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Autore: Gaia Bessie    01/02/2021    7 recensioni
«Io mi aspetto poesia, Granger» risponde Draco, atono. «Storie da vivere mentre le si leggono. E il tuo racconto è… è semplice prosa, non ha niente di profondo o esistenziale. Una cronaca di un avvenimento che conosciamo tutti».
«Poesia» ripete lei, sorridendo leggermente. «Forse ti sbagliavi, Malfoy: tu sei cambiato per davvero».
Lui, che non s’aspettava quelle parole, trema ancora: non vede cicatrice, in quel racconto, dolore viscerale che s’aspettava di provare. Il Marchio brucia ancora, ma quello lo fa sempre, e non sono le parole ad alimentarne l’incendio – le parole di Hermione Granger, nonostante le sue più inconsce aspettative, non hanno lasciato alcun segno.
«Le persone non cambiano, Granger».

Ci vuole una certa dose di poesia, perfino per scrivere di prosa: Draco Malfoy è a capo della casa editrice M&G, anche se da tempo è solo Malfoy e non più Greengrass.
Hermione Granger è un Auror disincantato e con pochi grilli per la testa che, impegnata nella scalata verso il Ministero della Magia, nutre sogni editoriali.
[Draco/Hermione, accenni di Fred/Asteria/Draco | Prima classificata al contest “Titoli a Catena” indetto da Freya_Melyor sul Forum di Efp].
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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«Non pensavo tenessi un biglietto del treno come segnalibro, è una cosa molto Babbana» Hermione sorride, tristemente. «Hertford1, eh?».
Lui la guarda: quand’è che sono finiti ad avere bisogno di sostenere una conversazione di una banalità disarmante? Quand’è che hanno smesso di avere parole da dirsi?
È che la vede ovunque, Draco, e anche nel finale di un libro mai terminato o nel biglietto di un treno riesce a leggerci il suo nome.
 
 
Cuore di Tenebra
 
 
Buffa cosa è la vita — quel misterioso accordo di logica implacabile impiegata per uno scopo futile. Il massimo che ne puoi sperare è una qualche conoscenza di te stesso — che arriva troppo tardi — un raccolto di rimpianti inestinguibili.
(Joseph Conrad, Cuore di Tenebra)
 
Tu una faccia così non ce l'hai
Ti sbagliavi, non cambio mai
Una doccia da un drink, poi bye bye
Cerchi un principe senza guai
(…)
Ma io cerco poesia
Una storia che aspetti la pioggia
Per scendere in strada ma
 
Ci vuole una certa dose di poesia persino per scrivere in prosa, gli ha detto Asteria Greengrass, prima di dirgli che, che dirgli? Che non l’avrebbe sposato perché il matrimonio è una cosa effimera, che non l’avrebbe sposato per arrendersi a una vita poco poetica ma piena di prosa, che. Ch’ama ancora un altro di amori adolescenziali che faticano a spegnersi nella luce quieta di una lucciola che lentamente espira per l’ultima volta.
Draco Malfoy ha chinato il capo e, per tutti i tre anni che si sono susseguiti in un’accozzaglia insensata di sentimenti confusi e assolutamente apoetici, ha accettato la propria incapacità di farsi amare da lei – ma, quella di produrre libri di qualità, quella mai.
Anch’egli cerca poesia, una storia che scivoli nell’anima come pioggia gelida, e prosa che incanti al pari di una ballata. E non la trova, non la trova mai.
«Signor Malfoy?» il suo segretario bussa alla porta, con gentilezza. «C’è Hermione Granger per lei, in sala riunioni».
Draco alza gli occhi al cielo, domandandosi cosa possa volere il Ministero della Magia da lui, che poesie voglia cavargli dal cuore e dalla mente. Pieni di tenebre, entrambi, e di parole atone e insensate che s’uniscono e si cancellano alla ricerca d’un significato che appare sempre e comunque intangibile. Serve la lettura, gli ha detto una volta Asteria, per costruire un nuovo mondo: e la casa editrice M&G, che ormai è solamente Malfoy e non più Greengrass, è l’unica a poter fornire quella qualità che il mondo brama silenziosamente.
«Portale qualcosa da bere, Simon» risponde, con aria stanca. «Arrivo immediatamente, il tempo di…».
Non conclude la frase, ma è chiaro che intenda dire prepararmi psicologicamente, ma non ha il coraggio di dirlo ad alta voce. Non l’ha mai avuto, da quando è finita la guerra e ha dovuto reinventarsi e riscoprirsi sempre diverso – anche se questo ha implicato dover sopportare gli Auror di Shacklebolt a settimane alterne.
Controlli, proposte, controlli, controlli, controlli. Non è vero che esistono Mangiamorte pentiti, pensa Draco distrattamente lisciandosi i pantaloni con un gesto scocciato, ma Mangiamorte perseguitati. E lui lo è, come potrebbe essere diverso, come potrebbe essere speciale?
Si vantano della pace e del perdono, ma essi non esistono, né l’uno né l’altro: tenebre silenziose mangiano il Mondo Magico e Draco ha semplicemente perso quel che rimane del suo cuore.
«Scusami se ti ho fatta aspettare, Granger» borbotta, entrando nella stanza. «Oggi siamo pieni di lavoro da fare e…».
Lei non risponde, ma gli lancia un’occhiata così piena di sottintesi da farlo rinchiudere nel proprio silenzio barcollante: Draco Malfoy la guarda e in quel momento non conta più niente, perché a Hermione Granger tremano le mani. Sta tenendo tra le braccia un plico di fogli.
 
