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Autore: Soul of Paper    31/01/2021    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 53 - La Paura


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Che c’hai in mente?”

 

“Se chiudi gli occhi lo scopri, dottoressa,” le rispose, cercando di non far trapelare l’ansia che sentiva in quel momento e di sopravvivere all’assalto di lei, riuscendo a fare quello che si era prefissato di fare da mesi ormai, “e non barare!”

 

Fu un sollievo quando la vide chiudere gli occhi.


Che però durò giusto due secondi.

 

Perché il cuore iniziò a martellargli in petto, la saliva azzerata, mentre si pentiva amaramente di non essersi procurato una bottiglietta d’acqua.

 

Doveva inginocchiarsi ma gli tremavano le gambe.

 

Calmati, non fare lo scemo, calmati! - cercò di imporsi, mentre si abbassava, che per poco non scivolava.

 

In qualche modo, riuscì a mettersi nella posa canonica, con un ginocchio a terra e l’altro piegato. E poi iniziò a frugare nella tasca interna della giacca che, nonostante il caldo, aveva indossato per l’occasione e anche per nascondere l’astuccio dell’anello.

 

Finalmente, riuscì ad estrarlo, con dita tremanti, e ad aprirlo, controllando che l’anello fosse ancora al suo posto, con quanto lo aveva sballottato.

 

E poi prese un respiro, sapendo che a breve gli sarebbe mancato del tutto, e le disse, con la poca voce che teneva, “puoi aprirli mo!”

 

Quegli occhi scuri brillarono per un attimo al buio, confusi, mentre si guardava intorno.


E poi i loro sguardi si incrociarono e la vide spalancare gli occhi e la bocca e prendere un respiro.

 

Leggeva sorpresa, felicità, ma anche un poco di panico: tremava come una foglia.

 

Ed ebbe paura, paura delle paure di Imma, la mente che gli si svuotò completamente.

 

Ma doveva dire qualcosa, doveva essere un uomo per lei, arrivare fino in fondo.

 

“Dottoressa… Imma,” esordì, cercando di prendere tempo, “mi ero… mi ero preparato tutto un discorso nella mia testa, che mi sembrava bellissimo, ma… ma mo non mi ricordo più niente.”

 

Lei si morse il labbro, con quello sguardo che c’aveva quando tratteneva il fiato, ma non sapeva se fosse un segno buono o cattivo.


“Ma… tutto è cominciato qua e non soltanto tre anni fa, alla festa della Bruna quando… quando mi è successo un vero miracolo, ma… conoscerti, lavorare insieme a te, fianco fianco, per tante ore, che però mi sembravano sempre volare, prima perché mi sono innamorato di questo lavoro, grazie a te, e poi perché mi sono innamorato di te.”

 

Prese una pausa, perché gli mancava il fiato e spiò l’espressione di lei, ma, a parte l’emozione, non capiva a cosa stesse pensando. Fece un lungo respiro.

 

“Quando… quando ci siamo incontrati, lo sai, mi facevi un po’ paura, mi sembravi questo mito, irraggiungibile e… e tutto avrei pensato tranne che di innamorarmi di te e, soprattutto, che tu potessi mai innamorarti di uno come me. Ma per fortuna è successo, anche se ancora non so bene come e… come ho fatto a meritarmi una donna come te. E lo so che non sono ancora alla tua altezza, che devo crescere e che… che potrai pensare che è troppo presto - che hai divorziato da neanche un anno - o che sono troppo giovane e… lo so che hai sempre paura di limitarmi e che un giorno io mi possa pentire, ma… non c’è nessuna che mi ha mai reso libero come te, di fare le mie scelte, pure quando non ti convenivano. Nessuno che ha mai creduto in me come hai fatto tu, ed è… ed è proprio perché tu hai creduto e credi in me, che pure io mo riesco a credere in me stesso e… nel fatto che so che posso renderti felice e che posso diventare sempre di più un uomo capace di stare esattamente al tuo fianco, né un passo avanti, né un passo indietro, per tutta la vita, se tu lo vorrai e mi vorrai.”

 

Lo aveva detto tutto d’un fiato, in apnea, ma Imma sembrava come paralizzata, gli occhi lucidi e, esattamente come tre anni prima, non sapeva che avrebbe fatto, sapeva solo che doveva finire di liberarsi da tutte le parole che gli sgorgavano dal cuore.

 

Infilò una mano nell’altra tasca della giacca, estraendone un foglio spiegazzato e un poco malconcio per il caldo e l’umidità. Per poco non rischiò di farlo cadere, ma lo aprì e glielo mostrò.

 

“Questa è… la mia iscrizione al corso ufficiali. E… pure se accetterai di sposarmi, ti prometto che farò di tutto per passare il concorso e il corso prima delle nozze. Anche se io vorrei sposarti domani, perché non ho mai amato nessuna come amo te e dopo tre anni sento di amarti sempre di più, anche se non so com’è possibile, e… e voglio sempre e solo continuare a sentire il tuo respiro durante la notte, finché avrò fiato e-”

 

Qualcosa gli tappò le labbra ed erano le dita di Imma, che gli tremavano sulla pelle.

 

“Questo ufficio e questa festa ti rendono proprio logorroico, maresciallo, altro che fiato!” proclamò, ironica, ma vedeva chiaramente le lacrime che le rigavano il volto, e gli venne da sorridere, almeno prima che lo stomaco gli finisse in gola al suo “mo parlo io!”

 

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“Ce la fai?”

 

“Sì, pure se tutti i leccalecca si sentono,” scherzò, posando Noemi sul suo lettuccio.

 

Rosa le levò le scarpe e la mise rapidamente sotto a un lenzuolo, che tanto faceva caldo, e poi uscì con lui dalla stanza.

 

“Grazie, sei stato gentilissimo, come sempre!”

 

“Ma figurati! Spero che la festa della Bruna ti sia piaciuta. Sei sicura di non volerli vedere i fuochi, manco dal balcone? Che da qua dovrebbero vedersi e sono bellissimi.”

 

“Perché non resti e li guardiamo insieme? Almeno ci facciamo compagnia finché non iniziano.”

 

“Va bene,” le sorrise: sempre meglio di starsene in mezzo alla folla per strada e almeno avrebbe potuto chiacchierare ancora un po’ con lei.

 

“Che ne dici di un poco di vino e magari due stuzzichini? Dopo tante ore in piedi.”

 

“Ma non serve che ti disturbi.”

 

“Nessun disturbo. Siediti comodo sul divano che torno tra poco!” proclamò lei con un sorriso, avviandosi verso la cucina.

 

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Deglutì la saliva che non aveva, mentre attendeva il verdetto della sua dottoressa, che gli levò la mano tremante dalle labbra e scese dal tavolo, mettendosi in piedi davanti a lui.

 

Pure questo non sapeva se fosse un buono o un pessimo segno.


“Quando… quando ho visto l’anello… il mio primo pensiero, oltre all’emozione, è stato che… che forse è ancora troppo presto perché tu ti leghi in maniera così definitiva a me, Calogiuri, pure da un punto di vista legale e-”

 

Il panico gli prese la gola, mentre sentiva il mondo crollargli sotto le ginocchia e aprì la bocca per protestare con un “Imma, io-”

 

Ma lei gliela tappò di nuovo, stavolta con tutta la mano.


“Fammi finire, mo!” gli ordinò, in quel tono che, lo sapeva benissimo, significava che a parlare avrebbe fatto solo peggio.

 

“Calogiuri… pure io ho ancora un poco timore di non essere alla tua altezza, all’altezza delle tue potenzialità e di non meritarmi tutto quello che mi dai. Che un giorno tu ti possa pentire e desiderare una vita diversa, perché non solo sei giovane, sei bello, sei buono, ma soprattutto sei l’uomo più intelligente che io conosca. E… ti amo… ti amo come non ho mai amato nessuno, come non pensavo nemmeno di essere capace. E mi fai amare di più me stessa, per quella che sono: mi hai fatto fare pace con il mio passato e con il mio presente e guardare al futuro con un poco meno di pessimismo di quello che c’ho di solito. Quindi… un conto è se vuoi fare il corso per te, un conto è se lo vuoi fare per me. Perché, anche se forse sono un’egoista, ti sposerei pure se fossi ancora un appuntato, mannaggia a te!”

 

Gli occhi che gli si appannavano, quello che Imma gli aveva appena detto gli risuonò in testa due o tre volte, prima che capisse del tutto, riuscendo finalmente di nuovo a respirare.

 

“Ma allora…”

 

“Ma allora mi vuoi mettere questo benedetto anello sì o no?” esclamò lei, ridendo, e facendogli l’occhiolino.

 

La prese per la vita e la mise a sedere sul suo ginocchio. La sentiva tremare come una foglia, pure mentre rideva e piangeva, tutto insieme, come del resto stava facendo pure lui.

 

Faticò ad estrarre l’anello dal supporto, talmente le dita se ne volevano andare per conto loro. Le prese la mano sinistra, che era gelata tanto quanto la sua, nonostante il caldo di luglio, e glielo infilò.

 

Tirò un sospiro di sollievo quando constatò che la misura era perfetta.


Imma sollevò la mano, studiandoselo un attimo e poi gli chiese, “ma come hai fatto ad azzeccare la taglia così bene? E non dirmi che hai fatto il commesso pure in un negozio di gioielli!”


“No, no. Mi sono fatto aiutare da mia sorella Rosa. Per fortuna avevi lasciato qua-”

 

“La fede!” esclamò lei, scuotendo il capo e sorridendogli, mentre, con la mano destra, gli accarezzava la nuca, provocandogli un brivido, “forse… forse questo è meglio che tua sorella non lo dica a Pietro, se no altro che amicizia!”

