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Autore: Nanas    31/01/2021    2 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Esatto, questa sono io che decido di finire la storia dopo due anni di silenzio. (...) Se state davvero leggendo dopo un lasso di tempo così lungo, vi ringrazio. Sono accadute molte cose e la mia vita è cambiata drasticamente rispetto all'ultima volta che ho messo mano a questa fanfiction; forse anche per questo, quando è arrivato il momento di postare l'ultimo capitolo mi sono resa conto di non sentirmi pronta a chiudere questa storia, che rappresentava una parte di me che non ero disposta a veder scomparire, né che volevo tuttavia avere davanti agli occhi. Che essere strano che è l'uomo... Ora, finalmente, mi sento rappacificata con le mie aspettative e con la me stessa che ero anni fa, e sento di poter finalmente chiudere con questa fanfiction con l'amore e la nostalgia che si merita. Spero sarà lo stesso anche per voi.

 


 

18. Non è l'interezza della vita vivere

(né tutto della morte morire)

 
James Montgomery
 

 

 

GOTHAM CITY –  Arkham Asylum

22/12/1976 – Tarda sera

 

«Ohya, ohya~ allora Batman, tutto bene alla festa? Chi ha portato lo spumante alla fine?»

Quella voce.

«… Joker–»

L’intonazione di Batman è fredda, stonata rispetto alla tempistica di quella chiamata, sopraggiunta quando ormai si pensava di essere alla strofa finale di quella sfortunata esibizione. È solo una parola naturalmente, eppure solo nominarla sembra avere il potere di bloccare istantaneamente Yaku e i due giornalisti davanti a lui, prima di portarli lentamente a voltarsi. Lo fissano entrambi in silenzio, e come loro anche l’interlocutore dall'altra parte trattiene teatralmente il fiato per un paio di secondi, rimanendo in apnea nel tentativo di fingersi sorpreso della risposta ottenuta.

«Cosa?! Ero stato invitato, quindi? Ma senti, sei sicuro non sia solo un mio sosia? Perché in caso vorrebbe dire che sia io il sosia. Oddio, dimmi Batman, sono forse io il sosia?!”

Daichi non risponde, e nel silenzio del suo palcoscenico privato Joker scoppia a ridere, sguaiato e infrenabile nella sua pazzia.

«Ohya, spero che non ti lascerai ingannare, Batman~ Capisco che tu mi veda ovunque ma lo sai, non sono facile da imitare.»

«Come hai fatto a fuggire?»

Come ha fatto ad avere il numero di quel cercapersone, vorrebbe piuttosto chiedere. Ma ormai sono anni che ha a che fare con Joker, e per quanto non siano abbastanza per riuscire a capirlo – non pensa sia possibile farlo in ogni caso, anche passando un’intera vita a provarci – ha imparato come alcune domande siano inutili da fare a priori, sia perché destinate a rimanere senza risposta, sia per evitare l’accrescere smisurato e catastrofico dell’ego di un villano privo di regole o consapevolezze.

«Fuggire? Ohya~ intendi dalla mia industria? Diciamo che anche io ho cene a cui proprio non posso mancare. Pensa che erano così preoccupati del mio ritardo che mi sono venuti a prendere con una macchina volante! Nulla a che vedere con la tua, sia chiaro. Non fraintendermi, adoro l’atmosfera da cattivo ragazzo che la tua bat-cosa emana, ma è un po’ troppo scura per i miei gusti. Mai pensato di passare al rosso?»

Batman stringe le labbra, ignorando per il momento gli sguardi attraverso cui il commissario sembra stia prepotentemente esigendo di essere aggiornato: non vi sono dubbi che lo tempesterà di domande una seconda volta non appena questa pantomima di chiamata sarà terminata, probabilmente chiedendogli di ripetere per filo e per segno cosa sia esattamente successo all’interno delle industrie Sionis. Daichi non crede di avere tuttavia le risposte di cui Yaku sembra avere bisogno: gli ha già raccontato, in poche ma precise parole mentre stavano uscendo dal manicomio minuti prima, dell’incontro con il villano e di come lui stesso sia riuscito a scappare, e a giudicare dalla sua espressione sembra che anche lui avesse dato per scontato Joker fosse rimasto sepolto là sotto, mangiato dalle fiamme ed intossicato dal fumo.

Come risulta ormai evidente dalla chiamata, tuttavia, sottovalutare una persona pazza non è mai la scelta giusta.

