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Autore: Kaiyoko Hyorin    31/01/2021    5 recensioni
Quando Kat si sveglia in mezzo a un boschetto rigoglioso, preda della nausea e di un forte mal di testa, non ha idea di ciò che l'aspetta.
Come questa ce ne sono altre di storie, imprese memorabili capitate per fortuna o per volere del destino a persone apparentemente ordinarie. Eppure ve ne propongo un'altra, sperando possiate trovarla una lettura piacevole.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bilbo, Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lo Hobbit'
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“The force that I feel in your voice grows when daylight fades [..]
You will guide your fate, do not ask for more.”
[ The Wolves' Call, Wind Rose ]




Osservando la battaglia che, sotto di lei d’una trentina di metri, infuriava implacabile nella Valle di Conca, Kat iniziò ad avvertire nuovamente il nodo dell'angoscia stringerle la gola e vagò con lo sguardo alle volute di fumo che s’innalzavano verso il cielo. Le nuvole stavano tornando ad inspessirsi sulla piana ai piedi della Montagna Solitaria e la ragazza si ritrovò di nuovo a chiedersi come avrebbe fatto a raggiungere la sua meta, giacché attraversare il campo di battaglia era ormai fuori questione per lei, se voleva arrivarci viva.
Fu a quel punto che una brezza fredda la investì, scostandole il capelli dal viso e penetrandole nei polmoni, permettendole finalmente di respirare. E lei inspirò a fondo, raddrizzando la schiena e svuotando la mente grazie a quel momento di tregua da sé stessa, e finalmente l'idea giunse.
Quando tornò ad aprire gli occhi, il suo sguardo era rivolto al cielo plumbeo e la fermezza le colmò il petto, pronta a fare ciò che sapeva dover essere fatto.
Così si concentrò, e rievocò nella mente e nel cuore la melodia dai recessi della propria memoria, visualizzando dietro le palpebre chiuse la propria magia ed il modo in cui intendeva modellarla. Fu come a Lago Lungo: un crepitante formicolio le si diffuse sottopelle, dal centro del petto alle dita e finanche alle punte dei capelli, mentre intorno a lei percepiva il fischio del vento aumentare d'intensità, turbinandole intorno.
Kat incanalò il cocente desiderio che le dilaniava il petto e ne fece la sua forza, un carburante per il potere di cui era detentrice inesperta, lasciandosi guidare dall'istinto, sorda ai mutamenti del mondo intorno a lei. Un tuono lontano, un rombo soffocato dal clangore della guerra, permeò l'aria e, un attimo dopo, quando ormai l'energia magica si era totalmente destata in lei, Kat le diede suono.[*]
Non cantò a parole, ma modulò la propria voce in una melodia forte e soave al contempo, lasciando che il vento intorno a lei l'amplificasse e la levasse sempre più in alto nel cielo, sino oltre le nuvole e le colonne di fumo che lo offuscavano. E quando le note più alte risuonarono sopra il campo di battaglia, nel vento riecheggiò un acuto stridore in risposta, ed il grido delle Grandi Aquile anticipò la loro comparsa mentre calavano al di sotto dell'orizzonte, trasportate da un forte vento di tempesta.
Schiudendo le palpebre, Katla avvertì il cuore tornare ad esultarle in petto, ma non perse la concentrazione né lasciò sfumare il suo canto, sollevando il braccio destro verso la quinta armata discesa dalle alte vette su cui erano arroccati i loro nidi, presso i Monti Nebbiosi.
Uno degli enormi rapaci si staccò dalla formazione, sbattendo le sue grandi ali piumate nel vento ed indirizzandosi verso la giovane, ed ella comprese di essere stata udita e notata dall'acuta vista della creatura. Così lasciò sfumare la propria voce e la brezza gelida che l'aveva avvolta sino a un istante prima calò d’intensità.
Quando fu il momento, Kat fece un passo indietro e l'Aquila dal piumaggio bruno, ormai prossima, virò seguendo una larga traiettoria ricurva che le avrebbe permesso di passare sotto la postazione di guardia sulla quale la ragazza era rimasta sino a quel momento. Non si sarebbe fermata e lei aveva una sola possibilità. 
Così, strinse le labbra e si fece coraggio, ancora forte dell'esuberanza e dell'eccitazione che l'avevano pervasa grazie alla riuscita del suo intento, e scattò.
Si lanciò in avanti con tutto lo slancio di cui era capace, usando il parapetto come appoggio e trampolino per saltare sopra ed oltre la merlatura del muro, buttandosi dritta nel vuoto. La gravità le serrò la bocca dello stomaco e lei trattenne meccanicamente il respiro, finché quella sensazione non ebbe bruscamente termine a causa di un improvviso ed insperato impatto: atterrò proprio sulla schiena della Grande Aquila e, mossa da un forte ed affinato istinto di sopravvivenza, ne afferrò il piumaggio con tutte le proprie forze, per non venir sbalzata via dal contraccolpo.
La maestosa creatura stridette di nuovo nel vento, comunicando allo stormo la riuscita di quella manovra e la presa in custodia della giovane, quindi s'innalzò in volo sopra il campo di battaglia, prendendo rapidamente quota con una serie di possenti battiti d'ali. Kat, il respiro spezzato dall'affanno, restò rannicchiata sul suo dorso per tutto il tempo, timorosa di cadere al suolo dopo tutta la fatica fatta per arrivare a tanto. Soltanto quando il volo dell'Aquila tornò a stabilizzarsi ad alta quota ed il fischio del vento nelle sue orecchie si rifece sopportabile, che la possente creatura finalmente le parlò.
– Ti presterò le mie ali, figlia degli Uomini, – sancì, solenne, la chiara e potente voce che fendette i turbini di vento che le colmavano le orecchie – fin quando ti sarà necessario, per ricambiare i venti favorevoli di cui ci hai fatto dono.