 

Risero, insieme, e forse quella era una delle conquiste più grandi di quegli ultimi mesi: poter parlare liberamente del passato di lei, senza che facesse più male e senza sentirsi a disagio.

 

La vide intenta ad analizzare meglio l’anello, con la fronte corrucciata dalla concentrazione, proprio come l’aveva vista mille volte in quell’ufficio, sull’ultimo caso su cui indagare.

 

“L’anello in sé è fatto con due anelli d'oro bianco che si incontrano più volte, per formare tanti segni dell’infinito, pure se un poco schiacciati, mentre-”

 

“Questa pietra cos’è?” gli chiese, indicando la gemma più grande che stava in mezzo all’anello e alla voluta centrale.


“Un diamante giallo, circondato da tanti diamantini classici, più piccoli,” le spiegò, cercando di capire se le piacesse o meno, “lo so che… che forse avresti preferito un diamante normale… ma quando ho visto quelli gialli in negozio, ho pensato subito a te, che sei… che sei unica, diversa da tutte le altre. E… e poi il giallo sta bene con il leopardato.”

 

“Ahia!” esclamò, dopo essersi beccato un pizzicotto alla nuca, mentre Imma rideva di nuovo, di gusto.


“Ma… ma vuoi dire che… che questo è un anello fatto fare apposta?”

 

“Beh… sì… cioè normalmente è fatto coi diamanti normali ma… volevo che fosse qualcosa che avevi solo tu e nessun’altra.”

 

La vide afferrare il cofanetto della gioielleria da terra.

“Ma questa è la gioielleria di Matera, quella-”

 

Quella, sì,” le rispose, perché era proprio la stessa da cui venivano i gioielli di Latronico che Imma aveva lasciato lì a Matera, insieme alla fede nuziale.

 

“Ma da quanto è che… che progettavi tutta questa cosa? Pure… pure la collana a natale, col simbolo dell’infinito…” gli chiese, mentre si asciugava le guance con il dorso della mano.


“Sarà da un anno che ci penso, dottoressa, da quando hai accettato di vivere insieme a me. Ma dovevo mettere più soldi da parte e quindi... l’anello l’ho prenotato a natale, quando eravamo qua insieme. Poi per fortuna c’avevo Rosaria per il controllo qualità, che deve avere fatto una testa così ai gioiellieri, per quanto l’ha fatta a me.”

 

“Dovrò ringraziare pure lei. Mo ho capito perché si è defilata stasera! E comunque tra questo e il Giappone avrai speso una follia!”

 

“Basta mettere un poco da parte ogni mese, dottoressa, lo sai. E poi… e poi spero che sarà un investimento a lungo, anzi a lunghissimo termine.”

 

“Ah, ci puoi scommettere! Pure se… ma sei proprio sicuro di voler organizzare un matrimonio mentre prepari il concorso e fai il corso? No perché… ti ricordo che la volta scorsa non è che ti abbia portato molta fortuna, eh!”

 

“E invece mi ha portato fortuna eccome, una fortuna incredibile, visto che mo sono qua con te!”

 

L’ultima cosa che vide chiaramente fu il sorriso di Imma.

 

Poi si trovò travolto da un bacio, che per poco non finivano sul pavimento tutti e due.

 

Il peso di Imma svanì dal suo ginocchio, e si sentì afferrare per una mano e tirare in piedi.
 

Almeno per qualche secondo, perché le mani di lei lo spinsero indietro, fino a farlo arrivare contro alla scrivania, seduto, per non cascare. Se la trovò in braccio e finì disteso sul legno, divorato da un bacio famelico, dita che gli insinuavano nel colletto, sbottonandoglielo, il fiato di lei che gli sussurrava sulle labbra, “erano anni che lo volevo fare, Calogiù!” prima di rifilargli un morsetto.

 

“Im- ma, Im-ma!” provò a bloccarla, tra un bacio e l’altro, finché gli rimaneva un briciolo di lucidità, che stava rapidamente scomparendo, “s-se, se ci becca qualcuno!”

 

La sentì sollevarsi bruscamente e tirò il fiato, mettendosi seduto, mentre lei scendeva dalla scrivania, probabilmente avendo recuperato pure lei il lume della ragione.

 

O forse no! - pensò, quando la vide trascinare le due sedie di fronte alla scrivania davanti alle due porte che davano verso il corridoio e l’ufficio della signora Diana, decisa e fiera, manco fosse la cosa più normale del mondo.

 

“Tanto, come hai detto tu, stanno tutti con il naso all’insù ad aspettare i fuochi d’artificio!” gli sussurrò, con una voce che era istigazione a delinquere, prima di ritrovarsela nuovamente addosso, con tanta foga che per poco non dava una testata alla scrivania, “e mentre loro li aspettano, noi… li facciamo.”

 

Si chiese per un secondo se Imma non si sarebbe trovata vedova ancora prima di sposarsi, se andava avanti così, ma poi le labbra e le dita di lei azzerarono ogni pensiero, a parte lo sbilanciarla per farla finire sotto di lui e mettere in pratica nei minimi dettagli quello che su quella scrivania aveva potuto fare solamente in sogno.

 

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“Avevi ragione, valeva la pena aspettare sveglia! Anche se spero non sveglino pure la peste!”

 

“Non so, magari s’è stancata abbastanza oggi e la Madonna della Bruna ti fa la grazia!”

 

“Eh… magari… che qua… altro che grazia ci vorrebbe!” sospirò Rosaria, con aria un poco pensierosa, ma poi sorrise e si girò verso di lui, “non mi aspettavo che mi avresti accompagnata stasera, mi hai stupito.”

 

“Una volta che se ne è andata Valentì… il mio posto non è più accanto a Imma. E poi… non volevo che ti perdessi questo spettacolo, che a Matera mica capita tutti i giorni.”

 

Percepì di nuovo un tocco sul braccio e poi, inaspettatamente, una botta pazzesca di calore quando si trovò stretto in un abbraccio.

 

Ricambiò, anche se timidamente, che non sapeva bene dove fosse appropriato mettere o non mettere le mani.

 

Dopo poco si staccarono e, mentre si stava ancora ritraendo, incrociò lo sguardo di lei.

 

Non avrebbe saputo dire cosa successe, se fu lui o lei, ma si sentì come trascinato in avanti da una corrente e si ritrovò con due labbra carnose e soffici sulle sue, il cuore impazzito ed il calore che diventava un fuoco.

 

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“Mi sa che mi è saltato un bottone. Anzi due. Sei un attentato al guardaroba, dottoressa!”

 

“Senti chi parla! Che sto vestito non sarà mai più lo stesso! E vedi di raccoglierli tutti e non lasciare indizi sulla... scena del crimine!”

 

“Agli ordini, dottoressa!” ribatté lui, facendole il saluto militare e sbattendo i tacchi, in un modo assolutamente ridicolo visto che i pantaloni, ancora slacciati, gli ricaddero sulle caviglie.

 

Rise: la verità era che sentiva di poter scoppiare di gioia, anzi di felicità, quella vera, piena, che prima di conoscere lui non aveva forse mai provato, almeno non in coppia. E poi si era appena levata una soddisfazione che erano giusto tre anni che voleva levarsi, anzi, pure di più.

 

Quando aveva conosciuto l’appuntato Calogiuri, timido, goffo e lento, mai avrebbe immaginato che sarebbe diventato l’uomo che aveva di fronte, pure conciato così - non che lei fosse messa molto meglio.

 

Né che un giorno sarebbe potuta diventare Calogiuri pure lei - anche se col cavolo che avrebbe mai usato il cognome di qualcun altro al posto di Tataranni!

 

Anche perché per lei di Calogiuri ce n’era uno solo.

 

E neanche le sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello che avrebbe mai infranto la sacralità del luogo per farci cose assai profane.


Cercò di rimettersi in sesto il vestito, nonostante una delle due spalline avesse ceduto, in quel momento un lampo illuminò la stanza - il segnale che annunciava i fuochi che sarebbero giunti di lì a poco - e la foto del Presidente della Repubblica sul muro, che pareva guardarli con un misto tra severità e complicità.

 

“Lavoro di squadra, presidente, lavoro di squadra!” esclamò, facendo ridere Calogiuri, che ormai aveva finito di rivestirsi e, intascati i bottoni, si era avvicinato per abbracciarla da dietro.

 

“Effettivamente ha seguito la maggior parte delle tappe principali della nostra storia. Dovremmo scrivergli perché lo celebri lui il nostro matrimonio,” scherzò, mentre le riempiva le guance di baci.

 

“Sì… e magari pure il Papa, Calogiuri, che pure se sono divorziata farà un’eccezione solo per noi sicuro,” ribattè, voltandosi per dargli un bacio come si doveva, “mo però leviamoci di qua, che stanno per cominciare i fuochi e non possiamo farci trovare ancora in procura.”

 

Come se i fuochisti l’avessero sentita, uno scoppio alle sue spalle annunciò la prima tornata.

 

Si avviò verso una delle sedie, per rimetterla al suo posto, ma lui, da vero cavaliere, la precedette e le sistemò entrambe con una precisione certosina.

 

Lo prese per mano e, ancora ebbra di sensazioni, adrenalina, endorfine e tutti gli ormoni possibili ed immaginabili, richiuse la porta di quell’ufficio, che per lei sarebbe sempre rimasto il suo ufficio, dietro alle spalle, correndo giù per le scale come due ragazzini che cercano di bigiare la scuola non visti, fino ad arrivare in strada, accolti da quel tripudio di luci, colori e folla che era la festa della Bruna.

 

I fuochi, vicinissimi, parevano sollevarsi in aria e venire loro addosso nella ricaduta.

