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Autore: GReina    16/01/2021    2 recensioni
[Iwaoi | Kuroken | Daisuga | Tsukkiyama | Bokuaka | Sakuatsu + accenni di Kagehina | Tanakiyo].
Haikyuu ad Hogwarts: segue le vicende dei nostri protagonisti per un anno (quinto per Hinata e co; settimo per Daichi e co).
Daichi è il papà di tutti i Grifondoro e Suga la mamma dei Corvonero; Kenma nasconde un segreto; Oikawa è paranoico; Tsukishima è irritato (be', non è una sorpresa!); Sakusa vuole liberarsi di Atsumu; Osamu e il suo amore per il cibo sono l'unica certezza. Venite a scoprire il resto!
Genere: Demenziale, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hogwarts' Series'
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Akaashi
Akaashi era stato così vicino a prendere il boccino che la sconfitta gli pesò due volte sul cuore. La sua squadra era stata fenomenale, ed anche se sapeva bene che nessuno di loro gli avrebbe rinfacciato nulla, il cercatore non aveva nessuna voglia di tornare nella desolante Sala Comune di Corvonero a fingere di non vedere tutti gli sguardi amareggiati dei compagni di Casa. Dopo essersi preso la propria piccola dose di tranquillante guardando Bokuto esultare, quindi, smontò dalla scopa e lasciò lo stadio.
Per almeno un’ora vagò per il parco della scuola e quando si rese conto dell’orario l’ora di pranzo era già passata. Decise quindi d’ignorare i morsi della fame e salire alla torre ovest per sedersi accanto alla grande finestra dalla Sala Comune ed immergersi nella lettura del suo libro preferito. Fu nella pausa tra un capitolo e l’altro che la sua mente, traditrice, tornò alla partita. I Corvonero avevano giocato magnificamente e neanche lui aveva nulla di cui pentirsi. Hinata era davvero stato molto bravo ed il bolide del loro battitore micidiale. Continuava a dispiacergli molto per la conclusione che la partita aveva avuto ma, si disse, c’erano cose peggiori.
“Suga è ancora in infermeria con Daichi?” si informò con un suo compagno di Casa. Kita annuì.
“A quanto ho sentito non è grave, ma gli hanno dato qualcosa per farlo dormire. Non ne so molto.” anche Akaashi annuì, rasserenato nello scoprire che il Capitano di Grifondoro stesse bene. Si appuntò mentalmente di chiedere notizie a Bokuto il prima possibile, e parlando del diavolo…
“Akaashi.” si sentì chiamare da Ennoshita “C’è fuori un ragazzo che ti cerca.” l’interpellato aggrottò la fronte senza capire, ma non dovette domandarsi a lungo di chi si trattasse.
“Intendi il fulminato con i capelli bianchi e neri a pazzo?” chiese un ragazzo del terzo anno che in quel momento era seduto sul divano. Ennoshita rise e confermò:
“Proprio lui.”
“Il cacciatore Grifondoro?? L’ho visto anch’io!” tutti si voltarono verso Kunimi.
“Ma tu sei qui da più di un’ora!” disse sconvolto Akaashi. Dopodiché si alzò e raggiunse l’ingresso della Torre.
“Akaashi!!” fu subito accolto da Bokuto.
“Bokuto-san!” lo salutò di rimando “Credevo fossi a festeggiare con la tua squadra.” l’altro scrollò le spalle.
“Dopo la partita siamo andati a trovare Daichi, ma l’infermiera ci ha buttato fuori dicendo che eravamo in troppi e che Daichi doveva riposare.” mise il broncio “E non potevamo certo festeggiare senza di lui! Quindi abbiamo deciso di aspettare che esca dall’infermeria.” Akaashi sorrise e pensò che da lui non avrebbe potuto aspettarsi nulla di diverso.
 “Che cosa ci fai qui?” gli chiese allora. Akaashi ammirava tremendamente Bokuto; tutta la scuola continuava a dire che lui era quello che lo capiva meglio, eppure per Akaashi era tutto l’opposto perché davvero non capiva. Bokuto era un purosangue; rampollo ed unico erede di un’importantissima ed antica famiglia. Che avrebbe iniziato a frequentare per poi sposare una ragazza del suo stesso rango per Akaashi era scontato. Eppure, il grifondoro continuava a cercare Akaashi, e il suo interesse era più che evidente.
Alla sua domanda, Bokuto inclinò la testa: “Volevo vederti.” rispose tranquillo, quasi si chiedesse come Akaashi potesse non averlo capito. Il corvonero fu costretto a distogliere lo sguardo; Bokuto gli piaceva veramente tanto e si stava forzando anche troppo per riuscire a resistergli.
