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Autore: lapacechenonho    22/01/2021    3 recensioni
L’anziana coppia che abitava ormai quella casa da moltissimi anni, era seduta nella veranda che molto tempo addietro era stato uno degli elementi fondamentali per la scelta dell’abitazione. Per volere di lei, ovviamente, lui si sarebbe accontentato di vivere sotto un ponte purché al suo fianco ci fosse lei. Si godevano la brezza fresca di quel primo settembre, una data che nel tempo era stata un momento importante, e adesso riguardavano a tutti quei momenti con un pizzico di malinconia tipico degli anziani quando ripensano alla loro vita.
Questa storia partecipa alla challenge “Things you said“ indetta da Juriaka sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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42: 012- Things you said that I wasn’t meant to hear (Le cose che hai detto e che non avrei dovuto sentire).
 
Nonostante la mole di lavoro che si accumulava sulla scrivania, quel giorno Harry decise che non voleva fare le ore piccole come era successo circa una settimana prima. Da quando era tornato dal viaggio di nozze era più il tempo che aveva passato col suo capo che con sua moglie; piuttosto deprimente a pensarci. Si prese qualche ora di permesso per pranzare con sua moglie e poi sarebbe tornato in ufficio a completare il suo lavoro.
«Dove va così di fretta, Potter?» gli chiese il Capo mente Harry raggiungeva l’ascensore. Immaginava che dirgli che si stava prendendo un paio di ore di permesso solo per vedere Ginny non fosse il massimo, quindi decise di rimanere sul vago.
«Ho avuto un’emergenza familiare, signore» inventò su due piedi. L’uomo piuttosto anziano sorrise sotto i baffi, come se sapesse della sua bugia.
«Mi saluti sua moglie, signor Potter, e le chieda scusa da parte mia per tenerla così lontano da casa ma mi creda, presto capirete il perché» rispose. Harry annuì riflettendo sulle parole del suo superiore. Erano emblematiche, come sempre e sebbene le rotelle nel cervello di Harry avevano già iniziato a muoversi, lui decise di non farci troppo caso concentrandosi sull’immagine di Ginny a casa loro. Il signor Cowley stava per ritornare nel suo ufficio quando tornò sui suoi passi e si mise di nuovo di fronte ad Harry. «Dopo Natale l’aspetta una missione, ma definiremo i dettagli al suo rientro». Di certo non era il tipo di notizia che si aspettava il 20 dicembre, ma sospirò rassegnato e anche un po’ elettrizzato: era vero che voleva stare con Ginny ma gli mancava l’adrenalina del combattimento. Era da un po’ che il capo lo lasciava in panchina preferendo mandare altri Auror in missione e trascinando Harry nel suo ufficio a leggere i verbali di queste ultime.
Lasciandosi il lavoro alle spalle, prese l’ascensore e si diresse verso casa sua.
Com’erano soliti fare per non farsi vedere dai vicini, Harry comparì nel magazzino delle scope che avevano in giardino. Stava per entrare dalla porta sul retro che dava in cucina quando sentì le voci di Hermione e Ginny parlottare tra di loro. Normalmente sarebbe entrato e avrebbe salutato entrambe ma era tutto troppo strano: prima di tutto, Hermione non doveva essere lì, doveva essere al Ministero – esattamente come lui – e secondo, stavano parlando con fare troppo concitato per essere una conversazione normale.
Dal tono leggermente acuto di Ginny e dal volto accigliato di Hermione, aveva intuito che non si trattava di certo di un tè fra amiche. Harry sapeva che quello che stava per fare era scorretto, che quelle persone là dentro erano sua moglie e la sua migliore amica (e cognata) ma c’era qualcosa che non tornava. Ultimamente Ginny era distratta ed Harry aveva dato la colpa agli allenamenti e al fatto che si vedessero troppo poco a causa di Crowley, ma sapere che Hermione era a casa loro e stava parlando con Ginny di qualcosa di serio, gli fece venire il dubbio che la sua distrazione fosse causata da qualcosa di più importante del Quidditch. Si acquattò sulle ginocchia e si avvicinò alla porta di servizio appoggiando l’orecchio al legno. Grazie a Godric era sottile e la parte superiore era in vetro, perciò riusciva a vedere oltre che sentire. Avrebbe voluto prendere il Mantello di suo padre ma quello era esagerato pure per lui.
Diede una rapida occhiata all’interno della casa, Hermione aveva le mani in quelle di Ginny che sembrava stravolta, il suo cuore fece un sonoro crack quando notò che gli occhi della moglie erano lucidi e arrossati, come se avesse pianto per un bel po’ prima di calmarsi. «Va tutto bene» sentì dire Hermione.
Ginny sembrava ancora scossa da qualcosa che era successo ma Harry non sapeva esattamente cosa e dovette reprimere l’impulso di entrare dentro e chiedere spiegazioni ad entrambi. «Devi parlagliene, Ginny. Merita di saperlo» continuò Hermione. La voce era un po’ più dura rispetto al tono che aveva usato precedentemente per rassicurarla.
«Come faccio, Hermione? Mi ha palesemente detto che non vuole!» esclamò sua moglie. Harry aveva la strana sensazione che parlassero di lui ma non si capacitava di cosa avesse potuto fare di male. Non si era mai rifiutato di fare niente o di comprare qualcosa. Aveva escluso a priori i cognati perché si sarebbe limitati a lanciare una fattura Orcovolante e risolvere la questione. Il cervello di Harry si arrovellava per capire cosa stesse succedendo a Ginny e soprattutto perché avesse scelto di parlarne con Hermione e non con lui, insomma era convinto che potessero parlare di tutto.
«Sei sicura? Non è che hai capito male?» tentò la più grande. La ragazza con i capelli rossi scosse la testa affranta. «Da quanto tempo?» chiese sospirando, ormai senza più speranze di consolare l’amica affranta.
«Credo metà novembre…» mormorò. Vide le sopracciglia di Hermione arcuarsi così tanto da confondersi con l’attaccatura dei capelli, sospirò qualcosa ma lo disse a voce così bassa che Harry non sentì niente e si diede dello stupido mentalmente per non avere un paio di orecchie oblunghe.
Nel cercare di cogliere più dettagli possibili, vide una cartellina appoggiata sul tavolo, in un primo momento pensò che fosse una di quelle del Ministero che usavano per conservare i fascicoli ma ben presto si rese conto che era una cartellina bianca familiare, si sforzò di ricordare dove l’avesse vista ma non gli veniva in mente niente. C’era l’intestazione in alto a sinistra ma il tavolo era troppo lontano dalla porta ed Harry non riusciva a leggere.
Le due donne erano ancora lì a parlare, Harry avrebbe voluto fermarsi ancora un po’ ma l’orologio di Fabian Prewett segnava che era arrivato il momento di tornare in ufficio. Diede ancora un’ultima occhiata all’interno della cucina dove c’erano Hermione e Ginny intente a parlare, era in piedi e ormai era troppo lontano per sentire cosa si stessero dicendo. Si diresse verso lo sgabuzzino delle scope e fece ritorno al Ministero.
 