 

E mentre sentiva l’abbraccio di Calogiuri e lo tirava a sé in un altro bacio, pensò che la madonna della Bruna una grazia gliel’aveva fatta veramente.

 

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“Ehi, Carlo! Finalmente sei riuscito a mollare i tuoi! E lei chi è? Conquista nuova?”

 

Vide Carlo arrossire pure nelle luci da discoteca che illuminavano il salone per la festa. Erano in una villa bellissima, in collina, dalla quale si vedeva tutta la città.

 

“No, no! Lei è Valentina, un’amica, ed è figlia di una collega di mio padre, quindi occhio a come parli!”

 

“Sì, che ogni cosa potrà essere usata contro di te,” intervenne, da un lato divertita, dall’altro lato un poco scocciata di essere definita una conquista.

 

Maschi.

 

“Ho capito… ho capito. Spero che ti piacerà la festa: dopo i fuochi balliamo, io faccio il deejay. Anzi, sto cercando una vocalist per la serata. Per caso tu canti?”

 

“No, no, perché?”

 

“Niente, peccato!” rispose Giampiero, allontanandosi.

 

“Non farci caso: lui fa conquiste così, chiede alle ragazze di fargli da vocalist e poi col fatto che stanno tutta la serata vicino a lui… fa un corteggiamento serrato.”

 

Le venne da ridere: le ricordava la trama di un horror che aveva visto di recente e che faceva veramente orrore ma per le ragioni sbagliate.

 

“Tanto con te non c’è speranza. Io lo so, ma lui no,” rise anche Carlo, avendo frainteso.

 

“No, non c’è speranza, ma non per i motivi che pensi tu, ma semplicemente perché sono molto innamorata.”

 

“Beata te! Io di solito mi innamoro di chi non mi ricambia e le ragazze a cui piaccio spesso non mi interessano.”

 

“Ma se Giampiero ti descrive come uno che fa conquiste!”

 

“Ma no… era solo il suo modo per indagare se tu fossi off limits o no,” chiarì con un sospiro, prima di aggiungere, quando sentirono uno scoppio da fuori “perché non usciamo in terrazzo, che i fuochi sono già iniziati?”

 

Annuì e lo seguì oltre la porta finestra: la vista era davvero meravigliosa e lo spettacolo pirotecnico pure.

 

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Si sentiva come se si fosse finalmente svegliato dopo un lungo torpore, i sensi riattivati, tra quella bocca calda, le dita fresche sulla guancia ed i capelli soffici, spessi e folti che gli scorrevano tra le dita.

 

E poi, all’improvviso, le dita gli lasciarono le guance, le labbra si staccarono dalle sue e si sentì spingere leggermente indietro con un “aspetta!” che lo bloccò completamente.

 

Il fiato corto, la vide respirare a fatica, le labbra ancora più carnose del solito, i capelli mezzi scompigliati.

 

Per colpa sua.

 

“Pietro… io… non… non possiamo! Io sono sposata, tu non hai ancora del tutto superato la storia con Imma e… e c’hai già abbastanza problemi con mio fratello così, non voglio peggiorare la situazione tra di voi.”

 

Se avesse potuto sprofondare, lo avrebbe fatto: che gli era saltato in mente?! Niente, perché non aveva pensato, aveva agito d’istinto.


“S- scusami, io, non so che cosa mi sia preso, ma-”

 

“Non ti devi scusare: ti ho baciato pure io e… non so cosa sia preso neanche a me, non me lo aspettavo,” mormorò, e stavolta era pure più rossa del fratello quando si imbarazzava.

 

“Neanch’io…” sospirò lui, perché, nonostante ultimamente trovasse il contatto con Rosa piacevole, non avrebbe mai pensato di esserne attratto in quel modo.

 

O non ci aveva voluto pensare.


“Forse...forse dobbiamo smettere di vederci, finché siamo in tempo di fermarci, che qua sembra di stare in Beautiful!”

 

Non sapeva cosa dirle, perché gli sarebbe dispiaciuto tantissimo allontanarsi da lei, ma sapeva bene anche lui che, quando c’era attrazione, a continuare a frequentarsi il disastro era dietro l’angolo. E gliel’aveva insegnato Imma… e pensare a quanto aveva fatto il moralista con lei, per le storie con grande differenza d’età, e mo si era baciato la cognata. Per non parlare di quanto si era risentito con il maresciallo per aver insidiato una donna sposata. E questa non solo era sposata, ma era pure sua sorella!

 

“Potrei… potrei accettare la proposta di andare a Roma. Mio fratello ed Imma a quanto pare avrebbero trovato un appartamento per me. Mi cercherò un lavoro. Così magari, vedendoci meno… potremo prima o poi tornare amici e basta senza questi… impulsi.”

 

Fu come se una pietra gli si fosse tuffata nello stomaco. L’idea che lei fosse così distante, di non poterle più parlare, né confidarsi con lei, gli faceva malissimo. E poi in quel bacio aveva provato sensazioni che era dai bei tempi con Imma che non provava, pure se era stato anche molto diverso.

 

“Se… se te ne vai da Matera soltanto per me, non me lo perdonerei mai. Possiamo smettere di vederci, posso tenere le distanze, non serve che cambi città.”

 

“In realtà… eri una delle ragioni principali per restarci a Matera. Mi… mi mancheranno le nostre chiacchierate,” gli rispose, con un sorriso malinconico, e capì che nessuna rassicurazione le avrebbe fatto cambiare idea.


“Anche… anche a me. Molto.”

 

“Comunque mica è un addio. A trasferirmi ci metterò un po’, quindi magari ci incroceremo ancora al supermercato e… prima o poi ci saranno pure eventi di famiglia, anche se probabilmente tu speri di no.”

 

E invece, si rese conto che l’idea non gli dispiaceva così tanto, anzi. Certo, non che facesse i salti di gioia a vedere Imma e il maresciallo insieme, ma… quella sera non era stata poi così male.

 

“Allora… io vado,” disse, facendo segno verso l’interno dell’appartamento e lei annuì e, in silenzio, lo accompagnò alla porta.


“Allora… buona fortuna. Io non… non ti cercherò più se tu non vorrai ma… se hai bisogno di aiuto, finché sarai ancora a Matera… io ci sono e insomma….”


“Lo so che sei un gentiluomo, Pietro. E lo stesso vale per te, naturalmente,” gli rispose, ed era chiaro da quanto brillavano quegli occhi azzurri, che costava a lei quanto a lui, “posso… posso salutarti con un abbraccio?”

 

Non se lo fece ripetere due volte e la strinse forte, godendosi per quei pochi secondi il calore che gli dava, anche se lo sapeva che non avrebbe dovuto provare quelle sensazioni.

 

Ma almeno aveva scoperto di essere in grado ancora di provarle, era già qualcosa.

 

Si costrinse a staccarsi e la sentì accarezzargli il viso e piazzargli un bacio sulla guancia.

 

“Grazie di tutto…” gli sussurrò, con un sorriso malinconico.

 

“Grazie a te!” mormorò di rimando, obbligandosi ad uscire dalla porta e a non voltarsi indietro mentre la sentì richiudere dietro di sé.

 

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“Allora, sei pentita di essere venuta qua o i fuochi hanno compensato un po’ il padrone di casa?”

 

Gli sorrise, mentre versava un po’ di birra dal barilotto che c’era su un lato della stanza e ne offriva prima un bicchiere a lei.

 

“I fuochi non erano male e il fatto che il padrone di casa sia bloccato dietro alla console con un’altra vocalist pure. Che però se questa canta lo potevo fare pure io, anzi, persino mia madre e la sua voce melodiosa!”

 

“Se vuoi sei ancora in tempo, secondo me Giampiero accetterebbe il cambio di corsa,” ironizzò lui, facendola sorridere: finalmente sembrava essersi un poco sciolto dalla parte di bravo ragazzo, figlio di buona famiglia e soccorritore di pulzelle in pericolo ed era simpatico. Aveva preso la vena comica del padre.

 

“No, grazie.”

 

“Scusami,” li interruppe un altro ragazzo, biondo e con gli occhi verdi, effettivamente molto carino, “se voi non lo fate… ti va di ballare?”

 

Carlo la guardò e lei decise rapidamente il da farsi: va bene che in un ballo non c’era niente di male, ma voleva avere la coscienza pulita con Penelope ed il ragazzo era fin troppo avvenente.

 

Non che Carlo fosse brutto, anzi, ma la cosa era diversa.

 

“Ho già promesso di ballare a lui, la birra è per riscaldarci,” rispose quindi e, dopo un’altra sorsata, prese la mano libera di Carlo e lo trascinò verso la pista.

 

“Guarda che… non sono un granché a ballare.”

 

“Manco io! Basta che guardi dove metti i piedi, che ho i sandali!” gli gridò, prima di mettergli la mano libera su una spalla e Carlo iniziò a muoversi, pure se un poco goffamente.

 

Evidentemente dal padre non aveva preso non solo l’estetica ma nemmeno il lato da Febbre del Sabato Sera.

 

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“Eccoci qua!”

 

Le veniva ancora da ridere, mentre, a braccetto di Calogiuri, raggiungevano finalmente il pianerottolo dell’appartamento di sua madre. Non sentiva quasi più i piedi ma la sensazione come di ubriachezza non l’abbandonava e sovrastava pure l’indolenzimento.

 

Estrasse la chiave dalla borsa e stava per aprirla quando Calogiuri la bloccò, facendole un cenno.

 

Ne seguì le pupille, dilatatissime, e si rese conto della spallina staccata, che penzolava: se ne era scordata.

 

Si coprì meglio le spalle con la giacca, che le aveva prestato lui non appena si erano allontanati dal calore della folla, sperando che non si notasse. Ma magari Rosaria già dormiva… alla fine era da un po’ che lei e Pietro erano rientrati.