Sebbene lo studiasse da ormai più di cinque anni, il Mondo Magico era ancora per molti versi un gran mistero per lui. Aveva imparato la sua Storia e capito che l’Inghilterra aveva quasi del tutto superato gli stereotipi razzisti che vi regnavano solo trent’anni prima. Quasi. Un natobabbano come lui non poteva sperare di mettersi con una persona come Bokuto.
“Che ti va di fare?” gli chiese l’oggetto dei suoi pensieri. Akaashi strabuzzò gli occhi, poi scrollò le spalle.
“Un giro nel parco?” propose; Bokuto sorrise ed annuì.
“Mi spiace che abbiate perso…” ruppe il silenzio dopo un po’ il grifondoro. Akaashi sbuffò fuori una risata.
“Davvero? Ma se non avessimo perso l’avreste fatto voi.” Bokuto non rispose subito, ma dopo qualche secondo disse:
“Ed immagino che io al posto tuo sarei super depresso.” Akaashi si arrestò e non riuscì a nascondere la propria sorpresa.
“Allora se ne rende conto!” pensò, e prima che l’altro si accorgesse del suo stato, riprese a camminare.
“In quel caso ci sarei io a consolarti.” gli rispose sorridendo, e subito dopo capì: Bokuto era lì per consolare lui. L’altro stava forse per confermarglielo quando lo stomaco di Akaashi lo interruppe con un forte brontolio. Bokuto rise.
“Fame?” Akaashi arrossì.
“Ho saltato il pranzo.”
“Akaashi!!” l’impeto di Bokuto – sebbene fosse ormai qualcosa a cui doveva essere abituato – fece sobbalzare il corvonero “Non puoi saltare un pasto importante come il pranzo!” la genuina preoccupazione che gli si leggeva in volto fece intenerire Akaashi.
“Non posso farci niente.” fu costretto a rispondergli “Non posso certo far apparire il cibo dal nulla.” in risposta, Bokuto sorrise.
“Vieni con me.” gli afferrò la mano e cambiò direzione.
“Dove stiamo andando?” gli chiese dopo un po’ “Nei sotterrai?” continuò confuso. Bokuto scosse il capo.
“Nelle cantine.” rispose.
“Cosa c’è nelle cantine?” continuò il suo interrogatorio, perché dubitava che Bokuto lo stesse portando davanti l’ingresso della Sala Comune Tassorosso.
Il grifondoro continuò a fare il misterioso per tutto il tragitto. Poi, finalmente, arrestò la sua marcia davanti al quadro di una natura morta.
“Sta’ a guardare!” sfregò il dito sulla pera che vi era dipinta e questa – ridendo – si trasformò in una maniglia. Alla sua espressione sbalordita, Bokuto sorrise.
“Dopo di te!” gli fece cenno verso il buco nel muro che il quadro aveva rivelato. Akaashi guardò il passaggio con circospezione, ma si fidava ciecamente di Bokuto quindi non se lo fece ripetere, e quello che trovò oltre lo lasciò senza fiato.
“Questi sono…”
“Elfi domestici.” concluse per lui Bokuto “Chi pensavi ci cucinasse tutto il cibo?” Akaashi non rispose. Era troppo impegnato a guardarsi intorno. Ogni singola parte di quel Castello l’aveva affascinato, ed al suo sesto anno non smetteva di scoprire posti nuovi che continuavano a fargli lo stesso effetto.
“Incredibile…” non riusciva a smettere di sussurrare, e fu solo quando tornò con il suo piatto preferito tra le mani che Akaashi si rese conto che Bokuto aveva lasciato il suo fianco.
Gli elfi domestici gli avevano in poco tempo allestito una porzione di tavolo su cui sedersi, e qui Akaashi iniziò a gustarsi un fantastico pasticcio di rognone mentre Bokuto sgranocchiava stuzzichini.
“Come conosci questo posto?” gli chiese a un certo punto. L’altro rise.
“Al secondo anno io e Kuroo ci siamo messi in testa di voler catturare un elfo domestico.” iniziò a raccontare “Quelli che lavorano qui ad Hogwarts sono parecchio bravi e non si fanno quasi mai vedere, ma noi siamo riusciti a beccarne uno.” rise “Abbiamo sporcato un intero corridoio e aspettato per ore perché ci riuscissimo! L’abbiamo seguito, ma prima che potessimo catturarlo lui si è infilato qui dentro.” Akaashi ascoltò divertito, ed ancora una volta prese a chiedersi cosa Bokuto ci trovasse in lui. Akaashi non era come Kuroo, tantomeno non era come Bokuto. Lui andava all’avventura mentre il corvonero rimaneva in Sala Comune a leggere. Sospettava persino che non avrebbe mai neanche iniziato a giocare a Quidditch se non ci fosse stato Bokuto a suggerirglielo.