«Ti direi di salutarmi Serpe, ma mi sa che ha già lasciato il tavolo vero? Ah, quanto è triste un addio... Mi spiace solo non siate riuscivi a incontrarvi. Colpa mia e di Harlee, non sappiamo mai quando mandare via i nostri ospiti!»

«Hai organizzato tu questa evasione?»

«Ohya? Quanta poca fiducia che mi dai, Bat-scettico?! E pensare che ero con te quando è successo, mi domando proprio come avrei mai potuto fare. E poi lo sai, io sono una persona che crede molto nella riabilitazione. Mi sono persino portato un dottore via, per averne sempre uno a disposizione per le mie sedute psichiatriche! Ma ora vado, devo mettere cose in forno e il tempo è poco, sia mai faccia attendere i miei ospiti!»

«Joker, come hai avut–»

Un rumore fragoroso ed improvviso porta Batman a smettere di parlare, e forse più per istinto che per reazione cosciente va ad allontanare appena il braccio dal viso, aggrottando le sopracciglia nel sentire il battente e metallico suono che ha inaspettatamente inglobato la chiamata.

... Eliche?

«Non ti sento, Bat-Musone, perché non ti appunti la domanda da qualche parte? Prometto che la prossima volta ti dedicherò tutto il tempo di cui hai bisogno! Tanto lo sai, non posso vivere lontano da te~!»

Batman sente l’ultima volta la risata sguaiata scivolare fuori dall’apparecchio prima che la chiamata si ammutolisca del tutto, e dopo aver abbassato appena il braccio lo sguardo cade verso Yaku, scoprendolo a fissarlo insieme a tutti i poliziotti vicino.

Dovrebbe dire qualcosa forse, ma la verità è che non c’è nulla da dire.

Non c’è mai nulla da dire, in giornate come questa.

 

Gotham ha affrontato una lunga notte, ma è finita. La città respira nuovamente, seppure in maniera affrettata ed irregolare, quasi come fosse una donna annegata e contro ogni probabilità ridestata: confusa, sorpresa persino, ma ancora in vita. Ancora una volta si è trovata in difficoltà, intrecciata al destino che lega quei demoni che hanno tentato di inabissarla ai suoi oscuri salvatori, grezze macchie d’inchiostro nate da quel terreno arido di virtù e nobiltà. Eppure, e ancora una volta, mentre persa e quasi preda delle ombre di quelle catene scure che la tengono ancorata tra la vita e la morte, ha visto un barlume di speranza e si è sporta verso di esso, liberandosi – o forse semplicemente allentando la presa.

E questo perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.

Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta dell’ordine che il vivere la sua oscurità comporta.

Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:

Persino i criminali vivono, e così vive la città.

E poiché la città vive, così vive Batman.

 

 

«… Ma non muore mai?»

La voce di Yaku riporta Batman alla realtà, ma invece di guardarlo Daichi alza il mento a studiare la notte, accompagnata dalla pallida luna e dalle poche stelle che macchiano il cielo della luminosa metropoli.

«Il problema è che risorge sempre.»

 

 

°°°°

 


GOTHAM CITY –  Unknown

22/12/1976 – Notte

 

Ohya~, mannaggia, non ce l’ha proprio fatta a trattenersi: era così emozionato per quella chiamata così intima che la mano gli è scivolata sulla porta scorrevole alla sua sinistra, e subito dopo sul colletto del primo tirapiedi che ha trovato accanto. È stato un attimo, e forse il proprietario di quel colletto ha persino tentato di soffocare qualche urla mentre veniva sporto verso l’ignoto, un centinaio di metri tra lui e il fiume. Ora quel tirapiedi non c’è più e la porta è stata richiusa, alleviando nuovamente il rumore delle eliche che lo stanno conducendo verso la meta: non vorrebbe essere troppo ottimista ma gli sembra davvero la giornata stia continuando a migliorare!

Sotto di loro, il South River scivola silenzioso dentro il suo letto umido, riflettendo la pallida luce della luna; ogni piccola ondulazione ne increspa le onde scure, e i pallidi spettri delle luci notturne creano riflessi che vanno a tingere per un istante il vetro del veicolo di un freddo colore bluastro.

Joker chiude la chiamata, il sorriso ancora presente sul volto mentre abbassa la radio dell’elicottero, passandola nuovamente al conducente del mezzo. Si rigira nel frattempo un piccolo batarang tra le dita della mancina, facendo perno con l’indice ed il pollice sulle ali metalliche mentre piega il polso per poterlo vedere da più angolazioni: il nero rigato di quel piccolo souvenir viene velocemente coperto da calde gocce rosse che iniziando scivolare via dai polpastrelli, e Kuroo le guarda affascinato mentre rotolano lacrimanti sulla superficie della piccola arma, creando una curva rosso cremisi su quel profilo nero pece.

