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Autore: LysandraBlack    01/02/2021    1 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 50
Straight for the castle



 

«Dobbiamo raggiungere gli altri, alla Forca.» Disse Marian coprendosi il volto con il braccio.

Il fumo denso e acre che avvolgeva ormai l'intera Città Alta le faceva prudere gli occhi, mentre lei ed Aveline avanzavano oltre le macerie del palazzo dei Selwyn, crollato quasi interamente e ora in fiamme. Una manciata di guardie cittadine e un paio di uomini con la livrea della famiglia stavano cercando di spegnere le fiamme con secchi d'acqua e terra. James Selwyn, anche lui con un secchio in mano e coperto di fuliggine dalla testa ai piedi, dirigeva l'operazione urlando con quanto fiato aveva rimasto in corpo.

Marian sapeva di non potersi fermare. L'occhiata che si scambiò con l'amica era chiara, chissà quante altre situazioni simili a quella stavano accadendo in tutta la città.

Superarono con qualche difficoltà le macerie, cercando un accesso ai passaggi sotterranei che non fosse crollato. Sapeva che il tunnel sotto villa Amell era stato lasciato libero ed era anche quello più agibile, ma non voleva rischiare di incontrarli.

«C'è quello dietro casa di Fenris, ma è parecchio vicino all'esplosione.» Parlò di nuovo, la voce roca. «Ci porterebbe però proprio dietro alla Forca, sbuca dal magazzino della ghiacciaia.» Cercò di scacciare i ricordi di tutte le volte che l'aveva usato per sgattaiolare dentro e fuori dai dormitori dopo aver passato la notte fuori.

Si diressero da quella parte, trovando la villa, leggermente più bassa rispetto alle due ai lati, ancora in piedi. I vetri delle finestre erano esplosi e l'ingresso era stato spazzato via da una colonna del portico accanto, che ora ostruiva parzialmente il passaggio, ma riuscirono a farsi strada all'interno.

L'energia magica sotto di loro le fece stringere la spada con più forza. Dalla cantina si udivano urla e rantolii inconfondibili e sperò che Fenris non avesse fatto qualche azione avventata come al solito.

Marian estrasse anche l'altra lama, maledicendo la propria idiozia per non aver recuperato uno scudo dai colleghi rimasti a terra dopo l'esplosione.

Aveline sollevò il proprio per proteggere un minimo entrambe, le orecchie tese e l'arma stretta nell'altra mano mentre andavano verso le cucine. «Abomini?» Sussurrò.

La templare si limitò a sollevare tre dita della mano che reggeva la daga corta, poco convinta. Il Velo era talmente a brandelli che le era difficile concentrarsi su una sola fonte.

Con la coda dell'occhio, vide qualcosa muoversi alla loro sinistra e una chioma di capelli chiari spuntare da una delle piccole alcove nel muro.

Fenris, i tatuaggi di lyrium che spiccavano luminosi sulla pelle bronzea, accennò col capo alla botola che portava alle cantine. Un colpo particolarmente forte fece sobbalzare il pesante lucchetto di ferro che la teneva chiusa.

Si posizionarono ai lati dell'apertura, aspettando altri due colpi prima che la serratura cedesse definitivamente e piombando dall'alto sugli Abomini, sbarazzandosene in pochi istanti anche grazie all'aura antimagia lanciata al momento giusto dalla templare.

«Temevo di dovermene occupare da solo.» Commentò asciutto Fenris, ruotando la spada per ripulire alla bell'e meglio la lama dal liquido viscoso lasciato da quei mostri. «È stato un mago a far esplodere la Chiesa, immagino. Chi altri...»

«Non un mago qualsiasi.» Rispose monotono Marian, senza nemmeno fermarsi e procedendo verso la seconda botola, che si collegava alla rete di cunicoli sotterranei di fogne e passaggi segreti sotto l'intera città, dalla Costa Ferita alla Forca stessa.

Sentì Fenris trattenere il fiato. «Marian, se-»

«Non abbiamo tempo.» Lo zittì, stringendo i denti e proseguendo, ignorando la voce di Aveline che sussurrava qualcosa all'amico. «Meredith ha perso completamente il senno e ha deciso di Annullare l'intero Circolo, per qualcosa di cui non hanno colpa. Ho intenzione di fermarla, ma se non vuoi proteggere dei maghi, non sarò certo io a fermarti. Vai pure, aiuta come puoi il resto della città se credi sia giusto, la Guardia Cittadina può averne bisogno.»

L'elfo si fermò un attimo, il tempo di un paio di lunghi respiri, prima di sbuffare e riprendere a camminare. «Mi sembra che tu abbia bisogno di tutto l'aiuto possibile. Dei maghi non mi interessa niente, ma non ho alcuna intenzione di farvi affrontare Meredith e un mucchio di Abomini da sole.»

Marian sentì una piccola scintilla di affetto per l'amico musone. «Grazie.» Si limitò a dire, ricominciando a camminare a passo spedito, ignorando il fracasso che le loro armature causavano con l'eco per tutto il cunicolo.

Dopo qualche minuto, sentirono rumore di scontro, metallo contro metallo.

Sbucarono in uno spiazzo che stava a poche decine di metri dall'uscita dietro il magazzino della Forca. Con un sospiro di sollievo, Marian riconobbe Hugh, Kelsey e Thrask tra i templari rimasti in piedi, le spade sporche di sangue.

«Comandante!» La chiamò Alain, semi-nascosto accanto ad Eder, un altro mago, dietro lo scudo di Feldwin. «Gli altri?»

Lei scosse il capo. «Ruvena e Trevelyan sono andati avanti, speravo di trovarli qui.»

«Magari sono entrati da un'altra parte.» Provò a dire Hugh, massaggiandosi un braccio.

«In ogni caso, non possiamo aspettarli.» Tagliò corto Marian, proseguendo verso l'uscita. «Cercate di non uccidere i nostri colleghi a meno che non sia necessario, ma se dovete scegliere tra voi e loro, non esitate. Loro non lo faranno.» Strinse i denti, tirando un calcio alla misera barricata ormai quasi distrutta che i templari di Meredith avevano eretto dietro di sé per chiudere il passaggio. «Meredith è mia.»

Non si faceva illusioni, sarebbe stato difficile. E molti maghi all'interno della Forca avevano già probabilmente perso il controllo, causando parecchi templari indecisi a schierarsi dalla parte opposta. Parlarci non avrebbe funzionato.

La cucina era deserta. Uno dei cuochi, un elfo noto per lasciare sempre un pentolone di zuppa calda da parte per le reclute che tornavano dai turni notturni agli orari più improbabili, giaceva riverso in una pozza di sangue, uno squarcio causato da una spada a due mani aperto sulla schiena.