“Certo che è davvero fantastico poter venire qui ad ogni ora per poter mangiare!” disse Akaashi quando si accorse che il silenzio stava per diventare imbarazzante.
“Possiamo tornarci ogni volta che vuoi.” gli rispose l’altro con un sorriso. E lui – come sempre avveniva – fu trascinato da Bokuto nella medesima espressione.
“Mi piacerebbe.”
 
***
Sugawara
Aveva ormai perso il conto delle ore passate al capezzale di Sawamura Daichi in attesa che questo si svegliasse.
Dopo averlo colpito con il bolide, Suga era del tutto certo che non sarebbe stato capace di continuare a giocare. Erano state poi le parole della sua stessa vittima a far sì che ci riuscisse, ma l’ansia non se n’era andata. Aveva volato e colpito i bolidi con un enorme peso sul cuore, e quasi non gli era importato quando il fischio dell’arbitro aveva annunciato la loro sconfitta. Sicuramente, il posto della squadra nel Campionato era in fondo ai suoi pensieri. Aveva quindi mollato tutto e, senza curarsi di cambiarsi d’abito, aveva seguito i grifondoro in infermeria.
Daichi era privo di sensi ma, li tranquillizzò l’infermiera, il suo sonno era stato indotto in modo che potesse riposare.
“E a proposito!” aveva poi aggiunto la donna “Siete in troppi, e il signor Daichi ha bisogno di tranquillità.” li aveva squadrati tutti con cipiglio severo: “Fuori”. Suga si era quindi alzato dalla porzione di letto che aveva occupato in modo da tenere la mano del ragazzo incosciente ed aveva fatto per andarsene quando Tetsuro Kuroo l’aveva fermato afferrandogli una spalla. Il corvonero l’aveva guardato confuso, e l’altro gli aveva risposto con un semplice sorriso. Aveva fatto cenno al letto del suo Capitano, poi insieme agli altri aveva lasciato la stanza. Suga aveva sospirato ed era tornato a sedersi. Non avrebbe lasciato quel posto se prima Sawamura non si fosse svegliato.
 
***
Shimizu
Non c’era dubbio sul fatto che gli eventi avvenuti nel bel mezzo della partita avessero scosso tutti. Shimizu conosceva Daichi sin dal suo primo anno e sebbene fossero di Case diverse i due non avevano mai perso occasione per scambiare due chiacchiere. Quando, poi, all’inizio del loro settimo anno erano stati entrambi nominati Caposcuola, i due avevano iniziato a legare molto di più.
Era tardo pomeriggio; da lì a pochi minuti la porta principale del Castello sarebbe stata chiusa per la notte, ed uno dei suoi compiti da Caposcuola consisteva nel controllare che nessuno fosse ancora fuori. Di norma, quella ronda l’avrebbe fatta in compagnia di Daichi, ma questi era ancora in infermeria e Shimizu non riusciva a pensare ad altro se non di sbrigare in fretta i propri doveri per poter andare a visitare il proprio amico.
Stava per concludere il giro quando un’ombra accovacciata sul prato attirò la sua attenzione. Nel buio delle sette del pomeriggio di fine ottobre, Shimizu si avvicinò lentamente e con la punta della bacchetta illuminata. Quando fu abbastanza vicina, non ci fu bisogno che il ragazzo si girasse per capire di chi si trattasse. La corvonero sospirò e si sedette sul prato freddo accanto a Ryunosuke Tanaka che ancora indossava la divisa sportiva di quella mattina. Il grifondoro si voltò a guardarla, ma se normalmente si sarebbe messo a decantare moine su di lei e ad elencarle complimenti, questa volta tacque. La guardò con occhi tristi, poi tornò a fissare di fronte a sé.
“Non penso che ti ringrazierò per avermi protetta dai bolidi.” disse lei dopo un po’. Quelle parole ebbero il potere di risvegliare il ragazzo dallo stato di torpore nel quale sembrava trovarsi “So cavarmela benissimo anche da sola.” rispose con un sorriso sicuro al suo sguardo agghiacciato.