Sorride maggiormente, piegando la mano e facendo spostare il sottile rivolo in direzione del pollice, prima di girare in orizzontale il pipistrello e lasciarsi andare ad una risata sguaiata al vedere la forma di un sorriso stilizzato e sanguinante sovrapporsi a quella nera ed originale del batarang.

«Ah~ è proprio vero che questa città non è abbastanza grande per due maniaci omicidi.»

Dichiara infine, e mentre lo dice va a stringere le dita attorno al batarang, il sangue che filtra dagli incavi lasciati scoperti gocciolando verso il pavimento in metallo. La mano trema di riflesso alla forza della presa che va via via ad aumentare, e le nocche si sbiancano per lo sforzo sino a quando il batarang non viene lasciato cadere inaspettatamente a terra, la mano sanguinata che viene portata tra le ciocche nere pece a tirarle indietro, inumidendole e dando loro sfumature rosso cremisi. Si gira verso Harlee, seduto accanto a lui ed intento a disegnare qualcosa sulle pistole che porta in grembo, e si piega verso la sua figura esile, facendo perno sullo schienale del sedile per permettere al busto di curvarsi e ridimensionare la differenza di altezza.

«Le hai finite tutte?»

«–Sì.»

Kenma risponde dopo qualche istante, il tono privo di espressività mentre apre la canna delle due pistole, alzando le mani e facendo scivolare gli ultimi bulloni vuoti a terra. Sente il pilota del mezzo dire qualcosa alla radio, probabilmente tenendosi in contatto con qualcuno per assicurarsi di avere la pista di atterraggio libera, ma sinceramente non gliene importa poi molto di cosa stia dicendo al momento. Non esiste nulla che una pallottola in testa non possa in caso risolvere, e per quello c’è sempre tempo una volta che saranno scesi dalla vettura.

«Mhm~ Ma quanto sei bravo, micino. Vieni qua.»

Decide invece di rimanere focalizzato sul ragazzo accanto a lui, soffiando con voce bassa e calda verso la guancia del compagno mentre porta la mano ad avvolgerne il fianco, avvicinandoselo maggiormente. Sorride lascivo mentre sente il tessuto sulla gamba del minore strusciare contro il suo nel mettersi a cavalcioni, e piega il collo mentre avvicina il viso verso Harlee, rimirando per qualche secondo i suoi lineamenti delicati e le labbra morbide e rosate.

Ah, sarebbe decisamente un peccato ucciderlo. Quelle guance tenere sono così deliziose quando vengono arricchite da qualche graffio qua e là, e i granelli di polvere rimasti intrappolati tra le sopracciglia lunghe e scure dopo la loro gita alle rovine della Sionis... Dio.

Joker si sporge a baciarlo, anche se forse sarebbe meglio dire braccarlo, e lo sente subito ricambiare, la mancina del più giovane che va a posarsi dietro il suo collo mentre la destra, delicata, scivola sul lato inferiore della sua guancia. I polpastrelli freddi e morbidi di Harlee sfiorano il punto ove la tinta rosso scuro crea un fantasma di sorriso sulla pelle liscia, e nel sentirglielo fare Joker viene sedotto da un’ondata di adrenalina: schiude le labbra, portandosi con prepotenza dentro quella bocca piccola e silenziosa, divorandolo mentre viene preso da una fame arida e prepotente.

Ah, suo.

Le mani dell’altro scivolano più in basso, e Joker si lascia andare a un ansimo roco mentre i palmi piccoli e gelidi di Harlee seguono il battito bollente e frenetico attraverso le vene del suo collo.

Suo, suo!

Suo, suo, suo!

Suo suo Suo sUO suo sUo Suo suo Suo sUO suo sUo Suo suo Suo sUO suo sUo Suo suo Suo sUO suo sUo Suo suo Suo sUO suo sUo Suo suo Suo sUO suo sUo SuO

SUO

MIO!

MIO mIO mio MIO!

MIO!

«Se avete finito, penso sarebbe il caso di parlare di Serpe.»

Dio, odia quando la gente lo interrompe nei suoi momenti di divertimento. Dopo tutto quello che fa per rendere tutti felici, non si merita forse anche lui un poco di svago per sé?

Ah, mannaggia: è così difficile essere un eroe.

