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Autore: D a k o t a    30/01/2021    1 recensioni
[Spoiler 15x20 - In cui io sono Andy Dufresne e il finale canon è una prigione - fix it!Everybody lives - due capitoli + epilogo]
Tutto è relativo.
Anche l'esistenza della 15x20.
"Poi si alza; si alza perché è Sam Winchester ed ha un piano. Si alza perché ha ingoiato il desiderio e la solitudine per anni, ha lavorato e viaggiato e fatto ricerche per anni, fino a quando non erano riusciti a trovare una soluzione per qualsiasi problema – il demone che aveva ucciso la mamma, Amara e dannazione, persino Chuck – e non si sarebbe arreso. Perché è Sam Winchester e anche quando si arrende, anche quando si lascia andare, lo fa curando ogni minimo dettaglio, così che nessuno potesse dimenticare che era stato lui."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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NDA: questa storia suppone come metanarrativo - quindi come storia dentro la storia - tutto ciò che accade dopo la sconfitta di Chuck nella 15x19, sulla spiaggia. Suppone che una volta venuto meno il narratore interno, Chuck, non si sia più saputo nulla di quello che è successo a Sam e Dean perché erano liberi di scrivere le loro storie e non vi era più nessuno a raccontarle. Va da sé che tutto ciò che rimane - 15x20 e ultima scena della 15x19 - non è nient'altro che il finale della serie di libri di Supernatural scritta da Chuck.

Zihuatanejo (Every man has his Shawshank)

“I’ll tell you where I’d go:Zihuatanejo. It's a little place on the Pacific Ocean. You know what the Mexicans say about the Pacific? They say it has no memory. That's where I want to live the rest of my life. A warm place with no memory.”

[Andy, The Shawshank Redemption]

Da qualche parte, Dean inizia a soffocare piano.

Così piano che, mentre quel dolore lo trafigge, Sam a malapena si accorge che è ora, che è inesorabilmente ora. O forse non vuole accorgersene come chi, incapace di accettare una fine, ne immagina un’ illusoria continuazione.

I reni sono i primi a cedere, svuotandosi di un’urina piena di proteine e sangue, seguiti dal fegato e dall’intestino e, lentamente, il corpo perde la capacità di ricostituire le molecole – proteine, lipidi, acidi nucleici, zuccheri – che ha smarrito.

Sam gli stringe la mano e appoggia la sua fronte su quella di suo fratello: è solo un corpo, quello che tiene fra le dita, un corpo che, lentamente, muore.

“Va bene, Dean. Puoi andare adesso”

Il silenzio è rotto solo da un “addio, Sammy” che a Dean rimane sulle labbra: è l’amore interrotto, è il sibilo della vita che esce dal corpo.

[...]

Le pagine della vita di Sam scorrono veloci sotto le sue dita, sibilano beffarde: eccoti un bambino, una moglie e la tua staccionata bianca, non è forse quello che volevi?

Non è forse così che sarebbe dovuta sempre finire?

Non c’è tempo per rimuginare.

In fondo non importa: quelle pagine non sono nient’altro che una parentesi fra la morte di Dean e la sua.

Ma Sam entra ancora nell’Impala di tanto in tanto. Appoggia le mani dove le metteva suo fratello e pensa. Pensa che deve esserci un mondo, da qualche parte dell’universo, in cui sono stati felici.

Lo pensa, perché è la sua unica consolazione.

[...]

Sam è vecchio e rugoso, quando si spegne nel suo letto.

Quando apre gli occhi per l’ultima volta, non trova ad accoglierlo il volto di suo fratello, ma il peso confortante di una mano sulla sua, le mura familiari di casa e un respiro leggero. Il rumore rischia di cullarlo nuovamente nel sonno, ma Sam è un Winchester, stringe i denti, si sforza di tenere gli occhi aperti e volta il capo verso la provenienza del suono.

