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Autore: Circe    19/01/2021    2 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Lord Voldemort : “Quel dolore”


“Fammi vedere i tuoi occhi.”
La accolsi così quando entrò nella stanza, non la salutai e la incatenai subito al mio sguardo, senza più parole. Avevo già capito che era successo qualcosa, lo percepivo nell’aria tesa e fredda dei corridoi. Non avevo nessuna voglia di sentire lunghe e dettagliate spiegazioni, non avevo voglia di ascoltare e di capire. 
Peggio ancora, non mi andava di sopportare le sue scuse petulanti.
Meglio leggerle la mente: metodo più veloce e doloroso, soprattutto per chi lo subisce da me, che so come sondare in profondità facendo male al cervello.
Bella aveva timore, lo vidi subito dalla sua espressione, dalla posa del suo corpo, ma non mi importava. Le afferrai forte il mento fra le mie dita e le alzai lo sguardo verso il mio.
La tenevo in una stretta forte, anche se non si ribellava, i suoi occhi erano sfuggenti, titubanti. Volli insistere, ma senza costringerla completamente.
“Avanti, cosa vuoi che succeda?”
Allora si decise, puntò i suoi occhi neri nei miei e abbandonò ogni difesa.
Guardai tutto lentamente, usando forza ed energia, lasciandola stare male, sondai immagine dopo immagine, pensiero dopo pensiero, ogni più piccolo sentimento chiuso nella sua mente.
Vidi tutto: i miei Mangiamorte pronti a tradire, il viso di Bella quando entrò nella stanza, osservai attentamente ciò che lei aveva fatto loro, infine l’arrivo di Alecto Carrow e i loro sciocchi discorsi.
Alecto era stata furba, aveva fatto un buon lavoro.
Invece Bella…
Torsi leggermente il polso, con forza, la pressione delle mie dita sulle sue guance le fecero impallidire, piegò il viso, si abbandonò a me con occhi ormai lucidi. Le penetrai ancora di più la mente, andai nei meandri del cervello, dove fa più male, dove il male fisico si mescola a quello psicologico: è lì che mi piace di più. Indugiai lì a sentire i pensieri, a nutrirmi del suo dolore.
Indugia fino a sconvolgere la mente a invaderla senza più ostacoli.
Quindi allentai lentamente la presa, senza lasciarla.
Dicevo… Alecto era stata furba, invece Bella…
Lei era stata sublime…
Mi fece ridere il fatto che non volesse le lèggessi la mente non per ciò che era successo poco prima, ma per evitare che venissi a conoscenza del presunto amore della Carrow.
Quante assurdità: se sapesse invece che piacere avevo provato con lei per quegli istanti in cui sono entrato nel suo cervello, le ho fatto male, l’ho invasa, le nostre menti sono diventate una, una sola unita per sempre. Solo lei sopporta tutto questo mio piacere e suo dolore come se fosse assolutamente normale, non capisce quanto invece sia speciale.
Lei pensa ai sentimenti come fossero importanti. Che idiozia. 
Le lasciai malamente il viso con una spinta: quanto mi irritava. 
Forse usai troppa forza, lei accusò talmente il colpo che finì per sbattere contro la porta.
La guardai ancora.
“Quante sciocchezze.”
Restò per un attimo ferma, umiliata, con il viso girato di lato e lo sguardo abbassato.
Poi si voltò verso di me.
“Come dite, mio Signore?”
Alzai gli occhi al cielo.
“Dico: quante sciocchezze ho dovuto vedere, prima, nella tua mente.”
Mi allontanai, andai verso il camino per accenderlo. Il viaggio mi aveva messo di buon umore, il ritorno invece molto meno.
Tutti quei problemi e sentimenti che si intrecciavano, mi rendevano nervoso.
“Non siete arrabbiato, mio Signore?”
Rimasi accanto al fuoco che cresceva lento nel camino.
“Avvicinati.”
La guardai togliersi il mantello con una sensualità che non aveva pari. Osservai la pelle del collo, giù fino al seno, lo osservai bene, per quel che si poteva vedere. Seguii ogni respiro, dal seno fino alla bocca, le labbra. 
Labbra titubanti, ma sempre belle, invitanti, calde.
La guardai sempre, ad ogni passo, finché non mi fu davanti. Finché non sentii anche il suo corpo che emanava calore. 
“Sei la mia ossessione, Bella.”
Un sorriso splendido le irradiò lo sguardo.