Joker socchiude gli occhi, riconoscendo una macchia di verde marino inserirsi forzatamente nella sua visuale, prima che le palpebre tornino tranquillamente a richiudersi, il viso che viene piegato maggiormente nel tornare a dare attenzioni al ragazzo sedutogli addosso.

Dio, potrebbe spezzarlo così facilmente. La sola idea basta a provocargli una nuova ondata di eccitazione al pari di una droga, le mani che spaziano sotto la giacca blu e rossa del più giovane, superandola velocemente e facendo lo stesso con la maglietta che l’altro indossa al di sotto. Va a tirare con le dita i buchi sfilacciati in giro sul tessuto, beandosi di quelli nuovi creati durante l’ultima battaglia, e appena sente l’umidità calda delle ferite ancora fresche porta le dita a piegarsi verso l’interno, premendo contro i tagli che si celano al di sotto, la pelle calda attorno alla ferita che opporre resistenza all’inaspettata pressione.

Harlee soffia qualcosa contro la sua bocca, le sopracciglia che si aggrottano e le dita che scorrono velocemente dietro a tirargli con un certo disaccordo i capelli alla base della nuca, e le labbra di Joker si aprono in un ghigno irridente nel mentre riapre appena gli occhi, scontrandosi con quelli liquidi e giudicanti del compagno.

Ah, se non fosse matto potrebbe quasi apprezzare l’assurdità di quello che sta pensando: perché come può un povero cristiano come lui, sbattuto senza arte né parte in un mondo tanto spietato e insensato da permettergli di girare a piede libero per la felicità della stampa e per l’intrattenimento del pubblico, arrivare a pensare che il provocare reazioni in un altro essere senziente sia una delle cose che più lo soddisfino sulla terra? Perché si ritrova a cercare reazioni di qualsiasi tipo, quando è chiaro causare dolore sarebbe abbastanza per chiunque altro?

Deve essere questa una delle realtà più ineludibili della follia, della casualità e della futilità dell'esistenza umana: lasciato in un mondo psicotico come questo, uno come Joker, dalla personalità che alcuni definirebbero eclettica ed esagerata, altri (i soliti noiosi strizzacervelli di Arkham, ad esempio) deformata da una eccedenza di reattività verso il mondo esterno o qualche forma avanzata di TSE, ha trovato la sua fissazione in un ragazzo che sembra essere completamente disinteressato a qualsiasi cosa il mondo abbia da offrire, apatico dinanzi alle novità come anche alle abitudini, impigrito dall’universo ed indifferente agli esseri umani.

Permettete dunque a questo povero ed umile uomo di ripetersi: quale assurda, bizzarra barzelletta è ai suoi occhi l’esistenza umana, in questo momento!

« –O magari potremmo parlare del suo arrivo all’isola di Tricorner, dove vorrei ricordarti stiamo andando anche noi.»

Joker sorride nel sentire il terzo ospite dell’abitacolo continuare a parlare, e stavolta si allontana leggermente dal ragazzo davanti a sé, le dita che scivolano verso il suo volto fino a fermarsi alla base del collo. Lo allontana il sufficiente da permettere alle sue iridi di scrutarne i tratti morbidi ed aggraziati, ed il sorriso si fa più ampio e distorto mentre i due pollici vanno a posarsi agli angoli della bocca di Kenma, facendoli scorrere sulle gote ad imitare la forma del trucco ancora parzialmente presente sul suo viso.

«Perché sei così serio?»

Sussurra, e nel mentre lo dice il suo respiro caldo scivola verso le labbra del compagno, superando facilmente quei pochi centimetri che li separano.

Ah, quale assurda ed amara barzelletta è l’esistenza umana, davvero.

« –E dove, sempre Serpe, potrebbe essere in attesa di lasciarti un buco in fronte.»

Ah, finalmente; iniziava a pensare non avrebbe mai trovato un vero motivo per dare attenzioni a quella conversazione.

Joker si volta finalmente a guardare l’interlocutore fino ad ora ignorato, la lingua che viene fatta schioccare lesta contro il palato mentre le mani rimangono a raccogliere il piccolo viso di Harlee. Le iridi scure vanno a studiare brevemente la giacca verde indossata dalla persona ora davanti ai suoi occhi, passando poi ai guanti, alla cravatta ed alla mascherina viola, parzialmente coperta da un paio di occhiali. Non può vedere la schiena dell’altro da quella posizione, ma non ne ha bisogno: si è trovato in presenza di quel brontolone un numero sufficiente di volte da ricordare l’enorme punto interrogativo che si porta stampato dietro, non dissimile a quello del bastone che ora giace abbandonato in un angolo dell’elicottero.

