakatoshi cos'avrebbero fatto nel caso l'Anomalia avesse continuato a seguirli e il suo silenzio era valso più di mille parole, quindi ora Hayato era assolutamente certo del fatto di non voler sapere la sua risposta a quella domanda.
«Hayato-kun!» Satori affiancò il castano e lo guardò con gli occhi sgranati, come se Hayato avesse detto una cosa talmente stupida da cadere nel ridicolo. «Mi pare lapalissiano dire che in questa situazione non mi si drizzerebbe mai!»
Hayato gemette nel constatare che le occhiatacce di Jin da "fai-il-tuo-lavoro" comprendevano anche un "non ti interrompere per tirare un pugno a Satori anche se vorresti tanto farlo". Oh, si. Ora voleva decisamente tirare un pugno a Satori. Si costrinse a tirare un profondo respiro e non guardò in faccia il rosso.
«Non mi interessa sapere se ti si drizzerà o no, Tendou. Vattene da qui e lasciami in pace, fosse per farti quella dannata sega o affogare in un barile.» sbottò. Satori gli batté le mani sulle spalle e Hayato fu sicuro di essere sull'orlo di un esaurimento nervoso.
«Ma come, Hayato-kun! Non ti interessa della mia salute fisica?»
«Se proprio hai paura che non ti si drizzi quando sei solo allora chiedi aiuto ad Ushijima.» sibilò Yamagata in risposta. Poi, con la coda dell'occhio, vide la sua salvezza da quella situazione. «Oh, Shibata! Vieni qui!»
«Gliel'ho già chiesto. Wakatoshi-kun ha risposto che ora non ha tempo.» rispose Tendou con un sospiro. Shibata li raggiunse e Hayato lo afferrò per le spalle, piazzandolo davanti al timone.
«Naviga verso sud, su. Sei una persona intelligente. Dammi il cambio.» Yamagata si dileguò prima di poter dare il tempo a Satori o Yuu di rispondere e scomparì sottocoperta sospirando. Si sentiva un po' in colpa ad aver lasciato Shibata alle prese con il timone e con alle calcagna un iperattivo Satori intento a discutere sulla sua eccitazione mancata, ma aveva veramente paura che la sua salute mentale ne avrebbe risentito prima o poi.
«Yamagata?» Hayato si voltò di scatto solo per incrociare lo sguardo di Reon.
«Oh, ciao. Che succede?» affiancò il coetaneo che stava trasportando un secchio d'acqua.
«Niente. Pensavo fossi al timone. Sto andando dal ragazzo del Nekoma. Credo si stia svegliando.» Hayato annuì e seguì Oohira verso la cabina dove avevano lasciato a riposare Shibayama. «Allora? Cos'è successo?»
«Niente. Ho lasciato Shibata al timone. Avevo bisogno di una pausa.» rispose semplicemente Hayato. Evitò di soffermarsi sul fatto che la pausa la voleva da Satori e dalla sua bocca troppo larga e non dal timone.
«Giornataccia, eh?»
«Puoi dirlo forte.» ed entrarono dentro alla stanza.

 

   
 
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