***
 
«Non esiste, Granger» Draco alza le braccia, con aria stanca, esausta, ma determinato a non cedere. «Pensavo fossi un Auror e che ti interessasse fare carriera al Ministero, non nell’editoria».
Lei scrolla le spalle, lo fissa con uno sguardo che è francamente insostenibile, duro e insensibile, sebbene le mani le tremino ancora. Forse è tutta un tremore, di fronte a quel suo sguardo indagatore ma, questo, Draco si rifiuta di riconoscerlo – non le riconoscerà mai più niente di niente, potrebbe essere il talento letterario che sta cercando tre anni (da quando Asteria è sparita nel nulla) e comunque si rifiuterebbe di leggere il suo nome accostato a quello della propria casa editrice.
«Lo sono» risponde lei, caparbia. «Ma non sarai tu a dirmi che non posso espandere i miei orizzonti anche in questo campo».
Lui sospira, le fa cenno di consegnarle quei fogli volanti, pinzati senza alcun criterio. «Espandere i tuoi orizzonti» ripete, come se gli fosse sfuggito il senso di quelle parole. «E non ti ha assolutamente mandato qui il Ministro per controllare che questo non sia il covo di Mangiamorte superstiti, immagino».
Hermione Granger si lascia sfuggire un sorrisetto pieno di comprensione, che a lui dà solamente sui nervi, ma sono entrambi troppo senza parole per dare sfogo alla frustrazione che quella situazione genera.
«No, immagino di no» risponde lei, infine, scrollando le spalle. Occhi bruni, piantati su quel viso come per errore, troppo vivi per permettere a loro volta di far vivere una persona normale. Anche lei. «Sono qui per me, questa volta».
Lui pensa a tutte le volte in cui lei, Potter e Weasley si sono presentati alla sua porta cercando ipotesi di complotto – Potter e la Granger scusandosi ogni volta, Weasley un po’ meno – e non trovandone mai. Pensa a quella volta, ormai quattro anni prima, in cui la Granger e Asteria si sono rivolte uno sguardo di mutua comprensione, inutile, inutile, e che a Draco ha lasciato un muto senso di insoddisfazione che alla sua fidanzata mai è riuscito a spiegare. Le parlava, la sera prima di andare a dormire, dicendole che la voce non sarebbe bastata, forse, ma lei poteva sempre dirlo a lui che. Che sarebbe andata via, prima o poi, per un motivo che lei ed Hermione Granger sembravano essere le uniche in grado di ricordare.
E lui mai. Mai ha guardato Asteria sapendolo, intuendolo, indovinandolo: e allora, il giorno in cui lei se n’è andata in un nube di Metropolvere che l’ha teletrasportata chissà dove, a Draco sono rimasti molti dubbi e un’espressione sepolta tra le polveri della sua mente – quella della Granger che, per un secondo durato mille anni, aveva compreso e condiviso la voglia di scappar via della giovane Greengrass.
«Perché me?» si tira fuori dalla bocca, macchiandosi i denti con quelle parole velenose. «Ci sono molte altre case editrici che sarebbero state onorate di pubblicarti a scatola chiusa».