Ma guardatelo: passano gli anni, eppure l’enigmatico collega continua a rimane l’esempio migliore di cosa voglia veramente dire indossare un capo ever-… green.

«Ohya~ sei preoccupato per me Enigmista? Potrei commuovermi.»

 

°°°°

Enigmista

Professione: Criminale Professionista
Vero Nome: Kei Tsukishima
Aspetto: Uomo, capelli biondi, occhi mielati, occhiali da vista dalla montatura scura
Caratteristiche: Mente geniale, mancanza di empatia verso gran parte del genere umano

°°°°

 

«Difficilmente. Ma i miei sottoposti continuano a chiedermi cosa succederà quando arriveremo, ed io vorrei evitare di sporcare l’elicottero se questo dovesse accadere.»

La risata di Joker scoppia inaspettata ed entusiasta, ma l’Enigmista sembra non trovare la cosa altrettanto divertente mentre rimane immobile a fissarlo. La mano va invece ad alzarsi lentamente, permettendo alle dita di avvicinare maggiormente le lenti degli occhiali al viso.

«Sempre così serio– eppure dovresti saperlo, Enigmista, non sei mai completamente vestito senza un sorriso!»

Un’altra risata, a cui risponde un altro lungo silenzio da parte del collega.

 «Mhm~ Però conoscere il giorno e l'ora della propria morte darebbe una certa serenità, non credi anche tu? Ecco perché preferisco fare annunci pubblici quando sto improvvisando qualcosa a Gotham: non so con quale coraggio mi si dica che non tengo a quelle persone!»

«Allora non ti disturberà se ti lascio dall’altra sponda del fiume così tu possa arrivare da solo al tuo funerale.»

Joker inclina il viso, gli occhi che non smettono di puntare l’Enigmista mentre l’ombra del suo pazzo sorriso continua a stridere con l’inespressività dell’altro. Una mano va poi ad allontanarsi dal viso di Harlee, andandosi a poggiare sullo schienale del sedile.

«Come mai? Già pentito di avermi tirato fuori dalle industrie, Indovina-Chi?»

Il braccio di Kuroo è steso, la mano posata sulla spalliera così vicina alla spalla dell’Enigmista che gli basterebbe allungare appena l’indice di lato per sfiorarlo; sembra pensarci su, in effetti, ed il polpastrello si alza appena dalla pelle usurata del sedile, rimanendo a mezz’aria quasi stesse tastando il terreno.

Quanto in là gli sarà possibile spingersi?

Quanto è effettivamente spesso il muro innalzato da quell’uomo vestito di verde?

«La prossima volta preferirei essere avvisato del fuoco.»

«Mhm? Come mai lo dici come se fosse colpa mia? Come se fossi il colpevole, io

Allunga l’indice mezzo centimetro più avanti, e il busto dell’Enigmista si sposta impercettibilmente di lato, allontanandosi dallo schienale e sporgendosi parzialmente in avanti.

Ah.

Il sorriso ferito di Joker si schiude maggiormente in una smorfia saccente e divertita: oh, quindi quello è il limite del suo spazio personale? Ma che peccato, a saperlo prima.

Kuroo piega l’indice, ritraendolo nuovamente mentre vede l’altro fingere noncuranza attraverso il suo sguardo indolente.

«Lo sei?»

«Ma come, allora vuoi ferirmi davvero. Mi sembra ovvio sia io la parte lesa: dopo tutto erano le mie industrie quelle andate a fuoco, sarebbe da pazzi sabotare se stessi.»

Esclama amareggiato, la mano che va nuovamente a muoversi in aria mentre inclina con svogliata e stanca teatralità il polso che la sostiene.

Ma è un istante. Come se quell’intuizione dolorosa fosse stato solo un battito di ciglia sbagliato Joker torna a sorridere, e nel mentre lo fa la mano sul collo di Harlee va a posarsi dietro la nuca dello stesso, attirandolo maggiormente a sé sino a fargli posare una guancia morbida sullo sterno, poco sopra il punto ove si incontrano le clavicole.

«Non sapremo cosa accadrà finché non arriveremo, in ogni caso: è inutile lamentarsi adesso. Se mi vorrà uccidere, dovrò ucciderlo; se non mi vorrà uccidere, forse lo ucciderò io! Sarebbe un peccato, certo, ma vedi che ci berremo su un giorno!»