 

Sperando di essere tanto fortunata, girò la chiave nella toppa e venne accolta da una luce molto fioca: la televisione e Rosaria era seduta sul divano, con una tazza di quella che pareva camomilla in mano, anche se lo sguardo era perso nel vuoto, strano, non da lei.

 

“Rosà, tutto bene?”

 

La ragazza fece un mezzo salto sul divano, tanto che le finì un poco di camomilla sui pantaloncini del pigiama.

 

“Oddio! Tutto bene, non-”

 

“Tranquilla: ormai è fredda,” le rispose, appoggiando la tazza sul tavolino, sembrando ancora un poco nelle nuvole, tanto che li guardò in modo distratto, sembrando per fortuna non accorgersi né della spallina, né dei bottoni mancanti all’appello.

 

Poi però, nel giro di qualche secondo, scosse il capo e parve riscuotersi, domandando, rivolta al fratello, “e allora? Com’è andata?”

 

Le venne da sorridere per come era stata formulata la domanda: abbastanza neutra da non rivelare di che cosa stesse parlando, se Calogiuri per qualche motivo la proposta non l’avesse fatta, o se fosse andata male.

 

Calogiuri divenne praticamente fucsia, aprì bocca, ma era visibilmente emozionatissimo. E allora Imma lo tolse dall’impaccio, sollevando la mano sinistra con il dorso rivolto verso Rosaria.

 

Un gridolino che le parve un ultrasuono le forò quasi un timpano e, prima di rendersene conto, si trovò Rosaria che l’abbracciava e le diceva “congratulazioni!”, per poi buttarsi addosso a Calogiuri con un “e bravo il fratellino! Ormai mi stai diventando adulto! Vedi di non fartela scappare, che le bomboniere a sto giro te le tiro in testa!” ed infine trascinarli in una specie di morsa di gruppo.

 

Percepì però un tremore alla schiena e non era il suo, e nemmeno di Calogiuri, ma il braccio di Rosa. Quando si staccarono, per quanto fosse stato tutto velocissimo, non potè non notare che aveva gli occhi lucidi ed un paio di lacrime sulle guance.

 

Le ricordava il modo silenzioso di piangere del fratello, mannaggia a lei, ed il pianto dei Calogiuri era da sempre un’arma letale per Imma.

 

“Che c’è?” le chiese, di nuovo preoccupata, ma Rosaria scosse il capo.


“Niente… è che… mi sono commossa. Sono davvero felice per voi: ce l’avete fatta, nonostante tutto e tutti. Ve lo meritate di essere felici!” rispose, dando un pizzicotto al fratello.

 

Ma c’era qualcosa che non le tornava: non le sembravano lacrime di felicità quelle.

 

E non era nemmeno triste per loro, anzi, che fosse felice del fidanzamento - inspiegabilmente - era palese ma… le mancava qualche pezzo.

 

“Calogiù… inizi tu ad andare in bagno, che così poi ci facciamo una bella dormita?” gli chiese, perché dopo quello che era successo nel suo ufficio altro che doccia ci voleva, ma nel frattempo voleva confermare un suo sospetto.

 

Calogiuri le sorrise e le diede un rapido bacio, apparentemente ignaro di tutto, sparì in camera da letto e poi dopo poco lo vide entrare in bagno con un accappatoio sotto braccio. Entrò pure lei in stanza, giusto il tempo di levarsi il vestito rovinato ed infilarsi in una delle sue camicie da notte, prima che Rosaria si potesse accorgere di quanto era successo in procura, oltre alla proposta di matrimonio.

 

Tornò in sala e la trovò ancora lì, a bersi la sua camomilla o quello che ne rimaneva.

 

“Calogiuri mi ha detto che hai aiutato con l’anello. E poi va beh… pure stasera che ti sei dileguata peggio degli esponenti della Matera bene quando arriva la finanza. Grazie,” le disse, un poco per rompere il ghiaccio, come era sua deformazione professionale fare negli interrogatori ed un po’ perché le era veramente grata, moltissimo.

 

“Figurati! Si vede che mio fratello è felice con te e a me questo basta. E poi sarai la prima della famiglia, pure se allargata, ad avere una laurea,” scherzò, anche se ci sentiva un sottotono di rimpianto in quelle parole.

 

“La cultura e l’intelligenza sono due cose molto diverse. E l’intelligenza sicuramente non manca nella vostra famiglia, anzi, almeno nella vostra generazione. E sono io che ti ringrazio per volere una come me come cognata: di solito i potenziali parenti acquisiti mi odiano tutti, in parte pure a ragione, ma tu per fortuna fai eccezione.”

 

“Se parli di mia madre… considerando che le piaceva Maria Luisa, starle antipatica è un complimento!”

 

“Puoi dirlo!” concordò, ma poi si fece più seria, perché, nonostante i toni giocosi, c’era sempre come un velo negli occhi di Rosaria.

 

Ed era decisamente troppo giovane per soffrire di cataratta.

 

“Mi vuoi dire che ti succede? E non provare di nuovo a rifilarmi la storia della commozione, che gli stati d’animo della gente mi tocca leggerli per mestiere.”

 

Rosaria sospirò, le spalle che le si incurvarono visibilmente. C’era come una resa nel suo sguardo, cosa che la preoccupò, perché Rosaria era sempre battagliera, un caterpillar forse pure più di lei. Ma ci lesse anche timore, spavento, che non capì.

 

Prese posto vicino a lei, sul divano, cercando di esercitare la poca pazienza che aveva e non forzare la mano.

 

“Ci ho riflettuto molto in queste ore e ho… ho deciso di venire a vedere l’appartamento che mi proponete e di trasferirmi a Roma il prima possibile.”

 

Un’affermazione decisa ma che non spiegava per nulla il suo stato d’animo.

 

“Va bene le lunghe attese per la Bruna ma… eri così dubbiosa prima. Sei sicura?”

 

“Sì, sì, è la cosa migliore per tutti. Qua non ho nessuno di famiglia e… a Roma ci siete voi e… e magari più possibilità per il futuro.”

 

“Ma… ma è per il trasferimento che sembri così triste? O non è solo per questo?”

 

Rosa teneva gli occhi bassi e si tormentava il labbro inferiore con i denti.

 

“Sei sicura di essere contenta che tuo fratello si sposi? Magari una parte di te pensa che sia troppo presto, e lo capirei se tu fossi preoccupata e-”

 

“No, no, Imma, figurati!” esclamò, rialzando gli occhi e guardandola in un modo che non lasciava spazio proprio a dubbi, “io… io sono felice che il mio fratellino è felice, te l’ho detto. Che ha trovato qualcuno che ama davvero e che lo ama davvero. Ma… vedervi così felici mi fa pensare al mio di matrimonio e che… che sono sola. Non mi ha mai pesato prima ma… sento improvvisamente che mi manca qualcosa. E lo so che non è giusto avere questi pensieri, né nei confronti di Salvo, né di Noemi, ma-”

 

“E perché non è giusto? Tutti i rapporti vanno mantenuti, alimentati, se no si perdono. Salvo, magari non per colpa sua, ma è tanto assente, poi state insieme da una vita e… lo so com’è. Anzi, io di anni ne tenevo ventiquattro, quando ho conosciuto Pietro,” commentò, notando come Rosa abbassasse di nuovo lo sguardo, “tu manco maggiorenne eri. Mi sembra normale che… che si cambi. Ma mi sembra pure normale che il vostro rapporto non sia come quello di tuo fratello con me, che alla fine sono pochi anni che mi deve sopportare.”

 

“Lo so, ma… ma non siamo mai stati così io e Salvo. E… non dico che dovremmo essere da diabete come voi ma… ma vorrei passare più tempo con lui, parlarci veramente, almeno avercelo un rapporto. Vedo più spesso il pizzicagnolo all’angolo di mio marito e… e non so più se mi va bene, ma poi mi chiedo se sia giusto avere questi pensieri mo. Quando l’ho sposato sapevo che mestiere faceva e-”

 

“Ma forse era comunque più presente?”

 

“Sì… da quando abbiamo litigato per il trasferimento ci vediamo sempre meno e… quando c’è pare sempre che non c’abbiamo niente da dirci, se non recriminazioni sui sacrifici che fa, su quanto si stava bene da mammà e su come non mi riconosce più.”

 

Sospirò: almeno su alcune cose il discorso le era familiare, fin troppo, anche se con Pietro era stata lei a mollare il colpo, ad allontanarsi, per motivi diversi.

 

“Senti, Rosà, te lo dico come una che c’è passata e comunque ne ha sofferto, pure se magari non sembra, e soprattutto ha visto quanto è brutto fare soffrire qualcuno che si è amato per tanti anni,” esordì e Rosa, di nuovo, abbassò gli occhi, “Valentì era grande e, nonostante quello, mi sono fatta mille scrupoli per lei e per me. Lo so che Noemi è piccola e… una separazione dei genitori non è mai facile, anzi. Ma Valentì era attaccatissima a Pietro e… lui era sempre presente, molto più di me. Qua mi pare che Noemi sia abituata a vedere il papà solo alcuni giorni e che-”

 

“Che forse alla fine non cambierebbe niente per lei? Ci ho pensato anche io e… ed è la cosa che mi fa più rabbia e mi mette più tristezza di tutta questa situazione.”

 

“Niente niente non lo so e… pensaci molto bene, prova a parlarne con lui, che dopo tutti questi anni ve lo dovete, di provare almeno a parlarne e cercare una soluzione. Ma se poi non sei felice… sei giovanissima, ed hai diritto di esserlo, pure per Noemi che si merita una madre che si voglia bene e le insegni a volersi bene. Chiaro?”