Di nuovo in preda all'ottimismo ed a un'innata ed insperata fiducia in sé stessa, Katla sollevò il capo, socchiudendo gli occhi per resistere al freddo ed al gelo che la sferzava da ogni lato minacciando d’irrigidirle i muscoli tesi e facendola lacrimare.
– Portami a Collecorvo! – urlò, tradendo pur non volendo tutta l'ansia e la necessità che l'animavano – Il comandante dell'armata nemica è lassù: dobbiamo colpire lì!
– Combatteremo al tuo fianco – affermò l'Aquila di rimando – Tieniti forte!
Quindi levò un nuovo grido nel vento, tanto potente da ferire i timpani della ragazza ancora aggrappata saldamente sul suo dorso, andando a richiamare alcuni dei suoi compagni mentre altri si lanciavano sulle bande di orchi e pipistrelli giganti che brulicavano nella valle sottostante.
Le Aquile che avevano risposto sfrecciarono in alto, contro il vento, e Kat si ritrovò a schiacciarsi contro il piumaggio della creatura alata per evitare di farsi trascinare via dalle correnti, finendo per concentrarsi solo sul suono del proprio respiro e del battito del proprio cuore in tumulto, per evitare di farsi prendere dal panico. Doveva restare salda nello spirito ed aver fiducia, perché se si fosse fatta scoraggiare avrebbe perso tutto. Dwalin glielo aveva ripetuto più volte: mai scendere in battaglia con in testa l'idea di non poter vincere.
Il pensiero del nano che aveva affiancato i giovani nipoti di Thorin durante i suoi allenamenti le infuse nuova forza d'animo e le ricordò che non era sola, che i suoi amici e compagni erano là sotto a combattere senza risparmiarsi contro le orde del male, e lei non sarebbe stata da meno.
Per questo, quando finalmente fu di nuovo coi piedi per terra, ringraziò l'Aquila e senza indugio spiccò la corsa su per il versante dell'altura, incespicando sul sentiero ghiacciato e stringendo i denti per lo sforzo, senza mai guardarsi indietro.
Aveva appena raggiunto la prima fila di macerie appartenenti alle rovine della roccaforte di vedetta costruita in tempi antichi dagli Uomini, quando una freccia le passò ad un palmo dal capo, mancandola d'un soffio. Kat scartò di lato e si gettò dietro un basso muretto, premendo la schiena contro la fredda pietra e cercando di riprendere fiato mentre sguainava la propria spada.
Schiamazzi e grida concitate si levarono intorno a lei, oltre il suo campo visivo, e la ragazza per riflesso serrò gli occhi con forza, nel tentativo di calmarsi e ritrovare il proprio sangue freddo. Ripensò a Thorin, alla cocente sofferenza che le donava il pensiero di perderlo, e questo la portò a serrare la presa sull'impugnatura della propria arma elfica ed a farsi coraggio ancora una volta.
Era il momento di agire… ma dov’erano gli Elfi?
Stava per sbucare fuori dal proprio riparo ed andare incontro ai nemici che, stando al loro scalpiccio ed allo sferragliare delle loro armature, stavano per piombarle addosso, quando un'ombra le passò sopra il capo e con un ringhio animalesco s’avventò nello spiazzo oltre il muretto diroccato.
Dopo un primo istante di sconcerto e confusione che l’avevano fatta scivolare ancor più in basso, Katla tornò a sporgersi da dietro al suo riparo di fortuna, appena in tempo per osservare un grosso lupo grigio avventarsi a zanne snudate su uno dei nemici, squarciandogli la gola. Subito dopo un secondo animale si lanciò su un orco vicino munito d’arco e frecce, scaraventandolo a terra e schiacciandolo sotto le possenti zampe protese, prima di ridurlo a brandelli.
Altre belve fecero la loro comparsa, passando rapide al limitare del suo campo visivo, sbucando fra le macerie ed i sentieri diroccati come antichi spettri vendicatori, insinuandosi fra le rovine e le torri diroccate mentre le Aquile si lanciavano in picchiata, ghermendo con i loro artigli gli orchi tiratori appostati nei punti più alti e scaraventandoli giù o dilaniandone i corpi coi possenti becchi.
E Kat, in preda ad uno stupore assoluto, non potendo credere del tutto a ciò che i suoi occhi vedevano, fece un passo fuori dal suo nascondiglio e lasciò spaziare lo sguardo spalancato sulla caotica scena, senza riuscire a dar forma ad un pensiero coerente.
Era ancora impalata ad ammirare la battaglia che era scoppiata nel giro di pochi istanti dinanzi a lei e tutt'intorno quando, una manciata di secondi dopo, un lieve ticchettio d'artigli sulla roccia ghiacciata anticipò un caldo sbuffo d'alito investirla dietro la nuca, scostandole alcune ciocche di capelli. La giovane donna s’irrigidì meccanicamente e, lentamente, si voltò su sé stessa per sincerarsi della presenza che aveva alle spalle, pur intimamente già sapendo cosa avrebbe visto.
Si ritrovò così innanzi al volto il nero tartufo di un enorme lupo bianco ed ella la riconobbe, giacché l'aveva già vista una volta, ormai diversi mesi prima, sotto le fronde di Bosco Atro: era lo stesso animale dal pelo candido che tanto l'aveva ammaliata ed affascinata nella penombra del sottobosco e, seppur una parte di lei se ne sentisse intimorita, l'altra reagì come allora e ne ricambiò lo sguardo diretto, incurante del fatto che la superasse in altezza e che le sue fauci custodissero una serie di zanne acuminate e letali.
Quando affondò negli occhi della belva, Katla istintivamente seppe perché il branco di lupi del Rhovanion l'aveva seguita sin lì e lo accettò come si accetta una verità troppo grande per negarla o anche solo averne timore. Con un cenno del capo riconobbe la sua presenza e l’animale, dopo un fremito delle orecchie triangolari, sollevò il muso oltre lei e balzò in avanti.