Quando entrò nel suo ufficio, vide Ron che aveva ancora delle briciole di pane sul mento. D’improvviso gli venne un’illuminazione. «Ron, hai idea di dove sia Hermione?» chiese con aria disinteressata per non dare troppo nell’occhio. L’amico alzò le spalle.
«Sono andato nel suo ufficio per pranzare insieme, come ogni giorno, ma non c’era. Probabilmente sarà giù agli archivi. Se non è alla scrivania è giù a controllare qualche legge magica del 1600» rispose ormai rassegnato alla solerzia della moglie. Harry annuì affondando nella sedia girevole dietro la sua scrivania. «Che hai?» chiese. «Sembra che tu abbia…» s’interruppe. Harry ridacchiò.
Visto un fantasma? Li vedeva da quando aveva undici anni. Sconfitto un centinaio di Dissennatori? Lo aveva fatto a tredici anni. Affrontato Voldemort? Lo aveva già fatto alla tenera età di un anno e poi a diciassette anni. Lo guardò con aria di sfida invitandolo a continuare. «…fatto da baby-sitter ai nostri nipoti!» terminò.
Effettivamente si sentiva uno straccio esattamente come quando Teddy e Victoire giocavano insieme per tutto il pomeriggio e lui doveva stare dietro a loro. Ringraziò i quattro fondatori di Hogwarts che Molly – la figlia di Audrey e Percy – avesse solo due mesi e non fosse ancora in grado di giocare.
«Credo di aver fatto un danno con Ginny» ammise. L’amico e cognato di portò istintivamente le mani alle orecchie tappandole.
«Non voglio sapere cosa combini con mia sorella» protestò come faceva sempre quando usciva fuori l’argomento “Ginny”.  Harry alzò gli occhi al cielo.
«Il problema è che non so cosa ho combinato» confessò. «L’ho sentita parlare con…» tentennò incerto se dire che Hermione non era veramente in ufficio ma a Godric’s Hollow con sua sorella «…con una sua amica e so che parlava di me. Le ho fatto qualcosa ma non so cosa!» concluse con tono lamentoso. Ron lo fissò.
«Anche Hermione fa sempre così con me. Torno a casa, lei è nervosa e dà la colpa a me per tutto» convenne l’amico di una vita. Harry si sentì rincuorato dal fatto che non fosse il solo ad avere problemi di comunicazione con la consorte. Solo che la faccia sconvolta di Ginny, gli occhi gonfi di lacrime, quel foglio che si erano passate tra le mani, mettevano Harry in allerta. «Passerà. Magari stasera quando torni te lo rinfaccerà e sarà una cosa stupida tipo non aver messo fuori la spazzatura» aggiunse.
Harry sospirò ma in cuor suo sapeva che non era così.
 
