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Autore: B_Yul    24/01/2021    0 recensioni
Una storia antica lega la giovane Jia al Dragon Hole nel sud della Cina.
Quando arriva a Seoul per assumere il ruolo di vice del CEO di Elite Entertainment, Park Chanyeol, si trova al centro di uno scambio di messaggi che le sveleranno la verità sulle sue origini.
Riuscirà il CEO Park a conoscere ogni lato della strana "signorina Wein" prima che mamma Park lo spinga all'altare?
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chanyeol, Chanyeol, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 3
 
Jia restò a riflettere ancora un po’ prima di fare yoga e infilarsi tra le coperte calde, le sarebbero servite quelle 48h successive per riprendere il controllo sulle proprie ossa doloranti, l’aereo le piaceva per lo scopo, non troppo per la posizione.
La notte fu consigliera fedele, sogno di essere distesa sul letto di un fiume fresco in una foresta con uno spicchio di sole a vista e si svegliò rigenerata, pronta per qualunque cosa quel primo “no” potesse portarle.
Accese il telefono, 2 messaggi.
 
Aprii gli occhi pochi minuti prima che la sveglia mi costringesse a farlo, mi stirai nel letto e presi il telefono. Trovai due messaggi su kakao talk, entrambi di Chanyeol: “signorina Wein, lei è la prima donna che mi dice no, è sicura della sua scelta?”
E il secondo: “Le auguro una buona notte, non si preoccupi per lunedì, troverà tutto sulla scrivania e me nell’ufficio accanto per qualunque problema”.
No faccine, no punti strani, no astio.
Park Chanyeol era un bel tipo davvero.
Decisi di sfruttare la giornata per incontrare Miji, non la vedevo da più di due anni se non in video chiamata, ma lei lavorava per un’azienda di telecomunicazioni che aveva stipulato un accordo con KBS nel 2018 e da allora, era sempre di corsa tra uffici e provini tv di aspiranti qualcosa.
Provai a chiamarla una volta raggunto il centro:
“Unnie, sono a Myeong Dong, ti aspetto di fronte alla Woory Bank?”
“Jia-ssi, sono in metropolitana, aspettami al Bar dello Shinsegae, ho prenotato Miji per 2”.
Ecco, un dettaglio interessante su Miji è che ora finalmente avrei avuto uno stipendio all’altezza dell’immagine che aveva di me.
“Ok unnie, a dopo”.
Mi avviai verso il centro commerciale, ondate di miei connazionali uscivano con buste colme di abiti firmati e io arrivai velocemente al bar, presi il mio posto, sorrisi al cameriere bello come un idol e ordinai due dalgona, dolcificante per me e zucchero di canna per Miji.
“Dongseng ya!!”
“Unnie!! Che bella che sei!”
“Ma senti chi parla, quanto mi sei mancata!”
Due insolite asiatiche alle prese con slanci affettivi fuori luogo in luoghi troppo chic.
“Sei a Seoul, non ci credo! Devi dirmi tutto, non ho idea di cosa tu faccia”
Tirai fuori il cartellino dell’agenzia con il mio nome  e la fototessera: “VICE CEO?? Stasera si beve. Non accetto scuse. Solo … occhi aperti Jia – sii”, ammiccò vistosamente come volesse alludere a qualcosa di molto promettente ma, ovviamente, la mia lentezza cognitiva non si fece da parte: “Ma in che senso?”
“Nel senso che, come sai, da due anni sono alla KBS e da due anni, Chanyeol Park, è il CEO di Elite. Questo non solo significa che preparo la sedia che accoglierà le sue chiappe ogni santa sera di broadcast dal vivo che il cielo ha creato ma che so bene quanto sia un marpione. Tu sei grande adesso, devi trovare un uomo pronto a sposarti”.
“Unnie, no”.
“Si invece, niente mosconi! Domani mattina, unnie ti porta dalla lettrice e vediamo come procede la mappa astrologica. Se Chanyeol si dimostrerà pericoloso per te, andremo dritte alla YG e non metterai a rischio la tua carriera”.
 
Le passai la quadratura che mi aveva fatto mia nonna prima di partire.
Rimase in silenzio mentre leggeva i dettagli, man mano la bocca si schiudeva un po’ di più finché non fu spalancata e alzando lentamente gli occhi, dopo averli fissati nei miei, disse: “Jia – ssi … ma allora”
La fermai: “Unnie, non dirlo. Questo sembra. Io sono qui per lavorare però e prendere ciò che voglio, il resto è contorno. Adesso che abbiamo finto di essere signorine per bene, andiamo a mangiare le tteobokki”.
