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Autore: ChrisAndreini    31/01/2021    3 recensioni
Cinque coppie, cinque cliché, tropes letterari e delle fanfiction ovunque, e un narratore esterno e allo stesso tempo interno che sembra attirare a sé le più assurde coincidenze e situazioni da soap opera.
Un gruppo di amici si ritrova a passare l'anno più movimentato della loro vita guidati dai propositi, dall'amore, e da una matchmaker che non accetta un no come risposta.
Tra relazioni false, scommesse, amici che sono segretamente innamorati da anni, identità segrete e una dose di stalking che non incoraggio a ripetere, seguite le avventure della Corona Crew nella fittizia e decisamente irrealistica città di Harriswood.
Se cercate una storia piena di fluff, di amicizia, amore, e una sana dose di “personaggi che sembra abbiano due prosciutti negli occhi ma che alla fine riescono comunque a risolvere la situazione e ottenere il proprio lieto fine”, allora questa è la storia che fa per voi.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Corona Crew'
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La verità viene sempre alla luce

 

Domenica 11 Agosto

Max aveva una strana sensazione addosso, quel giorno. Una specie di nervosismo incomprensibile che l’aveva fatto dormire male.

Eppure doveva essere super felice, dato che lui e Manny avrebbero pranzato insieme al parco in un picnic dove ovviamente a cucinare era stato solo Max. Manny però si era offerto di portare il resto, e di scegliere il posto. Max non vedeva l’ora!

E forse era questo a renderlo nervoso? 

Insomma, non era niente di strano, si vedevano spesso, pranzavano e cenavano insieme, e l’ultima volta che si erano visti era stata due giorni prima, quando avevano poi incontrato Roelke.

…quando Manny gli aveva promesso che presto gli avrebbe detto tutto.

Sì, forse era anche per quello che Max era nervoso. Perché aveva una brutta sensazione circa il segreto di Manny. E inconsciamente, il motivo per cui non lo aveva incoraggiato a rivelarglielo era che non era del tutto certo di volerlo sapere, in realtà. Ergo, la vera ragione del nervosismo.

Perché se c’era una cosa che era certo di volere, era che tutto restasse com’era, perché stava davvero bene con Manny, quindi perché complicarsi troppo la vita?

Vabbè, meglio pensare al presente, e godersi un bel picnic al parco. Max aveva preparato una quiche di prosciutto e formaggio, della pasta fredda ed era finalmente riuscito a perfezionare una torta caramello e cannella che sperava potesse essere vagamente simile a quella della madre di Manny, anche se dubitava sarebbe mai stata al suo livello. Si era svegliato presto per cucinare tutto e avviarsi in anticipo alla fermata dell’autobus.

Lui e Manny avevano iniziato una lotta non annunciata su chi riuscisse ad arrivare prima dell’altro, dato che entrambi tendevano sempre a raggiungere le mete con largo anticipo.

L’appuntamento era a mezzogiorno… quindi alle dieci Max uscì di casa per fare quei dieci minuti a piedi che lo separavano dalla fermata dell’autobus.

Purtroppo quel giorno Manny vinse la sfida, perché quando Max raggiunse, quasi di corsa, lo stop, lui era già seduto lì, e armeggiava con il telefono, sorridendo divertito tra sé.

-Manny, sei in anticipo!- osservò, raggiungendolo e salutandolo con la mano.

Manny alzò lo sguardo, e si aprì in un ampio sorriso.

-Potrei dire lo stesso di te. Pensavo avessimo deciso di pranzare insieme, non di fare colazione- ridacchiò, alzandosi per dargli un bacio sulle labbra.

-So che non ci vediamo da meno di quarantotto ore, ma mi sei mancato- ammise, sdolcinato, ricambiando il bacio.

Manny arrossì.

-Aw, un giorno mi farai venire il diabete- scherzò, dandogli un leggerissimo colpetto sul petto.

-Se vuoi posso anche smettere- lo provocò, scherzosamente.

-No, no, continua pure, non mi stancherei mai di sentirti- si affrettò a fermarlo Manny, prendendogli la mano e dandogli un bacio.

Max era il tipo di ragazzo super sdolcinato, a cui non interessava affatto nascondersi, e adorava le dimostrazioni pubbliche di affetto. Manny lo incoraggiava e ricambiava. Erano davvero perfetti insieme.

-Allora, approfittiamo dell’anticipo per dirigerci ad un parco un po’ più distante, ci facciamo una bella passeggiata, o raggiungiamo prima il luogo designato e prendiamo un po’ di sole e aria fresca?- Manny lo prese sottobraccio e gli annunciò le possibili alternative.

-Quello che preferisci tu- Max gli diede carta bianca, sistemando meglio il cesto con il cibo per mettere un braccio intorno alle spalle di Manny e stringerlo a sé.

-Nah, scegli tu questa volta. Fai sempre scegliere a me- Manny rigirò la frittata, incoraggiandolo a pensare un po’ a sé stesso.

Max aprì la bocca per obiettare, ma Manny lo zittì con un dito sulle sue labbra.

-Ah! Insisto! E se ti rifiuti di scegliere rimarremo qui per due ore, che disdetta- gli fece una linguaccia, facendo ridacchiare Max, che alzò le mani in segno di resa.

-Va bene, principe- cedette infine, riflettendo su cosa fare.

Manny impallidì leggermente.

-Principe?- chiese, sorpreso dal nomignolo.

-Oh, non ti piace? Se vuoi che mi astenga dai soprannomi puoi dirlo. So che non tutti li tollerano- si affrettò a fare un passo indietro, prendendo il telefono per controllare la distanza da un piccolo e semi-sconosciuto giardino un po’ fuori città dove era certo Manny non fosse mai stato.

-Oh, no, mi hai solo preso alla sprovvista. Ma dei due sei tu il principe azzurro, fidati- rigirò il complimento, posando un attimo la borsa con tutto il necessario per il picnic e massaggiandosi le mani.

-Allora siamo due principi!- Max rincarò la dose, facendogli un occhiolino che gli tinse le gote di rosso.

-Sarebbe bello, non pensi?- suggerì lui, in tono leggermente strano, e molto pensieroso.

-Essere principi? Se non si mettono in conto le centinaia di responsabilità certamente- Max continuò a controllare sul telefono gli autobus con rispettivi orari per arrivare nel luogo che aveva intenzione di scegliere, attento al discorso ma non abbastanza da rendersi conto dell’evidente difficoltà di Manny, che sembrava a disagio e allo stesso tempo deciso.

-Sono convinto che saresti un principe fantastico. Sei responsabile, e maturo, e tieni molto agli altri, sei estremamente altruista- iniziò a fargli i complimenti. Fu il turno di Max di arrossire appena.

-Ma smettila, non ho le carte in regola. Almeno che non sia accompagnato da te- ricambiò l’elogio.

Manny sembrò illuminarsi a quel commento, poi il sorriso si spense, per lasciare posto ad un’espressione mortalmente seria.

-Max…- cominciò a dire, ma Max non lo sentì.

-Ah! Trovato!- esclamò infatti, interrompendolo inconsapevolmente.

-Oh? Trovato cosa?- chiese Manny in tono acuto, accogliendo con piacere il cambio di argomento.

-Un giardino piccolo, poco frequentato, fuori città, ma bellissimo. Ci mettiamo un po’ ad arrivare ma ne vale la pena. Allora, ti va?- propose, mostrandogli il luogo dal telefono.

Manny lo osservò qualche secondo, e sorrise.

-Con piacere, sembra stupendo- annuì poi, entusiasta.

-Allora, dobbiamo prendere un autobus che porta alla stazione, poi un treno diretto verso New Malfair e scendere circa a metà strada- spiegò, facendo gli screenshot per segnarsi ogni tappa del viaggio.