Mi era mancato il suo seno, la sua vagina avvolgente, la sua bocca e le sue labbra, per non parlare di quel sapore di sangue caldo e puro che avrei voluto sentire dentro di me, sempre.
Frenai ogni desiderio. Non era il momento.
“Mio Signore?”
Voleva una risposta, voleva sempre parole, spiegazioni, non si accontentava mai di un silenzio, a mio parere invece molto più eloquente.
Cercai dunque di concentrarmi sul motivo per cui era qui.
“Non era possibile fare altro. Non ho ragione di essere arrabbiato.”
La vidi rilassarsi, la tensione scemò.
“Mio Signore, grazie di avere capito, erano i vostri Mangiamorte, ma appunto…”
La interruppi.
“Non insistere a parlare, ho capito la situazione, ne ero già a conoscenza. Hai fatto bene ad intervenire. Stai comprendendo il significato del nuovo elemento, anche se non te ne rendi conto.”
Mi guardò in maniera interrogativa. Certe cose proprio non le capiva, forse perché è tanto giovane, o chissà perché. 
Mi vidi costretto a spiegarlo, volevo entrasse meglio nell’ottica dell’elemento.
“Lo hai detto tu stessa prima ad Alecto Carrow. Hai fatto una cosa per evitarla a me, dato che non mi sarebbe piaciuto farlo, è un segno che stai capendo l’elemento. Presto lo padroneggerai e io non posso che rallegrarmene perché mi sarai indispensabile nel prossimo incantesimo, lo sai.”
Sapevo che le mancava ancora una parte importante da capire: la nascita e la rinascita, ma un incoraggiamento, forse, le sarebbe stato d’aiuto.
Se ne avessi notato il bisogno, avrei poi forzato la mano perché arrivasse a comprendere tutto in velocità.
“Grazie, mio maestro.”
Il discorso sembrava chiarito, desideravo chiudere tutta quella faccenda e non parlarne più. 
Guardai il fuoco, crepitava allegro a pochissima distanza, eppure io sentivo il gelo dentro di me.
Non mi accorsi che si notasse, ma vidi bella puntare gli occhi sul camino e far crescere le fiamme. Poi si voltò di nuovo verso di me.
“Mio Signore, il vostro viaggio è andato bene?”
Annuii e provai a distrarmi raccontando qualcosa.
“È andato bene, credo che più informazioni di quelle che ho raccolto in questi anni, compreso quest’ultima trasferta, non si possano raccogliere. Per il momento mi fermerò.”
Si mise accanto a me e continuò il discorso, ben presto però mi distrassi di nuovo.
Nonostante fossimo nella stanza in penombra, gli unici colori che si potevano notare iniziarono a farmi dolore agli occhi, non li potevo sopportare più.
Bella si rese perfettamente conto che qualcosa non andava e mi prese la mano.
Solo quando sentii il tocco della sua pelle sulla mia, mi accorsi che avevo il palmo completamente madido di sudore.
Si portò la mano alle labbra mi baciò il dorso e il polso, non riuscii ad allontanarla anche se non volevo lo facesse, dentro di me sentivo sempre di più il gelo e quel maledetto fastidio agli occhi.
“Avete bisogno di me, mio Signore?”
Alzai lo sguardo per risponderle, ma sentii solo una fitta nella testa.
“Non ho bisogno di nessuno, mai.”
Non aggiunsi altro e non riuscii a mandarla via. Forse non la volli mandare via.
Fu lei a capire da sola. 
Si allontanò per un attimo, prese un bicchiere con un po’ d’acqua, ci mise dentro alcune gocce di laudano e mi porse il tutto.
Quando afferrai il bicchiere, l’acqua si mosse subito vistosamente, le mani mi tremavano, non sentivo più nulla al tatto, le dita erano gelate.
Lei mi guardava.
La guardai anche io mentre portavo il bicchiere alle labbra, avrei voluto sapere cosa stava pensando, ma non ero in grado di leggere la mente in quel momento.
Bastarono pochi sorsi e qualche attimo e le fitte si placarono del tutto, i colori tornarono normali, il tremore terminò di colpo e la normale sensazione di calore e benessere si espanse potente in tutto il mio corpo.
Appoggiai il bicchiere e la guardai silenzioso: non riuscivo a tenerla lontana.
Lei mi sorrise.
“Vieni, siediti accanto a me.”
Mi sedetti sulla poltrona davanti al fuoco, invitandola a sedere ai miei piedi. Solitamente lei si sedeva e appoggiava sempre la testa sulle mie ginocchia, così mi parlava.
