A good deed
Capitolo
2: Dolls and Slings
E' un
rifugio quel malessere,
troppa fretta in quel tuo crescere.
Non si fanno più miracoli,
adesso, adesso non più.
Konohamaru
procedeva spedito sulla via principale di Konoha, lo sguardo dritto
davanti a
sé.
Non voleva
distrazioni. Non voleva fermarsi.
In mano,
quella vecchia borsa logora che attirò lo sguardo curioso di
parecchie persone.
Il ragazzo
camminava, camminava, incurante della gente che lo salutava o che lo
chiamava.
Aveva un
obiettivo, quel giorno. E l’avrebbe raggiunto ad ogni costo.
Tuttavia,
Konohamaru non poté non vedere le espressioni che gli
abitanti della Foglia
avevano in viso.
Sorrisi. Risate.
Bronci. Aggrottamenti di sopracciglia. E di nuovo sorrisi.
Sentì una
fitta al cuore. Ebbe l’orrenda sensazione che si fossero
tutti dimenticati di
quel giorno.
Che si
fossero tutti dimenticati di lui.
A
Konohamaru mancò per qualche secondo il respiro, ma non si
fermò.
Ricacciò
indietro le lacrime di amarezza e rabbia e continuò,
cercando di catalizzare
tutto il dolore che provava alla vista di quegli ingrati
–solo così poteva
chiamarli quel giorno, ingrati-
insieme a quello che era risorto nel suo cuore quel giorno.
Se ci fosse
stato lui, avrebbe sorriso e gli
avrebbe arruffato i capelli dicendo: “Konohamaru, sono
contento di vederli
così. Preferisco vedere il mio villaggio sorridere,
piuttosto che piangere”.
Un
sorrisetto amaro comparve sul viso del dodicenne.
Certo,
avrebbe detto così. Suo nonno era buono. Troppo buono.
Avrebbe
voluto con tutto il cuore abbracciarlo, ma sapeva che era impossibile.
I miracoli
non avvenivano. Perlomeno, non a lui.
Non dar
retta a quelle bambole
Non toccare quelle pillole
Quella suora ha un bel carattere,
ci sa fare con le anime.
Passo dopo
passo, Konohamaru si era allontanato sempre di più da casa
sua.
Nella sua
mente frullavano diversi pensieri, la maggior parte
pressoché inutili.
Ricordò di
non avere abbassato la tapparella in camera da letto: quando sarebbe
tornato,
avrebbe trovato un caldo asfissiante.
Si chiese
se anche Udon e Moegi avevano i muscoli a pezzi, e promise che la
prossima
volta che avrebbe visto Ebisu l’avrebbe punito.
Lui era il
nipote del Terzo Hokage, che diamine!
Mentre un
sorriso malinconico appariva sulle sue labbra, un nuovo dolore gonfiava
il suo
cuore.
Era finito
nel centro commerciale di Konoha, nel frattempo. Attorno a lui, decine
di
negozi aperti facevano a gara per accogliere più clienti. I
commessi sorridendo
eseguivano alla lettera le richieste dei clienti, com’era
d’abitudine a Konoha.
Konohamaru
non ci badò: d’altronde era la stessa scena che
ogni giorno aveva sotto i suoi
occhi. Tuttavia, si fermò davanti a un negozio di
giocattoli, dal quale un
bambino stava uscendo in lacrime.
“Uffa,
mamma! Dai, per favore, prendimi la macchinina! Dai!”,
singhiozzò il piccolo.
Dietro di
lui apparve una donna, uno sguardo stizzito.
“Andiamo,
Kazuo! Ti ho già comprato il pallone ieri. Questo regalo
è per tua sorella Emi,
quindi non lamentarti e pensa a lei, che ha la febbre!”,
sbottò, sollevando in
aria il sacchetto che teneva in mano.
Kazuo
sembrò colpito da quelle parole, perché smise di
piangere e dette la manina
grassottella alla mamma, che gli sorrise.
“Ho capito,
mamma. Andiamo da Emi, adesso?”, fece, gli occhi luminosi.
“Sì, Kazuo.
E ho anche preparato una torta per lei! Sei contento?”
Un sorriso
estatico apparve sul viso del bimbo.
“Urrà!
Allora sbrighiamoci!”
I due si
incamminarono verso la strada che portava all’ospedale.