-Fortuna che siamo due amanti dell’anticipo- commentò Manny, ridacchiando e preparandosi a prendere l’autobus che li avrebbe portati in stazione, che stava arrivando proprio in quel momento.

-Tuo padre ha un detto al riguardo, sbaglio?- chiese Max, per fare conversazione.

Manny cadde dalle nuvole.

-Come lo sai?- chiese, sorpreso.

-Me l’hai accennato quando abbiamo preso un caffè insieme la prima volta. Qualcosa del tipo che “La puntualità è dei gentiluomini e l’anticipo…”- non ricordava proprio l’ultima parte. Forse Manny non l’aveva detta.

-“…dei re”- concluse per lui, senza guardarlo negli occhi.

-Oh, giusta filosofia. Un capo deve essere in anticipo per controllare meglio la situazione- osservò, pensieroso, senza farsi domande.

Max tendeva a non analizzare ogni parola. I geni paranoici che dubitavano di ogni cosa li aveva presi tutti Denny.

-Già, poi sai, è un diplomatico…- gli diede man forte Manny, un po’ a disagio, con voce più bassa.

-Tutto bene?- chiese Max, che non si impicciava, ma quando si trattava di salute era in prima linea.

-Sì, sì, solo… Max, quando arriveremo al parco dovrò dirti una cosa molto importante, e… non guardarmi così!- si lamentò, coprendosi gli occhi.

Max sbatté gli occhi un paio di volte, senza sapere minimamente come l’avesse guardato.

-Così come?- chiese, confuso.

-Con quegli occhi limpidi e da cucciolo, o la mia determinazione sparisce- gli indicò il viso in maniera davvero adorabile.

Ma Max non era tipo da sorridere davanti alla difficoltà altrui, per quanto adorabile fosse.

-Tranquillo, qualsiasi cosa sia, puoi parlarmene senza problemi. E se non te la senti per qualsiasi motivo, non devi necessariamente rivelarmela- gli venne incontro, rispettoso.

Manny scosse la testa.

-No, Max. Devo dirtelo, ti riguarda, è importante, e… non adesso, però. Meglio farlo lontano da orecchie indiscrete- insistette, abbassando la voce e guardandosi intorno.

-Okay- Max annuì, e gli prese la mano -Ogni cosa a suo tempo, e intanto godiamoci il viaggio- lo incoraggiò, calmandolo parecchio.

-Cosa ho fatto per meritarti?- sussurrò Manny, guardandolo come se non credesse che fosse reale.

-Esisti, e questo è il più grande dono dell’universo- Max era a mille quando si trattava di fare complimenti, e non aveva un briciolo di imbarazzo.

Non come Manny, che arrossì completamente, e seppellì il volto nella mano libera.

Questa volta Max non riuscì a trattenersi dal ridacchiare per quanto fosse adorabile.

E il primo viaggio in autobus passò tranquillamente, chiacchierando, sentendo un po’ di musica condividendo le cuffiette, e fondamentalmente godendosi la rispettiva compagnia.

Quando arrivarono al capolinea, fu quasi un peccato, perché si stavano trovando bene persino seduti sull’autovettura calda da morire.

Soprattutto perché dopo essere scesi, iniziarono i guai.

-Allora, il prossimo treno per New Malfair parte tra venti minuti, posso offrirti un caffè?- chiese, indicando la macchinetta del caffè lì vicino.

La stazione non aveva un bar, dato che a due fermate di autobus c’era il Corona Café, che era davvero molto vicino ed era una concorrenza spietata.

-No, non preoccuparti. Possiamo intanto fare il biglietto magari, o sostare su una panchina e goderci il vento estivo- Manny si guardò intorno e adocchiò una panchina poco distante che per fortuna era vuota nonostante il leggero traffico domenicale.

-Mi sembra un’ottima idea- Max gli diede man forte, e iniziò a seguirlo, quando la sua attenzione venne attirata da una voce poco distante.

Col senno di poi, probabilmente si sarebbe fatto gli affari suoi, ma purtroppo era una brava persona, quindi quando sentì una voce in marcato accento tedesco chiedere ad una coppia -Scusate, come posso raggiungere il bar Corona?- senza ricevere risposta, non riuscì a fare a meno di intervenire.

-Mi scusi, cerca il Corona Café?- chiese allo sconosciuto, un elegante giovane uomo della sua età con i capelli biondo scuro, l’aria leggermente snob e vestiti davvero pesanti per il caldo estivo. 

C’era davvero bisogno di indossare giacca, cravatta e panciotto con quel caldo? Sembrava sfiancante, quell’uomo doveva essere davvero pieno di autocontrollo.

Ma Max non ebbe tempo di rimirare i dettagli, perché appena approcciò l’uomo, un paio di guardie vestite di nero gli si pararono davanti, minacciose, e facendolo ritirare sorpreso.

L’uomo in giacca e cravatta le fermò con un gesto della mano.

-Halt. Sì, sto cercando quel bar, me lo saprebbe indicare? Alla stazione hanno detto che era molto vicino ma non lo vedo- spiegò, pomposo.

-Max, cosa…?- Manny, che nel frattempo si era avviato alla panchina senza accorgersi della distrazione di Max, lo raggiunse in fretta, e quando vide con chi stava conversando, sgranò gli occhi, sorpreso.

Un’espressione e un atteggiamento molto simili a quelli che aveva mostrato quando avevano incrociato per sbaglio Roelke.

Max però non ci diede subito peso, perché era troppo impegnato a dare le indicazioni a quel tipo probabilmente molto importante e alle sue guardie del corpo.

-È molto vicino, basta seguire questa strada per un paio di chilometri. Può prendere un taxi o quell’autobus in partenza, basta fare due fermate- spiegò, molto professionale -Il café ha una grande insegna con una Corona e la scritta, non può non notarlo- lo rassicurò poi, con un sorriso incoraggiante.

-Danke- l’uomo gli fece un rispettoso cenno del capo, ringraziandolo in tedesco, e diede istruzioni nella medesima lingua ai due uomini, avviandosi verso la zona dei taxi per prenderne uno.

Max aveva un leggero nodo allo stomaco che non sapeva spiegarsi, ma cercò di non pensarci. Probabilmente era causato dal fatto che quello era senza ombra di dubbio il fidanzato di Sonja, e non doveva minimamente pensare ancora a Sonja. Erano passati mesi, stava con Manny, amava Manny, e ormai Sonja era solo un’amica e collega del bar, quindi le sue relazioni non avevano assolutamente nulla a che fare con lui.

Eppure la brutta sensazione che aveva da quella mattina non fece che aumentare.

Scosse la testa, per eliminare quei pensieri, e si rivolse a Manny, che aveva ignorato per tutto il confronto.

-Manny, allora ci… Manny?!- sobbalzò nel notare che alla vista dell’uomo, il suo ragazzo era rimasto congelato sul posto, e lo fissava ad occhi sgranati andarsene via in taxi, senza perdere neanche un movimento. Tutto il colore era scomparso dal suo volto.

Quando Max lo prese per le spalle per controllare le sue condizioni, sobbalzò vistosamente, e lo guardò spaesato, come se si fosse appena svegliato da un incubo.

Solo che l’incubo evidentemente era realtà, perché i suoi occhi si fecero lucidi, ed evitò lo sguardo di Max, che sempre più confuso, lo lasciò andare temendo di dargli fastidio.

-Va tutto bene, è successo qualcosa?- chiese invece, restandogli vicino pur non rendendo inappropriata la sua presenza.

Manny non rispose, e si avviò verso la panchina, sedendosi e prendendosi il volto tra le mani.

Max lo seguì, e gli si sedette accanto, molto, molto confuso, ma troppo rispettoso per indagare su quello che agitava Manny a tal punto. Anche se era tremendo per lui sentirsi impotente.