Kat l’imitò subito dopo e, con un urlo battagliero, andò incontro al nemico, sollevando la spada e caricando il primo orco che si frappose sul suo cammino. Fu così che si ritrovò di nuovo ad avanzare verso la vetta di Collecorvo, costretta di nuovo a lottare per la propria vita, colpendo e tagliando quando la sua piccola lama raggiungeva il bersaglio e schivando quando invece erano i suoi nemici a tentare di contrastarla.
Ben presto il fuoco della guerra, lo stesso che l'aveva tenuta in vita e spinta a combattere dinanzi alla Montagna Solitaria, si riaccese nel suo animo, spingendola ad andare avanti, mettendo in secondo piano ogni timore ed ogni tentennamento.
Doveva fare in fretta, doveva muoversi più velocemente o non avrebbe mai fatto in tempo!
Doveva trovare Azog e distruggerlo, prima che lui avesse occasione di fare del male a Fili, Kili e Thorin, o chiunque altro.
Stava salendo per un largo passaggio quando, le orecchie colme dei ringhi e degli strepitii della battaglia in corso, scivolò provvidenzialmente, il ghiaccio e la pietra resa viscida del sangue dei nemici, appena in tempo per evitare un improvviso fendente che le avrebbe staccato di netto la testa dal collo.
L'attimo seguente, ancor prima di rendersi effettivamente conto dello scampato pericolo, la ragazza si gettò con tutto il suo peso contro l'orco delle Montagne Nebbiose, affondando la punta della piccola spada nel ventre della creatura sino all'impugnatura. Quello rantolò, cadendo all'indietro, e lei, già sbilanciata, lo seguì soltanto per rotolare in ginocchio e liberare con uno strattone la propria lama, prima che il nemico morente avesse la possibilità di colpirla un'ultima volta.
Col fiato corto che le scivolava fuori dalle labbra in spesse nuvolette di condensa, Katla tornò a guardarsi brevemente attorno, cercando di ignorare la pressante sensazione di bruciore ai polmoni mentre tentava d’assimilare abbastanza ossigeno. Doveva continuare, doveva andare avanti, ma già sentiva che i muscoli le rispondevano meno prontamente di prima, il suo corpo ancora provato dalla battaglia campale a cui era scampata a stento.
Fu a quel punto che la grossa ombra bianca della lupa tornò a raggiungerla e le si fermò davanti, dandole il fianco e puntando il muso verso le scale, dall'altro lato dello spiazzo in cui Kat si era fermata a riprendere fiato. 
– Sali.
Se Kat fosse stata in tutt'altra situazione sarebbe rimasta a bocca aperta a fissare la belva che, in quel modo sorprendentemente chiaro, le aveva appena parlato, pur avendolo fatto nella sua lingua natia, ma ella era troppo presa dalla necessità di compiere la sua personale impresa per soffermarsi su quel dettaglio. Così, dopo un istante d’incertezza, ruotando la spada nella mano per impugnarla di modo che la lama aderisse all'avambraccio, prese lo slancio e saltò in groppa alla lupa bianca, aggrappandosi alla folta pelliccia che ne adornava il collo.
– Vai! – l’incitò a voce alta, piegandosi sul suo dorso appena in tempo per resistere all'improvviso scatto dell'animale.
Come la lupa balzò in avanti, ella ne avvertì i muscoli tendersi, forti come spesse funi d'acciaio, ed il resto del mondo sfrecciò rapido ai bordi del suo campo visivo nei colori del bianco, dell'azzurro, del grigio e del nero. Salirono rapide fra le rovine, scartando e saltando eventuali orchi appostati lungo il tragitto, e a quel punto a Kat apparvero più numerosi di quanto si sarebbe mai augurata, tanto che bastò quel pensiero a farle serrare la gola in un nodo di tensione.
– Richiama il branco – ringhiò l'animale che con tanta destrezza e potenza la stava trasportando, ed il tono con cui glielo disse non la fece dubitare nemmeno per un secondo.
Kat reclinò il capo all'indietro, pur restando bassa sulla groppa di Nén, e gettò un ululato che andò a rimbalzare sulle rocce ed a disperdersi nel vento con un'intensità tale da sorprendere la stessa artefice di quel richiamo.
Eppure, di stranezze in quell'avventura se ne erano susseguite in abbondanza per la ragazza e quell'ultima era solo una fra le tante cose che aveva scoperto, quasi per caso, d’essere in grado di fare, perciò Katla non soffermò a lungo il suo pensiero su di essa, ma lasciò che fossero i vantaggi che tutto ciò le stava portando ad influenzarla.
Ben presto il branco prese a radunarsi, seguendo la capobranco e la ragazza sul suo dorso, proteggendone i fianchi ed assalendo ogni nemico che si ritrovava o si scagliava avventatamente contro di loro. In alto le Aquile fendevano il vento, sfrecciando di tanto in tanto sopra il capo della ragazza in una delle loro picchiate d'attacco, ma fu soltanto dopo un’altra manciata di minuti che finalmente Kat scorse con la coda dell'occhio la prima di una serie di figure vestite d’armature scintillanti muoversi fra le mura diroccate dell’avamposto fortificato, agile e veloce quanto un battito di ciglia.
Gli Elfi di Thranduil erano finalmente arrivati!
Esultando intimamente, Kat tornò a volgere lo sguardo grigio-verde in avanti, mentre una strisciante ed inebriante illusione d’invincibilità le nasceva in petto e si diffondeva in ogni suo arto, giacché ormai sentiva la vittoria a portata di mano.