“Sei seria?”
“Si, serissima. E lo so che è importante io trovi questa persona, perché la medicina è quasi finita e questo potrebbe costarmi caro. Ma voglio godermi un po’ la vita unnie, mi sento così vuota”.
Lei sorrise e annuì in accordo: “Allora adesso andiamo al mercato, per stasera ci organizzeremo come preferisci, voglio sapere come stai e parlarti un po’ meglio di quello che troverai qui tra i vari studi e le redazioni”.
“Grazie unnie, andiamo si!”
Passammo la serata alla ricerca del posto perfetto ma, come al solito, ordinammo il sushi per poi stare a casa in pigiama e pantofole. Avevamo tanto da dirci così ci sedemmo pronte per una full immersion al tavolino basso, dove le mie povere gambe lunghe soffrivano di claustrofobia.
“Unnie, come ti trovi?”
Sorrise mesta e provò a fare la sorella maggiore ma poi sospirò leggermente sapendo che non avrebbe attaccato con me: “Ahh, Jia – ssi, non mi trovo male solo che sono tutti troppo preoccupati dei soldi. Sono importanti, lo so, ma la competizione mi sta uccidendo. Non mi ricordo nemmeno più per cosa si stia competendo, io voglio solo un buon lavoro stabile, non mi interessa diventare la nuova Ellen di Corea. Capisci che intendo?”
Ricambiai il sorriso annuendo: “Capisco si, anche se non sono la persona più adatta a dar contro al sistema competitivo, ammetto che la pressione non piace nemmeno a me. Io sono ambiziosa di mio ma se non lo fossi, non sarebbe forse giusto anche poter fare un lavoro normale con uno stipendio base e vivere una vita normale? Se mi metto nei panni di chi non ambisce a posizioni come la mia ma anche la tua, soffro più di quanto non faccia ora”.
Mi passò un biglietto da visita: “Questo è per passare nel backstage di MCountdown, non voglio dimenticarmi di dartelo. Sarò lì domani sera, mi farebbe piacere venissi. Chissà, forse potresti trovare anche altre occasioni altrettanto buone”.
Risi, perché mi resi conto di quanto poco le piacesse Chanyeol: “Unnie lo detesti quell’uomo? Ahah”
Si unì alla risata mentre versava un primo shot di soju: “No ahah, non lo odio, lo trovo bello in modo irritante e quasi impenetrabile. È un ragazzo strano Jia, lo è sempre stato ma negli anni non ha fatto che chiudersi sempre di più. Non so…”
“Aspetta … lo conoscevi già?”
Esitò un po’ nella risposta e rimase col bicchierino in sospeso, così battei il mio contro il suo per brindare, tirammo giù quel primo shot e poi ricominciò a parlare ma sembrò volerla prendere dal verso giusto quasi temesse io potessi capire male: “Eravamo compagni di corso all’università, niente di che, nessuna confidenza. Solo che è davvero bello e chiunque abbia a che fare con lui sembra cada sotto una specie di incantesimo, lui sembra saperlo e si diverte poi lo vedi in giro con gli amici e sembra sempre sia incazzato per qualcosa che non dice mai, però. Ahhh non lo so, potrebbe essere un mio film mentale. Secondo me però pensa talmente tanto al lavoro che a fine giornata, lo immagino in una di quelle scene da film in cui lancia la valigetta sul letto e si siede sul pavimento con le mani in faccia a chiedersi se non sarebbe stato meglio scegliere di fare il tramviere”.
La guardai confusa: “Il tramviere?”
“Oh, è il primo lavoro che mi sia venuto in mente. Una cosa qualunque comunque, mi spiego?”
“Ti spieghi. Triste ma non improbabile”.
Era esattamente il modo in cui mi sentivo io fino a pochi giorni prima. Fino al momento in cui mi era stato dato l’incarico in realtà. Io non avevo mai vissuto male il mio voler arrivare in alto, perché venivo davvero dal bassissimo e non c’era certo un agonismo al successo nel mio piccolo villaggio. E poi FeiFei mi diceva sempre: “Ricordati che la fama è il velo di Maya del successo, se non hai sudato per qualcosa e non hai pianto almeno 100 volte per conquistarla, la fama non ti farà felice, al massimo ti sfamerà. Ma per quel che mangi tu, piccina mia, puoi anche farne a meno”.