Konohamaru non poté
fare a meno di preoccuparsi per la piccola Emi: doveva stare proprio
male, se
la mamma le comprava un giocattolo nuovo e le portava un
dolce…
Sovrappensiero,
il ragazzo si avvicinò alla vetrina del negozio, fino a
sfiorarla con la punta
delle dita.
Concentrò
il suo sguardo sui bei giochi nuovi di zecca esposti, non senza pensare
che lui
non ne aveva avuti mai.
Aveva avuto
solo armi, come d’altronde tutti i ninja presenti a Konoha.
Il suo
unico gioco era stata una fionda, che aveva preso…proprio
lì, in quel negozio.
La sua
attenzione si catalizzò su una bambola, seduta al centro.
Aveva due
occhi enormi, di un azzurro cielo innaturale. I boccoli rossi le
cadevano fino
alle spalle. La bocca rossa sorrideva immobile.
Portava un
vestitino verde a fronzoli, che si intonava con la capigliatura rosso
fuoco.
Konohamaru
non aveva mai visto quella bambola. Eppure, appena incrociò
quel viso di
porcellana, il suo cuore fece ancora più male.
E la sua
mente riprese a vagare nel passato.
“Quale
onore, Hokage!”
Il
commesso, un uomo con una pancia grossa e la faccia simpatica, si
alzò in piedi
non appena il vecchio fece il suo ingresso nella bottega.
“Stia
seduto, la prego.”, rispose l’Hokage, sorridendo.
“Non si scomodi.”
Konohamaru
stava dietro il nonno, parzialmente coperto dalla lunga tunica bianca
che il
vecchio indossava ogni giorno.
Appena si
rese conto del posto in cui era entrato, gli occhi gli si illuminarono
e la
bocca formò una grande o.
“Nonno…ma
questo è il paradiso!”
Davanti a
lui c’erano scatole e scatole di giocattoli, piene zeppe di
macchinine,
camioncini, palloni, pupazzi, animaletti di plastica, girandole,
frisbee,
corde, bambolotti, maschere, racchette, e ogni altra sorta di balocco.
Per poco
non gli venne la bava alla bocca.
Il nonno
rise alla vista della sua espressione. Poi si diresse verso le scatole.
Il commesso
non si era ancora seduto.
Konohamaru
corse verso il vecchio, che aveva infilato una mano in una delle decine
di
scatole lì presenti. Dopo qualche minuto, tirò
fuori uno strano oggetto, mai
visto prima dal nipotino.
“…che
cos’è, nonno?”
L’uomo
sorrise e glielo mise in mano. Konohamaru se lo portò
davanti agli occhi, in
modo da vederlo meglio: sembrava un rametto, la cui
estremità si diramavano in
due direzioni. Il bimbo si stupì dell’elastico
lungo e spesso attaccato ai due
pezzettini separati.
“Si chiama
fionda, Konohamaru.”
“Fionda…”,
bisbigliò il bimbo, pronunciando per la prima volta quel
nome nuovo. “…è un
giocattolo?”
“Certo. Non
l’avresti trovato qui altrimenti.”
Konohamaru
annuì, capendo che la domanda che aveva fatto era proprio
stupida. Poi chiese:
“Come si usa?”
Il nonno
allora cercò nella scatola una pallina, e dopo averla
trovata la mise
sull’elastico, tendendolo con l’indice e il medio
della mano destra.
“Ecco, ti
posizioni così…”, disse
l’uomo. “…e poi lasci andare le dita.
Hai capito cosa
succede poi?”
“La
pallina…viene lanciata via!”, esclamò
il nipotino, fiero di esserci arrivato da
solo. “Che forza! Posso provare?”
Il vecchio
lanciò uno sguardo al commesso, che aveva assistito al
dialogo. Costui annuì
subito, senza un attimo di incertezza.
Allora
lasciò la fionda e la pallina nelle mani del piccolo, che
era entusiasta.
“Non mirare
alla vetrina, mi raccomando. Potresti romperla.”, disse
l’uomo, sorridendo.
Konohamaru
si concentrò subito sulla porta aperta del negozio. Non
avrebbe fatto danni,
così.
Alzò
esageratamente le braccia, chiuse un occhio per prendere la mira. Per
la
concentrazione tirò fuori perfino la lingua.
Tre, due,
uno…
La
pallina
partì ronzando verso la porta. La traiettoria era perfetta,
sarebbe finita
esattamente contro il tavolino del bar a cui Konohamaru aveva mirato.