Fu a quel punto che finalmente ella lo scorse, l'Orco Pallido, sbucare sulla cima della torre più alta e lontana. Quando i suoi occhi di un azzurro chiarissimo ed agghiacciante si posarono su di lei, la giovane donna s’irrigidì e la lupa sotto di lei s’arrestò, sollevando il muso sporco di sangue nero nella direzione del loro comune nemico.
Kat trattenne il fiato e di nuovo la tensione le bloccò spalle e braccia e le fece serrare con più forza la pelliccia della bianca creatura che era comparsa in suo aiuto, ma non distolse lo sguardo. Si corrucciò in volto invece, sostenendo lo sguardo carico d'odio e rabbia dell'orco che era il nemico giurato di Scudodiquercia, ed una contrarietà ed un istinto di ribellione nuovi ed implacabili si impossessarono di lei, impedendole di cedere.
– Nén – esordì a voce alta, chiamando la lupa per la prima volta con il nome con cui ella era stata omaggiata dagli Elfi Silvani. Era stata Tauriel a raccontarle la sua storia, quel giorno in cui s’erano avventurate in esplorazione di Collecorvo da sole, ma non è questo il momento per narrarvela, giacché è in corso una furiosa battaglia per il dominio delle terre del Nord.
Dunque, Kat non aggiunse altro, e nemmeno ve ne sarebbe stato bisogno, giacché la lupa tornò a scattare in avanti, togliendosi dal campo aperto e riportando sé stessa e la giovane donna al riparo fra le rovine.
Non fecero più di qualche metro tuttavia, prima che l’ormai familiare figura di Legolas tagliasse loro la strada, arco in mano e freccia incoccata, pronto a scagliarla contro il primo nemico alla sua portata. S'arrestarono tutti e tre al centro d’un incrocio ed il Principe di Bosco Atro, come posò i suoi occhi azzurri su Katla e Nén, li spalancò e perse la sua elfica imperturbabilità in favore di uno stupore pressoché assoluto.
Ed’ i’ear ar’ elenea![1] – esclamò in un soffio, squadrando la donna da capo a piedi, prima di ricomporsi e piegar il capo in un rispettoso saluto – San’ auta i lóme. Mae govannen, goth en gothamin: lossë raaka Nén ar aiwe vorth elannah.[2]
Kat, raddrizzando la schiena, ricambiò lo sguardo carico di rispetto di Legolas con un sorriso spontaneo e carico di sollievo ed orgoglio, giacché pur non avendo compreso le sue parole, aveva percepito insito in esse il riconoscimento che le aveva riservato.
– Conduci i tuoi dentro le torri, Legolas Thranduilion – lo esortò, consapevole di sé e del proprio ruolo, tanto da apparire sicura e determinata, più di quanto in realtà non fosse, di fronte al figlio di Thranduil – ..stanateli e non fatevi cogliere impreparati.
In quel momento Tauriel uscì allo scoperto con uno slancio che venne frenato prontamente non appena i suoi occhi verdi si posarono su lei e la bianca lupa del Rhovanion. L’arco era già carico fra le sue mani e dalla faretra sbucavano le estremità piumate d’una decina di frecce soltanto. Dopo un primo istante di stasi, elfa e donna si scambiarono un muto cenno del capo, quindi la rossa andò avanti, guidando i guerrieri di Reame Boscoso con pochi e rapidi comandi in elfico.
Quando tutta quella storia fosse terminata l’avrebbe di certo ringraziata, si ripromise Katla, avvertendo una volta di più il profondo rispetto che le legava l’una all'altra.
– Tu cosa intendi fare? – le chiese Legolas, schietto e diretto come era sua natura, attirando nuovamente la sua attenzione.
– Io vado a riscrivere questa storia – gli rispose Kat di rimando, senza più alcun tentennamento.
Non gli diede nemmeno il tempo di ribattere che tornò a piegarsi sul dorso di Nén e la lupa balzò in avanti, infilandosi in uno dei passaggi fra le pietre che conducevano alla sommità. Se si fosse voltata avrebbe scorto Legolas seguirla brevemente con lo sguardo ed augurarle buona fortuna nella sua lingua, ma ormai Kat non poteva pensare ad altro che allo scontro all'ultimo sangue che di lì a poco avrebbe affrontato.
Eppure esso giunse ancor prima del previsto, giacché non furono loro a trovarlo ma fu il Profanatore a riversarsi su di loro dall'alto, scagliando la ragazza lontana dalla lupa con un urlo intimidatorio. Mentre Katla rotolava sulla neve ed il ghiaccio, Azog afferrò per una zampa posteriore Nén, scagliandola lontano da sé e dalla sua piccola amazzone.
Un latrato che sfumò in un guaito sopraggiunse alle orecchie d'ella che, pur ammaccata e confusa per la repentinità degli eventi, scartò immediatamente di lato, appena in tempo per evitare la pesante mazza impugnata dall'Orco Pallido.
Essa impattò con una forza tale che frantumò roccia e ghiaccio, sollevando pietrisco e frammenti con un rintocco crepitante, scuotendo la montagna, e Kat sollevando lo sguardo sbarrato sul suo nemico serrò le labbra per evitare che il cuore finitole in gola le schizzasse via.
Spinta dall'istinto di sopravvivenza, si rimise in piedi e fece un nuovo salto indietro, appena in tempo per evitare il secondo attacco dell'orco dal volto sfregiato. Quindi, serrando la presa sull'impugnatura della propria spada, digrignò i denti in una smorfia carica di promesse e determinazione, prima di lanciarsi all'attacco con un urlo.
Ancor prima di arrivargli contro però, l'ombra bianca di Nén calò su Azog il Profanatore, azzannandogli il braccio con cui reggeva la pesante mazza orchesca e facendolo grugnire di dolore, prima che lui se la scrollasse di dosso con un ringhio carico di furore.