Hermione ride, ha i capelli che le ricadono sul volto in maniera disordinata, ridisegnandole i lineamenti in un’accozzaglia di boccoli spanati in capelli disordinati. Occhi fissi nei suoi, che sembrano slavati e annacquati, e continua a ridere.
«Perché io non voglio la scatola chiusa» risponde, le mani strette sulla gonna. «Insomma, non c’è crescita, se ti si aprono le porte solamente per il tuo nome. O no?».
E lui, che per tutta la vita ha pensato che ogni porta dovesse spalancarsi davanti a sé per via del cognome che fortuitamente gli era capitato, sorride amaramente e scuote il capo.
«Di cosa si tratta?» domanda, sfogliando distrattamente il plico di fogli. «Solitamente lo affiderei a uno dei miei redattori, ma…».
«Ma sarebbero meno puntigliosi e irritanti di quanto tu non riesca a esserlo» risponde lei, quieta. «Lo immaginavo».
«Di cosa si tratta?» domanda Malfoy, pur sentendo strisciare quella sensazione lungo la schiena, la paura cieca e irrazionale che quegli scarabocchi disordinati contengano il suo nome. «Spero non sia uno stupido romanzo d’amore, Granger».
«Potrebbe piacerti» commenta Hermione, atona. «Si tratta di un resoconto. Della guerra».
A lui servirebbe veramente poco per mettersi a urlare, a domandarle se non stia scherzando, se non sia tutto quanto un colossale complotto orchestrato dal Ministro e da Potter e Weasley, ma si morde la lingua e sospira, sfiancato.
«Solo perché pensi che le persone possano cambiare per davvero, Granger» commenta. «Mi dispiace, io non cambio mai».
Hermione ride, e si guarda dal contraddirlo, ma tutto nel suo viso rende palese il fatto che sia d’idee differenti.
«I libri non cambiano le persone, anche se possono provarci» sussurra, dolcemente. «Spero che lo leggerai comunque, senza passarlo ai tuoi redattori».
«Mi aspettavo qualcosa di meglio da te, Granger» risponde Malfoy, acido, aggrappandosi a quel plico di fogli spaiati come se ne dipendesse la sua stessa vita. «Non stai scrivendo niente che io non abbia mai letto».
Silenziosamente, spera che lei ritiri il suo manoscritto e fugga via, a piagnucolare tra le braccia di Potter, ma non è così.
«Leggilo» sibila, semplicemente. «Aspetterò con ansia un tuo Gufo, per la prima revisione. Ma leggilo».
Lui sospira e silenziosamente ascolta i suoi pensieri scivolar via verso una resa che appare inevitabile, e serra le mani sul manoscritto.
«Mercoledì alle undici» risponde, atono. «Mi aspetto di trovarti seduta qui, per discutere del primo capitolo».
«Pensi di poter leggere un libro in quarantott’ore?» domanda Hermione, stupita. «Mi sembra impossibile».
«Dal primo capitolo riesco a capire se posso avere aspettative sul resto del manoscritto» commenta Draco, senza scomporsi. «E quarantott’ore mi basteranno per dirti che mi dispiace, ma non stamperò il tuo libro».
Lo dice con un disprezzo tale che Hermione si sente quasi ritornare ragazzina e, la voglia di dargli uno schiaffo in pieno volto, è tanta – sembra quasi che le abbia detto ancora una volta Sanguesporco.
 