Se in quel
momento non fosse apparsa lei.
La pallina
le finì dritta in testa, facendola barcollare lievemente.
Poi si massaggiò la
parte colpita fissando prima la pallina, che rotolò ai suoi
piedi, e poi colui
che l’aveva lanciata.
La prima
cosa che Konohamaru notò furono gli occhi.
Erano
bianchi. Non azzurro chiaro, o di un violetto talmente tenue da
somigliare al
bianco.
Erano
bianchi come la neve.
Erano
sorpresi, lievemente infastiditi. Ed erano freddi come il ghiaccio.
Il bimbo
non poté reggere quello sguardo e lo abbassò ai
suoi sandaletti, vergognandosi
come un ladro.
Il nonno,
che aveva osservato tutto, non poté fare a meno di ridere.
La bimba
entrò nel negozio, seguita da un uomo che era
senz’altro il padre.
Stessi
occhi bianchi. Stesso gelo in viso.
Non appena
l’uomo entrò nella bottega, il vecchio smise di
ridere. Si fece avanti e disse,
cordiale: “Anche tu qui, Hiashi?”
L’interessato
si accorse della presenza dell’uomo e chinò
lievemente il capo. Si vedeva che
non era abituato a farlo.
“Buongiorno,
Hokage. Oggi è il compleanno di Hanabi, perciò
siamo venuti a scegliere il suo
regalo.”
La bimba,
Hanabi, alzò lo sguardo e sorrise al nonno di Konohamaru.
Poi tornò a fissare
il bimbo, che si era messo a contare le mattonelle sul pavimento.
“Capisco. E
quanti anni compi, signorinella?”
“Faccio
sette anni, signor Hokage”, rispose Hanabi, senza incertezza
nella voce.
“Ma
davvero?”, mormorò il nonno, sorridendole
affabile. “Allora hai la stessa età
di Konohamaru! Vero, figliolo?”
Il bimbo,
nel sentirsi interpellato, alzò la testa di scatto,
arrossendo. Poi balbettò: “S-si,
nonno…”
“Quando li
compi, tu?”
Konohamaru
inizialmente non si accorse che la domanda della bimba mora era diretta
a lui.
Infatti, quando lo capì, avvampò ancora di
più.
“…i-il 30
di-dicembre…”, bisbigliò a bassa voce,
così bassa che temette che non l’avesse
sentito.
Invece
Hanabi annuì e si avvicinò a lui. Lo
guardò di nuovo con quegli occhi freddi e
poi fissò le mensole sopra la loro testa.
Konohamaru
non le aveva notate, forse perché quello che contenevano era
solo roba da
femmine.
Su quelle
mensole c’erano una ventina di bambole, tutte seduta una
accanto all’altra.
Tutte con lo sguardo fisso in avanti. Tutte con un sorriso finto.
A
Konohamaru misero paura. Si voltò verso la bimba, che le
osservava con aria
distaccata.
“Tu quale
prenderesti?”, chiese Hanabi, a bassa voce.
Konohamaru
tornò a fissarle. Poi tastò la fionda che aveva
in mano.
“Io
sinceramente”, fece, anche lui abbassando la voce,
“prenderei questa fionda.”
Hanabi
abbassò lo sguardo sul visetto di Konohamaru, per poi
puntarlo sul rametto
rosso che aveva in mano lui.
Lo fissò
per qualche istante, incantata. Fece per prenderlo, ma poi scosse la
testa,
come se si fosse appena svegliata. E tornò a fissare le
bambole, fredda.
“Non
posso.”, bisbigliò la bimba.
Konohamaru
in quel momento la trovò più stupida che mai:
perché non poteva prendere una
cosa che voleva nel giorno del suo compleanno? Lui avrebbe fatto i
capricci,
avrebbe pianto e strepitato, pur di avere quella fionda.
“E perché no,
scusa?”, chiese lui, con tono infastidito.
Hanabi se
ne accorse, e si voltò verso di lui. Il suo viso ora era
triste.
“Perché il
papà non vuole…”
Konohamaru
rimase di sasso.
La bimba
continuò: “Lui dice sempre che è
tradizione del nostro clan essere eleganti e
superiori agli altri. Per questo non mi farebbe mai prendere un
giocattolo che
appartiene alla…”, pensò alla parola
giusta, “…alla plebaglia.”