“Papà”

C’è un ragazzo seduto sul suo letto, ha i capelli scuri e gli occhi castani e un brivido scorre lungo la sua schiena al pensiero che quello sia suo figlio, che siano passati tutti quegli anni, che…

Prima di chiudere gli occhi – e i polmoni, e il cuore – Sam sussurra, con voce spezzata:

“Dean”

Si ferma, gli manca il fiato. Sente una morsa stringersi intorno al suo cuore, che forse è la morte, forse è già la nostalgia di non aver avuto suo fratello accanto per quasi quarant’anni. Suo figlio si volta a guardarlo con i suoi occhi castani, come il legno del tavolo in cui avevano inciso i loro nomi, e chissà che fine aveva fatto quel bunker ora che Dean non c’era più, ora che lui non c’era più e di nuovo, per sempre, con un dolore sordo che gli riempie il petto anche se non è il suo, pensa: non doveva andare così.

Suo figlio prende parola.

“Papà, va bene, puoi andare adesso”

Un sorriso di lacrime umide gli spacca il viso – come una vecchia barra avrebbe potuto lacerargli il torace, se solo si fosse trovato altrove, se solo le cose fossero andate diversamente.

[…]

Sam ha gli occhi chiusi e non c’è più. E’ fermo e steso sul letto da tanto di quel tempo, che sulle gambe e sulla schiena hanno iniziato a formarsi piccole piaghe da decubito.

La sua carne ha iniziato a morire prima di lui – la sua carne ha iniziato a morire nel giorno in cui si è chiuso le luci alle spalle e ha lasciato il bunker e Dean era cenere nell’aria e non era accanto a lui e avrebbe dovuto esserlo, se solo, se solo, se solo -

Dove si trova, adesso? In un’altra vita.

[…]

“Ehy, Sammy”

“Dean”

Perché nulla finisce sul serio, non è vero?


 

E Dean stringe la carta con una forza ingestibile, tale che la carta si spezza, dopo aver opposto una breve resistenza, separando la metà di quell’ultima pagina.

Lancia il libro il più lontano possibile da sé e quello cade per terra, chiudendosi con un tonfo che gli permette di osservare la fottuta ironia di quella tomba in copertina con su scritto Winchester. Sotto, a caratteri cubitali, c’è il nome Carver Edlund. Figlio di puttana.

Non è che sia una sorpresa che Chuck abbia deciso di pubblicare comunque il finale e che Sam abbia affittato l’unica baita con una libreria di merda, maledizione.

La cosa nel libro non è più lui, ma ha i suoi capelli, il suo volto; sono le sue labbra, è il suo fiato che gli lascia la bocca in un ultimo singulto. Sono i suoi vestiti quelli che indossa ed è l’odore del suo dopobarba, quello che gli pare di percepire, sotto il tanfo della morte; è il suo peso quello che cade addosso a quello che non è più Sam (ma avrebbe dovuto esserlo), quando la cosa muore.

La cosa nel libro non è più lui, ma avrebbe dovuto essere lui.

Guarda il dorso del volume con sopra scritto “Supernatural:la fine” e poi guarda il fuoco perché vorrebbe...

Ma poi il suo telefono sul tavolo squilla, ed è Sam che lo chiama e Dean pensa solamente che sia bello e ringrazia – e non sa perché gli venga il pensiero, ma gli viene e resta incastrato in qualche emisfero del cervello – di essersi fatto convincere a lottare contro Chuck. Ringrazia di aver lottato abbastanza perché non abbiano avuto bisogno di rischiare la vita per rincontrarsi, forse.


 


 

***

Quando Sam rientra nella baita, la biblioteca è rovesciata per terra ed è ancora troppo presto perché un brivido non gli scorra lungo la schiena e non pensi ad una colluttazione. Spalanca la porta della camera di suo fratello.

“Dannazione, Sammy, non ti hanno insegnato a bussare?” inizia Dean, ma quella frase esce più stanca e spezzata di quello che Sam si aspettava, di quello che si immaginava dopo essere andato a comprare qualcosa da mangiare e averlo lasciato a spalare la neve, fuori da quella casetta.

Suo fratello maggiore è seduto alla scrivania e gli dà le spalle. Ha l’agenda di papà fra le mani e sta fissando lo schizzo di una maschera.