 

Si trovò con Rosa tra le braccia, che per poco non la soffocava, e poi le sussurrava “puoi… puoi non dire niente ad Ippà? Già tiene tanti pensieri, non voglio rovinargli il momento felice, che starà al settimo cielo!”

 

“Io sto pure all’ottavo, se è solo per quello! E va bene, però guarda che pure lui lo vede che qualcosa non va, mica è scemo! Non pensare che non se ne sia accorto.”

 

“E tu non pensare che non mi sono accorta di come stavano messi i vostri vestiti quando siete rientrati a casa,” si sentì sussurrare in un orecchio ed il viso le andò a fuoco, pure prima che Rosaria si rimettesse seduta, ridendo soddisfatta, “ma beati voi! Che io ancora un po’ e non mi ricordo neanche più come si fa!”

 

Nonostante l’imbarazzo di essersi fatta beccare, non potè evitare di ridere e pensare a quanta fortuna avesse avuto sia con il futuro marito, sia con la futura cognata.

 

Il resto… non ci sono rose senza spine, in fondo.

 

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“Vuoi un altro po’ di schiuma?”

 

“Sìììììììììì!”

 

Noemi, che aveva barba e baffi per la schiuma del cappuccino, peggio di Babbo Natale, era talmente piena di energia da farle invidia.

 

Ma, del resto, era andata a dormire presto lei, non come loro e non aveva fatto tutto il loro… movimento il giorno prima.

 

Sentì qualcosa sfiorarle la caviglia e vide che era Ottavia, ruffiana come sempre, che la guardava implorando un pezzetto di qualcosa, ma non voleva rischiare che stesse male.

 

E poi per poco non le cadde il cucchiaino di mano perché il tavolo vibrò.

 

“Il tuo,” le disse Calogiuri, mentre si sedeva accanto a lei.

 

Lanciò un’occhiata allo schermo e ci vide il nome di Diana.

 

“No, Diana, a colazione no!” sospirò, rifiutando la chiamata: sicuramente era curiosa di com’era andata la sera prima, ma poteva pure aspettare un’altra mezz’ora per il pettegolezzo del giorno.

 

Stava addentando il cornetto all’arancia - il cui gusto ormai le dava nostalgia - quando un altro trillo annunciò un messaggio in arrivo.

 

Moliterni

 

Sospirò: che voleva Maria a quell’ora?

 

Per un attimo le venne il dubbio che i loro… festeggiamenti nel suo ufficio non fossero stati visti soltanto dal Presidente oppure che, in qualche modo, avesse già scoperto del loro fidanzamento.

 

Ma non le scriveva quasi mai, era meglio scoprire subito che rogne portava e levarsi il pensiero, sperando che non fosse una nuova uscita con Vitolo, che avrebbe in ogni caso sentitamente rifiutato.

 

Non voglio impicciarmi e-

 

Già l’esordio del messaggio prometteva benissimo, proprio!

 

Non voglio impicciarmi e ho già provato a contattare Vitali, ma penso sia giusto che lo sappia anche tu. Ho Carlo Vitali tra gli amici sui social e… stamattina mi è apparso questo.

 

Al messaggio, breve per gli standard della Moliterni, seguì un link.

 

Lo toccò e le uscì un post, si chiamavano così, con due foto affiancate in cui riconobbe immediatamente Valentina. In quella di sinistra si baciava con Penelope, in un posto che pareva una discoteca, forse a capodanno. In quella di destra Valentina che ballava con Carlo, presumibilmente alla festa della sera prima.

 

Il titoletto sotto le foto la fece incazzare ancora di più.

 

Quando sei così tanto una femminuccia che giusto a una lesbica puoi piacere!

 

L’autore del post era un certo Vins Il Mignottaro. Vincenzo, presumibilmente.

 

Un poeta, sicuramente.

 

Toccò la foto, per capire meglio e balzarono fuori alcuni nomi. Quelli di sua figlia, di Carlo e di un certo Giampiero, probabilmente l’organizzatore della festa.

 

Con le dita che le tremavano, toccò il nome della figlia ed aprì il suo profilo. Aveva pubblicato solo una foto dei fuochi d’artificio, ma il numero spropositato di commenti sotto a quell’immagine non prometteva niente di buono.

 

Li aprì e ciò che lesse la fece incazzare come non si era mai incazzata nella sua vita.

 

Da insulti, a commenti sulle dimensioni dei subumani che sostenevano che non avesse mai provato un vero uomo come loro - e per fortuna! - a proposte indecenti di vario tipo, fino a qualche sua ex compagna di classe di cui riconosceva i nomi che commentava che l’ho sempre saputo che la De Ruggeri è lesbica.

 

“Imma?”

 

Si sentì toccare il braccio e per poco non fece un salto. Si rese conto dallo sguardo preoccupato di Calogiuri che stava tremando di rabbia.

 

Gli passò il telefono perché non sapeva neanche cosa dire, avrebbe soltanto voluto urlare ed andare da quei deficienti e prenderli a ceffoni a due a due, finché non diventavano dispari, ma non si poteva e sarebbe stato comunque inutile.

 

Vide lo sguardo furioso di lui, ma pure confuso, mentre chiedeva, “ma come-?”

 

Riprese il telefono e gli mostrò il post mandatole dalla Moliterni. Lo vide stringerle il telefono con tanta forza che le nocche gli diventarono bianche e poi glielo ripassò, sussurrando, “che vuoi fare?” con una voce roca che quasi era irriconoscibile.

 

Non l’aveva mai visto così incazzato, se non quando era lei in pericolo.

 

“Devo sentire Valentina, subito,” realizzò in quel momento, alzandosi da tavola e selezionando già il numero, mentre udiva Noemi esclamare “te ha tata?”

 

Beata innocenza!

 

Niente. La signorina dalla vocetta metallica le annunciò che Valentina non era raggiungibile e che si pregava di richiamare più tardi.

 

Col cazzo!

 

Fece scorrere fino al contatto di Pietro.

 

Per fortuna almeno quel telefono prese a squillare e lo sentì rispondere con un “Imma?!” che le sembrò molto spaventato.

 

Forse sapeva tutto.

 

“Hai già sentito di Valentì?”

 

“Valentina?” domandò, lui, confuso.

 

“Valentì dove sta, Pietro?”

 

“In camera sua sta, a dormire, che ieri sera è rientrata che… che praticamente era stamattina. Ma che succede?”

 

“Succede che dei cretini hanno fatto uscire sui social delle foto di Valentina con Penelope, per colpire Carlo Vitali, più che altro, ma… tra poco di Valentina e Penelope lo saprà tutta Matera.”

 

Un attimo di silenzio tombale.

 

“Vado a svegliare Valentì e l’avviso.”

 

“No, aspetta!” lo interruppe, d’istinto, ancora prima di rielaborare del tutto il perché, “vengo lì pure io. Voglio che glielo diciamo insieme, Piè.”

 

“Va… va bene…” lo sentì sospirare, anche se le parve pure sollevato di non doverlo fare da solo.

 

Non che sarebbe servito a qualcosa, purtroppo.

 

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“Stavo per chiamarla io, per esprimerle ovviamente tutta la mia solidarietà, dottoressa, a lei e a sua figlia.”

 

“Purtroppo della solidarietà temo mia figlia se ne farà molto poco, dottore.”

 

Aveva telefonato a Vitali prima di uscire di casa, presa di nuovo da un impulso. Alla fine era anche colpa della meravigliosa festa e del suo rampollo se Valentina si trovava in quella situazione.

 

“Lo capisco, dottoressa, lo capisco. Mi creda, sono mortificato e molto arrabbiato, ma mai quanto lo è mio figlio. Che per colpire lui c’è andata di mezzo sua figlia ed il suo sacrosanto diritto alla privacy e questo è inaccettabile.”

 

“Non è colpa di suo figlio, dottore, ma dovrebbe rivedere le sue amicizie.”

 

“Ma quelli non sono amici suoi, dottoressa! Sono dei bulli che gli danno noia da quando è arrivato da Napoli, perché è ricco ed ha una famiglia… in vista. Hanno trovato le foto della festa sul profilo di chi l’ha organizzata e… hanno colto l’occasione.”

 

“E magari invece di subirli questi bulli si poteva fare qualcosa, no?”

 

“Dottoressa, almeno fino ad ora non hanno fatto niente di illegale. Sono tutte foto scattate in luoghi pubblici o rese pubbliche da qualcuno. Quindi che potrei fare? Lo sa che a finire dalla parte del torto con un’accusa di abuso di potere è un attimo.”

 

“Senta, dottore, mo devo andare a parlare con mia figlia, poi magari ne riparliamo.”

 

Chiuse la chiamata, sapendo che Vitali non avrebbe potuto fare niente.


E neanche lei. Ed era quella la cosa che le faceva più rabbia.

 

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Si sentiva ancora intontita. Non era più abituata a fare l’alba, anche perché pure con Penelope… di solito avevano di meglio da fare ad una certa ora, che starsene in giro a ballare.

 

Si decise ad uscire dalla stanza: necessitava di molto caffè. Percorse il corridoio un poco alla cieca e quando arrivò in cucina si svegliò di colpo.

 

Sua madre e suo padre erano seduti al tavolo che la aspettavano.


Si chiese se stesse per caso sognando la sua adolescenza - ogni tanto ancora le capitava - ma poi notò che suo padre aveva il suo nuovo look, sebbene con un poco più di barba del solito.

 

“Mamma?” chiese, stupita e un poco preoccupata, “che… che ci fai qui? Cos’è sto comitato di accoglienza a colazione?”

 

“Non ti preoccupare, Valentì, è che… ti dobbiamo parlare.”


“E come faccio a non preoccuparmi? Che è successo mo?” domandò, prendendo la sedia di fronte a suo padre e lasciandocisi cadere, perché le energie ancora non c’erano.

