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Autore: Milagar    15/01/2021    2 recensioni
Bill Weasley ha appena rinunciato al suo incarico da Spezzincantesimi in Egitto per collaborare con l'Ordine della Fenice.
Fleur Delacour è appena stata assunta dalla Gringott per migliorare il suo inglese.
All'apparenza non possono essere più diversi, eppure un evento particolare li porterà ad avvicinarsi e scoprire che sono indispensabili l'uno per l'altra.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Dicembre 1995
 
Avere accanto a sé, viva e vera, la persona che si era desiderato, sognato, immaginato per così tanto tempo era un sentimento ancora più forte dell’amore. Ed era così che si sentivano Bill e Fleur, quando iniziarono ad uscire insieme come coppia.

A Bill risultò del tutto naturale camminare per Londra mano nella mano con Fleur, così perfettamente eterea, da non curarsi degli sguardi altrui, che potevano invidiare o criticare la coppia: in quei momenti, il mondo restava fuori, come se un gigantesco incantesimo TestaBolla li avesse avvolti e li custodisse da chi voleva togliere loro l’ossigeno del loro amore. Scoprì anche che vivere una relazione con Fleur non significava dover rinunciare ai vestiti da Sorella Stravagaria o all’orecchino zannuto, come invece temeva sarebbe successo con qualsiasi altra donna, anzi: si sentiva ancor più se stesso di quanto non lo fosse in precedenza. Fleur, d’altro canto, aveva imparato a farsi scivolare addosso le parole delle persone che si azzardavano a suggerirle che quel ragazzo era troppo grande per lei, che era troppo alternativo e poco sofisticato. A lei non importava: sapeva che con Bill poteva essere se stessa al di là di ogni apparenza, e questo le bastava.

Ogni mattina Bill la attendeva sotto casa sua, la salutava con un bacio, prima di intrecciare le sue dita tra quelle di Fleur, incamminandosi verso la Gringott. Cercavano di stare insieme il più possibile, prima che ognuno andasse nei rispettivi uffici che – sebbene nello stesso edificio – li avrebbero divisi per il resto della giornata.

Passavano insieme lunghe serate, eccetto quelle in cui Bill era impegnato con l’Ordine. In cuor suo, Bill avrebbe voluto dire tutto a Fleur del suo impegno per la causa contro Voldemort, ma ancora gli sembrava prematuro. Vedeva Fleur finalmente serena, con gli occhi sempre pieni di gioia, quella che le regalava lui ogni giorno; non voleva distruggere quel momento di meraviglioso straniamento da tutto. Non se la sentiva di dire che Silente, prima o poi, gli avrebbe chiesto di combattere attivamente, al pari degli Auror, perché aveva imparato a conoscere Fleur quel tanto che bastava per sapere che lei non si sarebbe tirata indietro, ma avrebbe voluto lei stessa combattere. Gli costava sacrificio non dirle nulla e si sentiva colpevole di questa mancanza di trasparenza tra di loro.

“Ti prego, non mi nascondere niente. Se sc’è qualche problem, puoi dirmelo” gli ripeteva Fleur, ogni volta che lo vedeva pensieroso o mentre leggeva la Gazzetta del Profeta durante le colazioni del sabato mattina da Florian Fortebraccio. Bill si limitava a sorriderle, a posarle un bacio sulla fronte, senza dirle niente.

L’inverno stava arrivando, con le strade mattutine ricoperte dal ghiaccio, le prime nevicate in collina e le decorazioni natalizie nei negozi. Per Bill sarebbe stato il primo Natale a casa dopo tantissimo tempo e non voleva perderselo: vedeva sua madre sferruzzare i maglioni per tutta la famiglia senza sosta e con soddisfazione. Il ragazzo sapeva che la sua presenza avrebbe sopperito alla mancanza di Percy, il cui maglione era già stato preparato dalla madre, che continuava a sperare che quell’amorevole lavoro a maglia avrebbe posto fine ai rancori del suo terzogenito.

“Bill caro, tu ci sarai, vero, per il pranzo di Natale?” gli chiese distrattamente sua madre, una fredda sera di dicembre, mentre Bill rincasava dopo una piacevole passeggiata londinese con Fleur.