Fece lo stesso anche quella volta.
Non potevo sempre ignorare l’argomento, fui io il primo a introdurlo, quella sera.
“Sei stata brava prima, sei attenta.”
Lei diventò seria.
“Mio Signore, dopo l’ultimo incantesimo, quando siete stato male, sono stata più attenta a quello che fate, così… nel caso aveste bisogno.”
Mi spazientii.
“Ti ho già detto più volte che faccio benissimo da solo.”
Si accomodò meglio sul tappeto, forse per cercare le parole giuste.
“Lo so, mio maestro, ma io vorrei servirvi comunque al meglio. Voi state per compiere un altro di quegli incantesimi, vero?”
Annuii.
“Se mi chiederete di essere al vostro fianco come mi avete chiesto la volta scorsa, non vorrei lasciare le cose al caso. Intuisco che sia un incantesimo potente e distruttivo, per cui, quando mi ordinerete qualcosa, qualsiasi cosa, io sarò pronta e lo farò.”
Appoggiai la testa sullo schienale della poltrona, senza risponderle nulla: il laudano iniziava a fare effetto, le sue parole si mischiavano al crepitio del fuoco.
“Posso chiedervi una cosa, mio maestro?”
Aprii gli occhi per guardarla, in segno di assenso.
“È un incantesimo così doloroso?”
Annuii. 
Normalmente non mi piaceva ricordare quel dolore tanto intenso e tanto profondo che scaturiva da dentro l’anima quando creavo un Horcrux, non mi piaceva nemmeno pensarci proprio poco prima di compierlo di nuovo. 
Ma con l’effetto del laudano appena preso, non mi dava fastidio.
“È un dolore intensissimo e improvviso che dal petto si irradia per tutto il corpo, fino ad arrivare al cervello. Lì esplode completamente, come se me lo aprissero in due. Una cosa mai provata prima, ad ogni incantesimo di quel genere si intensifica sempre più.”
Lei ascoltava attenta.
Le afferrai una ciocca dei capelli tra una frase e l’altra, erano lunghi e lisci, mi misi a giocarci lentamente, intrecciandola tra le dita.
Mi rilassava.
“È un dolore denso e pesante, che si attenua poco e imperversa nel corpo per giorni, ci vuole tempo prima che scompaia. Inoltre, man mano che ripeto l’incantesimo, oltre ad intensificarsi, come dicevo prima, questo dura più a lungo nel tempo.”
Feci una pausa, presi un’altra ciocca di capelli, lei si lasciava fare, le piaceva sicuramente.
“Questo significa che la prossima volta sarà peggio della precedente, cioè quella che hai visto anche tu, Bella. È un’informazione di cui tenere conto.”
Rimase pensierosa per molti istanti. Non che volessi spaventarla, ma tanto valeva sapere la verità.
“Dovete proprio rifarlo, maestro?”
Annuii di nuovo, ma senza guardarla.
Dopo qualche attimo parlai di nuovo.
“Non posso fermare la mia magia, devo andare oltre, vedere cosa c’è oltre il limite, avere potere su tutto.”
Tacqui.
Stavolta fu lei ad annuire.
“Posso fare qualcosa per placare quel dolore? Una magia? Chiedetemi qualsiasi cosa!”
Rimasi a riflettere per un attimo, ma non c’era modo che io conoscessi.
“No, Bella, è così e basta.”
Lei si alzò sulle ginocchia e mi prese la mano con cui le tenevo i capelli.
“Posso, mio Signore?”
La guardai perplesso, ma annuii.
Alzò delicatamente la manica della camicia scoprendo l’avambraccio destro. Già una volta aveva baciato le mie punture sulla pelle, mi augurai non lo facesse di nuovo.
La guardai.
“Riuscite a placare il dolore in questo modo?”
Annuii.
Rimase zitta, stava di nuovo soppesando le parole, pensai mi volesse domandare ancora del laudano, così la anticipai.
“Le punture sono di morfina, quando il laudano non è sufficiente.”
Mi guardò, ma continuò a soppesare le parole.
“E con la morfina riuscite a placare il dolore completamente?”
Annuii di nuovo, ma capii che voleva chiedere anche altro.
“Cosa vuoi sapere esattamente?”
Tentennò per ancora qualche istante, poi finalmente si decise.
“Riuscite a placare anche l’altro dolore?”
La guardai socchiudendo gli occhi, la trapassai con lo sguardo.