“Dean, non ti hanno insegnato a rispondere al telefono?” ribatte piccato, avvicinandosi verso di lui. “La libreria era per terra, ho pensato che...”

Gli occhi di Dean si posano su di lui per un momento, in un moto di scuse silenziose, senza lasciare che finisca quella frase. Poi la sua attenzione viene di nuovo risucchiata dall’agenda, come non succedeva da mesi, da quando Jack aveva portato via tutti i mostri come un ultimo regalo per loro, nel Giorno del Giudizio. Da qualche mese, il Paradiso sembrava davvero essere sulla Terra.

“1986. In Ohio papà stava indagando su un caso in cui i bambini venivano rapiti dalle loro famiglie. Quei figli di puttana uccidevano il padre dissanguandolo e strappavano la lingua alla madre” spiega ad un certo punto, con un grugnito. “Il caso non fu mai risolto, Sammy.”

Poi Dean chiude gli occhi per un secondo, cercando di cacciare tutte quelle voci che lo portano a pensare che possa non essere finita, che possa essere ancora prigioniero di quella storia, che possa -

“Ci sono stati casi simili di recente?”

La domanda di Sam è una domanda cauta, la domanda di chi ancora percepisce come possibile una nuova Apocalisse, di chi ancora stenta a credere che, dopo anni di dolore, cacce e morte, possa davvero essere possibile. Possa davvero esservi la pace.

Dean d’altra parte si lascia andare ad un sospiro. Tutta la stanchezza che aveva smaltito sembra ripiombargli nuovamente addosso. Lancia un’occhiata diffidente a suo fratello.

“No. Non da quello che ho controllato, niente di simile in giro da almeno quindici anni, forse di più.” ammette alla fine, in un sospiro.

Un’ombra di domanda sembra aleggiare nello sguardo del minore dei Winchester. Poi stringe gli occhi, come a voler vederci chiaro – si trova a pensare, non per la prima volta, che nessuno sia abile come lui a individuare e smascherare ogni singolo tentativo di bluff di suo fratello.

“Quindi hai solo deciso di smettere di spalare la neve di punto in bianco, distruggere la libreria e di metterti a indagare su un caso di papà di qualche decennio fa perché ne avevi voglia? Cosa è successo?” gli chiede Sam, inarcando il sopracciglio.

Dean esita per un attimo sotto il suo sguardo. Sam non è più un bambino di cinque anni che fa domande scomode e si impiccia troppo di cose da grandi, ma ha ancora quel dubbio, ha ancora l’insistenza che aveva all’epoca. Sbuffa, alzandosi di scatto e aprendo uno dei cassetti per tirare fuori il maledetto libro. Poi glielo passa rudemente, sbattendoglielo all’altezza dello sterno.

“E’ successo Chuck, ecco cosa è successo.” afferma, mentre suo fratello sfoglia nervosamente le pagine.

Il minore dei Winchester sussulta, guardando la tomba in copertina. Ci vuole un attimo perché trovi il coraggio di aprirlo, perché Sam osservi quelle pagine come se fossero altro da sé: Dean irrigidisce la mascella mentre scruta il modo in cui scorrono sotto le sue dita flesse. Poi Sam arriva a ciò che resta dell’ultima pagina - che non è molto, ma è abbastanza perché studi gli spasmi che scuotono il corpo di suo fratello in quelle pagine, i tremori che gli squassano le membra. Deglutisce, senza guardare l’uomo che ha davanti, attendendo di avere la fermezza necessaria per farlo.

Sente una morsa nel petto ricordargli quanto sia andato vicino a perderlo per sempre. Poi alza la testa e Dean ha un’espressione così simile a quella che Chuck sembrava aver descritto mentre moriva da farlo sussultare.

“Saresti morto in quella caccia” trova alla fine il coraggio di dire ad alta voce alla fine, per poi concludere. “Se le cose fossero andate diversamente”

Quel fratellino idiota che si ritrova è sempre stato più bravo di lui a buttare tutto fuori e, dannazione, Dean abbozza un mezzo sorriso, uno di quelli che - Sam lo conosce bene - fa per nascondere un tumulto un po’ più profondo.