“Certo, mamma. Perché me lo chiedi?”

“Sai, esci sempre ultimamente. Mi costringi a pensare che ci sia qualcuno nella tua vita…”

Bill scorse lo sguardo indagatore della madre e si sentì le orecchie avvampare. Fortuna che l’ingresso di casa era avvolto dalla semioscurità.

“Se anche ci fosse, ci sarebbero problemi?” azzardò il ragazzo, trattenendo un sorriso.

“Oh, no no. No di certo, caro. Dico solo che era ora che… diciamo, ti sistemassi”.

Bill emise uno sbuffo simile ad una risata. “Non è detto che mi sistemi”. Sua madre strinse le labbra in una smorfia, scrollando la testa. Prima che potesse ribattergli, Bill le diede la buonanotte e si avviò verso la sua camera.

Sistemarsi… Per la prima volta in vita sua, Bill pensava seriamente a sistemarsi. Ci aveva pensato spesso, in quei mesi, mentre aspettava Fleur fuori da casa sua o sentiva la sua mano tra la sua, mentre cenavano fuori o uscivano per bere un calice di vino. Non ne avevano mai parlato direttamente, perché erano ancora totalmente presi dalla freschezza del loro sentimento, ma sentiva che entrambi nel proprio cuore pensavano ad una casa assieme, ad una loro personalissima quotidianità, all’invecchiare insieme.

Prima di addormentarsi, Bill si chiese se sarebbe valsa la pena dire ai genitori che usciva con qualcuno, che la cosa era abbastanza seria, portare Fleur al pranzo di Natale, presentarla ai fratelli… No, forse era troppo presto. Stavano insieme da circa due mesi, non aveva fretta. Ci sarebbe stato tempo per le formalità…
 
***
 
Mancavano pochi giorni a Natale. Un leggero strato di neve aveva imbiancato Londra durante il giorno.

“Caspita, ha ripreso a nevicare” sbottò Bill, mentre lui e Fleur accedevano al passaggio che li avrebbe riportati a Diagon Alley dopo una romantica cena nel bristot francese che li aveva visti insieme per la prima volta. Fleur si strinse infreddolita al suo braccio mentre si incamminarono per le vie di Diagon Alley.

“È stato bellisìmo tornar in quel brisot” disse Fleur, quando ormai avevano raggiunto il Ghirigoro e il suo appartamento.

“Davvero, è stato bellissimo” confermò Bill, mentre Fleur si fermava davanti alla porta di casa.

Si guardarono negli occhi, come erano soliti fare prima di lasciarsi.

“Volevo dir che passerò il Natale in Fronscia. Mia sorella torna da Beauxbatons per le vacanze e vorrei star un po’ con lei e con la mia familia. Domattina ho la Passaporta” disse Fleur, in uno sbuffo di vapore. Aveva abbassato per un attimo gli occhi, visibilmente dispiaciuta per quel che stava dicendo a Bill. Il ragazzo le prese il mento tra le dita, sollevandoglielo.

“Ti capisco” disse Bill, sorridendole come solo lui sapeva fare.

“Non sci vedremo per un po’ di tompo” disse lei, facendosi più vicina, mentre la neve continuava a fioccare.

Il battito di entrambi era accelerato e si poteva percepire al di sopra dei loro pesanti mantelli.

Vien”. La voce di Fleur era appena un bisbiglio nella notte, una silenziosa preghiera che rivolgeva a Bill.

Aprì la porta e salì le ripide scale illuminate da un unico finestrone, tenendo per mano Bill.

Il ragazzo si ritrovò per la prima volta dentro l’appartamento di Fleur. Era la mansarda del Ghirigoro: le travi del tetto erano a vista e la fioca luce della notte innevata entrava da una grande finestre rotonda, illuminando un unico grande ambiente, adibito a salotto e cucina.

Vide Fleur sciogliersi i capelli, gettare lontano il suo mantello e avvicinarsi a lui. Bill si avventò su di lei, baciandola e sollevandola con impeto, mentre veniva guidato dall’istinto verso quella che doveva essere la camera da letto di Fleur.