Il bimbo in
quel momento non seppe se sentirsi offeso o dispiaciuto. Quella strana
bambina
aveva usato delle parole che lui non conosceva –clan,
superiori, plebaglia-, e
gli sembrava tanto triste.
Konohamaru
ci pensò su, poi tese la fionda verso Hanabi, che lo
fissò stupita.
Il bimbo
sorrise a quello sguardo interrogativo, e le mise il rametto in mano.
“Buon
compleanno, Hanabi. Questo è il mio regalo per te.”
La bimba lo
fissava a bocca aperta. Le sue guance pallide erano arrossite, lo
sguardo si
era fatto lucidi.
Fissò
Konohamaru dritto negli occhi, ma stavolta il bimbo non li
abbassò.
Era troppo
fiero di sé, per farlo.
Tornando a
casa, mano nella mano con il nonno, Konohamaru fissò la
fionda che teneva tra
le mani.
Poi
finalmente parlò al vecchio.
“Nonno…”
“Dimmi,
Konohamaru.”
Il bimbo
esitò qualche istante. “Perché Hanabi
non ha preso il mio regalo?”
Ricordava
ancora lo sguardo di scuse che gli aveva rivolto, mentre usciva dal
negozio con
il padre.
Aveva
sottobraccio una bambola bionda.
Konohamaru
non capiva. Avrebbe voluto tanto, ma non lo capiva.
L’uomo
sorrise: sapeva che il nipote era sveglio.
“Dunque,
Konohamaru…devi sapere che Hanabi appartiene a un
clan…”
“Cos’è un
clan, nonno?”, interruppe Konohamaru, ricordandosi che Hanabi
aveva usato
quella parola.
L’uomo
sospirò: ci sarebbe voluto parecchio tempo, per
spiegarglielo…
Si sedette
su una panca, seguito immediatamente dal piccolo. Prese un lungo
respiro.
“Vediamo…sai
bene che noi, Konohamaru, siamo ninja, mentre altre persone non lo
sono.”
Al bimbo
venne in mente il commesso del negozio di giocattoli: con quella
pancia, non
sarebbe mai potuto diventare un ninja.
“Konoha”,
riprese il nonno, “è abitata perlopiù
da ninja, che si occupano di difenderla e
proteggerla. E io, Konohamaru…”
“Tu sei il
più forte di tutti, nonnino!”, esclamò
il nipote, gli occhi luminosi come
stelle. L’Hokage sorrise.
“…io ho il
compito di difendere e proteggere anche i ninja. Facciamo parte di
un’unica
grande famiglia.”
Il bimbo
pensò che se era così, in un certo senso doveva
essere imparentato anche con
Hanabi. Subito ebbe un moto di stizza, anche se non capì
perché.
“Dentro la
nostra famiglia, chiamiamola così, ce ne sono molte altre,
più piccole.
Tuttavia, alcune spiccano in particolare, vuoi perché hanno
un’origine
antichissima, vuoi perché sono ninja fortissimi, vuoi
perché hanno un’abilità
innata.”
Konohamaru
annuì, serio: ricordava che Ebizu aveva accennato qualcosa
alle abilità innate,
ma in quel momento non gli venne in mente cosa significassero e a cosa
servissero.
“Questo
tipo di famiglia si chiama clan.” Il nonno si
sistemò il cappello rosso e
bianco, sorridendo.
“Ho
capito…e com’è il clan di Hanabi, tra
quelli che hai detto prima?É forte, è
vecchio oppure è speciale?”, chiese Konohamaru,
pensando che forse quegli occhi
bianchi servissero ad altro, oltre che a congelare la gente.
“Il clan di
Hanabi appartiene a tutte e tre le categorie che ti ho elencato prima,
Konohamaru.”, disse l’uomo.
Il bimbo
rimase senza fiato.
“Devi
sapere che la famiglia della tua amica ha
un’abilità innata invidiatissima: con
i loro occhi bianchi possono vedere ogni cosa. Si chiama Byakugan.
Inoltre
hanno uno stile di combattimento molto particolare, che unisce la forza
all’eleganza.”
Il nonno
notò l’espressione concentrata del bambino, che
sicuramente tentava invano di
ricordare il nome dell’abilità degli Hyuga.
