Serie TV > Vikings
Segui la storia  |       
Autore: Laisa_War    20/01/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La luce del giorno iniziava a sovrastare, prepotente, ciò che rimaneva della notte, quando Floki uscì di casa con Hylde, per guidarla verso il proprio luogo di lavoro. Quel giorno, avrebbero apportato diverse modifiche alle navi già costruite, prima di iniziare a crearne delle nuove. L’aria era fresca e frizzantina, ma lei si sentiva protetta e al caldo, grazie alla spessa lana dei vestiti ed alla pelliccia portata come mantello sulle spalle. Le uniche parti del suo corpo esposte al freddo erano le mani e la faccia, che assunse un marcato colorito roseo proprio all’altezza delle guance.

Per arrivare alla loro destinazione, i due dovettero attraversare tutta la città e il molo, fino a raggiungere una piccola spiaggia protetta dall’alta costa rocciosa. Il panorama era interamente occupato da navi, longships, di legno, dalla linea snella ed uniforme, le loro parti più scenografiche erano le polene a forma di drago, risultato di un intenso ed attento lavoro d’intarsiatura.

Durante il tragitto, Hylde si sentì molto a disagio, a causa degli sguardi dei cittadini di Kattegat, che ormai erano tutti svegli, intenti a portare a termine i loro affari e lavori giornalieri. Gli schiavi, sia maschi che femmine, trasportavano grossi secchi d’acqua o pesanti casse di cibo e verdure fresche, alcuni di loro pulivano e rassettavano; i bambini giocavano all’aperto, coperti da capo a piedi da pellicce calde; le guardie cittadine iniziavano i consueti giri di ronda, armate e munite di scudi finemente decorati. Tutti non mancarono di rivolgerle sguardi diffidenti ed allo stesso tempo incuriositi, ma Hylde lo capiva: era la grande novità, dopo pochi giorni tutti se ne sarebbero dimenticati.

«Non farti intimidire.», intervenne Floki per rassicurarla, intuendo i suoi pensieri. Non era un gran chiacchierone, ma lo apprezzò molto per lo sforzo.

Hylde lo guardò incerta, ma alla fine convenne: «Non ti preoccupare, sapevo sarebbe andata così oggi.».

L’uomo annuì soddisfatto: «Brava ragazza!», facendole strada attraverso la città.

Lavorarono senza sosta per gran parte della mattinata, calibrando i timoni delle navi ormeggiate vicino alla spiaggia, nel punto in cui l’acqua iniziava a diventar profonda. Nel primo pomeriggio, invece, tornarono nei boschi che circondavano Kattegat e Floki insegnò a Hylde come scegliere le migliori querce per costruire le imbarcazioni: in verità, la ragazza non capì affatto il suo metodo, poiché consisteva prevalentemente nel comunicare con gli alberi e nel toccare i loro tronchi. E dato che stava già cercando di imparare una lingua, Hylde pensò che il linguaggio delle querce fosse, per il momento, un fattore trascurabile, ma si meravigliò di quanto fosse profondo il legame di Floki con la natura.

Mentre l’uomo contrassegnava un albero recintandogli il tronco con delle pietre chiare, vennero raggiunti da Ivar, esausto dopo aver setacciato la foresta per trovarli.

«Ciao, Straniera.», la salutò lui, affabile.

Hylde appoggiò delicatamente a terra il piccolo gruppo di ceppi di legno che stava trasportando e si scostò i lunghi capelli dalla faccia, tamponando il sudore che le imperlava la fronte nonostante il freddo tagliente. Malgrado la stanchezza, gli riservò un sorriso amichevole e un cenno con la testa, ricambiando il saluto.

«I tuoi vestiti non sono più strani.», constatò il ragazzo, ridendo sotto i baffi.

Lei lo squadrò, soffermando attentamente lo sguardo sugli abiti da lui indossati: «Anche i tuoi sono parecchio ordinari.». Si lasciò sfuggire un sorrisino.

«Ma guarda chi ha trascinato il suo culo fino a qui!», esclamò Floki, raggiungendoli e guardando torvo in direzione di Ivar.

Il ragazzo rispose a tono, con uno sguardo truce: «E tutto ciò che ho trovato è un vecchiaccio moribondo!».

A Hylde calò la mandibola, dopo aver strabuzzato gli occhi, di fronte a quelle parole. Si grattò nervosamente il collo, cercando velocemente un modo per distendere gli animi.