Uscirono dalla porta sul retro, evitando il refettorio e preferendo appostarsi nell'ombra dietro i canali di scolo, lontani dalla vista delle sentinelle che Meredith aveva sicuramente posto nel cortile. Esplosioni e urla si alzavano dall'edificio, ma era difficile capire il punto preciso dove i maghi stavano cercando di impedire ai templari di falciarli tutti.

Vide una dei maghi, l'elfa minuscola che aveva parlato in suo favore all'incontro, appoggiare la mano sul muro di pietra accanto a loro, chiudendo gli occhi in un'espressione concentrata.

«Irma?» La chiamò Alain, dopo qualche istante. «Cos'hai sentito?»

L'elfa si morse il labbro inferiore. «Primo piano, verso l'accesso alla Sala del Tormento.» Riaprì gli occhi di scatto, ora di un azzurro brillante. «Sembrano aver eretto una barriera, o comunque qualcosa che sta tenendo i templari fuori dall'ala Nord. L'ingresso principale è ostruito.»

«È l'unico punto che può tenere fuori un gruppo di soli templari. Ma se l'ingresso principale è caduto, i templari si staranno radunando al molo.» Commentò Thrask, pensieroso. «Possiamo prendere abbastanza tempo per fare uscire tutti?»

«Non ci lasceranno uscire.» Ribattè fredda Marian, cercando di ideare un piano per arrivare al primo piano. «E se arrivano a rinchiuderli dietro le Porte...»

«Andranno tutti nel panico e finiranno per massacrarsi tra loro.» Concluse Hugh, tetro.

«Posso farci arrivare lassù.» Li interruppe Irma, accennando ad una finestra a qualche metro sopra di loro, le grate ancora saldamente ancorate al muro. «Ma ho bisogno di lyrium.»

Fu Kelsey, senza nemmeno esitare, a portare una mano alla bisaccia che aveva alla cintura ed estrarne una boccetta di liquido azzurro. «Riesci a liberarti anche delle grate?»

L'elfa assottigliò lo sguardo, buttando giù tutto il lyrium e attingendo con facilità all'Oblio. «Non saranno un problema.»

La osservarono chinarsi e appoggiare entrambe le mani sull'acciottolato, che sembrò vibrare come uno specchio d'acqua e flettersi, malleabile sotto la guida della maga, spaccandosi e lasciando fuoriuscire il terreno sottostante. Si scostarono rapidamente, lasciandole abbastanza spazio di manovra per creare un enorme viticcio di terra, radici e pietre che si sollevò come un tentacolo di qualche mostro marino di fronte alla finestra, aggrappandosi alle grate di metallo.

Con uno schianto, quelle vennero divelte e scaraventate nell'oscurità dietro di loro, mentre il viticcio si insinuava all'interno e incominciava a pulsare, creando una specie di scalinata.

L'elfa, il volto lucido dal sudore e tremante come una foglia, si concesse un cenno soddisfatto.

Alain la sorresse appena in tempo per evitare che cadesse a terra. «Complimenti.»

Irma annuì, aggrappandosi debolmente a lui. «Mio padre era un dalish, prima di essere catturato dagli schiavisti. Mi ha insegnato un po' della loro magia, ma al Circolo non ho mai potuto usarla.»

«Hai aspettato il momento giusto.» Commentò Marian, prima di iniziare a scalare per prima il viticcio. «Ben fatto.»

Si ritrovarono in una stanza vuota. Tre templari carbonizzati giacevano a terra, la puzza di carne bruciata si mischiava a quella dolciastra e ferrosa del sangue dei cinque maghi uccisi poco più in là. Sentì il flusso magico di Irma interrompersi e il viticcio polverizzarsi nel giro di qualche istante, impedendo ad altri di usare lo stesso accesso. Superarono i resti melmosi e putrescenti di due Abomini nel corridoio, quando vennero fermati da una voce imperiosa.

«Restate dove siete!»

«Evelina, siamo noi!» Rispose Agnes, mandando una scintilla di magia oltre il corridoio, che andò ad illuminare il volto della maga del Ferelden. «La Comandante Marian è con noi.»

Il viso dell'altra si contorse in una smorfia. «Non mi pare che la sua promozione sia stata accolta all'unanimità.»

«Forse dovevate evitare di distruggere la Chiesa.» Disse Fenris, spostandosi istintivamente tra Marian e lei.

«Quindi è vero?» Chiese un ragazzino in vesti da mago alle spalle di Evelina, il quale non doveva avere più di dieci o dodici anni. «È stata colpa nostra, la Comandante ha ragione...»

La maga si chinò ad accarezzargli il capo, guardandolo intensamente negli occhi. «No, la colpa è solo del mago che ha fatto saltare la bomba. Tu non c'entri niente, e nemmeno noi.»

Marian avanzò fino a loro, guardandosi attorno verso il cortile sottostante: oltre a qualche cadavere per terra e piccoli incendi ancora in corso, sembrava deserto. «Com'è la situazione?»

«Orsino e gli incantatori anziani hanno eretto una barriera verso i moli, prima di ritirarsi qui, ma i Templari stanno sbarcando a frotte. Meredith sapeva tutto, o almeno lo sospettava, perché non credo siano tutti di Kirkwall, ha chiamato preventivamente rinforzi dall'esterno.» Evelina li condusse fino all'anticamera della sala del Tormento, dove un nutrito numero di maghi e una manciata di templari avevano eretto delle fortificazioni sfruttando gli enormi battenti di pietra e ferro intrisi di rune risalenti all'epoca Tevinter. Marian sapeva che una delle porte alla loro sinistra conteneva i filatteri, e le porte di quella zona avevano la peculiare caratteristica di necessitare sia di un mago che di un templare per manovrare le barriere che li proteggevano.

«Per ora sembrano reggere, ma non durerà a lungo.» Commentò Thrask. «Se liberano l'ingresso principale, ci schiacciano a tenaglia tra il molo e l'ala Sud.»

«Non permetteremo che accada.» Ribattè Marian, testarda, sistemandosi sulle spalle uno scudo che aveva recuperato dai templari carbonizzati nell'altra stanza.

«E cosa proponete di fare, per fermarli?» Le rispose una voce, mandandole una scarica di disgusto lungo la spina dorsale. «Sentiamo, tenente, qual è il piano?»

Il Primo Incantatore Orsino dava loro le spalle, lo sguardo puntato sul portone di fronte a sè, una decina di maghi e tre templari intenti ad infondere energia alle rune poste tutto attorno al passaggio. Sul pavimento almeno una decina di corpi giacevano immobili, la maggior parte di essi maghi caduti a faccia in giù mentre scappavano verso la sicurezza della sala, colpiti alla schiena.

Marian riconobbe una dei templari accanto all'ingresso, Lynn, che si voltò a salutarla appena. Un colpo al portone li fece barcollare, costringendoli a riportare l'attenzione sul loro compito.