Bill si sentì spogliare dalle sottili mani di Fleur, mentre le sue si insinuavano sotto l’elegante veste di lei, sentendo la pelle rabbrividire al contatto con le sue mani fredde. Illuminati dalla luce della neve e della luna, si amarono per la prima volta, esplorando quei contorni che fino a quel momento avevano agognato e immaginato in silenzio e che volevano imparare a conoscere per perdervici per sempre. Le unghie di Fleur affondarono sulle spalle di Bill, con quel desiderio di farlo che covava in lei da mesi, dalla prima volta che lo aveva visto, mentre i suoi capelli biondi si fondevano e si intrecciavano con quelli rossi di lui. Bill sentiva stringersi i fianchi da quelle lunghe gambe perfette, faceva scorrere le sue mani su quel corpo sinuoso e senza imperfezioni, che quella notte aveva imparato a fare suo.

Ormai la notte era profonda e la neve aveva cessato di cadere. Fleur e Bill avevano passato l’ultima ora a scambiarsi baci e parole.

“Devo andare, amore mio” sussurrò Bill a Fleur lasciandole un bacio sulla spalla nuda. Lei, gli occhi socchiusi e i capelli sparsi sulla schiena, annuì in un sorriso assonnato.

“Scrivimi, in questi jorni. So che mi mancherai”.

Quando Bill finì di rivestirsi, Fleur si era addormentata, abbracciata al cuscino. La guardò per un’ultima volta, assaporando ancora quella prima notte passata con lei. A fatica lasciò l’appartamento, che sapeva di casa e di loro, per tuffarsi nella gelida notte dicembrina.
 
***
 
Non aveva fatto ancora in tempo ad allontanarsi da casa di Fleur, che apparve davanti ai suoi occhi il patronus di sua madre.

Bill! Ovunque tu sia, ti prego, vieni subito al San Mungo. Papà è stato aggredito. È gravissimo”.

A Bill mancò il terreno da sotto i piedi. La voce di sua madre tremava, era segnata dal pianto e dall’agitazione. Quella notte suo padre era di turno all’Ufficio Misteri per conto dell’Ordine. Cos’era successo? Maledisse se stesso per non essersi offerto al posto di suo padre. Suo padre non poteva… Non doveva…. Non riusciva nemmeno a pensare cosa sarebbe successo. Pensò ai suoi fratelli a Hogwarts: erano a conoscenza di questa cosa? Come lo era venuta a sapere sua madre?

Si Materializzò davanti all’ingresso del San Mungo. Trovò sua madre correre per l’atrio, dietro ad un gruppo di Guaritori.

“Mamma! Dov’è papà?”

“Oh, Bill! Sei arrivato, per fortuna! È sotto intervento, alle Lesioni da creature. È stato Harry a dire che… Non so come…. L’ha morso il serpente… quello… quello…”

Bill sbiancò. “Quello di Tu-Sai-Chi?” bisbigliò, avvolgendo sua madre in un abbraccio. Lei affondò il volto nel suo petto, singhiozzando. Doveva immaginarselo. Quella era la prima volta che la sua famiglia veniva aggredita da quando erano entrati nell’Ordine della Fenice, anche se Bill sapeva che sua madre stava versando lacrime non solo per il marito, ma anche per quei due fratelli che aveva perso sedici anni prima, sempre combattendo per la stessa causa.

La stanchezza pesava sugli occhi di Bill. Era così strano: meno di un’ora prima era tra le braccia di Fleur, mentre si amavano. Ora, invece, carezzava i capelli di sua madre, inconsolabile, gli occhi arrossati cerchiati di viola. Stava in silenzio rimuginando sul fatto che parte della colpa era anche sua: poteva offrirsi lui, quella notte, di fare la guardia all’Ufficio Misteri, invece di pensare ai fatti suoi, alla sua relazione. Pensò che mentre suo padre veniva aggredito brutalmente, mentre lottava contro il serpente in una pozza di sangue, lui, Bill – il suo figlio maggiore, quello che avrebbe dovuto assurgere al ruolo di capo famiglia, pronto a confortare la madre e i fratelli in caso di bisogno - era a letto con una donna, incurante di tutto quello che stava succedendo. Gli occhi gli si stavano riempendo di lacrime, quando il Guaritore uscì dalla sala operatoria.