Quindi
riprese: “Gli appartenenti a questo clan sono molto
orgogliosi di questa loro
abilità, perciò hanno un’altra stima di
loro stessi e tendono a
sopravvalutarsi. I genitori vogliono che i loro figli siano
all’altezza delle
aspettative che gravano sulle loro esili spalle. Ora comprendi
perché Hanabi ha
rifiutato la tua fionda? Sicuramente suo padre si sarebbe arrabbiato.
Lo capisci,
Konohamaru?”
L’Hokage
temeva di aver usato troppe parole difficili, e guardava preoccupato il
nipote,
che fissava il suo giocattolo nuovo.
Quando alzò
lo sguardo, Konohamaru aveva un’espressione dolorosa in viso.
“Allora,
nonno…vuoi dirmi che Hanabi diventerà antipatica
come il suo papà?”, mormorò,
la voce pronta a incrinarsi.
L’uomo lo
guardò, incredulo che un bimbo di appena sei anni potesse
formulare un pensiero
tanto profondo.
Poi ripensò
ai componenti della famiglia Hyuga: in effetti, tutti sembravano
ritenere di
essere superiori al mondo intero…
Tutti…tranne
una dodicenne.
Hyuga
Hinata, la primogenita odiata da Hiashi.
L’Hokage
sorrise.
“Stai
tranquillo, Konohamaru. Lei non diventerà mai come gli
altri.”
Il bimbo
piegò la testa di lato, in attesa di spiegazioni.
“Vedi…Hanabi
ha una sorella, Hinata. Ho avuto occasione di conoscerla, quando
è stata
ammessa all’accademia. E posso assicurarti che è
la bambina più dolce del
mondo.”, sorrise il vecchio.
“…davvero?”,
mormorò stupito il bimbo: lui non ne aveva di fratelli.
Però aveva sempre
considerato quello come
tale…
L’uomo
parve leggere nei suoi pensieri, perché disse: “Tu
non consideri Naruto come un
fratello, Konohamaru?”
Il nipotino
avvampò: ci aveva azzeccato in pieno.
L’uomo
ridacchiò soddisfatto. Poi scompigliò i capelli
del bambino.
“Tu
vorresti diventare come lui, vero? Lo consideri un modello da seguire,
no?”
Konohamaru,
imbarazzatissimo, fece sì con la testa. Allora il nonno
continuò: “Anche
Hanabi, nonostante non lo darà mai a vedere, avrà
sempre Hinata come punto di
riferimento. E poco a poco, anche se i loro caratteri non saranno
uguali, la
minore prenderà la semplicità e la dolcezza della
maggiore. Posso giurartelo,
Konohamaru.”
Il bambino
sorrise, rassicurato dalle belle parole del nonno. Si alzò
in piedi ed esclamò:
“Bene! Allora a dopo, nonno!”
“Cosa?!
Konohamaru, dove stai…?”
Al posto
del bambino, c’era una nuvola di polvere che fece tossire
l’uomo.
“Coff…quel
bambino è incredibile…”
“Posso
entrare?”
Hanabi non
si mosse dal letto. A pancia in giù, osservava il suo nuovo
regalo con aria
annoiata, dondolando in aria i piedi scalzi.
“Entra,
Hinata.”
La sorella
maggiore di Hanabi, una ragazzina esile di dodici anni, con i capelli
neri a
caschetto e gli stessi occhi della minore, entrò silenziosa,
un sorriso timido
sulle labbra.
“Così è
questo il tuo nuovo giocattolo?”, chiese cortesemente, come
se stesse parlando
ad uno sconosciuto.
Hanabi
annuì, senza levare i suoi occhi da quelli azzurri della
bambola. Hinata si
avvicino, sedendosi sul letto.
“Davvero
molto graziosa…sei soddisfatta?”,
domandò la maggiore, accarezzando la chioma
bionda del giocattolo.
Hanabi
avrebbe voluto rispondere di no. Avrebbe voluto dire che odiava quei
boccoli surreali,
quegli occhi dipinti, quelle labbra disegnate. Però si
limitò ad annuire
ancora.
Non che non
volesse confidarsi con la sorella. Anzi, ne sentiva un gran bisogno.
Solo non ce
la faceva. L’orgoglio degli Hyuga non le permetteva di
mostrarsi debole,
nemmeno in questa situazione.
La mano di
Hinata, dalla testa della bambola, si spostò sulla testa
della sorellina.
Mormorò tristemente: “Lo so che non ti piace, ma
devi accettarla comunque.
Forse questo sarà l’ultimo regalo che nostro padre
ti farà.”