I due si guardarono arrabbiati per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere, con Floki che correva ad abbracciare il giovane amico. “Uomini...”, pensò Hylde, scuotendo la testa, visibilmente sollevata.

Da quanto riuscì a capire, Ivar e Floki non erano riusciti a parlare privatamente al banchetto della sera prima, pur sedendo allo stesso tavolo: la conversazione si era incentrata per tutto il tempo sulla spedizione imminente, soprattutto per volere di Bjorn, il quale sarebbe stato il comandante di tutta l’operazione, in qualità di fratello più anziano.

«A proposito dell’Inghilterra...», iniziò Ivar, «...credo sia il momento di pensare a qualcosa per le mie gambe, se voglio partecipare alla battaglia.».

Hylde lo ammirò con tutta se stessa, per il modo in cui non si faceva frenare dal suo problema alle gambe e per come trovasse la forza di perseguire le proprie ambizioni in ogni modo possibile. Si odiò, invece, per aver passato la vita a compatire le persone come lui, che tentavano solo di esistere e vivere al meglio.

Floki, fiero come non mai, si accovacciò vicino ad Ivar e gli posò una mano sulla spalla: «Conta su di me, figlio di Ragnar.». Poi disse a Hylde di non aver più bisogno di lei per quel giorno, e quasi li cacciò, mentre iniziava a camminare febbrilmente avanti e indietro, pensando e pianificando tra sé e sé.


Passeggiando per il bosco in direzione di Kattegat, Ivar pensò di dover dare qualche spiegazione ad un’interdetta Hylde: «Gli piace star da solo, quando deve “creare”.».

Ora aveva tutto più senso.

«Da quanto tempo lo conosci?», gli chiese Hylde, piena di curiosità.

«Da quando sono nato!», fu la pronta risposta di Ivar, che continuò: «Mi ha cresciuto lui, mentre mio padre andava a far razzie o era occupato a governare. Mi ha insegnato tutto quello che so sugli dei.».

Fu inevitabile, la mente di Hylde corse verso il ricordo di sua madre, provocandole una stretta al cuore. Deglutì, calmandosi, e gli disse: «Devi esserci molto affezionato.».
Intanto si erano fermati e seduti su una roccia vicino a un torrente, di cui avevano usato l’acqua per rinfrescarsi le rispettive facce.

Ivar annuì e, con sguardo serio, come se gli costasse un’enorme fatica dirlo, ammise: «Lui è una delle poche persone a volermi bene per quello che sono, nonostante queste.». Si toccò le cosce, con tristezza quasi infantile.

Allora, Hylde raccolse gran parte del suo coraggio per fare quella domanda, temendo di sembrare irrispettosa: «Ci sei nato in questa condizione?».

Lui non parve turbato, anzi le rispose con grande tranquillità: «Sì, ma adesso va meglio. Riesco anche a muoverle, qualche volta. Da piccolo, provavo spesso un forte dolore, come se mi si spezzassero le ossa.».

«Dev’essere stato terribile.», disse Hylde, sentendo quasi il suo stesso dolore al solo pensiero della sofferenza che doveva aver provato.

Ivar la guardò e lei poté vedere chiaramente la sua fragilità, dietro a quella corazza di furbizia che era la sua faccia. Ammise: «Sì, ma almeno avevo mia madre. Lei si occupava di me, preparava anche una specie di crema per aiutarmi col dolore.». Guardò altrove, lontano da Hylde, con un’espressione triste.

Lei capì: «Anche io ho perso mia madre da poco. Mi dispiace tanto.».

«Com’era lei?», le chiese, ancora senza ricambiare lo sguardo della ragazza e muovendosi nervosamente.

Sembrò sorpresa della domanda, non aveva mai ricevuto la richiesta di descrivere sua mamma, prima di allora. Ci pensò un attimo, poi rispose: «Era una donna dolcissima. Mi ha sempre rispettata per ciò che sono, anche quando mi comportavo male con lei. Era la mia “insegnante” di mitologia, come lo è stato Floki per te. Aveva quell’assurda capacità di capire l’essenza delle persone, si fidava ciecamente del suo istinto, cosa che le ho sempre invidiato.». Concluse, asciugandosi una lacrima che aveva preso a scenderle sulla guancia.

Ivar provò un moto di tristezza nel vederla così vulnerabile: «Mi sarebbe piaciuto conoscerla.».