Fece un cenno a lui e sua madre, che si avvicinarono preoccupati.

“Guarirà. È bene che qualcuno resti qui con lui, mentre riposa”.

“Resterò io” disse Bill, prima che sua madre potesse aprire bocca. “Tranquilla, mi prenderò una mattina di permesso; ho tanti straordinari da recuperare” si affrettò a spiegare, vedendo sua madre agitarsi preoccupata al suo fianco.

“Sei sicuro, Bill caro? Sei tanto stanco, hai dormito almeno un poco?”

“Starò bene, mamma” tagliò corto Bill, con un sorriso tirato rivolto alla madre. “Vatti a riposare. Hai avuto una notte impegnativa e sono sicuro che i ragazzi chiederanno di te”.

Vide il volto di sua madre contrarsi, come se stesse ricominciando a piangere. “Sei il figlio che tutti vorrebbero, Bill. Siamo fortunati ad averti”. Si morse le labbra e si girò, rivolta verso l’uscita del reparto.

Bill, a pezzi dopo quel che gli aveva detto sua madre, entrò nella stanza dove trovò suo padre nel letto vicino alla finestra. Dormiva placidamente, un braccio e parte della spalla completamente bendati. Si sedette in una delle poltroncine e vegliò, rimuginando su quanto fosse stata strana quella giornata. Sembravano passati anni. Era così, la vita? Una ruota che un attimo prima porta al culmine della felicità e l’attimo dopo fa ripiombare tutto nel baratro? Pensò che poteva andare peggio. Vedeva suo padre riposare tranquillo, il petto che gli si alzava e riabbassava a intervalli regolari. Almeno era ancora vivo.

Quando suo padre si svegliò, Bill ebbe la conferma che quello della notte precedente era stato un bruttissimo spavento: suo padre era arzillo, aveva voglia di parlare, di raccontargli quel che era successo. Mentre i Guaritori sostituivano le medicazioni, Bill andò a comprargli Il Profeta all’edicola del quinto piano, rifocillandosi anche con una tazza di caffè e muffin. Sentiva il peso di quella notte sulle tempie: si era appisolato per mezz’ora prima che suo padre si svegliasse e aveva ancora mezza giornata di lavoro da affrontare.

Poco dopo l’ora di pranzo, Bill dovette lasciare l’ospedale per tornare al lavoro. Pensò che fosse il caso di cambiarsi e passò velocemente alla Tana per una doccia veloce. Fu in quel momento che riuscì a trovare tempo per pensare a Fleur. Doveva essere già partita per la Francia. Almeno lei è al sicuro. Non si era reso conto di quanto tenesse a lei prima di quella lunghissima notte. Combatteva per lei, per darle un mondo migliore, ma solo ora aveva la certezza di doverla proteggere. E se ci fosse stata lei, al posto di suo padre, all’Ufficio Misteri? Avrebbe voluto scriverle subito, perché già avvertiva la sua mancanza e perché aveva bisogno di un suo conforto, delle sue parole, dei suoi pensieri, ma non lo fece. Non ci riuscì. Non poteva dirle tutto attraverso un pezzo di carta. Si arrabbiò con se stesso, pensando che, così facendo, l’avrebbe delusa: non era stato abbastanza sincero. Come l’avrebbe presa Fleur a sapere dopo quasi tre mesi che l’uomo che aveva scelto le aveva taciuto l’appartenenza ad una causa più grande di lui, più grande di loro?
 
***
 
Bill aveva trascorso il Natale a Grimmauld Place insieme a tutti i suoi fratelli. Suo padre era ancora ricoverato al San Mungo e stare a Londra gli avrebbe consentito visite più frequenti all’ospedale. La notte della Vigilia, un elegante barbagianni aveva bussato alla finestra della stanza in cui dormiva Bill, tenendo nel becco una lettera di Fleur. Profumava di lavanda e conteneva gli auguri di Natale scritti nella sua elegante grafia.