 

“Un paio di cretini… probabilmente quelli di capodanno… hanno capito chi sei da alcune foto fatte alla festa di ieri e… hanno pubblicato una foto di te e Penelope che vi baciate, con il tuo nome pure. Quindi… tra poco di te e Penelope lo saprà mezza Matera.”

 

Non ci poteva credere, non ci poteva credere: lo stomaco le si chiuse immediatamente, dalla paura e dalla rabbia.

 

Recuperò il cellulare dalla tasca e riattivò i dati. Prese a vibrare come impazzito e le ci volle un po’ prima di riuscire a farlo funzionare, perché era tutto bloccato. Aprì il suo profilo e vide alcuni commenti sotto la sua ultima foto che le fecero venire il vomito. E poi trovò una notifica di un tag ed il famoso post di cui parlava sua madre.

 

“Sì… è uno di quelli di capodanno!” confermò, guardando la foto profilo di Vins che, per qualche motivo, proclamava con orgoglio nel suo nome utente di doverle pagare le donne per andarci.

 

Non che la cosa la sorprendesse.

 

E poi sullo schermo comparvero una sfilza di notifiche di messaggi in arrivo, di gente che aveva il suo telefono. Aprì rapidamente il programma di messaggistica istantanea, per levarsele di torno, e ci vide compagne di scuola che non sentiva da una vita, una dell’università che doveva avere letto il tutto sui social, ma soprattutto, notò Carlo Vitali.

 

Non sapendo bene come sentirsi nei suoi confronti, aprì la conversazione.

 

Non sai come mi sento male per tutto quello che sta succedendo, anche per colpa mia. So che non c’è modo di rimediare, ma se posso fare qualcosa per aiutarti, qualsiasi cosa… basta che lo dici e lo farò.

 

Stranamente, notò che non era arrabbiata con lui. Non c’entrava niente: era una vittima anche lui, alla fine.

 

Non puoi fare niente ma grazie per il pensiero. Non è colpa tua, ma di quei deficienti e di tutti gli altri sfigati che hanno visto troppi porno. Mo devo avvisare un po’ di persone che magari ancora non lo sanno, ma non darla vinta neanche tu a quegli stronzi.

 

“Devo… devo avvertire Penelope. E… c’è da dirlo a nonna, se non lo sa già,” si rese conto, alzando lo sguardo verso i suoi che tenevano un’espressione che le confermava chiaramente come sarebbe andata.

 

Ma meglio saperlo da lei che dai pettegoli e-

 

Il suono di un campanello interruppe quel pensiero.

 

E purtroppo il modo di suonare, che pareva una mitragliata, era molto familiare.

 

Lupus in fabula…”

 

Il commento di sua madre confermò il suo pensiero.

 

“Che devo fare? Vuoi che apro o no?” domandò invece suo padre e Valentina provò un moto di orgoglio.

 

“Veramente lasceresti nonna fuori casa?”

 

“Se non sei pronta a parlarle sì,” rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo, e il sorriso che gli fece sua madre rifletteva il suo.

 

“Lo so che state in casa! Se non mi aprite uso la chiave!”

 

E sì, era proprio sua nonna, che pareva pure più incazzosa del solito.

 

“Spiegatele che si chiama violazione di domicilio, se si entra in un appartamento senza il consenso del proprietario o del locatario, pure se si hanno le chiavi.”

 

“Lo capirà che è una frase tua e non mia o di Valentì!”


“Tanto ho sentito benissimo, con la voce delicata che ti ritrovi, Imma! Fatemi entrare! Quella non può più dettare legge qua: non è più casa sua!”

 

“Ma neanche vostra, signora, e siete voi che state facendo una piazzata!”

 

“Va beh, dai, facciamola entrare, che tra poco esce tutto il vicinato a vedere che succede! E tanto prima o poi le dovevo parlare!” esclamò, perché a quel punto era inutile rinviare: via il dente via il dolore.

 

Andò verso la porta e l'aprì.

 

“Finalmente! Mo ho capito: è perché sei tornato pappa e ciccia con questa che ti sei lasciato con Cinzia?”

 

“Ti sei lasciato con Cinzia?!” esclamò, in perfetto unisono con sua madre, mentre entrambe guardavano suo padre con un misto di sorpresa e sollievo nello sguardo.

 

“S- sì.”

 

“Era ora!” commentò, soddisfatta: non aveva mai capito cosa suo padre ci trovasse in quella ed il peggio era che non sembrava averlo capito manco lui.

 

“Cinzia è una bravissima donna, di buona famiglia, dai grandi valori. E parli proprio tu, che mo ti metti in relazioni contro natura, anche se ti sono sempre piaciuti i ragazzi, ma del resto ormai è di moda essere gay!”

 

“Veramente gli omosessuali esistono ovunque in natura e comunque non sono lesbica ma bisessuale.”

 

Lo sguardo di sua nonna si fece talmente confuso da risultare quasi comico.

 

“Vuol dire che mi possono piacere sia i ragazzi che le ragazze, nonna.”

 

“E allora lo vedi, lo vedi che è un capriccio? E perché non ti scegli un bravo ragazzo, di buona famiglia, invece di una che sembra che dorme nelle stazioni?”

 

“La famiglia di Penelope economicamente sta messa meglio di tutte le nostre messe insieme, ma magari non va in giro a sbandierarlo perché sa che ci sono cose più importanti nella vita. E comunque non si sceglie chi si ama, e io amo Penelope.”

 

“Lo sapevo: è tutta colpa tua!” urlò sua nonna, voltandosi di scatto verso sua madre, “sei tu che hai messo in testa a Valentina che tutto si può fare, pure stare con uno che può essere tuo figlio o decidere che va bene tutto, uomini o donne, e chi se ne frega dei valori!”

 

“Veramente io sono molto orgogliosa dei valori di Valentina, che è cresciuta sapendo che non bisogna discriminare. E soprattutto del fatto che è una donna libera. La vita è una e bisogna essere felici, e non farsi condizionare dagli altri e da una morale che pare uscita dal medioevo! Perché, anche se magari non lo sapete, l’omosessualità e la bisessualità non sono un reato e non sono considerati una malattia dal 1990. Quindi, dopo trent’anni, potreste aggiornarvi pure voi!”

 

“E tu non dici niente? Ti va bene questa follia? Ti fai ancora condizionare da lei?”

 

La nonna si era rivolta a papà, probabilmente capendo che tanto con mamma non c’era speranza, e suo padre aveva l’aria di essere ad un passo dall’esplodere.

 

“Veramente l’unica che ha sempre cercato di condizionarmi sei tu e non ne posso più!”

 

Sia sua madre che sua nonna rimasero a bocca aperta, come lo era pure lei, del resto.

 

“Ho sempre sopportato, e sopportato, e sopportato, perché ti voglio bene, mà, ma sono un padre pure io e non accetto che nessuno provi a far sentire mia figlia sbagliata. Nemmeno tu. E pure io sono molto ma molto orgoglioso di Valentì!”

 

La vista le si appannò: le veniva da piangere.

 

Gli buttò le braccia al collo e lo abbracciò.

 

“Pure io sono molto orgogliosa di te, pà!” gli sussurrò, mentre si sentiva stringere forte, come quando era bambina.

 

Udì un rumore di una porta che sbatteva e, quando sciolse l’abbraccio, sua nonna non c’era più. In compenso c’era mamma con gli occhi lucidi e che sorrideva.

 

Le sembrava una scena di così tanto tempo prima, ma la verità era che non era mai successo niente di simile.

 

E le pareva quasi un miracolo.

 

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“Com’è andata?”

 

Lo sguardo preoccupatissimo di Calogiuri, in piedi in salotto, le strappò un sorriso.

 

“Bene… la madre di Pietro ha fatto irruzione, praticamente, ma lui le ha tenuto testa, cosa che non mi aspettavo. Quindi… direi che tutto sommato è andata bene,” si sorprese ad ammettere, godendosi il sorriso sollevato di lui, “ma… Rosa e Noemi? Dove stanno?”


“Noemi non riusciva più a stare ferma, lo sai com’è fatta, quindi Rosaria è uscita con lei per farla sfogare un po’.”

 

“Beata lei che c’ha tutte ste energie!” sospirò, perché, passata l’adrenalina, la stanchezza del giorno prima tornava a farsi sentire.

 

Si sentì stringere forte da dietro, un bacio sulla nuca che le faceva il solletico e si lasciò andare tra le braccia di lui.

 

“Posso fare qualcosa?” le sussurrò all’orecchio, ma lei sospirò e scosse il capo.

 

“Valentina ce l’avrà durissima a Matera e non solo ma… non credo si possa fare niente.”

 

“Gliela spaccherei la faccia a tutti quei maiali che hanno mandato quei messaggi!” pronunciò lui, deciso, e le venne da sorridere, mentre si voltava per guardarlo negli occhi.


“Ecco, quello te lo devi proprio scordare, Calogiuri: non voglio che ti cacci nei guai. Però….”

 

“Però potremmo almeno denunciarli, no, per quello che hanno scritto? Almeno quelli che ci sono andati giù pesante.”

 

“L’unico risultato sarebbe fare felici gli avvocati e scatenare un altro polverone e lo sai. Anche se… almeno agli stronzi che hanno messo in giro le foto e che hanno molestato Valentina e Penelope a capodanno, una bella lezioncina vorrei proprio darla!”

 

“E come?”

 

“Non lo so ancora, Calogiuri. Ma non voglio rischiare di passare dalla parte del torto, quindi… ci dobbiamo pensare, nel frattempo niente colpi di testa, va bene?”