Lo stesso furore che colmò il cuore di Katla un attimo prima di lanciarsi in avanti, facendosi scivolare sulle ginocchia sopra il ghiaccio che in quel punto ricopriva il terreno ed aprendo uno squarcio nella spessa pelle dietro al ginocchio sinistro del nemico.
Il nuovo urlo dell'orco colmò l'aria e riecheggiò fra le rocce, sovrastando i rumori dello scontro ancora in atto, ma in esso vi erano ancora vigore e crudeltà. Non crollò, pur piegandosi, riprendendosi l'istante seguente e, caricando il peso sul ginocchio sano, lasciò andare la mazza per tentare di infilzarla con la lama che gli spuntava, saldata alla carne come una protesi, dal braccio mozzato.
Kat deviò il colpo con la propria lama, avvertendo attraverso le braccia la tremenda forza del suo avversario e resistendo a fatica, mentre spostava il proprio peso in funzione di essa, così come aveva imparato a fare a Gran Burrone. Tuttavia la giovane donna non era rapida quanto poteva esserlo un Elfo e, quando tentò di scivolare all'interno della guardia avversaria, fallì e venne scaraventata indietro da un colpo a pugno chiuso che le tolse il fiato e le fece scricchiolare le costole. Il contraccolpo contro alcune grosse pietre squadrate, i resti di quello che un tempo doveva esser stato un muro, la fece gemere e la vista le si colmò di piccole stelle danzanti.
Quando la visione della ragazza tornò a schiarirsi Nén era nuovamente su Azog, ma l'orco, dopo pochi minuti di feroce lotta, riuscì ad agguantare la lupa per il collo, sollevandola a mezz'aria ed affondando la sua crudele lama nel suo ventre. Il guaito di dolore e disperazione che riecheggiò sino alle vette più alte di Collecorvo raggelò il sangue nelle vene di Katla, che si ritrovò inorridita a sbarrare gli occhi chiari sulla scena che si stava compiendo dinanzi a lei.
– ..no – mormorò in un soffio, giacché non vi era più voce nella sua gola, e gli occhi le si inumidirono di lacrime di dolore per la perdita di quel confronto, ma non ebbe il tempo di reagire che Azog scagliò il corpo della lupa proprio verso di lei.
Non riuscendo a muoversi in tempo, Katla venne investita in pieno e sbatté di nuovo contro gli spessi blocchi di pietra, ritrovandosi schiacciata sotto il cadavere esanime della bianca lupa, mentre il suo sangue già andava imbrattando il suolo e lei stessa.
Le lacrime bruciarono gli occhi della giovane donna che, pur sofferente, non mancò di rivolgere una nuova occhiata carica di odio e furia verso il Profanatore. Il suo istinto di ribellione si risvegliò, infiammandosi come una fiamma riattizzata dal vento nel suo animo battagliero, impedendole di arrendersi nonostante fosse consapevole della sconfitta imminente.
Non avrebbe lasciato che le cose finissero in quel modo.
Aveva una missione da compiere e l'avrebbe fatto, anche a costo della propria vita!
L'adrenalina, tanto densa nel suo sangue da bruciarle nelle vene, acuì ogni suo senso come mai prima ed il tempo stesso parve rallentare alla percezione della ragazza, la quale si ritrovò ad osservare l'avvicinarsi di Azog come al rallentatore, giacché la sua mente vorticava di pensieri ed emozioni rapidamente e confusamente come mai era stato, alla ricerca di una soluzione.
Il corpo di Nén era pesante su di lei e le impediva di muoversi, ed aveva perso la propria spada, che vide con impressionante nitidezza brillare nella fioca luce del giorno morente a due metri da lei, abbandonata nella neve.
Il sangue della lupa continuava a riversarsi copiosamente al di fuori del suo corpo ed il respiro rantolato della creatura le giungeva come una vibrazione sofferta attraverso la pelliccia, tanto da far meccanicamente muovere la mano sinistra della ragazza sul suo manto, in un tocco che voleva essere di conforto e rassicurazione, nonostante l’ineluttabilità della fine.
La smorfia astiosa di Azog riluceva dello stesso odio che animava lei mentre inesorabile continuava ad avvicinarsi, sempre più deforme sul suo grugno pallido e crudele, insinuando nell'animo di Katla l'agghiacciante consapevolezza che sì, alla fine, sarebbe morta.
Nessuno sarebbe giunto in tempo a salvarla.
Fu allora che lo vide, Thorin, in sella al suo ariete di montagna, sbucare da oltre la curva del sentiero, la spada già ricoperta di sangue, splendente nella sua armatura nanica come il più fiero degli Déi della morte. Quando i loro occhi si incrociarono, Kat vide il suo volto cambiare, lasciando spazio ad un'espressione che da sbalordita si fece atterrita, e la ragazza si sentì mancare.
Anche Azog parve accorgersi del nuovo venuto e, fermandosi quando ormai era giunto a sovrastarla, rivolse al nano un ghigno maligno e compiaciuto, giacché doveva aver notato l'orrore sul suo volto barbuto appena l'aveva vista a terra ed in pericolo.
Quando gli occhi chiarissimi dell'Orco Pallido tornarono a lei, la promessa di morte che le trasmisero divenne per Kat tangibile, giacché non vi era speranza per il Re sotto la Montagna di evitarle quel fato: era troppo lontano per fermare il braccio di Azog ed evitarle quella fine.
Ma lei, forse, poteva ancora evitarla a lui.
Sotto il palmo sinistro, il braccio schiacciato al di sotto del corpo ancora caldo di Nén, Katla avvertì l'asperità della roccia sotto i polpastrelli alternarsi a lisce vene di ghiaccio, lì dove i blocchi di granito si congiungevano o ne erano stati dilaniati, ed al contempo i suoi occhi rimasero fissi sulla grezza lama dell'orco la cui ombra l’aveva ormai inghiottita, cogliendo il riflesso maligno che mandò quando egli prese, con illusoria lentezza, a sollevarla.