Mi manchi. Scrivimi, ti prego.

Era l’eloquente preghiera con cui Fleur aveva concluso le altre due lettere che aveva spedito a Bill in quelle due settimane di lontananza. In cuor suo, Fleur si sentì ferita e delusa. È la lontananza, pensava, dopo che la lettera con gli auguri di Natale non aveva ricevuto risposta. Forse, non gli interesso abbastanza. Forse non mi ama come mi ha detto. Si vergognò di essersi data a lui, quella notte. Di aver investito tempo e battiti di cuore su quella relazione che sperava fosse ad un passo dalla felicità. Era stata davvero così stupida a credergli? Era stato così bravo a fingere da averla convinta che davvero teneva a lei?

I primi di gennaio, quando i fratelli più giovani, Harry ed Hermione avevano fatto ritorno ad Hogwarts, Bill scrisse un messaggio a Fleur. Si vergognò del suo comportamento, ma azzardò a chiederle di vedersi, quella sera stessa, a casa di lei. Si sentiva in obbligo di darle spiegazioni. Sapeva che Fleur doveva essere infuriata, risentita, arrabbiata, delusa, ma la questione era troppo importante e non poteva rimandare – o sommergere – tutto quello che lui era. Fleur gli diceva sempre che si era innamorata di lui perché era trasparente, vero.

Si era appena fatto scuro quando Bill uscì dal lavoro, dirigendosi a passi spediti verso l’appartamento di Fleur. Aprì la porta e la trovò in piedi, le tipiche braccia incrociate di quando covava dentro di sé la rabbia. Aveva un’espressione dura, folgorante. Prima che potesse parlare, Bill si avventò sulla sua bocca. Quanto gli era mancata…. Ma, come poteva prevedere, percepì un muro.
Pourquoi non hai scritto?” Bill si lasciò travolgere dalle parole di Fleur. Se le aspettava tutte: non una di più, non una di meno. Era risentita, si sentiva delusa, esclusa, tradita. Come poteva sentirsi, invece, lui? Uno schifo. Aveva lasciato passare troppo tempo, troppe cose erano successe tra loro per lasciarla all’oscuro di tutto. Quando Fleur, le narici dilatate un groppo alla gola, si ammutolì, Bill colse l’occasione per parlarle.

“Ascoltami, Fleur. È successa una cosa grave, molto grave, alla mia famiglia”.

Fleur sgranò gli occhi. “Perché non me l’hai detto? Che è susceso?” La sua voce, ora, aveva assunto un tono preoccupato.

“Mio padre è stato aggredito”.

Fleur parve calmarsi, e si accoccolò sul divano, come se la sfuriata di qualche istante prima l’avesse devastata. Continuava a guardarlo preoccupata e a Bill parve un buon segno. Sospirò e iniziò a dire ciò che da giorni si ripeteva in testa.

“Ricordi quando fu ucciso Cedric Diggory, la notte della Terza Prova?”

Fleur rabbrividì e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Abbassò la testa, scuotendola come per cercare di scacciare i ricordi.

“Come posso dimenticar? Potevo morire quella notte. E invesce, è toccato ad una delle persone più oneste che abia mai connue. Non sci potevo credere…. Potevo essersci io, al posto di Cedrìc…”. Si portò le mani sul viso. Davanti ai suoi occhi le scorsero le immagini di quella notte… L’aggressione nel labirinto, il suo risveglio nella tenda-infermeria, l’apparizione di Harry con il corpo di Cedric senza vita, gli urli, i pianti. Non si era mai pentita di aver messo il suo nome nel Calice di Fuoco, era sicura di farcela, ma tutte le sue certezze erano venute meno quella notte a Hogwarts. La morte di Cedric Diggory aveva segnato la sua vita, era stata la fine della sua adolescenza. Era la prima volta che ne parlava con qualcuno. E quel qualcuno era Bill. Si sentì sgravata di un enorme macigno che portava dentro di sé da mesi.