Rimasero in quella posizione, in silenzio di tomba, per qualche minuto, poi a Manny arrivò un messaggio sul telefono, un messaggio che controllò molto velocemente, prima di alzarsi di scatto in piedi.

-Max, devo andare…- sussurrò, come se per dire quelle tre parole ci avesse messo tutto sé stesso.

Max si alzò di scatto a sua volta.

-Aspetta, perché Cosa è successo? Posso aiutarti?- chiese, allarmato. Va bene, Manny era sempre stato un po’ evasivo, ma non aveva mai rinunciato ad un’uscita con lui, anche quando era impegnato. Non che Max volesse essere al centro del suo mondo, ma se Manny faceva così significava che la faccenda era grave, e Max voleva aiutarlo.

…e magari poi pranzare insieme dopo aver risolto il problema, dato che onestamente Max ci teneva molto a quell’uscita, e una parte di lui iniziava a sentire che se non stavano insieme adesso, poteva andare a finire male. Non sapeva in che modo, non sapeva perché, ma voleva stare con Manny.

-Max…- Manny sembrava commosso dalla sua preoccupazione, oppure era solo estremamente agitato, perché sembrava ad un passo dallo scoppiare a piangere -…non posso dirti adesso cosa è successo… è troppo complicato- rivelò, con un filo di voce, singhiozzando leggermente.

-Puoi dirmelo mentre andiamo, sottovoce, all’orecchio, evitando che qualcuno ci senta- provò a proporre Max, iniziando ad agitarsi a sua volta.

Manny si morse il labbro inferiore, aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, scuotendo la testa.

-Non posso, non così, non adesso. Devo andare, Max, mi dispiace- gli prese il volto tra le mani e gli diede un profondo bacio sulle labbra.

Era il più sentito ed emotivo bacio che si fossero scambiati fino a quel momento, fu abbastanza da lasciare Max senza fiato.

…e allo stesso tempo, gli fece piangere il cuore. Perché sembrava quasi un addio.

-Manny…- provò ad obiettare debolmente, con il poco fiato che gli rimaneva ancora nei polmoni.

-Ti amo, Max. Ti amo davvero tantissimo, e ti amerò per sempre- gli sussurrò lui, guardandolo negli occhi con grande sincerità e profonda tristezza.

Poi prese le sue cose, e iniziò ad avviarsi velocemente nella direzione verso cui era scomparso il tipo di prima in taxi.

-…perché mi sembra tanto un addio?- sussurrò Max, attirando la sua attenzione e facendolo fermare sul posto.

Manny non rispose, e dopo qualche secondo di immobilità, tornò a camminare, lasciando Max da solo davanti alla stazione, con un cesto da picnic pieno di cibo che non sarebbe mai stato consumato, e il cuore sprofondato nel petto.

Non credeva di essere mai stato così confuso in tutta la sua vita, e spaventato, e agitato.

Cosa diamine era successo in quel breve lasso di tempo? Perché Manny aveva reagito così vedendo il probabile ragazzo di Sonja? Era davvero il ragazzo di Sonja? E Manny aveva reagito così per lui, o per un altro motivo? Erano troppe le domande senza risposta, e poche le informazioni che aveva per mettere insieme il puzzle.

In casi normali Max avrebbe chiamato Clover seduta stante, sarebbe andato da lei o l’avrebbe invitata da lui, e avrebbe cercato di capire qualcosa confrontandosi con l’amica, e magari condividendo insieme il cibo rimasto a raffreddarsi.

Ma Clover era in crociera! 

Beh, c’era un’alternativa… la domenica di solito la Corona Crew pranzava insieme.

Si alzò dalla panchina dopo una breve riflessione, cercò l’autobus che l’avrebbe portato più in fretta al Corona Café, e si sedette al suo interno senza esitazioni.

Avrebbe dovuto aspettare una decina di minuti, ma andava bene così.

Ora, tutti voi potreste pensare che Max sta facendo malissimo ad andare al Corona, perché avrete già capito in che direzione sta andando la narrativa.

Beh, non dico che la decisione di Max lo porterà a qualcosa di buono, ma vi posso assicurare che era molto più ragionata di quanto Max stesso non pensasse.

Perché sapeva, in cuor suo, dove avrebbe ritrovato Manny.

Solo che non voleva crederci. Ed era troppo rispettoso per giungere a conclusioni prima che la verità gli venisse rivelata. 

Purtroppo, la sua mente era più percettiva di quanto lui le desse credito.

 

Vi confesserò una cosa. Il motivo principale per cui il precedente punto di vista è stato di Max è perché se avessi introdotto i pensieri di Veronika nel momento in cui aveva visto il misterioso straniero dall’accento tedesco, la sua mente sarebbe diventata un campo minato di parolacce che poco si addicono ad una principessa, e ad una storia con questo rating.

Perché sì, Max non aveva sbagliato, il misterioso straniero in cerca del Corona Café era il suo fidanzato.

Solo che… CHE DIAVOLO CI FACEVA LÌ?!

Perché era a Harriswood?! Perché cercava il Corona?! L’aveva riconosciuta? No, improbabile, o avrebbe detto qualcosa.

No, però, sul serio, cosa ci faceva lì?!

Nell’accordo stipulato con suo padre Veronika aveva espressamente chiesto che il suo futuro marito non sapesse assolutamente dove fosse, e onestamente non credeva sarebbe stato un problema, dato che l’aveva visto solo un paio di volte in tutta la sua vita, e dubitava che in un anno avrebbe chiesto di lei.

Eppure eccolo lì, all’improvviso, e nessuno si era dato pena di avvertirla?

Veronika correva con tutto il fiato che aveva in corpo verso il café della zia, che le aveva inviato un messaggio impanicato dove la informava che il suo fidanzato era al café e aveva chiesto di lei davanti a tutti.

Maledizione!

Veronika era davvero, davvero nel panico!

Ma doveva mantenere il sangue freddo e mettere ordine tra le priorità, e al momento la priorità assoluta era assicurarsi che il duca Bastien Borsche non rivelasse informazioni compromettenti a tutta Harriswood.

Per prima cosa, però, doveva tornare ad essere Sonja, dato che la priorità massima era evitare di far scoprire al mondo di essersi vestita da uomo per mesi. Se la stampa avesse scoperto il suo impiego da cameriera poteva ancora salvarsi, ma uomo? Sarebbe stato uno scandalo troppo grande.

Entrò velocemente dal retro del locale e imboccò il bagno dello staff, assicurandosi che non la vedesse nessuno. Poi si tolse occhiali e parrucca, che sistemò in fretta nella borsa, dalla quale prese un vestito lungo fino alle ginocchia, che indossò in tutta fretta sopra le scarpe rovinate. Non aveva certamente il tempo di truccarsi, ma mise velocemente almeno il mascara e un po’ di fard per non essere troppo mascolina. Avrebbe potuto stabilire un record mondiale per quanto in fretta realizzò il cambio d’abito, e un minuto dopo essere entrata nel bagno, ne uscì completamente trasformata, e si trovò immediatamente davanti ad una preoccupata Roelke, che la guardava con occhi che mandavano scintille.

-Cosa ci fa lui qui? Lo hai chiamato tu?- chiese, agitata. Si vedeva lontano un miglio che stava cercando in tutti i modi di nascondersi.

-No- rispose Veronika, nel panico, andando verso la sala e dando un’occhiata da dietro la porta della cucina.

Quasi urlò quando notò che Bastien stava parlando amabilmente con Amabelle, Denny e Felix, uniti al solito tavolo della Corona Crew.

-Ma quindi tu sei un principe per caso? Sembri un tipo importante- stava indagando Amabelle, scherzosamente, adocchiandolo da capo a piedi.

-Su, Amabelle, non disturbiamolo, sicuramente ha altro da fare- Denny, pallido quanto Veronika in quel momento, stava cercando di aiutarla, probabilmente conscio di chi quel pomposo uomo fosse.