L’altro dolore, il peggiore di tutti.
Compresi benissimo cosa voleva dire con quelle parole, cosa aveva capito: ciò che era più nascosto e meglio celato.
Tutto il mio dolore e la sofferenza per la mia nascita e della mia infanzia. Glielo lèssi nello sguardo e nella voce, non avevo alcun bisogno di leggerle la mente.
“Mio Signore, non volevo dire… volevo sapere se…”
Non volevo sentire altro, non doveva osare. Ciò che aveva chiesto non doveva esistere.
“Stai zitta, io non sento nessun altro dolore, sia ben chiaro.”
Le avevo stretto i capelli, fece un gemito di dolore, ma non la lasciai finché non sentii che mi chiedeva scusa e affermava di aver capito.
Feci un respiro profondo e mi calmai subito, il laudano lavorava bene: fu una fortuna per lei.
Chiusi di nuovo gli occhi, respirai lentamente. Tornò il silenzio totale. Sentii che mi abbassava di nuovo la manica sul braccio, mi baciava entrambe le mani e taceva.
Finalmente aveva smesso di fare inutili domande.
Il fuoco nel camino parlava per lei, era tutto più chiaro quando sentivo la sua magia: gli elementi si mescolavano e si alimentavano a vicenda.
Cercava di occuparsi di me, anche se io non volevo. Nonostante tutto volevo allontanarla e tenerla a distanza. Eppure non ci riuscivo, non del tutto: era lì accanto a me, ai miei piedi, sulle mie ginocchia.
Le avrei dato la coppa di lì a poco tempo, le avrei affidato un frammento di anima. Una parte della mia immortalità.
Infondo mi faceva piacere si preoccupasse per me, era segno che si sarebbe occupata per bene della coppa.
L’avevo scelta per questo, ero stato bravo, come sempre.
Sorrisi tra me e me nel silenzio.
Questi pensieri fluivano nella mia mente a ondate regolari, rassicuranti e potenti.
Persi la cognizione del tempo: potevano essere passati in quel modo minuti, o ore. Poi sentii che mi sussurrava piano qualcosa.
“Mio Signore, se volete vi lascio solo a riposare.”
Allora aprii gli occhi lentamente.
Si era alzata in ginocchio, il suo viso era accanto al mio, mi sussurrava le parole all’orecchio.
Sentii il calore delle sue labbra e il suo odore inebriante fin troppo avvolgente.
Non era ancora l’alba, tutto era scuro attorno a noi, non avevo nulla di urgente da fare.
Mi sentivo meglio, forse si poteva impiegare per bene il tempo rimasto prima del sorgere del sole. 
La afferrai per la vita e la portai seduta sopra di me, fui veloce e violento e lei non se lo aspettava, quasi perse l’equilibrio, ma la tenni stretta come un serpente fa con la sua preda. 
Seduta avvinghiata dalle mia braccia mi dava le spalle, mi accostai per un attimo alle sue spalle, sulla schiena: potevo sentire tutto il profumo dei suoi lunghi capelli.
Profumavano di rosa, come sempre.
Si voltò a guardarmi: era contenta e iniziava ad eccitarsi, la strinsi ancora di più con le braccia, mentre con le mani mi insinuavo fra le vesti, sulla pelle, nella carne.
“Dove vuoi andare, mia Bella? Devo ancora punirti per la tua irriverenza.”
Rise forte. 
“Per cosa, mio Signore?”
Giocava.
La presi e la portai sul pavimento, sempre davanti al fuoco.
Non si aspettava la punissi davvero e io infatti non lo feci, ma quella volta le entrai dietro, dove fa più male, ma anche più bene, dove era stretta, una vergine immacolata. 
Fui violento, come sono solito essere, come mi viene spontaneo, come so che non scorderà più.
La presi così perché mi piaceva da impazzire l’idea e la fantasia di farlo a lei. Mi fece avere un orgasmo così forte e così violento e intenso, che quando la vidi ansimare e gridare con me, desiderai tenerla sotto di me sempre, continuamente. 
Le rimasi accanto qualche istante, senza spostarci: io sopra, lei sotto.
Riprendemmo fiato nel calore e nel sudore dell’amplesso.
Le scostai poi leggermente i capelli dall’orecchio, la mia voce fu un sussurro, un sibilo accanto al suo viso.
“Sei davvero la mia ossessione, tu sei l’unica che attenua quel dolore. E lo fai ogni volta che mi fai venire in modo così bello ed estremo.”
 
   
 
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