Era la prima volta che Bill vedeva Fleur cedere ai ricordi. Da quando stavano insieme, non ne avevano mai parlato. La vide nuda, mentre mostrava senza vergogna tutte le sue fragilità, le lacerazioni della sua anima e scoprì di amarla più di prima.  Si accovacciò di fronte a lei, all’altezza dei suoi occhi. Le accarezzò il viso, segnato dalle lacrime, le labbra gonfie.

“Quella notte è tornato… Voldemort”. Bill rabbrividì. Era la prima volta che diceva a voce alta il nome di Tu-Sai-Chi. “È stato lui ad uccidere Cedric”.

Fleur aveva gli occhi pieni di terrore, ma allo stesso tempo sembravano essere avidi, ne volevano sapere di più.

“Tu credi che sia tornato, vero?” chiese Bill, esitante. Pregava con tutto il cuore che Fleur credesse. Doveva credere.  

“Ma scerto, Bill. Come posso non credere? Io sc’ero. E anche se non ho visto coi miei occhi, credo ad Arrì, a quello che disce. So quanto male ha fatto quel mago, il suo terrore è arrivato anche in Fronscia. Lo so, parce-que maman e papa non volevano che io veniva qui. Hanno paura”.

Bill avrebbe voluto stringerla a sé, dopo quel che aveva detto. Aveva davanti una delle donne più coraggiose che avesse mai conosciuto, forte e fragile.

“Promettimi che non dirai mai niente a nessuno di quel che sto per dirti”.

Fleur gli parlò con gli occhi, infondendogli la fiducia necessaria a parlare.

“Mio padre è stato aggredito dal serpente di Tu-Sai-Chi perché fa parte dell’Ordine della Fenice, una società segreta fondata da Silente. Anche io ne faccio parte, insieme a gran parte della mia famiglia. Dalla notte della Terza Prova, dopo quello che Harry ci ha detto, siamo convinti che Tu-Sai-Chi sia tornato e vogliamo che tutti lo sappiano. Combattiamo contro i suoi seguaci perché, qualora riuscissero a salire al potere, sarà inevitabile una guerra. Non vogliamo che altre vite come quella di Cedric siano spezzate ingiustamente. Non potevo scriverti tutto questo” aggiunse Bill “Se per caso fosse stata intercettata una lettera… Non voglio che arrivino a te. Sei troppo importante, per me”.

Fleur lo guardò, gli occhi pieni di orgoglio e preoccupazione.

“Io ponsavo di amarti”.

Il cuore di Bill fece un tuffo da un’altezza incredibile.

“E invesce, ora ho scoperto che posso amarti ancora di più”.

Si amarono ancora più intensamente, ora che non c’era più nessun filtro, nessun segreto, nessun muro: erano trasparenti l’un per l’altra, avevano gettato via le inutili reticenze che velavano la loro essenza. Si amarono versandosi addosso le proprie preoccupazioni, le proprie ansie, la propria voglia di combattere, la speranza di ottenere un futuro migliore.

“Qualunque cosa susceda là fuori, io prometto di amarti sompre, nonostante tutto”. Quelle parole le sgorgarono dalla bocca spontaneamente, senza averle premeditate. Era quello che Fleur pensava e non se ne pentì. Non aveva nemmeno vent’anni, ma sentiva che quel ragazzo che aveva appena amato, era tutto ciò a cui aggrapparsi nei momenti in cui voleva essere semplicemente lei stessa, con le sue paure, le sue fragilità, i suoi momenti di rabbia.  

“Non lasciarmi, Bill”.

“Questa volta resto”.

Quella notte, per la prima volta, dormirono insieme, abbracciati.







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Cari lettori,
grazie se vi siete avventurati a leggere fino a qui. In particolare, vorrei ringraziare le scrittrici e gli scrittori del gruppo FB Caffè e Calderotti, perché in questi tempi difficili sono uno spiraglio di gioia e un'apertura su un mondo speciale, fatto di parole, storie ed emozioni. 
Grazie anche a Bill e Fleur: non avrei mai creduto di potermi emozionare tanto scrivendo di loro. 
Un abbraccio
Milagar
  
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