Veronika non lo aveva mai adorato quanto in quel momento.

-Sì, a dire il vero sto aspettando la mia fidanzata, la principessa Veronika Krone, mi è stato detto che lavora qui- spiegò Bastien, stupidamente.

Davvero il padre di Veronika voleva che sposasse un uomo così poco lungimirante?! Doveva ben sapere che ammettere che la principessa lavorava in un bar sarebbe risultato in uno scandalo! 

Veronika decise di interromperlo finché era ancora in tempo, ma non fu abbastanza veloce, purtroppo.

-Veronika, chi? Non c’è nessuna cameriera di nome Veronika nello staff. A meno che non sia stata assunta oggi- ridacchiò Amabelle, molto confusa -Ehi, Sonja!- la salutò poi, ad alta voce, notandola avvicinarsi.

Veronika ebbe il pericoloso istinto di ordinare di tagliarle la lingua, ma cercò di trattenersi, e dopo un vaghissimo cenno verso la Corona Crew, si rivolse direttamente al suo promesso sposo.

-Signor Borsche, può raggiungermi per favore?- chiese in tono formale, indicando la porta di una saletta isolata per parlare in pace.

Lui la guardò per un attimo, aggrottando le sopracciglia.

Non sembrava molto convinto dell’invito, poi i suoi occhi si accesero di consapevolezza.

-Oh, Veronika! Eccoti finalmente, non ti riconoscevo vestita così- ammise, alzandosi in piedi e avvicinandosi amichevolmente.

Veronika combatté con forza l’impulso di allontanarsi e scappare via, e mantenne il sangue freddo.

Purtroppo Bastien non fu l’unico ad alzarsi dal suo posto.

Amabelle, infatti, si alzò a sua volta, sprizzante di energia.

-Aspetta, ti chiami Veronika? E chi è lui? …ha detto principessa… SEI UNA PRINCIPESSA?!- urlò, attirando l’attenzione di tutto il bar.

-La mia fidanzata è…- cominciò orgoglioso Bastien, mettendole un braccio intorno alle spalle, ma Veronika lo interruppe, si scansò, e gli parlò in tedesco, sperando che Amabelle non fosse brava quanto Denny nella lingua.

-Non dire una parola e seguimi nella stanza!- gli ordinò, autoritaria, indicando la zona isolata.

Bastien piegò la testa sorpreso, ma eseguì. Era meglio non contrariare la futura regina di Agaliria, e dato che i due non erano ancora sposati, l’autorità di Veronika superava la sua di gran lunga.

Le guardie del corpo che erano rimaste in silenzio in un angolo per tutto il tempo si affrettarono a seguire i due.

-Lasciateci soli- ordinò loro Veronika, facendosi ascoltare.

Fu davvero strano per lei assumere questo comportamento dopo averlo messo in pausa per tutto quel tempo, ma fu comunque abbastanza naturale. Un po’ come andare in bicicletta. 

Ma non avrebbe mai voluto mostrare quel lato di lei ad Amabelle.

-Aspettate un secondo! Cosa sta succedendo?! Chi sei, cosa…?- Amabelle provò a seguirli, venendo adocchiata con sospetto dalle guardie del corpo pronte ad agire, ma per fortuna Felix la fermò prima che potesse fare qualcosa di troppo.

-Amabelle, non insistere- la rimproverò, sottovoce ma abbastanza forte da farsi sentire un po’ da tutti.

-Ehi, sto solo cercando di…?- iniziò a lamentarsi Amabelle, ma venne nuovamente interrotta, questa volta da Denny.

-Sono faccende di Sonja, non ti intromettere!- difese la sua privacy come un bravo amico, facendo sorridere tra sé la ragazza, che subito dopo si chiuse la porta alle spalle.

-Cosa ci fai qui?- chiese al fidanzato, cercando di regolare la voce ma facendola uscire comunque abbastanza forte a causa dell’ansia.

-La vera domanda è cosa tu ci faccia qui. Hai idea di quanto io ti abbia cercato? Sono mesi che chiedo informazioni a tuo padre mentre preparo da solo il matrimonio- Bastien incrociò le braccia, scurendosi in volto e guardando Veronika con le sopracciglia inarcate -E poi si può sapere cosa ti sei messa? L’etichetta regale prevede che agli abiti da cocktail si debbano sempre abbinare calze e scarpe perfettamente in tinta. Inoltre trovo che il tuo trucco sia completamente inadeguato ad una ragazza del tuo ceto sociale. Aspetta, chiamo qualcuno che te lo aggiusti- si avviò di nuovo verso la porta, ma Veronika la bloccò, mettendocisi davanti.

Sono in incognito, nessuno doveva sapere dove fossi. Come mi hai trovata?- chiese, tornando al punto.

Bastien piegò la testa, confuso, come se non riuscisse neanche ad immaginare il motivo per cui la futura moglie fosse in incognito in una cittadina per lui così insignificante.

Veronika, al contrario, non riusciva a concepire che dopo averla ignorata per vent’anni, il futuro marito avesse deciso di rintracciarla con questa perseveranza.

-Un contatto mi ha informato, non posso rivelarti la sua identità, è stato molto chiaro al riguardo. Non è stato neanche economico- borbottò Bastien, iniziando a guardarsi intorno con una certa puzza sotto al naso -Ma perché hai deciso di venire proprio qui? Non era meglio un posticino in Europa, se proprio dovevi scappare?- chiese, controllando la polvere su un mobile.

Veronika fu in procinto di dire di Roelke in tono ovvio, ma si tappò la bocca. Un altro grosso segreto da mantenere era l’identità di sua zia, e sebbene non fosse rischioso neanche la metà di quello di Veronika, non voleva rendere Bastien ancora più consapevole di cosa stesse succedendo.

-Sono affari miei, ed è un segreto di stato, che non avresti dovuto conoscere. Nessuno sa che il mio nome è Veronika e sono una principessa. Si solleverebbe uno scandalo. Quindi non dare altre informazioni al riguardo!- gli ordinò, sollevando un dito per aria.

-Calma, tesoro, non mi sembra proprio il modo giusto di parlare con il tuo futuro sposo- la rimproverò lui, prendendole la mano e dandole un bacio, come se stesse cercando di ricordarle il loro legame, o calmarla con gesti affettuosi.

Veronika combatté con enorme difficoltà l’istinto di ritirare la mano al petto. Le sembrava profondamente sbagliato accettare un qualsiasi gesto di affetto di Bastien. Era come se stesse tradendo Max.

Cosa che, in fin dei conti, era oggettivamente vera. Tradiva Bastien con Max, e Max con Bastien. Nonostante il suo cuore appartenesse solo ed esclusivamente a Max.

Ma ora, con Bastien davanti a lei, il segreto che si sgretolava pezzo dopo pezzo, e la consapevolezza che non poteva più restare nel suo sogno ad occhi aperti, si rese conto che la sveglia era suonata, e le conseguenze sarebbero arrivate su di lei una dietro l’altra come inevitabili gocce di pioggia nella stagione dei monsoni.

Non sapeva più cosa dire, non sapeva nemmeno se poteva restare ancora lì.

-Ma tuo padre lo sa, vero? Insomma, non sei scappata come tua zia, sarebbe davvero tanto sconveniente, dato che sei l’unica erede- a parlare fu invece Bastien, con il poco tatto che lo distingueva. 

-No, ho un accordo con mio padre che non mi permetteva di divulgare in giro questa decisione- spiegò distrattamente, riflettendo su cosa sarebbe successo ora che Amabelle aveva intuito la verità. Forse Denny sarebbe riuscito a farla stare zitta. Ma gli altri avventori? E poi Amabelle non stava mai zitta. Magari c’era qualche giornalista. Sicuramente la voce si sarebbe presto sparsa, era inevitabile. E le regole erano chiare, se qualcuno scopriva qualcosa doveva immediatamente tornare ad Agaliria.