«Non potete stare rinchiusi qui per sempre. Passeranno.» Parlò lei, avvicinandosi all'elfo più anziano. «Dobbiamo affrontarli faccia a faccia, farli ragionare.»

«Ragionare... come possiamo sperare di farlo, con qualcuno che ci condannerebbe a morte dalla nascita?» Scosse il capo, senza mai voltarsi verso di lei. «No, tenente, parlare non ci porterà a nulla. Abbiamo già provato a parlare.»

Uno scossone più forte del precedente segnalò che dall'altra parte si erano probabilmente dotati di un ariete, o qualcosa di simile. Gli enormi cardini di ferro si sollevarono dal muro di almeno un dito, ormai allo stremo.

«Preferite abbandonare la speranza e lasciare che ci uccidano tutti, come bestie al macello?» Gli chiese Marian, perdendo la pazienza. «Dobbiamo combattere e raggiungere Meredith!»

Restò basita quando gli sentì sfuggirgli una piccola risata di scherno. «“Ci”, tenente?» Si girò finalmente a guardarla e Marian si ritrasse un poco, il suo istinto da templare che le mandò una scarica di adrenalina per tutto il corpo. «Meredith si aspetta che noi maghi ricorriamo alla magia del sangue, per combatterla.» Un angolo della bocca dell'elfo si sollevò impercettibilmente, come a schernire la Comandante. «Per quanto ne parla, non credo che la Comandante sappia esattamente a cosa andrà incontro.»

Una spiacevole sensazione si strinse attorno alle sue budella come un intrico di rovi. «Voi invece sapete esattamente fin dove può spingersi la magia del sangue, non è vero?» Gli chiese, la voce appena un sussurro, i pugni serrati nonostante i guanti corazzati dell'armatura.

Negli occhi dell'altro passò un lampo di sorpresa, ma il mago fu rapido a celarlo.

«Non fatelo.» Sibilò Marian, la mano che scivolava verso l'impugnatura della spada. «Hanno bisogno di voi. Siete il loro punto di riferimento.»

«È per questo che non mi hai denunciato a Meredith, Tenente?» Le chiese Orsino, piegando un poco il capo da un lato, gli occhi che riflettevano sinistri la luce rossastra delle torce attorno a loro.

Marian ignorò un nuovo scossone, qualcuno dei maghi e templari che tenevano il portone doveva essere caduto a terra, un paio dei cardini saltati via. «Se avessi rivelato delle vostre lettere a Quentin, Meredith avrebbe chiesto l'Annullamento seduta stante.»

«E così hai preferito proteggere il complice dell'assassino che ha ucciso tua madre, per evitare che Meredith se la prendesse con tutti gli altri...» sospirò sommessamente, fissandola per qualche lungo istante. «Saresti stata un giusto Comandante, Marian Hawke, devo ammetterlo. Ma è tardi per le buone intenzioni, e ciò che ha scoperto Quentin con i suoi esperimenti non può essere sprecato.»

Marian estrasse la spada in un gesto fulmineo, ma non fu abbastanza veloce. L'aura antimagia che aveva evocato sull'arma si attivò troppo tardi, quando ormai l'elfo si era già reciso l'avambraccio con un coltello nascosto tra le pieghe della veste.

Dovette mollare la presa sull'elsa, diventata incandescente, mentre dalla bocca spalancata del Primo Incantatore si levava un urlo bestiale, uno strillo acuto in grado di far tremare il terreno stesso.

Nello stesso istante in cui avvertì le ossa dell'elfo contrarsi e spezzarsi, e la temperatura attorno a lei precipitare di colpo, il portone di fronte a loro cedette con uno schianto, sbalzando indietro i corpi dei templari e dei maghi che avevano cercato di tenere fuori gli assalitori.

Incespicò all'indietro, gli occhi sgranati dall'orrore mentre un vortice di energia magica attraeva i cadaveri verso la figura ormai deforme del Primo Incantatore, trasformandola in un ammasso di resti umani e artigli ricurvi, urla strazianti che uscivano dalla bocca spalancata irta di denti.

Un manipolo di templari irruppe nella stanza e la testa della creatura ruotò di 180 gradi verso di loro, fissandoli con i suoi occhi ciechi prima di buttarsi a terra sui molteplici arti e schizzare a tutta velocità in direzione del varco.

Ne travolse una mezza dozzina ancora prima che essi potessero elaborare una strategia.

Marian corse a recuperare la propria spada lunga, sbraitando un ordine ai suoi di serrare i ranghi. Fenris le fu subito accanto, seguito a ruota da Aveline, Hugh e Thrask. Evelina stringeva il bastone magico davanti a sé, gli occhi puntati sulla creatura che stava nel frattempo facendo a pezzi qualsiasi cosa avesse davanti, compreso un mago che si era rialzato barcollante dopo essere stato sbalzato via dall'impatto del portone: lo sollevò di peso per una gamba, usandolo come arma per schiantarlo con forza sovrumana contro due templari in una fontana di sangue.

«Circondiamolo e impediamogli di uscire!» Urlò Marian, cercando di capire quali fossero i punti deboli di quel mostro.

Si sentì afferrare una spalla. «Possiamo sfruttare il diversivo e scappare.» Propose Evelina, indicando i maghi dietro di loro.

Marian serrò la mascella, le urla dei templari che venivano massacrati coperte dagli schiocchi del metallo che si spezzava e dal ringhiare dell'Abominio. Incrociò lo sguardo di Hugh, leggendovi orrore e incertezza. Scosse il capo, un nodo alla gola. «Sono nostri colleghi.» Sollevò lo scudo davanti a sé, lo sguardo puntato verso la moltitudine di arti della creatura che sembrava continuare ad assorbire i corpi dei caduti. «Noi abbatteremo quella cosa e raggiungeremo Meredith. Evelina, guida i maghi fuori da qui.»

La maga sembrò voler ribattere per un istante ma poi si limitò ad annuire, facendo segno ai suoi di raggiungerla e innalzando una barriera magica attorno al gruppo con l'aiuto di altri maghi. Marian vide Alain lanciare uno sguardo tormentato verso di loro.

«Mirate agli arti inferiori.» Ordinò la templare ai colleghi, mentre avanzavano con gli scudi sollevati verso il mostro. «Ha un corpo pesante, facciamolo cadere e colpiamolo tutti insieme.»

Quando si affiancarono ai colleghi dello schieramento opposto, quelli non parvero nemmeno farci caso. Dei pochi templari ancora in piedi, nemmeno una decina sembravano ancora in grado di combattere: una di essi urlò lo stesso ordine ai suoi uomini e tutti i templari si mossero all'unisono, dividendosi in due file. La prima fila sollevò gli scudi illuminati di una luce chiara e pura, incassando i colpi dell'Abominio e permettendo ai colleghi di ferire e recidere le carni del mostro, che dopo qualche lungo istante cadde finalmente da un lato, scoprendo il fianco.