Hanabi
sbiancò: le vennero alla mente le sfuriate e i rimproveri
che Hiashi rivolgeva
a sua sorella. Per un secondo si vide al posto di Hinata, la testa
china e gli
occhi lucidi.
Come per
scacciare quel pensiero dalla testa, Hanabi si alzò dal
letto e corse fuori
dalla stanza, non senza aver rivolto un sorriso malinconico a Hinata,
che le
rispose allo stesso modo.
Hanabi
corse fuori dalla casa, fino a giungere al portone di villa Hyuga. Qui
si fermò
indecisa: non sapeva nemmeno perché era corsa via.
Molto
probabilmente per non mostrare a Hinata le lacrime che le scendevano
sul viso.
Tirando su
con il naso, si diresse a passo deciso verso il portone. Lo
spalancò, faticando
non poco, e uscì dalla proprietà del clan. Stava
per dirigersi verso il parco,
dove avrebbe potuto distrarsi, quando per poco non inciampò
su un pacchetto per
terra.
Stupita, lo
prese in mano; era piccolo, schiacciato e lungo. Non pesava molto, anzi
riusciva a reggerlo con una mano sola.
Sulla carta
che avvolgeva l’oggetto all’interno,
c’era scritto a lettere chiare e
tremolanti “HANABI”.
La bimba
ebbe un tuffo al cuore, e scartò in fretta e furia il
pacchetto.
Non appena
vide il regalo, nuove lacrime caddero sulle sue guance, che raggiunsero
una
tonalità rosso fuoco.
Un dolce
sorriso le si spalancò sulle labbra, mentre il suo corpicino
esile veniva scosso
dai singhiozzi.
Nelle sue
mani stringeva una fionda.
Ti
darei gli occhi miei
per vedere ciò che non vedi.
L'energia, l'allegria,
per strapparti ancora sorrisi.
Dirti sì, sempre sì,
e riuscire a farti volare,
dove vuoi, dove sai,
senza più quel peso sul cuore.
Il commesso
del negozio fissò preoccupato il ragazzino che si era
incantato a fissare la
vetrina piena di giocattoli.
Erano ormai
due ore che stava fermo in quella posizione.
L’uomo
stava per uscire ad accertarsi dello stato di salute del ragazzo,
quando questi
entrò nella bottega.
“Salve…”,
mormorò, un sorriso malinconico sulle labbra. “Non
è che per caso avreste una
fionda?”
NdA
Ed eccoci con il secondo capitolo di "A good deed". Hanabi è apparsa, come promesso, insieme a Hinata.
Nel secondo
capitolo invece, quando si dice che i ninja durante la loro infanzia
non hanno
giocattoli, ho inventato.
Non so se è
vero, però ipotizzo sia così.
O armi
vere, oppure dei kunai e degli shuriken di plastica.
Ah. Kazuo,
Emi e sua mamma sono miei OC. Come il commesso.
Ho scritto così nelle note in fondo all'ultimo capitolo.
Ringrazio tantissimo chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite.
Shizue Asahi: grazie mille, neechan. ^^ Sono felice che ti sia piaciuta la parte della borsa: una strofa della canzone parla di una valigia, ma non penso avrebbe reso l'idea. ^^° Probabilmente a Konoha c'è una diversa forza di gravità: solo per questo i suoi abitanti hanno dei capelli così...strani. xD Spero che anche questo capitolo (che in tutta sincerità è il mio preferito) ti sia piaciuto e ti abbia tenuta appesa. xD A presto, un bacio! (P.S. in realtà non so se Konohamaru è orfano: i suoi genitori non sono mai apparsi, proprio come quelli di Sakura. Mah. Comunque concordo con te: questo bimbo ha tutte le sfighe del mondo. ç_ç)
MiCin: neechan, grazie mille! Sono felice che tu sia felice per me. xD Per me la KonoHana è come la NaruHina: se ci pensi, sono collegati. +_+ Ok, basta con le mie ipotesi. xD Anche a me piace tantissimo Konohamaru....povero bimbo. ç_ç Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! ^^ Baci
LalyBlackangel: sensei ** Grazie davvero. Come sopra, sono contenta che tu sia contenta. Ho visto che hai messo la storia tra le seguite: grazie ** Un bacio Laly! ^^
Bene, ho
concluso.
Spero vi sia piaciuto. ^^°
Bye.
Vale