E aveva ragione.
“Senti Jia, riguardo la medicina …”
“Si, lo so. FeiFei dice che ce n’è ancora per un paio d’anni ma è preoccupata perché non conosce nessuno che possa andare a prendere la carpa sotto il Dragon Hole e le alghe. D’altro canto mi spieghi a chi si possa raccontare una roba del genere? Ti immagini la conversazione? Senti scusa non è che mi peschi del grasso di pesce e tre foglie d’insalata marina che ho l’emicrania da telepatia? Mi arrestano!”
Lei sembrò di nuovo riflettere su qualcosa che non sapevo.
“FeiFei quindi non ti ha detto altro?”
“No, mi ha … il biglietto!”
All’improvviso mi ricordai del biglietto che Fei mi aveva detto di leggere una volta sveglia, me lo ero completamente dimenticato ma andai di corsa a recuperarlo e lo portai a tavole: “Mi ha lasciato questo in valigia, non so cosa sia”
“Se te la senti, penso sia il caso di leggerlo ora e decidere se uscire e andarcene un po’ ad Hongdae a ballare”.
L’idea mi fece impallidire ma pensai fosse il caso di non rinviare oltre, mia nonna non amava le dimenticanze.
Aprii la bustina di carta di riso e ne estrassi la piccola pergamena, la stesi delicatamente e il messaggio fu chiaro: “I mali dei veggenti guariscono in due modi: spalmando l’unguento sacro o trovando chi li sabbia amare. Per 37 distanze mare , 126 distanze Luna, piccina mia, buona fortuna, trova la cura prima che il cielo mi porti con sé”.
Un po’ provata dalla lettura, girai il biglietto a Miji che spalancò un sorriso e prese l’applicazione di geo localizzazione.
Dopo un minuto o due, che sembrarono un anno o dieci, esclamò: “BINGO”
“Bingo che?”
“Queste sono le coordinate di Seoul! La cura, è qui! Sono bisogna trovare chi sia a venderla!”.
“L’unguento qui? E come fanno? Unnie non voglio entrare nei dettagli della manifattura, sappi solo che sarebbe del tutto impossibile. Deve voler dire qualcos altro. Magari qui c’è qualcuno che va lì a pescarlo e farlo però?”
Si passò la mano sul mento e puntò lo sguardo nel mio: “Senti. Vestiti. Bisogna andare a ballare stasera”.

Scese il silenzio nel tragitto in macchina da Cheong Dam a Hongdae e Jia iniziò a pensare che Miji fosse come lei, aveva deciso di andare al club senza nemmeno averle chiesto se ne avesse voglia come se sapesse che avrebbe capito. Ma Jia, non aveva capito un bel niente a parte che si stesse mettendo in un modo quanto meno peculiare la cosa.
Quando arrivarono davanti all’ingresso del Club M2, ebbe la conferma che Miji fosse, se non come lei, quanto meno qualcosa di molto simile.
 
Mentre eravamo in fila per entrare senza prenotazione, il che avrebbe significato per almeno un’altra ora in cui avrei maledetto il freddo, sentii una voce familiare: “Signorina Wein, vedo che ha riposato abbastanza ieri”.
Miji sorrise e mi fece segno che sì, era come pensavo: “CEO Park, lei non è così anziano allora”. Mi rifilò un’occhiata poco divertita ma seguì un mezzo ghigno: “Forse potremmo addirittura darci del tu comunque. Non crede?”
“Me lo dica lei, è il capo”.
Miji mi diede una gomitata a cui seguì un sussurrato “ti chiederà di allontanarvi, vai a Namsan Tower” a cui reagii al meglio di me: “NO!”
Lui ci osservava confuso, i suoi amici con lui: “Tutto bene?”
Cercai di recuperare in corner: “Si grazie, ma perché siete in una fila diversa? Unnie dimmi che non abbiamo sbagliato fila, sto congelando”.
Lei rispose dandosi una mano sulla fronte: “No, sono loro ad essere nel privè e quindi …”
Uscì una ragazza piuttosto succinta che guardò Chanyeol come fosse pronta a sposarlo immediatamente, i suoi amici tirarono un sospiro di sollievo e fecero per entrare ma lui …: “Senti, Jia. Ti andrebbe di fare un giro? Ormai sei fuori dal piumone. Mh?”