Ma non era giusto! Era solo Agosto! E aveva così tante cose che intendeva fare lì fino a Dicembre.

La sola idea di tornare in quella gabbia dorata, senza sua zia, senza amici, senza Max… Max… non voleva lasciare Max, non così, non subito. Non aveva contemplato l’idea che la data di scadenza della loro relazione fosse così vicina.

Nel frattempo Bastien parlava senza essere minimamente ascoltato, e fu un fattore esterno a riattivare l’attenzione di Veronika. Più precisamente lo squillo di un cellulare. Ancor più precisamente il telefono che usava quando era Manny. 

Lo prese distrattamente, con il cuore che iniziava a battere a mille più di quanto già non stesse facendo.

Era Max.

Chiuse subito la chiamata. Non credeva di essere fisicamente in grado di parlargli. 

-Chi era?- indagò Bastien, sorpreso dall’improvviso rossore sulle gote della sua fidanzata.

-Nessuno, un… collega- non era una bugia. Al momento era in veste di Sonja, circa, quindi era solo il suo collega.

Da quando aveva ceduto all’egoismo e aveva iniziato ad uscire con Max, Veronika aveva sempre catalogato nella sua mente Manny some un’altra persona rispetto a lei. Una persona che non era fidanzata con nessuno.

Certo, sapeva in cuor suo che non stava facendo scelte giuste, ma il senso di colpa era stato vagamente alleviato.

-Comunque, non puoi restare qui. Devi tornare ad Agaliria prima che la stampa venga allertata. Il mio anno sabbatico finirà a Dicembre, e avremo abbastanza tempo per organizzare il matrimonio, considerando che sarà tradizionale e le basi saranno già decise quando tornerò- spiegò, cercando di cacciarlo via.

-Beh, potrei sempre stare qui un po’ di tempo, e potremmo lavorare insieme su alcune tradizioni che sarebbe bello seguire. Sai, no, le antiche tradizioni, credo che i nostri sudditi le apprezzerebbero molto- provò a suggerire lui.

Veronika storse il naso. Non era grande fan delle tradizioni antiche di Agaliria, alcune delle quali erano state abolite da un po’. Non erano niente di ché, ma le considerava antiquate, misogine e troppo snob: abito da sposa identico a quello di centinaia di altre regine, e fin troppo coprente, rituali super costosi come balli celebrativi lunghissimi e luna di miele… ugh, Veronika non voleva neanche pensare alla luna di miele.

-Credo che i nostri sudditi preferirebbero spendere i soldi dello stato per migliorare scuole e ospedali piuttosto che per un ballo che dura sette giorni- 

-Una festa aperta al pubblico è ben accetta- obiettò Bastien, cercando di convincerla.

-Peccato che sia aperta al pubblico solo una notte su sette- borbottò la ragazza, irritata.

Il telefono squillò di nuovo, era ancora Max. Manny decise di provare a rispondergli, ed essere breve.

-Senti, vai in hotel, e parleremo meglio più tardi. Non dire a nessuno di me- gli ordinò, aprendo la porta e iniziando a rispondere al telefono, sottovoce.

-Max, non è un buon momento, adesso, posso richiamarti tra poco?- chiese, uscendo dalla stanza.

-Va bene, mi dispiace di averti disturbato- gli arrivò la voce comprensiva e super ferita del ragazzo… da due punti diversi, come se ci fosse un eco.

Veronika impallidì, e sollevò la testa, trovandosi faccia a faccia con Max, che era a pochi metri di distanza, con il telefono sollevato, e l’espressione più ferita che Veronika gli avesse mai visto in volto.

Mille volte peggio di quando stava per rifiutarlo come Manny, cento volte peggio di quando l’aveva rifiutato come Sonja. Denny gli stava vicino e sembrava davvero in difficoltà, Amabelle era seduta e fissava i due a bocca aperta e occhi più pazzi del solito. Felix se n’era andato.

Ma Max monopolizzò completamente l’attenzione della ragazza, e i due si fissarono per qualche secondo, prima che Max chiudesse la chiamata, e uscisse dal café.

Il suono del campanello della porta sembrò svegliare Veronika dallo stato di ghiaccio in cui era piombata nel vederlo lì, e si affrettò a seguire Max, per provare a spiegargli la situazione.

Era tardi, e aveva scoperto il tutto nel modo peggiore, ma doveva spiegargli, glielo doveva. Krass, era andato tutto davvero uno schifo!

-Max, aspetta!- provò a fermarlo, raggiungendolo in strada.

Lui si fermò, ma non si voltò. Era comunque un buon segno.

-Te lo volevo dire, te lo stavo per dire. Era questo che volevo dirti oggi. Ma poi è arrivato Bastien e sono andata nel pallone. Ti prego, lasciami spiegare e capirai che non è come sembra!- provò a convincerlo almeno ad ascoltarla, cercando di non piangere, ma sentendo un enorme groppo in gola.

Max si girò, e la guardò con espressione indecifrabile.

-Sei fidanzata?- chiese solo, in un sussurro.

Veronika valutò per un attimo l’idea di mentire, ma non era il caso di continuare su quella strada che le aveva portato solo guai.

-Sì- ammise quindi -ma…- provò ad aggiungere, ma Max le diede di nuovo le spalle.

-Allora forse dovresti andare dal tuo fidanzato- disse solo, ricominciando a camminare.

-Max, aspetta, ti prego! È un matrimonio combinato, io non…- “lo amo, amo solo te, non voglio sposarlo e sto cercando in tutti i modi di trovare un cavillo legale che mi permetta di evitare il matrimonio” purtroppo queste parole vennero interrotte dall’arrivo del fidanzato, che raggiunse la principessa sistemandosi la giacca, e le parlò come se nulla fosse, senza neanche rendersi conto della brutta aria che tirava.

-Veronika, cara…- la chiamò, avvicinandosi a lei. Max si girò sorpreso, e la guardò ancora più confuso. “Veronika” sembrò mimare con le labbra. Probabilmente non gli avevano detto la parte sulla principessa e il suo vero nome. O forse non ci aveva creduto perché a volte Amabelle si faceva dei film e Denny non l’avrebbe tradita, anche se non l’avrebbe biasimato.

-Cosa c’è, Bastien? Sono un attimo impegnata!- lo incoraggiò ad essere breve, allontanandosi leggermente da lui.

-Volevo chiederti l’indirizzo di un buon… oh, tu sei quello che mi ha dato informazioni! Grazie mille per l’aiuto, ho trovato il locale senza problemi- Bastien mise il braccio intorno alle spalle di Veronika, e sorrise cordiale a Max, che distolse lo sguardo, con espressione afflitta.

-È stato un piacere. Sono felice che tu sia riuscito a trovare quello che cercavi- disse in chiaro tono di congedo, cercando di fare dietro front.

Bastien lo interruppe.

-A proposito, sembri esperto della città, mi sapresti dare l’indirizzo di un buon hotel, possibilmente 5 stelle, non sopporto la polvere- chiese, per niente conscio della tensione nell’aria.

-Uh, sì, il migliore della città è dalle parti del… giardino architettonico Mind. Hotel Camelia- spiegò, in tono stanco e distratto.

Il giardino architettonico di sua madre. Veronika stentava a credere che ci fossero andati solo un mese prima. Il primo luglio sembrava così lontano visto tutto quello che era successo nel frattempo, e avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro nel tempo.

-Bene, ti ringrazio. Principessa, perché non mi accompagni così possiamo finire la nostra discussione in pace?- Bestien offrì il braccio alla futura sposa, che non aveva intenzione di prenderlo.

-Devo finire di parlare con Max, ti raggiungo dopo!- provò a congedarlo.

-No, non preoccupatevi, avevamo finito la discussione- Max però non sembrava avere le stesse intenzioni della ragazza, perché fece un leggero inchino con il capo e la incoraggiò a seguire il suo vero fidanzato.