I maghi, che avevano aspettato fino a quel momento l'occasione per defilarsi, schizzarono di corsa oltre il passaggio.

L'Abominio cercò di risollevarsi, ma una potente aura antimagia gli rallentò i movimenti quanto bastò ai templari per aprirgli profondi squarci dal lato scoperto e mozzargli altri arti deformi. La testa della creatura schizzò in avanti, afferrando un templare per il braccio e strappandoglielo senza difficoltà, mentre il mostro con un colpo di reni rotolava su un fianco, rischiando di schiacciare i guerrieri troppo vicini ad esso.

Una pioggia di scintille accese la sala e la creatura urlò di dolore, mentre l'aria si riempiva di una forte puzza di carne bruciata.

Alcuni maghi che avevano appena attraversato il varco sollevarono di nuovo i bastoni, schiantandoli a terra e colpendo di nuovo la creatura, bloccandola tra strilli di dolore in una pioggia di scintille e scoppi dando modo ai templari di rimettersi in piedi, attaccando in un ultimo assalto.

Quando finalmente l'Abominio che era stato Orsino smise di urlare, l'enorme corpo ridotto a brandelli putrescenti sparsi tutt'attorno, i due gruppi di templari si scambiarono un'occhiata guardinga.

Marian notò tre dei loro voltarsi in direzione dei maghi, che non avevano riabbassato i bastoni magici. «Abbiamo collaborato. Non c'è bisogno di combattere tra noi.»

Fu Ser Agatha a rispondere, una dei templari con più esperienza della Forca e, fino a quel momento, fedele a Meredith. Abbassò lo sguardo sulla creatura di fronte a loro, che ancora si contorceva debolmente. «È una follia.»

«È una follia, sì, ma possiamo porvi fine.» Insistette Thrask, abbassando la spada. «Meredith va fermata, Agatha, non dirmi che pensi che tutto questo sia solo colpa dei maghi.»

La donna si guardò attorno, posando lo sguardo dai pochi dei suoi uomini ancora in piedi ai maghi dietro di loro, fissando infine Thrask e Marian. Sospirò sconfitta, scuotendo il capo. «Non sono diventata una templare per massacrare innocenti e le loro famiglie, no. Dov'è il Primo Incantatore?»

Un silenzio teso calò sulla sala, mentre qualcosa di simile ad una larva, viscida e deforme, strisciava fuori dalle fauci aperte della creatura, cercando di schizzare verso l'uscita.

Uno scoppio di luce e venne inchiodata al suolo con uno squittio acuto, tacendo per sempre.

Fenris, i tatuaggi ancora accesi, fece forza sull'elsa dello spadone per sfilarlo dal terreno, dando un calcio al cadavere del mostriciattolo. «Ce l'avete di fronte.»

Ser Agatha si lasciò sfuggire un'imprecazione colorita, voltandosi poi verso i suoi. «Abbassate le armi, non saremmo vivi senza di loro.»

«Ma Caporale-» Provò a ribattere uno di loro, il volto terreo e sporco di sangue dalla testa ai piedi.

«Abbassa quella spada, è un ordine.» Tagliò corto la donna. «Tenente Hawke. Siamo ai vostri ordini, se vorrete cercare di convincere i nostri colleghi. Ma non spargeremo sangue templare.»

Marian annuì. «È quello che ho sempre voluto evitare anche io, Caporale.»

«La Comandante è nel Cortile. Ha dato ordine di uccidere a vista ogni mago, ma di catturarvi viva.»

«Portatemi da lei, allora.» Rispose, rinfoderando la spada.



 

La maggior parte dei maghi si separò da loro per defilarsi più al sicuro ma alcuni, tra i quali Alain, Irma ed Evelina, rimasero con loro.

Arrivati nel cortile della Forca, si trovarono davanti tre file serrate di templari, almeno una quarantina di elementi, gli scudi sollevati e le armi in pugno. Dietro di essi, i cancelli della Forca erano crollati, il passaggio parzialmente ostruito.

«Hawke.»

Meredith si stagliava di fronte a loro, Cullen al suo fianco. Mettin e Harper, altri due dei fedelissimi e più spietati tra gli uomini della Comandante, sfoggiavano un ghigno divertito sul volto.

«Meredith.» Rispose Marian, facendo segno agli altri di fermarsi.

Ser Agatha sembrò esitare un attimo in più, ma ordinò ai suoi di eseguire l'ordine.

La Comandante li fissò intensamente e nei suoi occhi chiari sembrò guizzare una scintilla scarlatta. «E così, Hawke e i suoi maghi del sangue sono riusciti a corrompere anche le vostre menti, Agatha?» Chiese.

«La tenente ha dimostrato di non essere nemica dell'Ordine, Comandante.» Rispose l'altra, sollevando il mento e sostenendo quello sguardo.

«Sciocchezze.» Sibilò Meredith, voltandosi verso il suo Capitano. «Uccidete anche loro, ormai non possiamo più salvarli.»

Cullen deglutì vistosamente, lo sguardo che scivolava sulla ventina di templari del fronte opposto. Marian poteva quasi vedere i calcoli numerici che l'altro stava facendo. «Non erano questi gli ordini, Comandante... non dovevamo limitarci ad arrestare Hawke?»

«Gli ordini sono cambiati, Cullen, e tu vi obbedirai.» Lo redarguì aspramente Meredith, il viso che si piegava in una smorfia irata.

«Proprio come un bravo cagnolino, eh, Culo?» Li raggiunse una voce alle spalle dei templari schierati. «Ammazzaci tutti e riceverai un biscotto.»

Dalle macerie di ciò che restava della cancellata, emersero diverse figure in armatura, più o meno malconce. Alla loro testa, affiancato da Ruvena che reggeva Andrew per un braccio, spiccava Macsen Trevelyan, un sorrisetto di scherno sul volto sporco. Dietro di lui, Marian riconobbe Varric, Merrill e, con una fitta di sollievo, Isabela, che le sorrise complice.

Trevelyan sollevò il braccio in segno di saluto. «Scusate il ritardo, Comandante, ma abbiamo incontrato un po' di resistenza prima ancora di arrivare alla Forca. Qualcuno ci aveva lasciato un piccolo comitato di benvenuto.» Lanciò davanti a sé un oggetto, che rotolò verso di loro.

Le tre file di templari si aprirono in due ali, mentre un mormorio di ribrezzo si sollevava alla vista della testa mozzata del Caporale Paxley.