Miji mi fece segno di andare e mi mise in tasca la pergamena. Le coordinate riportavano esattamente Namsan Tower. A quel punto Chanyeol la riconobbe: “Miji! Scusa non ti avevo riconosciuta. Ti trovo bene, ho saputo che sei alla KBS. Congratulazioni!”
Miji rimase sconvolta aspettandosi forse qualcosa di diverso, mi lanciò uno sguardo come a dire “Chiamami se hai bisogno” e si congedò con un : “Grazie. Congratulazioni a te per i risultati dei ragazzi. Bene, io vado, divertitevi e noi”, mi disse, “Ci vediamo domani mattina ad Hanok Village, alle 8:00 puntuale”.
Annuii e mi ritrovai col braccio avvinghiato a quello del mio capo che mi fece sedere sul sedile di un’Audi nera per poi prendere posto alla guida.
Avevo un misto di sensazioni strane, non avevo idea di come Miji fosse arrivata lì con la mente e del perché mi avesse messo in condizione di non poter dire di no ma mi limitai a rilassarmi con l’aroma di cannella dell’abitacolo.
“Quante volte sei stata a Seoul?”
La sua voce mi riportò alla realtà, feci mente locale: “Tre volte, questa è la terza, si”
Lui sembrò colpito: “E perché parli così bene il coreano?”
“Perché mi piace e perché il mio ex è coreano”
Lui annuì: “Capisco. Quindi hai visto già tutto di qui? Oc’è qualcosa che vorresti vedere? Di notte è quasi tutto aperto”
Mi ricordai del biglietto e cercai di fingere al meglio una riflessione di almeno 20 secondi prima di dire: “Namsan Tower, mi piacerebbe andare lì ma non so se sia aperto di notte”.
“Lo sai che sei strana? Quando dico a una ragazza che è tutto aperto di notte mi chiedono di portarle a fare shopping, non a vedere Seoul dall’alto. Un’anima romantica, signorina Wein”
Risi un po’ all’idea che fosse sembrata una proposta romantica. Bello, però, lo era davvero il CEO Park, su questo MIji aveva ragione.
“Ma che romantica ahah non mi piace fare shopping, mi annoia tanto, preferisco andare nei negozi piccoli e comprare velocemente quel che mi serve.
Mi lanciò un altro dei suoi sguardi incomprensibili: “Sei proprio strana, confermo. Quindi a te viene naturale tutto questo?”
Non capii la domanda: “Tutto questo cosa?” e lui ne approfittò per affondarmi con una frase che mi restò addosso per tutta la notte e l’intera permanenza in quell’azienda: “Quest’aria posh. Sembri uscita da una vetrina di Gucci. In senso buono ovviamente ammesso che ci sia un possibile senso negativo”.
“No, non credo ci sia. Comunque si, a quanto pare non richiede alcuno sforzo da parte mia sembrare un manichino”
“Ed ecco spuntare il possibile senso negativo ahah”
Mi sembrò la situazione più assurda che avessi mai vissuto, ma cercai di scrollarmi di dosso il bisogno di essere sempre prudente e pesante.
Arrivammo a Namsan Tower e, incredibilmente, davvero qualcuno fu disposto a scortarci fino in alto per poi lasciarci soli con un lucchetto e una chiave tra le mani.
“E questi?”, chiesi.
“Questi li danno a tutte le coppie, noi non lo siamo ma loro non lo sanno quindi ora lo metteremo qui di buon augurio per il nostro lavoro insieme. Vieni, sediamoci.
Chanyol e Jia erano simili: occhi grandi, alti, spalle larghe e cuori solitari, sagittari con la smania del successo e della rivalsa. Uno di fronte all’altra iniziarono a girare intorno alle reciproche ferite, in uno strano eccesso di confidenza che Jia percepì senza il solito fastidio. Chanyeol, dal canto suo, aveva fatto tutto questo con un obiettivo specifico ma quando se l’era trovata davanti per caso all’entrata del club, aveva deciso di volersi prendere la responsabilità di dire no a sua madre perché, quella ragazza, non meritava sicuramente di essere coinvolta nei propri disagi familiari.
“L’altra sera ti ho chiesto di vederci … perché il rimedio che mi hai dato ha funzionato ma dopo un po’ mi sono sentito un peso addosso. Una cosa nel petto, non so come …”
“Come un rimorso”.
Lui si voltò di scatto: “Come lo sai?”.