I dubbi su sua moglie non si erano fermati neanche mentre leggeva per l’ennesima volta la stessa riga di un verbale. I dettagli della missione che gli aveva spiegato Crowley erano giunti ovattati alle orecchie di Harry. Quando arrivò a casa la sera, Ginny era già a letto, sebbene non fosse così tanto tardi. Non c’era niente sul tavolo e istintivamente si chiese se lei avesse mangiato o se avesse deciso di non lasciargli niente per cena. Sul tavolo c’era solo un foglio di pergamena. Una parte di Harry avrebbe voluto che fosse il foglio che avevano letto lei ed Hermione la mattina, un’altra parte di Harry si sentì il cuore esplodere di gioia quando lesse un “Ti amo” scritto con la calligrafia ordinata di Ginny.
Salì al piano superiore e dopo essersi messo il pigiama entrò nel letto riscaldato con la magia. Ginny era rivolta verso la finestra e dava le spalle ad Harry. Lui si avvicinò e l’abbracciò più forte che poté. «Ti amo anche io» sussurrò al suo orecchio. Ebbe l’impressione di sentirla sorridere e finalmente tutti i pezzi sparsi di puzzle composero un’immagine perfetta.
 
«Hai origliato una mia conversazione?» domandò Ginny. Era indecisa se ridere perché aveva impiegato circa cinquant’anni a venire a capo di quella conversazione, o arrabbiarsi perché da Harry non se lo sarebbe mai aspettato. Lui si strinse nelle spalle.
«Non volevo, solo che vi ho sentito così agitate, tu eri stravolta, cosa avrei dovuto fare?» si giustificò.
«Andartene, per esempio? Oppure entrare e chiedere cosa stesse succedendo?» suggerì. Harry aprì la bocca e la richiuse come se in tanti anni non avesse mai considerato delle opzioni così semplici.
«Sono Harry Potter, non sono fatto per complicarmi la vita» rispose. «E poi anche se fossi entrato non mi avresti detto il reale motivo» le fece notare e Ginny non poté che essere d’accordo. In quel momento lì era in preda ad una crisi di panico e l’ultima persona che avrebbe voluto vedere era proprio Harry, quindi forse era meglio che fosse rimasto fuori.
«Non hai dovuto attendere molto per avere la risposta, anche se ci sei arrivato solo adesso» disse Ginny sorridendo sorniona.
«Già» convenne Harry.
«Ti ricordi il momento esatto?» domandò.
«Capodanno 2004» rispose puntuale.
E mentre Harry cominciava a raccontare, le pareti del salotto di Godic’s Hollow diventavano quelle della Tana.
   
 
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