“Oh, andiamo, Sam. Non è che sia poi così sorprendente.” afferma alla fine, lasciandosi andare a sedere sul letto, alle sue spalle. “Vampiri, qualche figlio di puttana che ritorna dal passato, un ultimo bang-bang e poi puff, Paradiso? Non suona neanche così male, in fondo l’ho sempre immaginato e...”

Il minore dei Winchester alza gli occhi al cielo e solo in quel momento si accorge delle bottiglie di vetro vuote, nascoste sotto la scrivania. Sbuffa, perché non è come se non sapesse che suo fratello si comporta così quando ha una paura fottuta di qualcosa.

Perché la verità è che, dopo una vita passata a morire e a rinascere, sapere che ci sarà comunque una fine è una verità assai dura da accettare.

Specie se quest’inverno arriva troppo presto, quando hai ancora tanta neve da assaporare, dopo aver spalato tanta, tanta merda.

“Dean” inizia, avvicinandosi lentamente verso di lui.

Non è facile rassicurare Dean, quando ha appena letto di essere stato a poco così da perdere suo fratello in un bagno di sangue. Non è facile, e Sam non può che rabbrividire, ripensando al contatto con quelle parole.

Dean invece continua a parlare, senza prestargli la minima attenzione.

“Guarda il lato positivo: almeno quel bastardo si è degnato di mettere Baby in paradiso...” chiosa poi, senza riuscire a trattenere uno sbuffo sardonico.

Sam alza gli occhi al cielo e scuote la testa, in un moto di pura esasperazione, spingendolo verso il letto. Non l’avrebbe mai ammesso, ma l’idea di un Dean nuovamente terrorizzato lo spaventa come nulla al mondo – non l’Inferno, non la Gabbia, non Lucifero.

“Dean, vuoi stare zitto un secondo?” ribatte suo fratello, alzando la voce, ed eccolo il fuoco dei Winchester.

In altre situazioni, Dean avrebbe trovato divertente quel piglio deciso così simile a quello di papà quando si arrabbiava. In altre situazioni. Ma ora c’è quel libro che Sam ha lasciato sulla scrivania, c’è l’agenda di papà fra loro ed è tutto più complicato.

Sam attende che gli occhi di suo fratello - che si ostina a rimanere seduto sul letto - si posino su di lui, prima di prendere parola.

“Abbiamo sconfitto Chuck, Dean.” afferma alla fine, con lo stesso tono perentorio che aveva utilizzato in precedenza. “Non ha alcun potere su di te, almeno che non sia tu a darglielo! E non avrò questa conversazione con te da ubriaco.”

Sam distoglie lo sguardo dall’espressione indispettita che si è dipinta sul volto di suo fratello, ma non è abbastanza per nascondere i gemiti di dolore che ha appena letto. Non è abbastanza perché - dopo aver spinto Dean a sdraiarsi - non sospiri di sollievo nel vedere che non c’è nessuna traccia di sangue sulle sue mani, a quel contatto.

Suo fratello oppone resistenza, poi si lascia cadere pesantemente sul letto e gli dedica uno sguardo di pura diffidenza.

“Bel tentativo, fratellino.” commenta, con una punta appena di amarezza a incrinargli la voce. “Ma non sei stupido e hai visto quel disegno nell’agenda di papà, Sammy. Quella caccia esiste davvero.”

Dean continua a tenere su incessantemente un mezzo sorriso ironico. C’è una parte di lui, che inizia e termina nelle ossa e nei muscoli della sua schiena, rigida per la tensione, che si aspetta di sentire l’aria muoversi per poi vedere uno di quei maledetti vampiri materializzarsi davanti a lui per finirlo. E’ pronto a sentire il ferro lacerargli la carne.
Ma c’è solo suo fratello, che lo ha spinto gentilmente a sdraiarsi sul letto, in un modo che lo riporta ad un’altra scena – i suoi capelli più corti che si stagliavano contro le pareti opache di un motel, le stesse bottiglie nascoste troppo maldestramente e gli occhi di Sammy che gli pregavano di ucciderlo se mai avesse fatto qualcosa di male a qualcuno.