Era ormai certa che non sarebbe sopravvissuta, quando l'idea la colse come un fulmine a ciel sereno.
Forse sarebbe riuscita a compiere la sua personale missione, dopotutto.
Così, ignorando il battito forsennato del proprio cuore e l'istinto pressante di fuggire che a stento le permetteva di respirare, tentò con la propria coscienza di rievocare ancora una volta la magia dentro di sé e chiuse gli occhi, lasciando che le strofe della canzone prendessero forma ancora una volta dalle proprie labbra in un sussurro graffiato e sofferto, troppo basso persino per le proprie stesse orecchie.
La magia si risvegliò in lei... e, pochi secondi dopo, l'acciaio le penetrò nella carne.


NOOOO!
L'urlo che, potente e carico di un furore ed un'angoscia senza pari, riecheggiò fra le rocce di Collecorvo, risucchiò e soffocò ogni altro suono circostante ed i rumori dello scontro ancora in atto sfumarono alle orecchie di Thorin, che assistette impotente mentre la lama del suo più odiato nemico affondava attraverso la cassa toracica del lupo sino a lei.
Il tempo si arrestò per il Re di Erebor, permettendogli di incrociare un'ultima volta lo sguardo di Katla mentre reagiva alla sua voce e lo cercava con quei suoi occhi velati di dolore ed incoronati da un riverbero d’argento. Le sue labbra si muovevano appena e lui non capì cosa ella stesse dicendo, reso sordo e cieco dal dolore che gli era esploso in un istante nel petto. 
Stava accadendo di nuovo: l'Orco Pallido lo stava privando di un’altra delle persone che avevano trovato un posto nel suo cuore.
A quella consapevolezza il suo animo venne travolto da una nuova furia che, potente come non mai, gli fece tornare a focalizzare l'attenzione su Azog, e, un istante dopo, partì alla carica spronando il montone da guerra con un unico aspro comando in khuzdul.
Si gettò all'attacco a testa bassa, come era solito fare ogni Nano degno di questo nome.
Nei pochi secondi che l’erede di Durin impiegò per bruciare le distanze, l'orco tentò di reagire, ma quando tentò di ritirare il braccio armato esso si rifiutò di sfilarsi dai corpi delle vittime che aveva appena trafitto.
Fu per questo che non ebbe alcuna possibilità di contrastare l'attacco di Thorin Scudodiquercia che, con foga, si sollevò sulla sella della propria cavalcatura da battaglia ed all'ultimo momento gli balzò contro, brandendo Orcrist con ambo le mani e calandola sul nemico con un urlo intriso di rabbia e vendetta. La lucente lama elfica tranciò muscoli ed ossa, finendo per aprire in due il cranio dell'orco e mettendo fine ai suoi giorni di profanatore.
Il grosso corpo di Azog crollò al suolo e la lama che gli spuntava dal moncone del braccio che lo stesso Thorin gli aveva menomato si spezzò con uno schianto metallico, liberandone il grosso corpo ormai privo di vita.
Il nano, atterrato in piedi sul torace del nemico, liberò con uno strattone altrettanto violento la Fendiorchi e con un ultimo colpo ben assestato gli spiccò la testa dal collo, lasciando che quella andasse a rotolare giù dal sentiero sotto la foga del suo ultimo fendente.
Era finita.
Finalmente quella feccia non avrebbe più fatto del male a nessuno.
Con il petto scosso da un respiro affannoso e la mente pervasa da un odio ed una rabbia che andavano lentamente sfumando, Thorin riemerse dalla marea di pensieri e sensazioni che gli aveva annichilito la mente e colse le voci dei suoi familiari e compagni richiamarlo al presente.
– Thorin!
Riscuotendosi, il Re dei Nani si voltò di scatto, puntando lo sguardo sul corpo della giovane donna che giaceva ancora sepolta sotto la carcassa di un enorme lupo bianco, ed il suo cuore tornò a sussultargli dolorosamente in petto.
– Katla!
Si precipitò da lei, lasciando cadere a terra Orcrist come se fosse stata un ferro vecchio e cercando poi i nani che sapeva essere al suo seguito con crescente agitazione.
– Aiutatemi a liberarla! – ordinò loro, riversando nel proprio tono tutta l'urgenza e l'imperiosità di cui era capace, prima di tornare a scrutare la giovane e lo squarcio aperto nella candida pelliccia della bestia sopra di lei.
Fili e Kili sopraggiunsero per primi, accostandosi subito al lupo senza vita, e Dwalin li imitò l'istante seguente, aiutando Thorin a sostenere il peso dell'animale prima che riuscissero con uno strattone a spostarlo. Quando la belva venne fatta ricadere a terra, la scia di sangue che s’era lasciata dietro e che macchiava in gran parte anche gli abiti inferiori di Katla fece trasalire il più giovane dei suoi nipoti e persino Thorin si ritrovò ad impallidire, un attimo prima che la ragazza si riversasse in avanti, in una pozza rossa che andava allargandosi.
Con un'imprecazione, aiutato dai suoi, Thorin la fece stendere supina e strappò il proprio stesso mantello per andare a tamponare il profondo squarcio lasciato dalla lama di Azog sul suo fianco. Il moncone d'acciaio che ne era la causa ancora rifletteva lucido dalla pietra in cui si era incastrato, trattenuto tanto dalla roccia quanto da un'innaturale spirale di ghiaccio rosso che si schiudeva su di essa come un fiore di cristallo, ma il Re di Erebor non perse tempo a farsi domande in merito, totalmente concentrato sulla sua amata.
– Kat! – la chiamò di nuovo, mentre tentava di arginare la perdita di sangue.
Non ottenendo risposta, cedette al terrore che, sempre più vivido e soffocante, gli ghermiva l’animo in tumulto.
Kathrine!