-Allora aspettami un attimo qui, vado a richiamare le mie guardie del corpo. Sono sorpreso di non aver visto la tua- Bastien le diede un rapido bacio sulla mano che Veronika non riuscì a rifiutare e rientrò nel café.

-Max…- Veronika provò nuovamente ad affrontare la conversazione, seguendo a distanza il ragazzo che le aveva dato nuovamente le spalle e aveva iniziato a camminare via.

-Mann… Sonj… qualsiasi sia il tuo nome… non ho voglia di parlarti, adesso, mi dispiace- Max non sembrava in grado di guardarla negli occhi, e le sue parole erano più affilate della lama di un coltello.

Veronika non provò a seguirlo nuovamente. Lui era sempre stato rispettoso nei suoi confronti, e quello era il momento che lei ricambiasse il favore e gli desse i suoi spazi, anche se vederlo andare via fu uno dei dolori più grandi della sua vita.

Era successo il peggio del peggio, e non poteva biasimare l’universo per averle dato un karma tanto negativo, dato che era certa di meritare ogni batosta.

Almeno non c’era anche Gerda, a cui aveva dato il giorno libero, a dirle “Te l’avevo detto” perché probabilmente sarebbe stato davvero troppo, per lei.

 

Quella sarebbe stata l’ultima cena in crociera, quindi mancava molto poco alla fine della settimana che per Clover, soprattutto dopo il matrimonio, si era trasformata in un incubo.

Ogni secondo che passava si avvicinava maggiormente a scoppiare, non aveva praticamente più rivolto parola a Diego, ed era a malapena attenta quando si trattava di stare con gli altri, e si limitava a sorridere, annuire, e rispondere in maniera generica.

Insomma, Clover non vedeva l’ora di scappare da quella nave, e sperava davvero di farlo senza cedere ai pensieri, sentimenti e sensazioni negative che le scombussolavano la mente e lo stomaco dal matrimonio.

Dato che mancavano poche ore alla fine, però, era abbastanza positiva sulla sua resistenza.

Solo che non aveva fatto i conti con la famiglia Fierro Flores.

Paola e Miguel erano in una luna di miele a sorpresa di due giorni che i genitori avevano regalato per le nozze, quindi al tavolo c’era solo la famiglia principale, più Clover, dato che anche Sunny aveva abbandonato la crociera dopo il matrimonio per farsi una vacanza in solitaria. Clover avrebbe tanto voluto raggiungerla, o avere un’idea simile, ma non aveva approfittato dell’occasione, ed era bloccata lì, nel mezzo dell’oceano.

Al momento, la conversazione al tavolo aveva raggiunto un argomento piuttosto particolare.

-Non è giusto! Perché Diego può e io no?!- si stava lamentando Juanita con sua madre, che sorrideva amabilmente ma sembrava irremovibile.

-Diego mi ha convinto ad accettare la sua scelta, ma non significa che dato che ha creato un precedente tutti voi potete farvi un tatuaggio- spiegò, pratica.

-Ma in questo modo tratti i figli in maniera diversa!- si lamentò Juanita, combattiva.

-Ovvio, dato che siete diversi. Dimmi, Juni, cosa vuoi tatuarti? Convincimi- Maria era una brava madre, nel parere di Clover. Una delle migliori che avesse mai visto all’opera. Molto affettuosa ma anche autoritaria. Ascoltava i figli ma non per questo era troppo permissiva. Clover avrebbe dato qualsiasi cosa per avere una madre così, e sebbene volesse bene alla propria, non aveva mai avuto una figura genitoriale femminile forte da prendere in esempio e ammirare. Beh, l’aveva avuto, ed era la stessa davanti a lei, ma aveva dovuto abbandonarla a otto anni.

Si interessò alla conversazione, un po’ distratta ma abbastanza attenta da capire e ricordare cosa si stessero dicendo. L’argomento tatuaggi la interessava parecchio, anche se dubitava che ne avrebbe mai fatto uno. Aveva già una cicatrice che le squarciava il ventre e non sarebbe mai andata via, non voleva un altro segno indelebile sul corpo. Tendeva a stancarsi delle cose permanenti.

-Voglio solo tatuarmi i doni della morte sul polso, è mille volte più innocuo rispetto ai ghirigori sul braccio di Diego- insistette Juanita, con occhi da cucciolo.

-E tra quarant’anni credi che sarai ancora fan di Harry Potter a tal punto da guardare il tatuaggio e non pentirti di essertelo fatto?- indagò Maria, inarcando un sopracciglio.

-Ovvio!- si affrettò a rispondere Juanita, decisa.

-Dovrei avere argomentazioni più convincenti per farmi cambiare idea- la madre scosse la testa, divertita dall’entusiasmo della figlia ma non disposta a cedere.

Diego ridacchiò a sua volta, sbeffeggiando la sorella.

-Umpf, questo è sessismo! Come mai Diego ti ha convinto e io no?- chiese, Juanita, sbuffando.

-Io ho una filosofia sui tatuaggi, mia cara sorellina- la prese in giro Diego, dandole un buffetto sul naso.

-Che filosofia?- chiese distrattamente Clover, senza neanche rendersi conto che gli stava parlando, ma guardando il suo piatto e giocherellando con la forchetta.

Diego fu preso in contropiede dalla domanda, ma per non far insospettire la sua famiglia, si affrettò a risponderle.

-Beh, io mi faccio un tatuaggio solo ed esclusivamente quando sono convinto al 100% che non mi pentirò della mia scelta. E questa sicurezza la raggiungo tatuando oggetti che simboleggiano qualcosa di davvero importante per me, e che so che saranno per me davvero importanti per tutta la vita- sfiorò inconsciamente l’intricato disegno che aveva sul braccio, e Clover girò la testa per osservarlo. L’aveva sempre trovato molto artistico, ma non si era mai concentrata a guardarlo sul serio. A prima vista sembrava solo una serie di rampicanti che gli attraversavano il braccio dal gomito alla clavicola, ma se si osservava bene, si notava che tali rampicanti attraversavano vari simboli molto particolari, stilizzati e metaforici. La testa di un orso a malapena riconoscibile, sicuramente rappresentante suo nonno Arturo, il cui nome significava proprio uomo-orso; il simbolo alchemico per il ferro unito ad un girasole… la famiglia Fierro-Flores; un bastone di Ermes per rappresentare la medicina, molto stilizzato; un… trifoglio sulla spalla?

Rendendosi conto di dove lo sguardo di Clover era andato a vagare, Diego si affrettò a coprire l’ultimo simbolo, e cercò di ritirarsi dai suoi occhi, cambiando argomento.

-Comunque il punto è che devi essere sicura che non ti pentirai mai di farti un tatuaggio- indirizzò l’attenzione nuovamente su Juanita, che alzò gli occhi al cielo.

-Harry Potter è la mia infanzia, dubito che mi pentirò mai di tatuarmi il simbolo dei doni della morte- insistette sulle sue idee.

-Va bene, ma pensaci ancora qualche mese prima di prendere una decisione- Maria interruppe la conversazione, e tutti tornarono a mangiare.

Clover toccò a malapena cibo, e solo perché nonna Flora la teneva costantemente d’occhio e la incoraggiava spesso a mangiare.

Era davvero stanca, pensierosa, e sentiva lo stomaco chiuso per varie sensazioni indefinibili, ma tutte rigorosamente brutte: senso di colpa, delusione, tristezza, senso di colpa, stanchezza, inadeguatezza, senso di colpa… sì, il senso di colpa era l’emozione più forte che dominava sulle altre.

Ma anche l’inadeguatezza era preponderante.