 

Lo vide annuire e poi percepì il calore della fronte che si appoggiava sulla sua, in quello che era il loro modo di farsi forza a vicenda.

 

I piedi e lo stomaco che si lamentavano la costrinsero a staccarsi troppo presto. Andò in camera da letto per levarsi le scarpe e lo scintillio sul comodino la fece bloccare.

 

L’anello di fidanzamento: quella mattina non aveva nemmeno fatto in tempo a reindossarlo, non che sarebbe stato il caso.

 

E questo la portò ad un’altra consapevolezza, mentre lo prendeva tra le dita, pensando che fosse una delle cose più belle e commoventi che aveva mai visto in vita sua.

 

Si voltò a guardare Calogiuri negli occhi, perché glielo doveva, e trovò il coraggio di chiedergli, “ti… ti dispiace se… se aspettiamo un poco a dare la notizia a Valentina e… e a tutti quanti?”

 

Non serviva specificare quale notizia. Lo vide fare un sospiro, ma non parve sorpreso.


“A me basta che… che non cambi idea sulle nozze, per il resto… lo sai che so aspettare, no?”

 

“Fossi matta, Calogiù!” esclamò, afferrandogli il viso e baciandolo dolcemente.

 

Si staccò solo quando sentì un “ahia!” e si rese conto che gli aveva quasi conficcato l’anello nella guancia.

 

Prima di fare altri danni, slacciò la catenina che le aveva regalato e che teneva sempre al collo e ce lo infilò, come un ciondolo, nascondendo poi il tutto sotto il vestito, vicino al cuore.

 

Lo vide sorridere in un modo così da denuncia che stava per baciarlo nuovamente, quando un trillo a dir poco fastidioso interruppe il momento.

 

Estrasse il cellulare dalla borsa.


Diana.

 

“Scusami ma… devo avvisare lei e Capozza di tenersi la storia del fidanzamento per loro, Calogiù! Poi dovremo dirlo pure a tua sorella.”

 

“Con Rosa ci parlo io, anzi, la chiamo, mentre tu stai al telefono con la signora Diana,” si offrì, prendendo il suo cellulare dal comodino.

 

“Almeno per quando ci saranno le nozze riuscirai a chiamarla solo Diana, Calogiù?”

 

“Non prometto niente!” esclamò lui, facendole l’occhiolino, ed avviandosi fuori dalla stanza, come faceva quasi sempre quando lei doveva parlare al telefono.

 

E, mentre si preparava a perdere ancora un poco di udito, e selezionava la cornetta verde, pensò che era soltanto uno dei tanti motivi per cui lo amava.

 

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“So già tutto.”

 

“Mi… mi dispiace… ma… ho dormito fino a tardi e poi è arrivata nonna e-”

 

“Calma, Vale, calma! Ho detto che so già tutto, mica che sono arrabbiata. Non è colpa tua, ma di quegli stronzi di capodanno! E comunque ti voglio vedere, non ti lascio da sola: domani torni a Roma, no?”

 

Il sollievo fu grandissimo, anche se da Penelope non si aspettava niente di diverso. Come avrebbe mai potuto non innamorarsene alla follia?

 

“Sì, ma-”


“E allora scendo pure io. Lo so che tu devi studiare, ma io non ho più esami e… spero di non distrarti troppo ma-”

 

“Ma io invece voglio che mi distrai. Almeno in alcuni momenti. Anche se mo, altro che lo studio c’ho in testa!”

 

“Lo so, Vale, ma non devi permettere a nessuno di condizionarti la vita. E comunque… in certi momenti ti distrarrò più che volentieri!”

 

Sorrise: come la distraeva Penelope non l’aveva mai distratta nessuno. Ma mo doveva rimanere ben ancorata alla realtà e fare quello che si era prefissata di fare.

 

“Penelope… io… io voglio fare un post.”

 

“Come?”

 

“Se… se c’è qualcosa che ho imparato da tutti i casini che sono successi a mia madre e a Calogiuri è che a nascondersi si fa peggio. Voglio fare un post pubblico, magari mettendo una foto di noi due insieme. Non so se vuoi farlo anche tu, ma-”

 

Si interruppe perché la sentì ridere.

 

“Vale, a me basta che non finiamo con un profilo di coppia, e poi mi va bene tutto.”

 

“Non c’è pericolo!”

 

“Quale foto vorresti mettere? Ormai ne abbiamo un po’ insieme.”

 

“Non lo so ma… una in cui ci baciamo, anzi, magari più di una, come a dire che non c’è nessuno scoop e niente di strano e-”

 

“Mi stai diventando esibizionista, De Ruggeri?” si sentì prendere in giro, ma percepiva dalla voce di Penelope che le faceva piacere, “dammi qualche ora per organizzare le foto che ho in giro e… per preparare qualcosa. Va bene?”

 

“Va bene. Io intanto scrivo il testo,” concordò, chiudendo la chiamata.

 

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“Tutto bene?”

 

Incrociò lo sguardo di Calogiuri che, come sempre, aveva colto il suo stato d’animo.


Erano a letto, pronti per dormire, dopo due giornate campali.


“Valentina mi ha scritto che vuole rispondere agli stronzi. Sono un po’ preoccupata di che può combinare.”

 

Calogiuri prese il telefono e ci armeggiò un poco. Poi però sorrise e glielo porse.

 

Sua figlia aveva appena pubblicato qualcosa: vide subito una foto bellissima di lei e Penelope che si baciavano, con i navigli di Milano come sfondo. E poi, facendo scorrere, un’altra foto di un loro bacio, di sera, su una terrazza da cui si vedeva il Cupolone di sfondo, poi una foto abbracciate in tenda, probabilmente alle Baleari, ed infine un ritratto, anche se un poco stilizzato, schiena contro schiena, le teste appoggiate una all’altra, che le ricordava moltissimo il primo regalo che Penelope aveva fatto a Valentina, tanti anni prima.

 

A chi dice che stare con te non è normale, dico che ha ragione: è straordinario. Grazie per avermi insegnato cosa voglia dire davvero amare ed essere amati, senza condizioni, senza riserve, senza lacci. L’amore non si sceglie, capita, ma io mi sento fortunatissima che mi sia capitato con te.

 

Le venne un nodo in gola: la sua bambina era proprio una donna ormai.

 

“Certo che scrive bene, Valentina,” commentò Calogiuri e le toccò annuire.

 

“Sì, non è niente male! Almeno tutti gli anni al classico a qualcosa sono serviti! Quasi quasi meglio pure quelli di Mancini.”

 

L’espressione di Calogiuri divenne così adorabilmente gelosa da farla sorridere.

 

“E dai, Calogiù, che tu Mancini lo batti sempre, lo sai. Magari lui sarà pure bravo nello scritto, ma nell’orale non ti batte nessuno!” scherzò, facendogli l’occhiolino.

 

Dalla gelosia, l’espressione si trasfigurò nell’impunitaggine più totale.

 

“Calogiù!” fece in tempo ad esclamare, prima che sparisse sotto al lenzuolo, “non intendevo in quel-”

 

Il fiato di lui sulla pelle le fece scappare da ridere e poi, mentre era ancora senza fiato per il troppo riso, dovette tapparsi la bocca per soffocare un grido.

 

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“Ti rendi conto che tua sorella e magari pure Noemi ci avranno sentito, sì?”

 

“Noemi, anche se avesse sentito qualcosa non può capire, ma tanto starà dormendo. E mia sorella è abituata a vivere con una famiglia numerosa quindi… non si può proprio scandalizzare, dopo tutto quello che ho dovuto sentire io. E poi sei stata brava a trattenerti, rispetto al solito!”

 

“Non di certo grazie a te, che ti ci sei messo d’impegno per farmi perdere il controllo, disgraziato!” esclamò, dandogli un colpo sul petto e ridendo di nuovo quando si sentì afferrare per i polsi e stringere in un abbraccio, “dai, Calogiù, che mo dobbiamo dormire, che domani si torna a Roma con pure due pesti al seguito.”

 

“Spero che l’appartamento piaccia a Rosa.”

 

“Io spero più che altro che ci si trovi bene a Roma: non so quanto sia convinta del trasferimento.”

 

“E va beh… sarebbe bello averla più vicino, ma… voglio solo che sia serena. E magari che risolva le cose con Salvo, che mi pare vadano pure peggio che a pasqua. O comunque che sia felice, in qualche modo.”

 

Si morse la lingua perché aveva promesso di tenerselo per lei, ma il matrimonio di Rosa le sembrava molto seriamente compromesso.

 

E c’era ancora qualcosa che non le tornava sulla decisione improvvisa di Rosa di scapparsene a Roma.


Perché era quello che le sembrava: una fuga.

 

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“Mi ha fatta chiamare?”

 

“Sì, dottoressa, si accomodi.”

 

Mancini, stranamente abbronzato rispetto a qualche giorno prima, le fece segno verso una delle poltrone di fronte alla scrivania.

 

“Ho… ho sentito di sua figlia,” esordì, una volta che si fu seduta, “mi dispiace molto per quello che le è successo. Se posso fare qualcosa….”

 

“Ma… ma come ha fatto a saperlo?” gli domandò, mentre si rese conto che probabilmente, come lui, tutta la procura ne era a conoscenza, compresi quei maiali di Carminati e Rosati.

 

“Non si preoccupi, dottoressa, non sono uno stalker dei profili social di sua figlia ma… dopo quello che è successo con i ricatti, ho cercato di far monitorare internet, non che uscisse qualcosa su di lei, tipo le foto di nudo e quindi-”

 

“E quindi chi la segue in procura?” gli domandò, irritata che non le avesse parlato di questa sorveglianza.

 

“Nessuno, dottoressa, nessuno. Se ne occupa Brian Martino, con discrezione. Lo sa quanto è riservato, no?”