E finalmente, come reagendo a quel nome che lo stesso Thorin aveva udito una volta soltanto uscire dalle sue labbra quando l'aveva stretta a sé ormai molto tempo prima, fra le Montagne Nebbiose, ella mosse il capo e schiuse le palpebre, sollevando su di lui quei suoi magnetici occhi chiari. Le lacrime di sofferenza che vi scorse, aprirono una voragine nel petto del nano.
– Thorin.. – mormorò, in un soffio, trovando persino la forza di accennare ad un sorriso – sei qui.
– Sì – le confermò lui, tentando di rassicurarla, andando a cercare di stringerle una mano fra le sue per farle percepire la sua presenza – ..siamo qui. Ci sono anche Fili, Kili e Dwalin.
Lei li cercò brevemente con lo sguardo, quindi parve rasserenarsi un poco dopo che li ebbe trovati e fu tornata a volgere l'iridi su di lui. 
– ...sono tutti sani e salvi?
Thorin sarebbe quasi scoppiato a ridere d'incredulità se non fosse stato per la situazione estremamente tragica in cui versavano, giacché era tipico di lei preoccuparsi degli altri ancor prima di sé stessa. Le sorrise, un sorriso modesto ma vero, di quelli che negli ultimi anni aveva elargito sempre più raramente.
– Sì – le confermò di nuovo, senza riuscire a dire altro, il cuore stretto in una morsa talmente dolorosa da impedirgli quasi di respirare.
Ci pensò lei a colmare il silenzio, ancora una volta.
– ..mi spiace... di aver disobbedito un'altra volta, ma... dovevo, Thorin – la pena intrisa nella voce tremante di Katla gli perforò il petto ed il nano tremò quando una lacrima scivolò dalle ciglia scure della ragazza sulla sua pelle, immergendosi fra le ciocche color mogano che le coprivano le tempie – ..non... non essere arrabbiato.
Lui, nonostante la tempesta che gli infuriava nell'animo, scosse il capo.
– Non lo sono – negò, mentendo.
In realtà era sull'orlo di cedere ad una rabbia talmente profonda da tenerlo inchiodato lì, pur non essendo lei l'oggetto di tale suo sentimento quanto il destino stesso che li aveva condotti a quell'epilogo. Avrebbe preferito mille volte esserci lui al suo posto, giacché sarebbe stato motivo di estremo orgoglio, per ogni condottiero, dare la vita in battaglia per difendere quella delle persone a lui care, ed in particolare per salvare quella di lei.
– Siamo fieri di te, Piccola Furia – intervenne Dwalin, attirando l'attenzione del Re dei Nani su di sé, e Thorin notò la profonda pena che gli adombrava il volto e che si rifletteva anche sui visi di Fili e Kili, raccolti intorno alla ragazza.
Anche loro soffrivano, anche loro stavano guardando impotenti una persona cara andarsene.
Con quella nuova, ovvia consapevolezza, Thorin tornò ad abbassare il capo sulla giovane che, contro ogni aspettativa, gli era penetrata tanto a fondo nell'animo e nel cuore, e sentì il nodo in fondo alla gola stringersi. 
Non era pronto a lasciarla andare.
Non era pronto a vivere una nuova vita senza di lei.
– ..scusami.. – mormorò di nuovo Katla, calamitando nuovamente l'attenzione di tutti su di sé mentre teneva lo sguardo su Thorin – ..per aver mentito… nessuna gemma può.. eguagliare la bellezza dei.. dei tuoi occhi, Thorin.
Ed il nano avvertì parte della propria angoscia venir soppiantata da un'incredulità che ebbe il potere di fargli inarcare un sopracciglio ed al contempo farlo sorridere, mentre replicava: – Certi complimenti dovrei essere io a farli a te e non il contrario.
– Per di qua, Gandalf! – risuonò alta una voce squillante; una voce ben conosciuta alle orecchie dei quattro nani, i quali sollevarono di scatto il capo sul mezz'uomo che, sbucato dal sentiero, li raggiunse correndo.
Lo stregone grigio comparve da dietro l'angolo l'istante seguente e, con il volto segnato dalla tensione e lo sguardo cupo, si affrettò a raggiungerli, chinandosi a propria volta accanto a Katla dopo che i nani gli ebbero lasciato lo spazio per farlo. Il grande cappello a punta dell'Istar proiettò un'ombra soffusa sulla ragazza, giacché le nuvole stavano finalmente diradandosi.
– Thorin, che è successo?! – esordì allarmato.
Ma il nano non trovò la forza di rispondere, incupendosi maggiormente, e neanche ne ebbe il tempo, perché fu Kat a tornare a parlare.
– Gandalf.. – lo chiamò, e la sua flebile voce s’incrinò sotto l'effetto di un pianto trattenuto, in un modo che non fece altro che scavare un nuovo solco nel petto di tutti loro – ..io non voglio andarmene, Gandalf.... non voglio lasciare questo mondo... ci sono ancora così tante cose che.. che vorrei vedere – e mentre nuove lacrime le rigavano le tempie ella cercò il suo amato con lo sguardo ancora una volta – ..non voglio lasciarvi.
Thorin rispose a quella supplica stringendo maggiormente la sottile mano di lei nelle proprie, accostandola al proprio petto mentre teneva gli occhi di ghiaccio incatenati a quelli d'ella.
– Non lo farai – le rispose, e la sua voce finalmente risuonò profonda e calda, rassicurante quanto infusa di una ferrea determinazione – Il tuo posto è qui, fra noi. Ed al mio fianco, se lo vorrai.
Lei gli sorrise di nuovo e la cosa lo rincuorò e lo straziò allo stesso tempo, giacché non aveva di certo sperato di farle quella proposta in una situazione simile. Avrebbe voluto dirglielo in un altro modo, in tutt'altra circostanza, ed avrebbe voluto dirle tante altre cose, ma ogni altra parola gli si piantò in gola, impedendogli di aggiungere altro. Ma, ancora una volta, ci pensò lei a infrangere il momento.