“è medicina ahyurvedica, porta in superficie i dolori sepolti. Che fa il nostro mestiere ha sempre dei rimorsi”.
“Quindi ne hai anche tu?”.
“Oh, più di uno. Ma se c’è una cosa che ho imparato, è che ai rimorsi si pone rimedio solo imparando a non averne altri”.
Annuì e si voltò di più per guardarmi poi negli occhi: “Ho avuto l’impulso fortissimo di chiederti di fingerti la mia compagna per evitare che mia madre mi combini le nozze con la figlia di un amico di mio padre”.
Scoppiai a ridere.
Lui sembrò sentirsi più leggero: “Scusa, non volevo ridere così ma è una cosa che non mi è mai capitata prima. Ma perché dovrebbe combinarti il matrimonio? Nel 2017? Sei giovane!”
“Si … non lo so. Però stasera quando ti ho vista ho capito di dovermi prendere le mie responsabilità e affrontarla. Ho letto il tuo curriculum tante di quelle volte che non so praticamente nulla di te come persona, ma so di volerti vedere al lavoro senza crearti problemi. Però visto che siamo quassù, ti va di dirmi qualcosa di te?”
Riflettei sul da farsi, avrei potuto mettere su una storia più comune e meno pittoresca ma non ne trovai il senso in quel momento. Essere arrivata in cima alla città con uno sconosciuto non mi metteva nella condizione di voler mentire.
“Ah … beh io sono nata a Shanghai per quanto ne so. Non conosco la mia vera madre, lei mi ha lasciata davanti al portone di un convento poche ore dopo che sono nata e non ne hanno mai più avuto notizie. I monaci mi portarono in ospedale e lì mi trovò la mia mamma adottiva, Rubla che mi portò via velocemente. Non so come abbia fatto, so che mi hanno cresciuta lei e sua madre, FeiFei, che è un’ahyurveda appunto.
Tutto quel che so è che la famiglia da cui provengo non ha mai cercato di ritrovarmi, si pensa quindi mia madre fosse in una casa di accoglienza prima di lasciarmi. Comunque verso i 15 anni mia nonna ha deciso di farmi studiare all’estero. Ho passato 5 anni lì e ho preso la green card, per questo ho il doppio passaporto, non è vero che sono americana. Ma non dirlo per favore, sono visibilmente mista, non voglio mi si chieda perché. Sono tornata da poco in Cina ma ho subito ricevuto la conferma dell’incarico come tuo vice. Quindi eccomi qua!”.
Chanyeol non sapeva da dove iniziare, gli sembrò che quella naturalezza dell’ondeggiare sulla vita, fosse roba di un altro pianeta. Si chiese con una storia simile, lui dove sarebbe ora e come parlerebbe del proprio abbandono. Alla fine si convinse a dire qualcosa.
“Come fai a parlarne così?”
Lei sorrise e guardò in cielo respirando quell’aria così poco pulita ma così bella perché nuova: “Sono stata amata Chanyeol. Veniamo al mondo per essere amati, gli spiriti ci vogliono felici anche quando non riescono ad organizzarsi per farci incarnare tali. E tu? Che mi racconti?”
Esitò un attimo, poi tirò su la lampo della giacca fino al collo e provò a ricambiare il racconto: “Io non conosco mio padre. E andato via di casa appena sono nato, lo conosce Yoora, mia sorella. Dice che non ha mai più avuto sue notizie però dopo la mia nascita. Ha lasciato nostra madre per un’altra donna e non abbiamo idea di dove siano. A parte questo, i suoi genitori hanno intestato a mia madre la sua catena di ristoranti e quello che chiamo papà non è altro che il compagno di mia madre da quando avevo un anno circa. È da lui che ho ereditato l’azienda, è morto lo scorso anno per un incidente”.
Mi resi conto che la sofferenza ha mille facce in quel momento.
“E tu, come fai a raccontarlo così?”
Sorrise.
“Sono stato amato, Jia. E anche se io ho smesso da un po’ di farlo, essere amato mi ha insegnato a non definirmi col dolore che sento”.
Mi alzai e mi affacciai dal cornicione: “Questa serata era già strana prima di iniziare”.
Lui si mise accanto a me: “Sono d’accordo. Hai sonno?”
“Non particolarmente, questo posto è bello di notte”.
“Soju?”.
Mi dissi che si, avrei bevuto con uno sconosciuto senza pensare al lavoro per una volta: “Soju sia”.

 
   
 
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