Poi Sam si allontana, si siede alla scrivania e comincia a leggere dal diario di papà.

“Dean, in questi casi i corpi venivano dissanguati” afferma poi, scorrendo le pagine. “Ne abbiamo già parlato in passato qualche anno fa, non ti ricordi? Papà non sarebbe stato convinto che i vampiri si fossero estinti, se avesse letto di corpi dissanguati. Doveva aver capito che si trattasse di altro. Un serial killer forse, la dinamica sembra ritualistica...”

Dal cuscino su cui ha appoggiato la testa, una smorfia si dipinge sulle labbra di Dean.

Davvero, Sammy?” chiede alla fine, con piglio sarcastico. “Stai davvero utilizzando la tua ossessione per i serial killer per risolvere un vecchio caso di papà?”

Solo dopo che Dean ha terminato quell’obiezione, Sam si accorge dei post-it che suo fratello aveva sparso per tutta la scrivania. Su di essi sono annotati i numeri dei commissariati che si erano occupati di quei casi nel corso degli anni.

Sam sospira, gira la sedia e si volta a guardare suo fratello con entrambe le sopracciglia inarcate, ma per un attimo gli permette di condurre il gioco, gli lascia credere che possa davvero persuaderlo, gli lascia credere che non abbia capito nulla di quella paura che sembrava indossare come un secondo vestito, nelle ossa. Glielo lascia credere, perché per un attimo, ha solo bisogno che continui a parlare, che possa vedere che è in grado di continuare a parlare.

Poi si alza; si alza perché è Sam Winchester ed ha un piano. Si alza perché ha ingoiato il desiderio e la solitudine per anni, ha lavorato e viaggiato e fatto ricerche per anni, fino a quando non erano riusciti a trovare una soluzione per qualsiasi problema – il demone che aveva ucciso la mamma, Amara e dannazione, persino Chuck – e non si sarebbe arreso. Perché è Sam Winchester e anche quando si arrende, anche quando si lascia andare, lo fa curando ogni minimo dettaglio, così che nessuno potesse dimenticare che era stato lui.

“Tu credi davvero che papà non avrebbe pensato ad un vampiro se avesse letto che quelle persone erano state dissanguate, Dean? Pensi che avrebbe lasciato perdere?” lo incalza, improvvisamente stanco di aspettare, di giocare a rincorrerlo con le parole, ancora prima che con le azioni. “Uno dei suoi migliori amici era Daniel Elkins!”

Suo fratello si sistema in una posizione leggermente più composta. Si siede sul letto, appoggiando il cuscino alla spalliera, non degnandolo di uno sguardo per qualche momento. Poi scuote la testa ed esala uno sbuffo, e Sam lo vede: vede i suoi occhi spalancarsi leggermente come se cominciasse a capire dove vuole condurlo, come se avesse paura che potesse sbagliarsi – salvo poi castigarsi mentalmente perché, maledizione, si era promesso che sarebbe stato stoico, che sarebbe rimasto impassibile.

“Anche i cacciatori fanno errori, Sammy” prova alla fine, ma indugia abbastanza perché l’espressione di suo fratello minore si ammorbidisca.

Dean pensa al brivido che gli era corso lungo la schiena, alla premonizione di qualcosa. Qualcuno – suo padre, sicuramente suo padre – doveva avergli detto che quando le bombe vengono scagliate contro le città, ne senti il fischio e il peso nell’aria prima che cadano e c’è quell’istante – quell’eterno, infinito istante – in cui sai che stai per sentire il boato di quartieri interi che crollano come castelli di carte. Per l’ennesima volta, maledizione, Dean si era sentito come un maledetto castello di carte, sotto uno stupido cielo bombardato.