Continua, e nel mentre lo dice lo sguardo scivola verso il basso, il naso che sfiora le radici scure dei capelli di Harlee, inspirando leggermente e sorridendo nel sentire l’odore mischiato delle polveri da sparo e di quelle della Sionis stuzzicargli le narici.

Può quasi sentire sulla lingua il sapore di tutte quelle sostanze, e basta quello affinché tutto gli torni alla mente: le urla degli uomini sotto il fuoco, l’aria densa di fumo impossibilitato ad uscire a causa della fuliggine accumulata nei camini e il calore soffocante dell’incendio e delle esplosioni.

… –Dio, tutta quest’eccitazione potrebbe farlo impazzire.

Se solo potesse vedere Gotham impazzire insieme a lui.

«Ohya, ohya!»

Joker rialza il capo velocemente, voltandosi verso l’Enigmista a guardarlo da oltre la disordinata collinetta formata dai capelli di Harlee, le iridi scure che studiano placide e languide quelle castane della controparte.

«Come sono poco riconoscente: tra tanti tentativi di omicidio, mi stavo scordando la parte più importante!»

Continua, ma prima che possa dire effettivamente altro torna a silenziarsi senza preavviso, come in attesa di qualcosa; un qualcosa che pare ottenere solo quando l’altro aggrotta leggermente le sopracciglia, esprimendo una mancanza di pazienza giunta ormai al culmine.

Ah, una reazione.

Le labbra del Joker si schiudono nuovamente, assecondando con la loro piega ferina. Ora può decisamente continuare, cosa stava dicendo–?

«Cosa volevo– ah! Come dicevo, quella formula che mi hai passato non era male. Un po’ deboluccia forse, speravo in più scena, più morti, più disperazione! Sai per caso il motivo per cui abbiano scoperto la cura così in fretta, mhm?»

«Come pensi possa saperlo.»

«Oh, non fare il punto e virgola adesso, che le cose lasciate a metà non piacciono a nessuno. Ammetto comunque che fosse un buon inizio. Quindi dimmi un poco, come ne sei venuto in possesso?»

Oh, non si è sbagliato, può decisamente vederlo. Può chiaramente vedere l’istante stesso in cui qualcosa all’interno dell’Enigmista vacilla appena, seccato e istintivamente timoroso di aver inavvertitamente lasciato scoperto al tocco del Joker qualche nervo di troppo. Si riprende velocemente però, ed in un misto di instabile divertimento Kuroo lo guarda mentre l’altro rimane in stoico silenzio, la testa che va ad inclinarsi verso l’esterno e gli occhi che si puntano fuori dal finestrino, lontani da quelli dell’altro e chiaramente non propensi a dargli più alcuna attenzione.

Una risata fende la sera.

«Un segreto, mhm~? Mi piacciono i segreti, vedi solo di non averne mai quando riguardano me. Dopo tutto sarebbe un peccato dover tagliare via quella bella testa. Comunque–»

Fa un istante di pausa, e nel mentre abbassa lo sguardo verso il ragazzo ancora seduto a cavalcioni su di lui, passando distrattamente la mano dietro la piccola nuca e tra i lunghi fili biondi che la coprono copiosamente, giù sino alle punte blu e rosate.

«Come equazione è migliorabile, ma c’è tempo. Ah, se solo Batman fosse qui sarebbe così felice di vederci lavorare insieme. L’attività di gruppo migliora i rapporti interpersonali, sai Enigmista? Anche questo me lo hanno spiegato durante il mio pernottamento ad Arkham.»

Continua, e nel mentre la mano scivola in basso, oltre il collo di Harlee e lungo le vertebre che riesce ad intuire sotto gli strati di carne e vesti che ne ricoprono lo scheletro. Raggiunge il fianco, fermandosi proprio al limitare della curvatura e poco sotto il bacino, e da lì dà due leggeri colpetti, chiedendo distrattamente all’altro di spostarsi. Harlee sembra intuirlo velocemente, eppure aspetta comunque qualche secondo a metterlo in pratica, impigrito da quella mescolanza di fattori che tutto a un tratto sembrano essere dalla sua parte: la posizione comoda, i passivi e forse inconsapevoli vezzeggiamenti di Joker in quel raro episodio di multi-polarità positiva, e non per ultimo il calore sprigionato dal criminale, caratteristica che ha portato Harlee ad adottare istintivamente – e proprio come fosse un piccolo gatto da appartamento – l’idea di sonnecchiare addossato ad un grande termosifone a grandezza umana.