«Anche io avrei voluto conoscere la tua.», gli dedicò un sorriso che, seppur spento, lo coinvolse e spronò a farne uno a sua volta.

Per spezzare un po’ l’atmosfera nostalgica, Ivar raccolse un piccolo sassolino e lo lanciò nel torrente, consigliandole di partecipare agli allenamenti che lui faceva con i suoi fratelli: «C’è anche Brandr. Con le asce è brava, ma io lo sono di più. Posso insegnarti qualcosa, se ti va.».

Hylde si trovò spiazzata, non aveva mai pensato a combattere sul serio. Krav Maga le serviva solo a scopo difensivo, e non era stato nemmeno così efficace: pensò all’enorme livido spuntatole al centro dell’addome. «Non so se ne sono in grado, Ivar...», confessò lei, intimidita dall’idea di combattere con armi vere.

«Dico solo che potresti imparare qualcosa per difenderti. Sceglierai tu se usare o no quelle tecniche su qualcuno.», provò a convincerla lui. Ci teneva proprio, ma non lo avrebbe mai ammesso apertamente.

Il verdetto fu: «Va bene, mi hai convinta. Ma sappi che lo faccio solo per te!». Dopotutto, Hylde voleva passare altro tempo con lui e, allo stesso tempo, non voleva dargli un dispiacere, per qualche assurda ragione. Rise e lo incoraggiò: «Dai, fammi strada!».

Stavolta fu lui a rimanere spiazzato: «Come? Adesso?». Quasi balbettò, mai si sarebbe sognato di convincerla così facilmente.

Lei annuì entusiasta, era perlomeno curiosa di assistere all’allenamento. Gli spiegò: «Come hai visto, Floki mi ha congedata e Helga, a quanto ho capito, aveva delle commissioni da fare... sono libera!».

Ivar sorrise di fronte all’entusiasmo della ragazza, quindi si mosse per mostrarle la strada, aiutandosi con la forza delle braccia.

Probabilmente, Hylde appoggiò un piede su un sasso smosso dal terreno, cosa che la fece scivolare vicino al torrente, per fortuna senza caderci dentro. Picchiò il fianco, ma sul momento non sentì dolore. Iniziò a ridere, mascherando l’imbarazzo per la sua innata goffaggine.

Rise di gusto anche Ivar, che infierì: «Dovrei essere io quello che non sa camminare!».

Lei cercò di soffocare le risate, che però si fecero ancora più forti, ed esclamò: «Non dovrei ridere!». Si sentiva un po’ in colpa, effettivamente. Nel frattempo, si massaggiava il fianco, avendo iniziato ad avvertire un leggero dolore: avrebbe collezionato un altro bel livido, ed era solo il suo secondo giorno a Kattegat!

Il ragazzo le si avvicinò e la spruzzò con l’acqua del torrente, minacciandola in modo scherzoso: «Hey! Così mi offendo!».


Gli allenamenti avvenivano in una piccola radura vicino a Kattegat, che col tempo i fratelli Lothbrok avevano adibito a vero e proprio campo d’addestramento. Lo spazio era delimitato da una staccionata in legno, alla quale erano appoggiate delle armi inutilizzate, come alcune lance in legno con le punte rinforzate da puro ferro, qualche spada pesante già solo alla vista e pochi scudi in legno scheggiati dall’usura. C’erano dei bersagli di paglia utili per il tiro con l’arco, o per il lancio delle asce, e con lo stesso materiale erano stati realizzati dei manichini, rivestiti con sacchi di iuta, usati di solito per gli allenamenti solitari.

Quando Hylde e Ivar arrivarono, dal cielo grigio iniziarono a cadere dei candidi fiocchi neve. Si avvertiva un freddo ancora più pungente rispetto a quello della mattina e, nonostante questo, quel luogo era già affollato.

C’era Brandr, occupata a sfidare un ragazzo alto, con due occhioni azzurri dalla stessa forma di quelli di Ivar, una lunga treccia color castano chiaro e una folta barba. Attorno a loro, due ragazzi giovani facevano il tifo, scommettendo anche qualche moneta.


--- NOTE DELL'AUTRICE ---

Ciao ragazzi!
Grazie per essere arrivati fino a qui e per aver speso parte del vostro tempo leggendo la mia storia.

Oggi il capitolo è meno lungo rispetto al solito, ma solo in vista degli intensi avvenimenti delle prossime parti!

Un grosso abbraccio,
Laisa_War
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Vikings / Vai alla pagina dell'autore: Laisa_War