Cullen portò la mano alla spada, estraendola e restando con l'arma a mezz'aria, incerto se puntarla contro Marian e i suoi o verso i nuovi arrivati. «Comandante, forse dovremmo-»

«Uccideteli tutti, Capitano, è un ordine!» Sbraitò quella.

Trevelyan sogghignò ulteriormente, lo sguardo quasi famelico puntato su Cullen. «Sicuri? Siete in netto svantaggio.»

Marian vide il Capitano contorcersi in una smorfia, come se avesse appena morso un limone. «Comandante, non possiamo ucciderli. Non abbiamo prove che siano sotto il controllo dei maghi del sangue, e in ogni caso sono dei nostri...»

A quel punto, fu Marian ad interromperlo, sguainando la propria arma e avanzando verso di loro. «Da quando ti interessano le prove, Cullen?» Domandò fredda. «Arrendetevi e verrete risparmiati.»

L'altro indietreggiò di un passo, lo sguardo che vagava frenetico da Marian alla sua Comandante.

Meredith perse la pazienza. Estrasse il suo spadone a due mani e Marian avvertì una fitta di nausea toglierle quasi il fiato quando esso si illuminò di rosso scarlatto, venature di quello che era inequivocabilmente lyrium che spiccavano tutto attorno all'elsa e alla lama. «Levati di torno, allora! Sarò io ad ucciderla, non mi serve l'aiuto di nessun altro.»

Cullen si spostò impercettibilmente verso Marian, puntando infine la spada contro Meredith. «No, Comandante. Non posso farlo.» Lanciò uno sguardo carico di apprensione verso la tenente. «Hawke forse ha ragione.»

«Finalmente ci sei arrivato.» Commentò lei, piatta.

Meredith sgranò gli occhi, le labbra che si piegavano in un sorriso folle mentre ruotava un poco la spada, il lyrium innaturalmente rosso che pulsava come se fosse vivo. «Non tollererò altre insubordinazioni. Io sola sono la spada del Creatore, colei che proteggerà questa città.» Fece scivolare lo sguardo sulla lama, come ipnotizzata. «Il nano non sapeva nemmeno cosa stava vendendo, quell'imbecille, ma non importa... siete tutti deboli, avete permesso ai maghi del sangue di controllarvi. Devo uccidervi, per salvare questa città. Solo io posso fermarvi.»

«Comandante, vi sollevo dal vostro-» Cercò di dire Cullen, ma Meredith sollevò la spada per poi rotearla davanti a sé, e un'aura scarlatta si propagò tutto attorno, sbalzandolo via come una bambola di pezza.

Marian avvertì un senso di vertigini come non aveva mai provato prima, e sarebbe caduta se non fosse stato per una barriera eretta appena in tempo attorno a lei.

Riconobbe il tocco magico di Alain e strinse la spada tra le mani, piombando addosso a Meredith.

L'altra parò senza alcuno sforzo, assestandole una serie di colpi tremendamente potenti che riuscirono a sbalzarla indietro, l'armatura ammaccata pesantemente sul fianco da un solo colpo di quell'arma incredibile.

Cullen, il quale si stava rialzando, sbraitava ordini ai suoi, che ora sembravano incerti sul da farsi. Il caos creato permise a Meredith di allontanarsi abbastanza, falciando almeno una mezza dozzina dei suoi stessi uomini per arrivare fino al piedistallo di bronzo che reggeva la torcia alla base della scalinata di accesso alla Forca.

Marian le corse dietro, ma non fece in tempo a fermarla.

Una seconda ondata di malessere la colpì di nuovo, rallentandola quel che bastava: restò impotente a guardare la Comandante spazzare via la torcia e incastrare la spada sul piedistallo vuoto. Una fitta ragnatela scarlatta fece tremare la terra, spaccando i ciottoli del Cortile e diramandosi fino alle due enormi statue di origine tevinter a guardia dell'ingresso della Forca.

Con un moto di orrore, le vide accendersi e stringere la presa attorno alle gigantesche armi che tenevano in mano, sollevandosi in piedi con un terribile cigolio metallico, le fessure degli occhi illuminate come torce vive.

I templari più vicini sollevarono i loro scudi, terrorizzati.

Una delle statue, armata di lancia, ne spazzò via una manciata come fossero fuscelli mentre l'altra, armata di spadone, calò un fendente così forte da spappolarne due nelle loro armature, creando una conca nel terreno.

Quella con la lancia si diresse di corsa verso il gruppetto di Trevelyan e Isabela, travolgendo chiunque non fosse abbastanza rapido da spostarsi.

Un pugno granitico vi si schiantò addosso, rallentandone la corsa e spezzando la lancia poco sopra l'impugnatura, accorciandone la gittata dei colpi e permettendo al gruppo di accerchiarla.

Marian dovette staccare gli occhi dagli amici e riportare la sua attenzione alla seconda statua, che invece avanzava dritta verso di lei.

Aveline e Cullen alzarono i loro scudi all'unisono e Ser Agatha la spostò appena in tempo per evitare che venisse abbattuta con un solo colpo.

Un'aura protettiva li avvolse tutti, mentre l'aria attorno a loro si riempiva di scintille e una tempesta di fiamme e fulmini si scatenava sull'immenso ammasso di metallo.

Le giunture esplosero in una serie di schianti, facendo crollare la statua in ginocchio. Tuttavia, la mano della spada era ancora salda e riuscì a falciare via alcuni degli assalitori.

Marian schivò di lato, cercando di raggiungere Meredith e abbandonando i compagni, seguita a ruota da Aveline. L'armatura ammaccata le rendeva difficile respirare ma richiamò a sé ogni briciolo di energia rimasta, la gola riarsa e il cuore che batteva a mille.

Meredith parò il suo colpo, indietreggiando dal piedistallo e scagliandosi contro di lei quasi ringhiando. Qualcosa alla sua destra la colpì di striscio e Marian si rese conto che anche le statue più piccole, quelle che rappresentavano gli schiavi incatenati e reggevano i portici del Cortile, avevano preso vita.

Parò con lo scudo il secondo colpo, schivandone un altro e concentrandosi sulla propria lama, cercando di rafforzare il Velo a brandelli tutto attorno mentre caricava un fendente, colpendo la statua di lato e tranciandole via un braccio. Una seconda lama la decapitò di netto, gli occhi rossi che si spegnevano mentre la testa rotolava lontano.

Samson le rivolse un cenno d'intesa, caricando un'altra delle statue più piccole e andando ad affiancare Cullen e Agatha, lasciandole via libera verso Meredith.

Con Aveline al fianco, Marian affrontò nuovamente la Comandante.

Si scambiarono una serie di colpi serrati e Marian era certa di aver ferito l'avversaria almeno un paio di volte, ma quella non sembrava dare segni di affaticamento. Gli occhi della Comandante erano spalancati, le pupille dilatate e la sclera completamente rossa, il volto solcato da venature simili ai tatuaggi di Fenris ma pulsanti, la carne tutto attorno come bruciata.