Si chiedeva con sempre più insistenza cosa diavolo ci facesse lì! Perché era a cena con quella famiglia così unita? Perché Diego le aveva proposto di fare quella stupida farsa quando era chiaro che se solo avesse chiesto a sua madre “Ti prego lasciami la casetta” lei avrebbe acconsentito dopo poca insistenza. 

In quei giorni aveva avuto modo di conoscere tutti quanti, e di passare con loro più tempo di quanto si sarebbe aspettata.

Era stata rimpinzata da nonna Flora, incoraggiata e fatta sentire partecipe da Maria e Julio. Aveva aiutato Juanita a scrivere una storia per un concorso correggendo gli errori e dandole dei consigli, aveva giocato spesso con Oliver e Coco, e si era sentita, per la prima volta in tutta la sua vita, davvero parte di una famiglia.

Ma non era che un’estranea, che molto preso sarebbe scomparsa come fumo dalle vite di quelle persone straordinarie. Così come fumo loro sarebbero sparite dalla sua vita. Amava Diego, ma lui non l’amava, e se anche l’avesse amata Clover avrebbe rovinato tutto comunque, quindi perché continuava ad aggrapparsi a quella fantasia che non avrebbe avuto futuro? Perché si ostinava a fingere? Per deludere suo padre? Per aiutare Diego? Più andava avanti in quella farsa, e più si sentiva schiacciare, e gli scopi che avevano indirizzato i due ragazzi a cominciare le sembravano sempre meno importanti. La famiglia Flores non si meritava di essere imbrogliata così. Non meritava di essere soggetta ad una persona come Clover.

-Clover, tesoro, non ti senti bene?- la richiamò Maria, accarezzandole dolcemente il braccio, e distogliendola dai suoi pensieri.

-Sono solo un po’ stanca, non preoccuparti- rispose, cercando di sorridere, ma sentendo le guance bloccate.

-Per me mangi poco. Sei tutta pelle e ossa. Prendi un altro più di carne- nonna Flora, con il solito tono burbero, le prese il piatto e lo riempì. Probabilmente se Clover avesse provato a mangiare tutta quella roba avrebbe vomitato, ma prese qualche boccone, giusto per farla contenta.

Maria non sembrava molto convinta della situazione.

-Clover, è successo qualcosa tra te e Diego?- chiese, in tono molto serio, adocchiando lei e il figlio, che sentendosi chiamare in causa alzò di scatto la testa dal piatto, e sbiancò leggermente, dando conferma che sì, era senza ombra di dubbio successo qualcosa tra i due.

Clover scosse la testa.

-No, certo che no, signora Flores. Diego è fantastico. Il problema è mio- provò ad archiviare l’argomento agitando la mano, anche se la gola le si strinse, e a malapena riuscì a tirare fuori le parole. Non perché stesse mentendo, dato che quella era la pura verità, ma perché ammettere le proprie mancanze le faceva sempre più rendere conto di averne, e che quella stupida farsa era destinata a finire in partenza, e molto prima di quanto lei sperasse.

Perché aveva accettato?! Perché si erano messi insieme per finta?! Era stata la più stupida idea che avesse mai avuto!

E ne aveva fatti di errori madornali!

-Clover, se c’è qualcosa che ti turba puoi dircelo- Maria iniziò ad accarezzarle dolcemente il braccio, attaccando direttamente la psiche già traballante di Clover, che non si trattenne dal ritirare il braccio, sorprendendola non poco.

-No, davvero, non preoccupatevi per me, va tutto bene. Tornate a parlare di… tatuaggi, o il matrimonio, è stato bello, vero?- Clover cercò con tutte le forze di cambiare argomento e distogliere l’attenzione da sé. Non meritava la preoccupazione di tutti. Era solo un personaggio secondario, un’ombra, un cameo. Non dovevano darle attenzione, non dovevano farla sentire speciale! Lei non era speciale, lei non era nessuno per loro!

-Clover…- Diego l’adocchiò sorpreso, e allertato. Se fosse preoccupato per lei, o solo consapevole di quello che la ragazza avrebbe fatto di lì a pochi minuti, questo Clover non poteva saperlo. Non sapeva neanche lei cosa avrebbe fatto di lì a pochi minuti, sapeva solo che stava raggiungendo il punto di rottura.

-Clover, cara, hai bisogno di prendere un po’ d’aria? Diego, perché non l’accompagni un attimo fuori- propose Maria, con lo stesso tono dolce e allo stesso tempo autoritario che aveva mostrato con la figlia poco prima. Per quanto Clover ci avesse provato, era determinata a non surclassare la questione, che le sembrava preoccupante. 

Probabilmente Clover avrebbe dovuto accettare il cambio di argomento e uscire, ma l’idea di stare sola con Diego era persino peggio di stare insieme al resto della famiglia, quindi scosse la testa, stringendo i denti.

-Non c’è bisogno, sto bene- insistette, alzando leggermente la voce, categorica, e facendo sobbalzare appena Coco, che non si aspettava questo drastico cambio di tono.

Suo padre si affrettò ad accarezzarle la testa per calmarla. Maria alzò le mani.

-Va bene, scusami. Forse sono un po’ invadente, mi dispiace, ma è perché mi preoccupo per te, sei di famiglia- cercò di giustificare le proprie azioni, sorridendo pacifica a Clover, a cui vennero le lacrime agli occhi.

Il punto di rottura era stato appena superato.

-Io non sono di famiglia…- sussurrò, quasi tra sé. 

-Clover…- Diego le prese la mano, fermamente, per bloccarla. Questa volta il suo tono era chiaramente allertato, ma Clover quasi non gli diede peso.

-Ma cosa dici, tesoro. Certo che sei di famiglia. Solo perché tu e Diego non siete ancora sposati non significa che…- Maria iniziò subito a rassicurarla, allargando il sorriso sollevando una mano per darle una carezza confortante sul capo, ma Clover si ritirò, e ritirò anche la mano che Diego le stava ancora tenendo.

-Io e Diego non stiamo insieme- rivelò poi, a voce leggermente più alta, alzandosi in piedi.

-Clover!- anche Diego si alzò dietro di lei, e le prese il braccio con l’intento di trascinarla via prima che rivelasse altro.

Anche se ormai, le carte erano state scoperte.

-Come, scusa?- chiese Maria, molto sorpresa.

L’intero tavolo era estremamente sorpreso, tranne Juanita, che sembrava solo molto a disagio.

-Sentite, è un periodo complicato, io e Clover stiamo passando una fase…- Diego cercò di metterci una pezza sopra -Perché non parliamo fuori un secondo?- propose poi a Clover, sottovoce.

-Perché ti ostini a mentire alla tua famiglia?! Non se lo meritano! Devono sapere la verità!- Clover però non aveva intenzione di ritirare la sua affermazione. Si sentiva troppo in colpa a continuare a mentire alle persone che l’avevano accolta senza riserve, come nessuno aveva mai fatto prima di allora. Non voleva continuare a fingere sapendo che tutto sarebbe comunque finito. Non poteva continuare a illuderli e illudere sé stessa.

Non era abbastanza forte.

-Diego, di che sta parlando?- Maria si alzò a sua volta, per confrontare il figlio.

Alla fine, messo sotto pressione da tutti quegli sguardi, Diego seppellì il volto tra le mani, sbuffò sonoramente, sbottò.

-Va bene, okay, hai vinto!- esclamò verso Clover, che distolse lo sguardo da lui -È vero, era tutto finto. Ho finto di stare con Clover per ottenere la casetta!- ammise poi, rivolto ai genitori.

-Per la casetta?- chiese Maria, sorpresa e molto confusa.

-La volevi dare a Miguel e Paola per il matrimonio! Così ho pensato che se sarei stato accompagnato a qualcuno l’avrei tenuta. L’ho costruita con il nonno. È mia!- Diego cercò di giustificarsi, ma si vedeva lontano un miglio che era davvero in difficoltà, e agitato, e odiava davvero tanto Clover per quello che aveva appena confessato.