Deve essere difficile per lui, o almeno Joker può solo immaginarlo, ma alla fine Kenma alza una gamba e poi l’altra, il peso che scompare del tutto dalle gambe di Kuroo, lasciando però un fin troppo fastidioso senso di freddo. Non è la prima volta che succede – né probabilmente l’ultima –, ma quella non novità sembra essere davvero fastidiosa quel giorno, per qualche motivo. Ed è per questo che, invece di tornare a parlare con il collega, allarga leggermente le gambe, le iridi scure che scivolano sul compagno. In attesa. E Kenma pare non aver bisogno di tradurre il gesto: non ha fatto in tempo a vederlo sollevarsi dalle sue gambe che lo stesso fa perno sul ginocchio, girando su se stesso sino a dargli le spalle, scivolando fra i suoi arti inferiori e facendosi spazio al meglio. Lo vede e sente indietreggiare il giusto e, una volta soddisfatto della posizione raccolta, alzare le ginocchia al petto, attendendo Kuroo avvicini il suo petto alla piccola schiena scoperta.

«Non ti facevo da rapporti interpersonali.»

La voce dell’Enigmista è priva di qualsiasi empatia mentre pronuncia quelle parole, e Joker sorride maggiormente mentre porta in avanti il busto, posando il viso sulla testa di Harlee e le braccia in avanti, a chiudersi leggermente attorno al compagno.

«Ohya– Che devo dirti? Sono tipo da molte cose! Sono abbastanza sicuro di essere stato anche sposato, in uno dei miei passati. Chissà! A volte lo ricordo in un modo, a volte in un altro... Se proprio devo avere un passato, preferisco avere più opzioni possibili!»

Ride di gusto nel dire quella cosa, entusiasta per una conversazione che avviene più a senso unico di quanto gli interessi effettivamente notare, e la sua risata per qualche secondo è capace di superare persino il rumore persistente delle eliche che lavorano sopra di loro. Sente davanti a sé il minore muovere qualcosa di metallico davanti a lui, e poco dopo una serie di pallottole scivolano fredde contro il lato interno del suo ginocchio mentre Kenma ne prende una ad una, inserendole nel tamburo della pistola mentre conta a bassa voce.

«… Due–»

«Sai qual è la parte più divertente, Enigma? Che è tutto una barzelletta, una demenziale battuta! Perché non importa quante volte il sole sorgerà di nuovo su Gotham, basterà la certezza che lo faccia per fare in modo la gente dimentichi tutto, affinché le loro piccole ed insulse vite prendano ipocritamente il sopravvento sulle morti che ci sono state oggi!»

La risata è ancora una volta quasi d’obbligo, le braccia che si piegano a circondare i fianchi snelli di Harlee mentre il viso del Joker si abbassa di lato ad immergersi nell’incavo del collo dell’altro. Inspira profondamente, soffocando uno sbuffo divertito all’interno della stoffa del colletto e strusciando velocemente la punta del naso contro la stessa, prima di rialzare il viso e tirarsi nuovamente indietro, le narici che si dilatano nel saggiare nuovamente l’aria libera dagli umori del compagno.

«E allora, proprio allora, quando il ricordo sarà passato e tutti si sentiranno al sicuro nelle loro case e con i loro familiari, solo allora inizierà un nuovo spettacolo! Resterai qui per vederlo, spero?»

Joker quasi lo urla, cavalcando l’onda di un entusiasmo privo di ogni logica o frontiera, e le braccia vanno ad alzarsi e tirarsi i capelli indietro, il tintinnio dei proiettili che Harlee va a posizionare nel tamburo della seconda pistola che vanno a scindere con irregolarità i secondi di silenzio che seguono. L’Enigmista non ribatte subito, rimanendo immobile per istanti interminabili; poi, lentamente, le sue iridi slittano poco più in basso, andandosi a posare sul caschetto biondo con espressione superficialmente indifferente, l’attenzione che scivola dalla pistola carica che Harlee ha messo da parte qualche momento prima a quella che ha ancora tra le mani.

«Dipende dallo spettacolo. Alcune persone di Gotham valgono più di altre.»

Commenta infine, e per un flebile momento quella frase sembra essere preludio di qualcosa di ben più grande di una semplice risposta, una promessa, una richiesta che nessuno in quell’elicottero sembra davvero intuire. Eppure: eppure le mani di Harlee si fermano, le dita lunghe e sottili che rimangono sul posto mentre metà testa del proiettile è già all’interno del suo comparto. L’Enigmista resta immobile mentre quelle iridi mielate si sollevano appena, andando a scrutarlo in silenzio da oltre il morbido filtro biondo offerto dai capelli. I loro sguardi si incontrano, il castano indolente di Tsukiyama con il miele apatico di Kenma, e l’Enigmista si sente per un istante scoperto, nudo di fronte a quello sguardo che, nella sua mancanza di espressione, sembra riuscire a vedere oltre il suo muro di indifferenza, scavando indegnamente nella sua intimità sino a trovarla: la sua eccezione, quella persona di Gotham che vale più di altre.