– ..se dovessi cavarmela.. vorrei un cucciolo…
Quel mormorio dal sapore di sofferta ironia lasciò il nano spiazzato e confuso per una manciata di istanti, ormai del tutto incapace di distinguere il delirio dal raziocinio, ma decise che non gli importava: avrebbe fatto qualunque cosa per lei, in quel momento, così annuì.
– ...tutto quello che desideri, athunê.[3]
Cieco e sordo a qualunque altra cosa non la riguardasse, Thorin colse soltanto il leggero reclinarsi del capo di lei di nuovo verso lo stregone grigio ed a malapena osservò lo stesso ricambiarla con espressione contrita, mentre diceva qualcosa sulla volontà dei Valar.
Come osservando la scena da un luogo lontano, il Re di Erebor assistette alla perdita di conoscenza di lei ed alla mancanza di reazioni di tutto il proprio corpo, che rimase immobile a fissarla ancora quando l'Istar, dopo essersi accertato che fosse solo svenuta, rimarcò la necessità di portarla via da lì il più in fretta possibile.
– Forse c'è ancora una speranza, ma dobbiamo fare presto! – esclamò Gandalf, perentorio, riscuotendo i nani e lo hobbit lì presenti, tutti tranne Thorin, che si mosse come in trance, circondato da una bolla che gli ovattava i sensi e lo lasciava estraniato dalla realtà.
Una bolla che scoppiò nel momento esatto in cui una delle Grandi Aquile calò su di loro, offrendo ai nani ed allo stregone l'aiuto insperato di cui avevano tanto bisogno. Soltanto allora Thorin, sotto la pressante necessità di salvare la donna che amava, si riscosse ed acconsentì senza remore a lasciarla all’Istar ed alla creatura alata.
Se vi era davvero ancora una speranza, avrebbe fatto tutto il possibile perché si avverasse.
Così osservò ciò che aveva di più prezioso volare via sul dorso del grande rapace che provvidenziale era sopraggiunto da oltre le nubi, l'inquietudine tenuta a freno a stento dal freddo che, sospinto dal vento del crepuscolo, gli si insinuava sotto gli abiti, penetrandogli nelle ossa e mischiandosi al gelo che gli stritolava il cuore.
– Thorin – fu la voce carica di pena di Bilbo a farlo voltare a guardarlo, e nei suoi occhi blu il nano lesse una profonda preoccupazione ed una nota d'urgenza che non gli erano estranee e che lo spinsero ad annuire.
– Torniamo a valle – ordinò, riscuotendo l'assenso dei suoi compagni.
Quindi, ognuno dei nani rimontò in sella alla propria cavalcatura e Thorin, recuperato il proprio ariete da guerra, stava per fare lo stesso quando notò un movimento accanto al corpo del grosso lupo lì accanto.
Si avvicinò con passo pesante ed espressione truce, ma quando fu abbastanza vicino da vedere di cosa si trattasse, inarcò un sopracciglio: un piccolo lupacchiotto, un cucciolo, ricambiò il suo sguardo e gli ringhiò contro, schiacciandosi contro la pelliccia dell'esemplare privo di vita come ad intimargli di starne lontano. Col pelo grigio-argento e gli occhi del colore dei raggi dell'aurora, quello rimase a fronteggiarlo, tremando come una foglia mentre il ringhio acerbo che gli graffiava la gola aumentava e calava di intensità, al di fuori del suo pieno controllo.
– Doveva essere la madre – commentò con una compassione malcelata nel tono di voce Bilbo, affiancando il nano con un'espressione cupa in volto – L'ho vista permettere a Kat di cavalcarla e si è battuta con lei contro l'Orco Pallido, difendendola, come se.. come se fosse stata parte del branco.
Thorin tornò allora ad osservare con occhi di diamante l'enorme lupo bianco privo di vita che giaceva nel suo stesso sangue ed il cucciolo che, con tanta ostinazione, gli rimaneva accanto, rifiutandosi di accettare l’accaduto. Continuò a ringhiargli contro col pelo chiazzato del sangue della madre, il muso schiacciato a terra e la coda rigida e tesa, ed il nano osservandolo avvertì una strana sensazione d’affinità per quella creaturina e la sua profonda caparbietà.
Fu sulla base di tali emozioni che Thorin, elaborando le informazioni che lo hobbit gli aveva appena fornito, prese la sua decisione.
Senza una parola si sporse in avanti e, non curandosi delle piccole zanne del poppante o del suo tentativo di morderlo sul bracciale dell'armatura, lo agguantò per la collottola e se lo caricò sotto un braccio come un qualunque piccolo fardello animato. Quindi tornò ad accostarsi al proprio ariete da guerra e, dopo esser risalito sulla sella, aiutò lo stesso Bilbo a prender posto dietro di sé, prima di dare il segnale ai suoi.
Il quartetto di nani si precipitò dunque giù da Collecorvo con la stessa foga con cui vi era salito, verso l'accampamento di Elfi e Uomini, con una sola intenzione: raggiungere in fretta Gandalf e la ragazza e sincerarsi delle condizioni di quest'ultima.


continua...






~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. “Ed’ i’ear ar’ elenea!” = "Per il cielo e le stelle!", inteso come esclamazione di stupore in lingua elfica.
2. "San’ auta i lóme. Mae govannen, goth en gothamin: lossë raaka Nén ar aiwe vorth elannah" = "Dunque la notte sta per finire. Ben trovato, nemico del mio nemico: bianca lupa Nén e piccola donna guerriera." in lingua elfica.
3. "athunê" = "mia regina" in senso informale ed affettivo, in lingua khuzdul.


   
 
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