“L-Lo so!” si affrettò a rispondere l’altro “Sei fantastica sulla scopa! Non penso che ti serva protezione!” Shimizu non commentò, quindi il ragazzo continuò “Sei una giocatrice eccezionale ed una nemica tremenda. È solo che quando ti vedo-” si interruppe e Shimizu, alla fioca luce emanata dalla sua bacchetta, ebbe l’impressione che fosse arrossito “Pensare che quei bolidi possano colpirti… ecco…” anche questa volta non fu in grado di completare la frase, ed anche se Shimizu poteva benissimo immaginare il resto, preferì non pensarci.
“Capisco.” disse solo, poi sorrise “Quindi la vostra tattica non era quella di farci fare moltissimi punti, afferrare comunque la vittoria e mandare Serpeverde in fondo alla classifica del Campionato?” Tanaka la guardò divertito, forse anche riconoscente, ma non rispose, quindi la ragazza sospirò.
“Be’, seguire me per tutto il tempo senza provare a colpirmi è stata sicuramente una tattica non-convenzionale, e direi proprio che non ha portato benefici alla tua squadra.” lo sguardo poco prima tornato vivo del ragazzo riprese ad intristirsi “So a cosa puntavi, sai?” rise “Ma ci vuole ben altro per far arrabbiare il tuo Capitano! Chiedilo ai two-pains-in-the-ass. Non sei ancora ai loro livelli!!” Tanaka la guardò con occhi sgranati ed espressione sconvolta.
“Kuroo e Bokuto??” Shimizu rise.
“Chi altri sennò?” sebbene quello fosse un tentativo fiacco e del tutto maldestro di consolarlo, con quelle parole Shimizu riuscì a farlo ridere e a tranquillizzarlo. Quando capì di essere riuscita nel suo intento, la ragazza si alzò: “Stavo giusto andando a trovare Daichi. Vieni con me?” e certo Tanaka non se lo fece ripetere due volte.
Trascorsero tutto il tragitto a parlare di Quidditch. Tanaka fingeva di non essere nervoso, ma Shimizu lo conosceva troppo bene, ormai, per credere che non lo fosse. Lo stato del ragazzo, comunque, fece sì che, forse per la prima volta da quando si conoscevano, lui non facesse il cascamorto con lei. Potendo conoscere quindi finalmente per la prima volta il vero Tanaka, Shimizu si ritrovò a sorridere e a pensare che, in fondo, il grifondoro non fosse tanto male. Si ripromise di non darlo a vedere, o anche lasciando la scuola – come avrebbe fatto da lì a qualche mese – non se lo sarebbe più scrollato di torno.
Fu solo quando arrivarono davanti alle porte dell’infermeria che il ragazzo smise di chiacchierare. Shimizu si voltò verso di lui, e lo trovò pietrificato ad osservare i battenti chiusi. Sorrise.
“Non c’è bisogno di preoccuparsi tanto. Sta bene.” Tanaka la guardò di rimando ed annuì lentamente. Poi la seguì dentro.
Come sospettato, Daichi era sveglio. Era seduto sul letto e chiacchierava amabilmente con Suga. Probabilmente il battitore gli aveva già raccontato l’esito della partita ed ora insieme si stavano gustando i dolci che i compagni di squadra del ferito avevano lasciato all’infermiera per lui.
“Shimizu!” Suga fu il primo a notarli, Daichi si voltò verso di loro e – di nuovo – Tanaka s’immobilizzò. Parve passare un’eternità, poi il Capitano sorrise ed il più piccolo si rilassò.
“Come stai?” fu questi, timido, a chiedergli.
“Sto bene.” rispose l’altro tranquillo “Mi hanno raccontato della nostra vittoria!” il suo sorriso si allargò, ma Tanaka abbassò lo sguardo, imbarazzato.
“Io ho aiutato ben poco…” lo sguardo di Daichi si intenerì, poi gli fece cenno di avvicinarsi; gli mise una mano sulla spalla e gli sorrise.
“Ci sarà la prossima partita.”
“Non sei arrabbiato?” il Capitano rise.
“Oh sì! Lo sono perché tu e Noya non avete fatto altro che difendere il nemico!!” si voltò verso di lei “Niente di personale.” tutti risero, poi tornò a guardare Tanaka “Ma non sono arrabbiato per il bolide. Non è stata colpa tua… e neanche di Suga. Sono cose che succedono.” Tanaka annuì, ancora lo sguardo basso, quindi Daichi sospirò.
“Promettimi solo che alla prossima partita penserai solo alla tua squadra. A tutto il resto ci penseremo una volta scesi dalla scopa.” il battitore sollevò lo sguardo ed annuì deciso.
“Ho imparato la lezione…” concluse sincero e decisamente più tranquillo di quanto non lo fosse in cortile.
   
 
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