Un’eccezione che trova i suoi contorni in una costellazione di lentiggini, in due occhi del colore della primavera ed in una promessa che profuma d’estate.

A volte l'eccentricità di Joker tende a far distogliere l'attenzione dalle vere capacità della persona con la quale si accompagna. Ma nemmeno il tempo di ricordarselo che è ormai troppo tardi: basta un istante, e Tsukishima sente come se Harlee avesse già scavato nel terriccio denso della sua mente, cacciando come fosse un piccolo predatore le sue insicurezze e uscendo con tesori ben più preziosi e pericolosi di quelli materiali. I suoi pensieri.

Anche l'Enigmista ha qualcuno che non vuole perdere. E Harlee sembra averlo intuito lì dove tutti gli altri non ce l'hanno fatta.

Il viso di Joker rimane puntato a fissare sott’occhio il giovane uomo vestito di verde. Le labbra si schiudono in un sorriso tagliente nel vedere il modo in cui l’altro guarda Harlee, eppure dopo qualche istante torna a parlare come nulla fosse, il volto che va a portarsi nuovamente in avanti.

«Sarà un bellissimo spettacolo. Saremo tutti attori, e saremmo tutti spettatori: che genialità, che pazzia! Spero Batman non avrà da fare, forse sarà meglio mandargli un messaggio? Non vorrei prendesse impegni per il nostro debutto.»

È un secondo: Harlee che smette di contare, l’Enigmista che torna a guardare il villano dalle labbra colorate dei sangue, ed il Joker che scoppia a ridere ancora una volta, raschiando la notte cullata dalle poche stelle e dall’ampia oscurità.

 

°°°°

 

Su tutte le guide turistiche di Gotham City c'è lo stesso consiglio: "Visitatela in inverno."


Tutti pensano si tratti della neve, e di come quell’agglomerato di acqua ghiacciata cristallina – solita posarsi sulle strade e sui tetti della cittadina già dai primi di novembre, non lasciandoli sino alla fine di febbraio – faccia sembrare la città "immacolata", "luminosa" e "nuova". Se si legge tra le righe, tuttavia, non faticherete a trovare la vera motivazione che si cela dietro quella richiesta spassionata, la necessità di quella metropoli selvaggia, strana ed affamata.


Ogni città ha una sua personalità. Ed agli abitanti di Gotham piace pensare che una determinazione incontrollabile sia quella che guida la loro. Perché Gotham è una città che non ha mai mollato, che non ha mai fatto la vittima. È una città abituata a stare da sola e che accetta l'essere temuta, malignata e dimenticata. È una città che pensa a se stessa, anche quando il peso di quel pensiero è troppo grande.


Quello che vogliono dire, è che bisognerebbe visitare Gotham quando la vera città è coperta.

 

AH AH AH AH AH!

 


 
E con questo, la storia è veramente conclusa. Questo capitolo è quello che, più di tutti, riprende direttamente dai fumetti di Batman numerose citazioni: l'intera fanfiction dopo tutto era nata come un omaggio a questo mondo, quindi spero davvero che il risultato sia stato, se non di farvi affezionare, almeno di farvi incuriosire riguardo l'ambientazione spettacolare che è Gotham. Concludo dicendo che non avrei mai, mai potuto completare la storia senza inserire Tsukishima, e spero che la sua presenza abbia anche aiutato a capire meglio il ruolo di Yamaguchi. Alla fin fine, sotto sotto, tutta la storia gira attorno agli studi che lui e Tsukishima fecero in passato, quindi nonostante il tempo che hanno effettivamente passato sullo schermo sia piuttosto limitato, la loro presenza in questa storia è stata fondamentale.

Vi ringrazio davvero per aver seguito questa storia fino alla fine. Davvero. E' la prima long fiction che invio e non mi aspettavo di ricevere tanto amore, quindi permettetemi ancora una volta di ringraziare tutte le persone che l'hanno messa nei preferiti, commentata, seguita o altro: se questa storia ha una fine, è grazie a voi.

Vi voglio bene.


Anastasia

 

  
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