“Papà avrebbe raso al suolo quella città se avesse pensato che si trattasse di un vampiro, Dean. Era tante cose, ma non un idiota.” sottolinea Sam, scuotendo la testa. “Chiamerò quei commissariati e chiederò riguardo a questo cold case. Non mi sei di nessun aiuto da ubriaco, Dean”

Una smorfia, che sa di lenzuola sfatte e umide, gli tira gli angoli della bocca verso l’alto, accompagnata da un borbottio confuso - “Non sono ubriaco, smettila di dire stronzate” -, ma si lascia andare nuovamente sul letto. Suo fratello, maledizione, è bravo a convincerlo di qualsiasi cosa, almeno fino a quando nulla gli trapassa la schiena e tutto intorno a loro non esplode come una città bombardata.


 

***

Nella stanza illuminata solo dalla penombra e dalla luce del suo computer, Sam ringrazia il cielo da cui sono caduti, quando sposta lo sguardo e trova Dean rannicchiato sulla pancia, con il fiato che gli sguscia piano dalle labbra semichiuse.

Ringrazia il cielo - o Jack o Cas o quello che è - che non li ha uccisi, quando scorre quelle pagine e pensa che non è quella la loro storia, che non è quello il loro destino. Non può esserlo.

Ringrazia il cielo che non li ha uccisi, mentre rovista fra gli articoli di archivio su quel caso.

Lancia una rapida occhiata verso Dean. Quella storia diventerebbe infinita e se qualcuno può mettere la parola fine, quello è lui.

E’ abbastanza forte per farlo.

***

Visita un cimitero pieno di tombe di sconosciuti e si inginocchia davanti a nomi altisonanti e misteriosi per ricordare i suoi morti. Per chiedere loro perdono per essere diventato così diverso da quello che aveva promesso di essere. Per desiderare altro da quello che aveva promesso.

C’è un ramo di melo, posto in un vaso davanti ad una tomba, e Dean ne osserva i fiori chiari, mentre continua a raccontare ogni sua colpa, ogni sua scelta. Poi improvvisamente legge il nome sulla tomba.

“Papà” mormora, con voce già spezzata. “Papà”

Vorrebbe che John fosse lì, come era stato lì prima, a scompigliargli i capelli, rispondergli e dirgli che va tutto bene, che non importa, che è fiero di lui, che vuole soltanto che sia felice, che lo autorizza ad essere felice, che gli ordina di esserlo, di scendere a compromessi, di accettare tutta l’oscurità e la morte che si porta dietro, che si porta dentro.

Alle spalle sente un fruscio. Quando si volta, vede una sagoma con una maschera in lontananza. Si dice che non è più un bambino, che sa a cosa va incontro. Cerca di concentrarsi sul peso del machete che ha improvvisamente in mano. Fanno pochi passi – superano la strada che porta fuori dal cimitero, svoltano a destra una volta e poi a sinistra – prima che quello gli afferri il polso e lo sbatta contro il muro alle sue spalle.

Fa in tempo a vedere un albero di mele in fiore, prima che il nome di Sam gli muoia sulle labbra.

Ed è la voce di suo fratello a riportarlo indietro, a riportarlo ad aprire gli occhi e Dean non osa pensare cosa sarebbe successo se Sammy non fosse stato lì con un sorriso, seduto sul suo letto.

“Ehi, Dean, va tutto bene” mormora fra i suoi capelli, spingendolo verso il letto.

Continua a ripeterlo un paio di volte e a Dean pare di sentire una punta di senso di colpa nella sua voce e non può fare a meno di chiedersi se quell’incubo sia davvero finito. Ci mette un secondo a ritrovare il controllo perduto, notando che l’orologio da parete segna le due. Dannazione, non era nemmeno ora di cena quando si era addormentato; aveva davvero dormito così a lungo?

“Avrei dovuto ucciderlo quando ne ho avuto l’opportunità” afferma alla fine, in un sospiro.

Dean scuote la testa, come a cacciare via il pensiero assillante di Chuck. Un moto di frustrazione lo assale perché avevano vinto, capite? Loro che erano solo un branco di ragazzini al confronto erano riusciti là dove Chuck, Dio, aveva fallito. L’avevano reso inoffensivo, eppure eccolo rispuntare sulla copertina di quel dannato libro.