Lo scudo di Aveline parò l'ennesimo colpo, andando definitivamente in frantumi. Marian si spostò davanti all'amica, evitandole un colpo alla testa deviandolo con la propria lama, tenendola a due mani, anche il suo scudo ormai inutilizzabile. La Comandante caricò un montante e Marian strinse disperatamente la propria arma accusando il colpo con un sussulto, le braccia che tremavano così dolorosamente dal faticare a sollevarle, mentre l'altra preparava un fendente.

Un coltello si conficcò all'altezza dell'ascella della comandante, lo spallaccio dell'armatura che si era spostato abbastanza da lasciare scoperta la zona.

«Marian!» Urlò Isabela lanciando anche l'altro coltello, che però si infranse sulla spessa gorgiera, rimbalzando via innocuo.

Meredith ringhiò qualcosa di ormai incomprensibile, sputando ingiurie e cercando di risollevare lo spadone con entrambe le braccia, ma quello ferito non sembrava in grado di muoversi.

Marian ne approfittò per caricare un montante, recidendole le giunture del gomito del braccio già ferito in modo che non potesse più manovrare l'arma a due mani.

Meredith, per tutta risposta, le affibbiò un calcio in pieno petto, scaraventandola indietro sui gradini e mozzandole il respiro per l'impatto.

La visuale annebbiata, Marian annaspò alla ricerca della spada, scivolata troppo lontano. La Comandante avanzò verso di lei ma incespicò con un'imprecazione, una freccia che spuntava sopra la coscia in uno spazio scoperto dall'armatura di appena un paio di centimetri, rallentando la donna abbastanza perché Marian riuscisse a rotolare su un fianco e trovare la spada, stringendo spasmodicamente la presa sull'elsa.

Si rimise in piedi barcollando, accerchiando la Comandante con l'aiuto di Aveline e Thrask, che era corso nella loro direzione.

Meredith ormai farneticava, ansimando come un mantice e spostando lo sguardo dall'uno all'altro come una bestia in trappola.

Si scagliò contro Marian sollevando inspiegabilmente lo spadone con una mano sola, che sembrava ormai essersi fusa all'elsa in un intrico di vene scarlatte, ma venne intercettata da Aveline e ricacciata indietro dagli altri due. La spada si schiantò contro quella di Marian, che riuscì a spostare il peso e sbilanciare l'altra di lato, dando l'opportunità a Thrask di ferirla.

Il templare più anziano, dopo aver reciso le fibbie che reggevano la falda anteriore dell'armatura della Comandante, si tirò un poco indietro. Dal nulla, una delle statue più piccole gli piombò addosso, afferrandogli il mento da dietro e tirandogli la testa verso l'alto. Con uno schiocco orrendo, lo decapitò senza sforzo, cadendo poi tra loro a quattro zampe e fiondandosi addosso a Marian, che gli assestò un calcio sul muso con quanta forza le rimaneva. Un pugno granitico inchiodò la statua al suolo, distruggendola in mille pezzi.

Marian non si reggeva quasi più in piedi.

Ogni respiro era una tortura, sentiva le braccia intorpidite e i movimenti lenti, le gambe rigide come dei pezzi di marmo.

Si portò nuovamente a tiro di Meredith, sputando un grumo di sangue e saliva a terra, la gola che bruciava e la vista accesa da una miriade di scintille chiare mentre richiamava la poca energia che le rimaneva.

La lama della sua spada si illuminò di nuovo.

Caricò la Comandante mentre Aveline respingeva l'ennesima statua, usando tutto il suo peso per recidere la cotta di maglia ora scoperta. Ritirò la spada in un fiotto di sangue, barcollando all'indietro, pregando il Creatore perché bastasse.

Attorno a loro, urla, schianti metallici, una delle enormi statue era caduta ma l'altra mieteva ancora vittime.

Meredith incespicò fino a cadere in ginocchio, gli occhi ciechi e completamente rossi puntati verso il cielo sopra di loro. «Creatore, aiutami!» Rantolò, sputando una bolla di sangue che le colò sul mento, stringendo spasmodicamente la spada col braccio sano.

L'arma sembrò vibrare, accendendosi di luce accecante, e Marian dovette strizzare gli occhi per non restarne abbagliata, una fitta alla testa talmente forte da causarle uno spasmo in tutto il corpo. Le sfuggì la spada di mano, ma a quel punto non importava, non avrebbe avuto in ogni caso la forza di sollevarla di nuovo.

Le vene del lyrium rosso attorno alla spada e per tutto il corpo esposto della Comandante pulsavano freneticamente, la carne che fumava mentre la donna ringhiava stringendo i denti, il sangue che colava copioso da ogni orifizio del capo, l'armatura e il drappeggio con le effigi dell'Ordine ormai pregne di sangue e budella dove Marian l'aveva colpita.

Poi, la spada della Comandante esplose e la lama si spaccò a metà per il lungo seguendo la venatura centrale di lyrium rosso, costringendo la donna a lasciarla andare in un urlo disarticolato. Un'aura scarlatta la avvolse per intero, il sangue denso che ribolliva e fumava mentre la carne stessa si tramutava in tizzoni ardenti, brillando al punto che Marian dovette serrare le palpebre.

Quando riaprì gli occhi, della Comandante Meredith Stannard non rimaneva che un orrendo simulacro carbonizzato e contorto in uno spasmo rivolto al cielo, l'armatura ormai fusa col resto, vene di lyrium rosso che dagli occhi ne percorrevano l'intera superficie pulsando debolmente, ancora attive.

Marian si lasciò sfuggire un debole sospiro, incapace quasi di provare sollievo.

Il cortile della Forca era disseminato di corpi e parti di statue, ora finalmente immobili.

Riuscì a stento a tenere a bada lo stomaco quando si soffermò per un attimo sul cadavere di Thrask, la testa persa chissà dove, camminando in direzione di Aveline e Isabela, entrambe ferite ma ancora in piedi. Si scambiarono qualche cenno stanco, chinando appena il capo.

«Comandante!»

Si voltò lentamente, stringendo i denti e serrando il pugno della mano che ancora riusciva a muovere, imponendosi di non lasciar trapelare niente del baratro che rischiava di inghiottirla.

Trevelyan, l'armatura contusa e graffiata e il fiato corto, le rivolse un saluto militare. «Cosa ne facciamo dei dissidenti?» Gli occhi gli brillavano ancora per l'adrenalina, il sorriso feroce che si allargò ulteriormente quando posò lo sguardo su Cullen.