 

Sospirò: effettivamente Martino era più che affidabile.


“Posso fare qualcosa per lei e per sua figlia, dottoressa? Anche se devo dire che se l’è già cavata molto bene, con quel post.”

 

Si sentì arrossire, pensando alla storia dello scritto e dell’orale con Calogiuri, ma scosse il capo, “no, dottore. Cioè, mi piacerebbe pure, eh, dare una bella lezione a quegli stronzi che hanno pubblicato le foto, che non lo facciano più e che la smettano pure di tormentare il figlio di Vitali, ma-”

 

“Ma cosa?” la interruppe, con un sorriso, prima di farsi più serio e sporgersi in avanti, sussurrando, “dottoressa, io non le ho mai detto quello che sto per dirle, ma… ho un’idea, anche se assolutamente non ufficiale. Si fida di me?”

 

Rimase per un attimo a bocca aperta, senza sapere che pensare.

 

“Lo sa che di lei mi fido, dottore, ma… di che si tratta?”

 

Lui però scosse il capo ed alzò una mano.

 

“No, dottoressa. Non voglio coinvolgerla e metterla nei guai con questa… iniziativa personale. Ma le posso garantire che non si tratta di nulla di violento.”

 

“Guardi, dottore, pure due sganassoni a quei cretini non mi sarebbero dispiaciuti, eh, ma… non voglio mettere lei nei guai, poi per una cosa mia.”


“Si figuri, dottoressa! E poi sono loro gli stupidi a prendersela con i figli di due magistrati. Anche se… Vitali è molto più attento alle procedure e restio ad usare… metodi alternativi rispetto a me. Ma non si deve preoccupare: sarà una lezione indimenticabile e molto, molto istruttiva.”

 

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“Sì, Rosa, tranquilla, lo sento io l’idraulico. Va bene. Va bene. Anche Imma ti manda un saluto.”

 

A lei e alla peste gli fece segno con il labiale e lui sorrise e ripeté paro paro alla sorella.

 

Alla fine Rosa aveva confermato l’appartamento e quindi le stava dando una mano ad organizzare il trasloco, che era fissato per settembre, ed anche i lavori nella nuova casa, che necessitava di qualche revisione.

 

Mise giù il telefono e si sedette accanto alla sua dottoressa, che stava digitando al computer, la fronte corrugata: quanto era bella!

 

Ma lei si bloccò, gli sorrise, si guadagnò un rapido bacio e poi il computer gli venne smollato sulle gambe.

 

“Che almeno su questo sei più veloce, Calogiuri!”

 

Era quasi mezzogiorno di un sabato di fine luglio, erano ancora a letto, lei in camicia da notte, lui in boxer - il minimo sindacale per non morire di caldo ma riuscire a combinare qualcosa senza distrazioni - che trascrivevano e spulciavano le intercettazioni fatte per il maxiprocesso.

 

Si sentiva talmente felice da non poterlo quasi spiegare a parole. Era tutto quello che aveva sempre sognato e, come gli ricordava il diamante giallo che scintillava sul petto di Imma, la sua vita avrebbe potuto essere così, per sempre.

 

“Facciamo ancora un’ora di trascrizioni, poi ti metti a studiare per il concorso e continuo da sola, va bene?” gli intimò lei, indossando gli auricolari per riavviare la registrazione e dettargliela più lentamente, “che poi tra pochi giorni partiamo e per qualche settimana i libri non li puoi toccare.”

 

“Agli ordini, dottoressa! Ma non-”

 

Non riuscì a finire la frase, perché suonarono alla porta. Un trillo prolungato, a cui ne seguì un altro.

 

“Ma chi è mo, a quest’ora? Che sia Valentì?”


“In ogni caso, vado io ad aprire,” si affrettò a specificare, afferrando una maglietta dalla sedia vicino al letto: col cavolo che la faceva andare alla porta vestita così.

 

“Ah… l’uomo del sud che ritorna! Ma probabilmente è Valentì, Otello!”

 

“Eh va beh… in caso mi ha già visto vestito così e pure a te…” replicò, avviandosi rapidamente fuori dalla stanza e verso l’ingresso, perché ci fu un’altra scampanellata, “arrivo, arrivo! Chi è?”

 

“Sono io. Sotto era aperto e… lo so che non ho annunciato la mia visita, ma-”

 

Si fermò: la voce era familiare, familiarissima, anche se era da un po’ che non la sentiva - e l’aveva sentita sempre poco in generale.

 

Aprì e si trovò di fronte a suo fratello Modesto, un’aria incerta, imbarazzata ed un piccolo borsone in mano.


Istintivamente, guardò oltre le spalle del fratello.

 

“Non c’è nessuno, sono… sono venuto da solo. In realtà… i nostri genitori non lo sanno dove sto. Posso entrare?”

 

Stava per rispondergli quando il “chi è?” di Imma lo raggiunse e si voltò, trovandola - ovviamente! - ancora in camicia da notte, che faceva capolino dalla sala, coperta solo in parte dal muro.

 

Si sentì avvampare e notò, tornando a rivolgersi verso l’ingresso, che Modesto era messo pure peggio di lui.

 

“Ma… ma è tuo fratello?” chiese Imma, all’improvviso, e la guardò come a dire come hai fatto?

 

“Avete gli stessi occhi. E diventate pure fucsia uguali!” scherzò, ed effettivamente era vero, anche se come lineamenti erano un po’ diversi: Modesto aveva preso di più da mamma, mentre lui e Rosa più da papà, “e fallo entrare, no?”

 

“S- sì, sì!” balbettò, levandosi dalla porta e facendo spazio a Modesto, che però camminò tenendo gli occhi bassi, bassissimi.

 

“Va beh… ho capito, mi vado a cambiare. Anche se è destino che conosca i tuoi parenti conciata così, Calogiù,” gli disse, facendogli l’occhiolino e sparendo oltre l’angolo del corridoio.

 

“Che ci fai qua?” chiese poi al fratello, una volta che finalmente rialzò lo sguardo, “cioè… mi fa piacere vederti ma… è successo qualcosa a casa?”

 

“No, Ippà, o almeno, non ancora, ma… è proprio per questo che ti devo parlare.”

 

“In che senso non ancora?”

 

Lo sguardo di Modesto, che gli parve terrorizzato, lo inquietò ancora di più. E poi lo vide sbirciare verso il corridoio e la stanza nella quale era sparita Imma.

 

“Se… se vuoi parlarmi da solo, guarda che Imma i segreti li tiene per mestiere e-”

 

“Lo so, ma… ti devo raccontare una cosa che… che mi è molto difficile raccontare e… non so se me la sento di farlo davanti a qualcuno che non conosco e-”

 

In quel momento, la porta della stanza si aprì di nuovo e ne uscì Imma, con uno dei suoi vestitini estivi che lo facevano impazzire, in equilibrio sopra alle sue solite zeppe vertiginose.

 

“Vado a fare un poco di spesa, Calogiù, che qua scarseggia… se c’abbiamo pure un ospite poi. Ci metterò un po’, avvisatemi solo di cosa volete per pranzo o se preferite mangiare fuori.”

 

Non fece in tempo a dire nient’altro che già la porta di ingresso le si era richiusa alle spalle.

 

Quanto la amava!

 

“Allora, mi vuoi dire che succede mo? O che deve succedere?”

 

Modesto si accasciò sul divano e lui lo seguì.

 

“Mà….”

 

“Che ha combinato mo?”

 

“Mi ha… mi ha presentato una ragazza del paese, che tiene quasi trent’anni e… vuole sposarsi a tutti i costi, in fretta, per fare figli. Per… per una specie di matrimonio combinato.”

 

Sentì chiaramente la mascella cascare: sapeva che sua madre voleva che pure Modesto si sistemasse ma non pensava sarebbe arrivata a proporre una cosa del genere.

 

“Continua… continua ad insistere e… io sono quasi tentato di dirle di sì, perché… una famiglia e dei figli li vorrei pure io, fratellì, ma tanto per me è impossibile. E almeno questa ragazza non è interessata a me e… non farei soffrire nessuno, ma non so se-”

 

“Aspetta!” lo interruppe, prima che diventasse peggio della signora Diana con Imma, “in che senso è impossibile? Sei ancora giovane, certo che puoi avere dei figli, una famiglia!”

 

“E invece no, fratellì. E invece no.”




 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qua finalmente con questo cinquantatreesimo capitolo. Mi scuso per la settimana extra di tempo per la pubblicazione ma… è stato un capitolo molto complicato e delicato, sotto tanti aspetti, e purtroppo la vita reale mi ha preso quasi ogni momento libero questa settimana.

Come avete visto, Imma ha risposto di sì, ma al momento lo sanno in pochissimi. Valentina si trova in mezzo al ciclone, Pietro pure, tra sua madre e il rapporto con Rosaria da cui si è dovuto allontanare per non correre rischi. Rosaria stessa non sta messa bene e… Modesto ha delle rivelazioni molto difficili da fare. In tutto questo, c’è ancora un maxiprocesso che sta per dare nuovi grattacapi, un viaggio in Giappone e… un Grande Casino che aleggia all’orizzonte, sempre più vicino. Il prossimo capitolo avrà parecchi salti temporali e… stiamo per salire sulle montagne russe, tra eventi belli e catastrofici.

Spero che la storia possa continuare ad essere di vostro interesse e a distrarvi in questo periodo ancora così complicato. Le riprese della seconda stagione sono finalmente iniziate e… tra pochi mesi potremo goderci nuove avventure di Imma, nel frattempo spero di riuscire a farvi compagnia fino ad allora.

Il prossimo capitolo arriverà tra due settimane, giusto in tempo per San Valentino.

Grazie ancora!

 
   
 
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