Sam scuote la testa, in un moto di dissenso.

“No, non avresti dovuto” risponde poi suo fratello, alzando le spalle, in un movimento solo apparentemente leggero. “Non avresti dovuto, perché non è quello che siamo, Dean”

Ed eccole, quelle parole. Era stato assurdo che fosse stato lui a dirgliele e Dean aveva cercato di dimenticarle per mesi perché era pur sempre un angelo e gli angeli mentono, ma è Cas e non è mai stato solo un angelo e -

La cosa più assurda – quella più assurda in assoluto – è che Dean gli era stato grato.

Il maggiore dei Winchester non può fare a meno di cacciare via quel pensiero con una smorfia scettica.

“E’ quello che ha detto Cas, fratellino.” afferma, distogliendo un attimo lo sguardo da suo fratello per poi scuotere la testa, in un moto di amarezza e rabbia. “E guarda com’è finita per lui”

Sam vede gli occhi di suo fratello distogliere lo sguardo e posarsi sulle coperte. Sospira.

“Cas ha fatto una scelta. E quella scelta è stata di dare la sua vita per salvare te” ribatte Sam, scuotendo la testa, in un moto di dissenso. “E Jack ha detto che ci sta lavorando: lo tirerà fuori di lì.”

Dean può quasi sentire il nervosismo invadergli piano piano ogni cellula del corpo perché gli aveva detto ogni cosa tranne – e non voleva tenere segreti con Sam, ma quelle erano state le parole più ingannevoli e oh, migliori che qualcuno gli avesse mai rivolto, e davvero, com’era possibile? Com’era possibile che Cas le avesse rivolte proprio a lui? - tranne cosa avesse portato a quella scelta. Alza un sopracciglio, seppellendo quel pensiero sotto un’altra obiezione, perché non è il momento di pensare a certe cose.

“Ti sembra il momento adatto per dirmi di avere fede in un dio, Sammy?” ribatte, lanciandogli un’occhiata eloquente.

Sam scuote la testa, continuando a guardarlo in quel modo che era così da Sam e così maledettamente insopportabile.

“Non in un dio, Dean” chiarisce poi, abbassando per un momento lo sguardo. “In Jack

Jack è da qualche parte, nell’universo. Non in quel preciso momento, ma nel tempo da cui proveniva, in qualunque tempo si trovasse; era da qualche parte, in qualche galassia lontana. A volte Dean guarda il cielo fuori dalla finestra e pensa con amarezza a quanto dovesse essere felice adesso che era libero, che aveva trovato il suo posto nel mondo, che aveva centinaia di migliaia di pianeti da esplorare; a volte beve intere bottiglie di alcol e pensa a quanto dovesse essere grato di non averlo più fra i piedi.

A volte si chiede come diavolo fosse esistito un tempo in cui aveva creduto che si sarebbe sentito sollevato, vedendolo lasciare il bunker. Sotto lo sguardo di Sam, Dean si alza in piedi, per poi limitarsi a borbottare qualcosa su come Jack abbia solo tre anni, insieme a qualche imprecazione masticata.

“Vado a prendere qualcosa da mangiare” dice alla fine, sulla soglia della porta.

La voce gli esce come un borbottio confuso, in quella tana di ossa e di pelle in cui si è nascosto. Sam annuisce e accenna un debole sorriso, ma non è proprio sicuro del fatto che le cose potessero andare peggio di così.