Marian osservò ciò che restava dell'Ordine Templare di Kirkwall. Due dozzine di uomini e donne erano ancora in piedi, parecchi giacevano feriti più o meno gravemente e a terra stimò esserci un paio di decine di cadaveri, forse di più. Deglutì, concedendosi un sospiro e sforzandosi di mantenere un tono di voce fermo. «Siamo tutti dalla stessa parte. Siamo coloro che mantengono la pace, campioni dei giusti.» Parlò alzando la voce affinché tutti potessero sentirla, citando il loro giuramento, la gola riarsa. «Meredith Stannard era folle, e ha trascinato con sé molti di noi. I colpevoli verranno sottoposti ad un giusto processo, ma non spetta a me decidere delle loro sorti, non ne ho il diritto.» Vide con sollievo l'Artiglio dell'Usignolo, l'arco con il quale aveva scoccato la freccia che aveva rallentato l'ex Comandante ancora stretto in pugno. «La Divina Justinia e i suoi agenti avranno il nostro completo supporto e collaborazione nelle loro indagini, ma vi assicuro che farò quanto in mio potere per evitare che altro sangue innocente venga sparso, siano maghi, templari o civili a rischiare la propria vita.» Lanciò un'occhiata di sfida all'elfa, la quale con la mano libera stava reggendo la maschera ormai sbeccata.

L'Artiglio chinò il capo con un cenno d'assenso.

«Abbiamo seguito gli ordini della nostra Comandante, dovremmo essere processati per questo?» Si levò una voce, e Marian dovette mordersi la lingua per non invocare il Creatore in modo blasmefo quando riconobbe la testa bionda di Cullen avanzare tra un piccolo gruppo di templari con ancora le armi in pugno. «Meredith era stata corrotta da quella cosa rossa, forse, ma fino a che i maghi non le hanno dato motivo di perdere il controllo ha guidato la Forca mantenendo sicura la città.»

«Forse hai vissuto in una città diversa dalla nostra, Rutherford, ma se c'è una cosa che quella pazza non ha fatto, è rendere questo cesso un posto sicuro.» Ribattè Samson, scoppiandogli a ridere in faccia. «Ma a te faceva comodo tutto quel blu e la libertà di prendertela con chiunque, no?» Sogghignò in direzione dell'intero gruppetto, tra cui spiccavano altri due ferventi sostenitori delle politiche di Meredith e delle idee di Karras e Alrik. «A tutti voi faceva comodo darci qualche calcio in culo per sentirvi grossi.»

«Stai zitto, non sei altro che un mendicante che farebbe di tutto pur di recuperare una dose di lyrium, persino aiutare i maghi a fuggire dalla Forca!» Ribattè sprezzante Cullen, fronteggiandolo e abbassando poi lo sguardo sullo scudo templare che l'altro reggeva in mano, ammaccato e sporco di sangue dopo lo scontro. «Sei una vergogna per l'Ordine, non sei degno nemmeno di toccarlo, quello scudo. Sei colpevole tanto quanto i maghi dei disordini al Circolo.»

Marian, a quel punto, si rese conto di averne avuto abbastanza.

Si diresse a passo tranquillo verso Cullen e Samson, appoggiando una mano sulla spalla di quest'ultimo e impedendogli di rispondere a tono, scostandolo gentilmente e guardando il Capitano dritto negli occhi, fregandosene della decina di centimetri di differenza tra di loro, mantenendo un'espressione calma e la mano ancora serrata a pugno.

Poi, senza dire nemmeno una parola, caricò indietro il braccio.

Il suono del guanto d'arme schiantatosi sul muso dell'altro fu musica per le sue orecchie.

Lo guardò cadere all'indietro con un grugnito di dolore e sorpresa, picchiando forte le natiche sull'acciottolato divelto e portandosi una mano al volto, ritirandola sporca di sangue.

Immediatamente, gli altri che lo attorniavano serrarono i ranghi, ma indietreggiarono di qualche passo, lanciando occhiate spaventate verso il resto dei colleghi che si erano radunati per godersi la scena.

Trevelyan scoppiò a ridere seguito a ruota da Andrew, seduto a terra con una mano premuta sulla coscia intrisa di sangue, e persino Ruvena scosse la testa con disgusto, borbottando qualcosa.

Marian avanzò di un passo, troneggiando sull'uomo a terra e inchiodandolo sul posto con lo sguardo. «Mi sono rotta i coglioni di doverti dare retta, Rutherford.» Parlò, la voce aspra e la gola che le bruciava, ma mai quanto l'astio accumulato in quegli anni che ora sembrava essersi sommato a tutta la merda che era accaduta quel giorno, trovando una sola, precisa valvola di sfogo. «E il Creatore sa che te ne darei volentieri un altro, quindi fatti un favore e resta a terra, ma soprattutto chiudi quella cazzo di bocca.» Scandì quelle ultime parole imprimendovi tutta la rabbia e il disgusto di cui era capace, il pugno ancora chiuso.

Cullen cercava di pulirsi il labbro spaccato, il sangue che gli aveva ora imbrattato anche il colletto sudato e sporco, la manica inzaccherata. Si limitò a serrare i denti, capitolando e abbassando il capo.

Marian quindi si rivolse ai suoi compari, sfidandoli a replicare. «Se qualcuno vuole fare altre osservazioni del cazzo, prego, questo è il momento. Datemi solo un buon motivo per rifarlo.» Nessuno osò fiatare. Soddisfatta, distese faticosamente la dita della mano. «Se nessun altro ha istinti suicidi, possiamo passare al prossimo punto.» Alzò nuovamente la voce, in modo che la sentissero tutti. «Chi ne è in grado, aiuti i feriti. I cadaveri verranno lasciati per il momento lì dove sono, la priorità è mettere in sicurezza la Forca e poi il resto della città. I maghi sono sotto la nostra protezione, chiunque torcerà loro un capello senza un ottimo motivo – e per ottimo motivo intendo l'avere di fronte un fottuto Abominio – verrà passato a fil di spada, perché avete finito di passarla liscia. Quanto ai maghi,» si rivolse quindi alla manciata che erano ancora lì, Alain già chino su Hugh a terra, che respirava a fatica ma sembrava aver ripreso un po' di colore «aiutate chi vi sta aiutando ed evitate fughe inutili, non vi serviranno e anzi, peggioreranno la vostra situazione. In mancanza di un Primo Incantatore, vi rivolgerete ad Alain.»

Il ragazzo alzò lo sguardo di scatto, pronto a ribattere, ma Marian alzò la mano per fermarlo. «Ti sei più e più volte dimostrato fedele al Circolo, Alain, e ho bisogno di persone di cui fidarmi.» Spostò quindi nuovamente lo sguardo verso Cullen, ancora a terra, Trevelyan che sogghignava malevolo in piedi accanto a lui. «Sei sollevato dall'incarico, Rutherford, con l'accusa di essere un maledetto incapace e un gran pezzo di merda.» Annunciò, sputando quasi le parole. «Macsen Trevelyan, siete il nuovo Capitano della Forca. Prendete una manciata dei nostri e scortate lui e gli altri nelle segrete, avranno tutto il tempo di schiarirsi le idee e riflettere sulle stronzate che hanno fatto.»