La ragazza rimase in disparte, ma iniziò ad adocchiare la porta.

-E sei arrivato al punto di organizzare una finta relazione. Come hai potuto?! Bastava chiederlo. Non ti fidi di noi a tal punto?- Maria sembrava davvero ferita da tutta quella pagliacciata.

Clover si sentì ancora più in colpa. Non credeva di essersi mai sentita così in tutta la sua vita. Le sembrava di essere ritornata a quindici anni prima, quando aveva dovuto dire addio alla sua unica certezza, alla famiglia che si era scelta, al suo migliore amico.

-Non ero l’unico a volerla. Anche Clover me lo aveva chiesto!- Diego portò di nuovo l’attenzione su di lei, e la ragazza venne osservata dai volti sconvolti e delusi delle persone che fino a pochi minuti prima la guardavano con affetto.

-Mi dispiace- sussurrò, quasi tra sé -…è colpa mia. Sono io ad averlo convinto, odiate me!- decise di prendersi tutte le colpe. Dopotutto era vero. Diego non era mai stato convinto. Era stata lei ad insistere. Era lei quella che voleva davvero imbrogliare tutti per avere vita facile e deludere suo padre. 

Tsk, deludere suo padre. Davvero aveva fatto tutto quello solo per deluderlo? Si era ferita molto più di quanto avrebbe mai ferito lui. Esattamente come dieci anni prima, con l’incidente. 

Come faceva sempre, dopotutto.

I sentimenti non li esprimo, mai. Li imbottiglio in fondo al mio cuore e li lascio lì finché non esplodono mandando a monte la mia vita” aveva detto a Max, parlando di ciò che provava per Diego. Era stata la frase più azzeccata del mondo per descriversi. Ed eccolo lì, il senso di colpa, imbottigliato nel suo cuore dal primo incontro che aveva avuto con i Flores, ed ora esploso colpendo le persone a cui aveva imparato a volere un bene infinito, e mandando a monte la vita che da sempre avrebbe voluto avere.

-Clover…- il tono di Maria era incredulo, deluso, preoccupato, forse. Clover era troppo confusa per discernere perfettamente le emozioni complesse della donna. Si limitò a mordersi il labbro, e adocchiò nuovamente la porta, cercando di formare un piano di fuga decente.

-Mi dispiace- disse come ultima cosa, prima di correre via, prendendo tutti alla sprovvista, tranne Diego, che provò a fermarla, ma venne scansato immediatamente.

Clover corse il più in fretta possibile nei corridoi della nave. Era in mezzo all’oceano, senza vie di fuga legali, e ogni secondo si pentiva sempre di più di ciò che aveva fatto.

Non voleva ferire i Flores, non voleva mettere in difficoltà Diego. Voleva solo scappare, come faceva sempre per evitare di soffrire. È meglio il coltello che ti rivolti contro, perché almeno ti aspetti il dolore.

Anche se mai si sarebbe potuta aspettare la terribilmente sgradevole sensazione che l’accompagnò per gli intricati corridoi della nave, dove correva come una vittima inseguita dall’assassino, anche se dubitava che uno qualsiasi della famiglia Flores avrebbe voluto parlare con lei, ora che non era altro che la ragazza che si era approfittata della loro gentilezza per i suoi sporchi capricci. 

Raggiunse per prima cosa la propria cabina, dove prese velocemente tutte le cose importanti che le appartenevano. Sicuramente avrebbe dimenticato qualche crema e qualche vestito, ma non le importava più di tanto.

Ebbe qualche esitazione quando si ritrovò a stringere tra le mani la stoffa dell’abito da damigella, e lo infilò decisa in valigia. 

Poi uscì in tutta fretta, lasciando dentro la chiave per evitare di ritornare lì dentro, e si diresse con sicurezza nella terza classe, il più in basso possibile, sperando di trovare la cabina giusta nonostante i ricordi molto annebbiati della notte in cui si era ubriacata.

Si ricordava che aveva parlato con un tipo molto gentile al casinò, e poi gli aveva regalato qualche migliaia di dollari. Doveva essere nella cabina C-48, sperava.

-Uh, gentilissima signorina!- per fortuna la sua memoria non l’aveva tradita (quella volta), e quando bussò alla cabina, l’uomo di mezza età le aprì molto sorpreso.

-Senta, ho avuto dei problemi. Posso dormire nella sua cabina solo per stanotte?- chiese la ragazza, supplicante.

-Certo, certamente signorina, tutto per lei. Tesoro, c’è la signorina dell’altra notte, quella che ci ha aiutato per l’operazione di Tommy- l’uomo la fece entrare con ogni riguardo, e la presentò immediatamente a sua moglie, che iniziò a ringraziarla sentitamente, e le offrì il proprio letto.

Clover rifiutò, e si accontentò di un giaciglio per terra.

Probabilmente, per quello che aveva fatto, avrebbe meritato che la gettassero in mare in mezzo agli squali. 

Cercò subito di prendere sonno, cercando di non pensare a quello che fosse successo.

Sentì il telefono squillare, ma lo spense e lo ignorò completamente.

Voleva solo sprofondare nel sonno e dimenticare tutti i suoi problemi.

Che caos incredibile!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Robe succedono, tante robe.

Quasi tutte negative, devo ammetterlo.

Ma prometto che la botta di angst e brutte cose finirà molto molto presto… del tipo il prossimo capitolo circa, o quello successivo.

Nel senso che il prossimo capitolo sarà un misto tra angst e cose belle.

Ma spoiler a parte…

Ci credete che questo momento Mannax è il primo che mi dia davvero dei vibes da coppia?

Vi confesso che fino ad ora, tutti i momenti dove Max interagisce con Sonja o Manny mi sono sempre sembrati strani da scrivere, non so se perché dovevo stare un sacco attenta a non scrivere i pronomi sbagliati o ero troppo concentrata sugli indizi, ma ogni volta che scrivevo Max con qualcuno, mi sentivo un po’ bloccata. Invece oggi, per la prima volta dall’inizio della storia, sono davvero soddisfatta del paragrafo di Max.

E poi ho cercato di mettere più fluff possibile per prepararvi a quando tutto va storto.

Poveri Max e Veronika.

Ma almeno la verità è venuta alla luce… nel modo peggiore.

Tutto per colpa di Bastien, che, onestamente, non ho voluto rendere cattivo, solo snob. E diametralmente opposto a Veronika. 

Alla fine è un bravo ragazzo, solo poco lungimirante, e troppo preso dal proprio status con il rischio di diventare egocentrico.

Nel modo peggiore è anche venuta alla luce la verità di Clover e Diego. Spero davvero di averla resa in modo plausibile e profondo.

Alla fine Clover ha ceduto alla pressione, ha preferito buttare tutto all’aria per evitare di esporsi troppo, mi ricorda qualcuno *coff coff Mirren coff coff*. Alla fine i problemi paterni non sono così diversi. E Freud insegna quanto i problemi familiari siano presenti attivamente nella crescita e nei traumi di un individuo (troppo Freud sto studiando ultimamente).

Problemi personali a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che il fluff Mannax abbia ripagato un po’ di tutto l’angst successivo. 

Vorrei mettere un accento sulla discussione dei tatuaggi e indicare, per chi magari non è molto esperto di lingue, che Clover, in inglese, significa trifoglio. Così… per dire.

Il prossimo capitolo spero con tutto il cuore di riuscire a pubblicarlo l’8 Febbraio, che si festeggia il compleanno della storia. Non ci credo che l’ho iniziata solo un anno fa. Ma questi discorsi me li tengo per il prossimo capitolo.

Grazie a chi segue ancora questa storia, un bacione e alla prossima :-*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel prossimo episodio: È il compleanno di Amabelle, rancori vengono alla luce, arriva una persona inaspettata.

   
 
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