NDA
Eccomi qui. Come molte persone, ho odiato follemente tutta la prospettiva finalistica del finale. Follemente. Ci sono decine di ragioni per cui l'ho odiata e credo di averle dette tutte più di una volta, quindi mi atterrò a parlare della mia storia - anche per rispetto di chi l'ha amato ed è qui solo per la voglia di leggere un'alternativa, perché so benissimo che se cominciassi a parlarne non riuscirei a fare altro che farlo a pezzi su ogni singolo dettaglio (salvo solo Dean che fa lo stalker a Stanford, giuro).  
Questa storia sarà composta da due capitoli più epilogo. La maggior parte delle domande che si possono avere a riguardo sul concept su cui si basa quest'idea trova risposta all'interno del pdf all'inizio, quindi andate tranquillamente lì e guardate cos'ha partorito la mia mente.
Il disegno di quello che nella 15x20 è un vampmime è comunque all'interno del diario di John perché nella mia testolina malata (anche nel canon, in realtà) nell'86 Chuck aveva il controllo sulla storia, quindi John ha davvero indagato su un caso del genere e l'ha davvero lasciato irrisolto. Peccato che in quel periodo cacciasse (canonicamente, non ho aggiunto nulla) con un cacciatore di nome Daniel Elkins, esperto di vampiri. Ora, possibile che l'abbia lasciato irrisolto insieme al BFF esperto di vampirologia e si trattasse di un vampiro? Spoiler: no, ma figurati se chi ha scritto SPN si ricordava di uno dei BFF di John. 
Tecnicamente, Jack nel finale di SPN avrebbe dovuto portare il paradiso in Terra, ecco perché non ci sono più mostri. Mi rendo conto, tuttavia, che questo presenta a sua volta delle problematicità, perché vi sono mostri buoni, vedi Garth. Si potrebbe risolvere questo problema facilmente, con una sorta di Giorno del Giudizio, a cui però all'interno della storia ho solo accennato. Non è necessariamente una cosa che mi piace, forse è il punto più farraginoso della storia stessa, ma è funzionale e quindi, anche se non ci indugierò troppo, prendetelo per quello che è. 
Perché Zihuatanejo (Every Man has his Shawshank)? Perché The Shawshank Redemption è uno dei miei film preferiti da almeno tre o quattro anni, sebbene l'abbia visto per la prima volta che non ne avevo più di tredici e l'abbia poi visto in lingua originale solo di recente. Lo so cosa state pensando: se da SPN ti aspettavi Shawshank, il problema non è il finale di SPN, sei tu che ti aspettavi il finale di Shawshank. Non fa una piega se parliamo su un piano qualitativo, ma se parliamo su un piano emotivo, non ho assolutamente dubbi sul fatto che SPN avrebbe dovuto potuto dare lo stesso messaggio di Shawshank, perché come dice saggiamente Tim Robbins in questo video , ognuno di noi ha la sua Shawshank, o almeno l'ha avuta. La Shawshank di Dean è la caccia. Il finale di SPN mi deprime e mi annichilisce per questa ragione: è come se Red avesse fatto quello che ha fatto Brooks in Shawshank. 
Molto spesso, ho pensato che l'arco narrativo di Dean fosse molto simile all'arco narrativo di Red, sebbene adattato al contesto. Molto spesso mi è capitato di  pensare che Sam avesse un che di Andy Dufresne e, senza rovinare il film a chi magari non l'ha visto, per me la conclusione a livello narrativo poteva solo essere una - la stessa di Shawshank, visto che c'è anche una scena in cui Dean parla della spiaggia nello stesso modo dreamy in cui Andy parlava di Zihuatanejo. Il confronto è fra gli archi narrativi dei singoli personaggi, non fra la dinamica Sam&Dean e la dinamica Andy&Red, che sono molto - molto - diverse. Credo, nonostante ciò, che il finale migliore sarebbe stato quello in cui Sam aiuta Dean a trovare la speranza, non quello in cui Dean muore con le stesse convinzioni che aveva da giovane. Quello è stato il regalo di Andy per Red, e quella è la direzione che avrà questa storia. 
Immagino che nessuno abbia bisogno di me che consiglio un film quattro anni più vecchio di me, ma se qualcuno non l'avesse visto e si fosse incuriosito leggendo le mie parole in merito, controllatevi i trigger, perché ne ha parecchi. 
Se qualcuno invece è solo curioso di capire meglio il paragone che ho fatto prima e perché quell'arco narrativo fosse funzionale in questo caso, lo spiego in due scene dal film:  una e due . 
Le recensioni sono sempre gradite. Ci vediamo fra massimo due settimane (possibilmente meno). 

 

   
 
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