L'altro allargò ulteriormente il ghigno tronfio, gonfiando il petto e annuendo soddisfatto. «Agli ordini, Comandante Hawke.»

«Voialtri, avete i vostri compiti.» Tagliò corto, dovendo soffocare un colpo di tosse.

Un “sì, Comandante Hawke!” si levò quasi all'unisono. Aspettò qualche lungo istante, abbastanza perché l'attenzione di tutti non fosse focalizzata su di sé, per incurvare le spalle e trovare un posto riparato dove appoggiarsi un secondo e riprendere fiato.

Cercò con mani tremanti di allentarsi l'armatura, litigando inutilmente con le fibbie finché una mano conosciuta si posò sulle sue, aiutandola a far cadere il pettorale a terra.

«Grazie, Bela.» Grugnì, inspirando l'aria tra i denti serrati quando l'amica le sfiorò il fianco contuso, una chiazza viola acceso che si estendeva quanto la sua mano aperta. Le costole le dolevano da impazzire e poteva vedere la pelle leggermente sollevata in punti che la preoccupavano un poco.

«Non dovresti aver bucato niente, altrimenti non ti sarebbe riuscito tutto quel bel discorso.» Scherzò Isabela, riabbassandole la camicia. «Posso chiamare Alain per-»

«No, lascia perdere, hanno altre priorità.» Ribattè Marian, evitando di guardare i tanti, troppi cadaveri a terra e sperando non aumentassero.

«Per una volta potresti lasciare che siano gli altri ad aiutare te.» Commentò Fenris, avvicinandosi a loro. «Aveline è andata dalle sue Guardie, non sappiamo com'è ridotto il resto della città.»

Marian appoggiò il capo sulla pietra dietro di sé, scoprendo che in quel momento non gliene importava un accidente di come stesse il resto del mondo.

Istintivamente, portò la mano al ventre ora coperto solo dalla stoffa inzaccherata di sudore e sangue, mordendosi il labbro fino a farsi male, ritraendola poi di scatto. «Gli altri?»

«Siamo tutti vivi e vegeti, Zuccherino, non preoccuparti.» La sorprese Varric. Merrill, al suo fianco, camminava reggendosi al bastone magico ma, a parte qualche graffio, sembravano essersela cavata bene. «Ottimo lavoro, anche se ci sono modi più puliti per liberarsi dei propri superiori...»

Una fitta di dolore acuto le mozzò la risata nel petto. «Me lo segno, per la prossima volta.» Accettò di buon grado la fiaschetta che le porgeva Isabela, versandosi qualche sorso di rum giù per la gola. «Come siete arrivati fin qui? Pensavo...» “che foste con lui”, stava per dire, ma si fermò a metà della frase. Pensare a Garrett le faceva male, ancora più di quello che le causavano le costole rotte.

«Ero al porto a liberarmi del simpatico pacchetto dall'accento sexy e dalla miccia corta, quando li ho incontrati.» Spiegò Isabela, brevemente. «Abbiamo affidato il principino ad un paio di nani dall'aspetto simpatico e siamo saliti qui di corsa, incontrando il nuovo Capitano e i suoi. Fortunatamente, si erano già liberati del gruppetto di templari che Meredith aveva messo a guardia dell'ingresso.»

«Grazie.»

«Hai fatto la cosa giusta.» Commentò Merrill, sibillina. «Anche noi dovevamo fare la nostra parte.»

Fenris le rivolse un intenso sguardo astioso, ma preferì non ribattere.

«Una cosa è certa, nessuno mi crederà quando scriverò di come sono andate le cose!» Cercò di spezzare la tensione Varric, accennando alla statua di Meredith dall'altro lato dello spiazzo, che riluceva sinistra nel buio.

«Ci saranno parecchie persone interessate a saperlo, Comandante.» Parlò una voce.

Dall'ombra del vicolo accanto a loro, rispuntò l'Artiglio dell'Usignolo. La maschera era stata ormai abbandonata, mostrando il viso pieno di cicatrici di un'elfa dalla pelle color dell'ebano, solcato inoltre da un intrico di ragnatele di origine chiaramente magica. L'Artiglio resse i loro sguardi sorpresi senza battere ciglio, gli occhi quasi completamente bianchi puntati nei suoi. «Alcuni dei colpevoli hanno pagato, altri pagheranno. Uno in particolare dovrà rispondere delle sue azioni.»

Marian deglutì a vuoto. «È scappato.»

«Con vostro fratello, immagino.»

Si morse il labbro, conscia che mentire sarebbe stato inutile di fronte a quella persona. «Non so dove siano andati.» Rispose, scegliendo di celare il resto della storia.

L'elfa sospirò pesantemente, scostandosi una ciocca di capelli candidi dal volto. «Io voglio davvero credere che i maghi possano non essere un problema, ma continuano a darmi prova del contrario.» Sussurrò, la voce appena udibile. «Spero solo che il Campione sappia a cosa sta andando incontro... come se non avessimo già abbastanza problemi con quell'altro.» Spostò lo sguardo al cielo, come cercando qualcosa, restando a scrutare le nuvole pesanti e rossastre sopra di loro. Marian la vide accarezzare distrattamente il manico del coltello che portava alla cintura. «Quanto è accaduto qui si ripercuoterà per tutto il Thedas. Sarebbe da sciocchi farci cogliere impreparati.»

 

 






















Note dell'Autrice: alla fine, tra fiumi di sangue Marian è riuscita a riunire i Templari e riportare un po' di ordine. Orsino ha fatto quello che doveva fare, Meredith era già bella che andata e Cullen FINALMENTE si è beccato quello che meritava. Quando qualcuno gli chiederà come si è fatto quella cicatrice sul labbro, la risposta sarà "sono stato un maledetto incapace e un gran pezzo di merda". Ci sarà chi si assicurerà del fatto che risponda esattamente così, sì. 
Per chi si aspettava un ritorno in grande stile di Garrett e Anders... no, non era il caso. Così come Carver, quali sono le possibilità che, ogni volta che a Kirkwall scoppia un disastro (effettivamente non è una città tranquilla, ma qui si sarebbe esagerato), i Custodi siano proprio lì nei paraggi? Però il resto della banda era presente e ciascuno ha fatto la sua parte.
Ora dovranno solo affrontarne le conseguenze. 

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo. A presto!



Ps. Il titolo di questo capitolo è preso da "The Castle" di Halsey, che dal primo ascolto mi ha sempre fatto pensare a Marian. 

 

  
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