***
 
Quando la rivede, Hermione Granger è inappuntabile come sempre, mentre lui freme e s’agita come se la sua opinione potesse veramente contare qualcosa, per lei: stringe tra le mani il manoscritto come se la sua vita potesse dipendere da quello e, allora, la Granger lo guarda incuriosita. Ha tante domande, in quello sguardo saldo e d’una comprensione così luminosa da imbarazzarlo, ma si trattiene a fatica dal porgliele. Forse cerca di sbirciare tra quei segni rossi che Draco ha apportato al suo manoscritto, in un fiume di parole inutili, insensate, che comunque non risolveranno quello che è il principale problema di quel fiume di fogli.
In piena, le parole di Hermione, come se fossero uscite da un argine improvvisato malamente e, allora, non saranno i segni rossi di Draco Malfoy a fermarle. Hanno vita propria, certe parole, certe prose poetiche che s’incagliano tra i denti come aria avvelenata.
«Non va bene» sibila lui, restituendole i fogli (e trattenendoli tra le mani per una frazione di secondo in più del necessario). «Penso che tu non abbia compreso quali sono i miei standard, Granger».
Lei gli restituisce lo sguardo, senza sorprendersi minimamente e pronuncia l’unica parola in grado di farlo tentennare di fronte alle proprie medesime parole.
«Perché?» sussurra, lei, interessata. «Si fa sempre in tempo a migliorare, Malfoy: cosa ti aspettavi?».
«Io mi aspetto poesia, Granger» risponde Draco, atono. «Storie da vivere mentre le si leggono. E il tuo racconto è… è semplice prosa, non ha niente di profondo o esistenziale. Una cronaca di un avvenimento che conosciamo tutti».
«Poesia» ripete lei, sorridendo leggermente. «Forse ti sbagliavi, Malfoy: tu sei cambiato per davvero».
Lui, che non s’aspettava quelle parole, trema ancora: non vede cicatrice, in quel racconto, dolore viscerale che s’aspettava di provare. Il Marchio brucia ancora, ma quello lo fa sempre, e non sono le parole ad alimentarne l’incendio – le parole di Hermione Granger, nonostante le sue più inconsce aspettative, non hanno lasciato alcun segno.
«Le persone non cambiano, Granger» ripete lui, scuotendo il capo biondissimo. «Voglio vedere quel manoscritto sistemato entro la settimana prossima».
«Se solamente tu mi volessi spiegare cosa intendi, con la tua ricerca della poesia» commenta lei, acida. «A che serve la prosa, se cerchi sempre dei versi?».
Lui pensa che ogni storia sia una composizione musicale, dove ogni nota deve essere intonata con la precedente e con la successiva, e ogni stonatura s’intravede nel complesso, come una cicatrice (mai toccata, mai lasciata) al centro dell’epidermide. Un marchio.
E Draco, che di marchi ha imparato controvoglia ad intendersene, ha sempre posseduto l’orecchio assoluto per quelle sinfonie.
Ma questo, a Hermione Granger, non ha il coraggio di dirlo – ha sempre troppe poche parole per rivolgersi a lei, troppa poca poesia da spiegarle.
Lei china il capo, sfregiandosi il volto con una smorfia piena di dolorosa consapevolezza, e sorride. Non si scalfisce mai, quel sorriso, e allora Draco l’osserva come se potesse svelargliene il segreto inavvertitamente.
«A mercoledì» lo saluta lei. «Magari riuscirai a spiegarmi perché pecco di poesia, se riesci a trovare le parole».
Draco respira piano, rimanendo ad ascoltare il rumore dei suoi passi che l’allontanano dalla sala riunioni, disorientato.
 
***
 
«Vedi, Granger, il problema è esattamente questo» Draco le indica un punto, sul manoscritto, con aria concentrata. «Sei asettica. Io sto ancora cercando poesia, nelle tue parole, ma tu…».
Lei l’osserva e, come ha sempre temuto accadesse in vita sua, non riesce a comprenderlo. Così lui scuote il capo, cercando parole che spieghino i suoi pensieri e al contempo le tirino fuori quella poesia che da qualche parte nasconde.
Draco giocherella con la propria Acquaviola, portatagli da Simon e corretta con un goccio di Whiskey Incendiario della propria riserva personale, spiumando una penna d’oca con tranquillità disarmante. «Ho sempre pensato tu avessi dei sogni, sai» commenta, infine. «Un principe senza guai, una favola bella. Ma questo libro… non ha niente di tutto questo».
Quand’è che Hermione Granger s’è destata scoprendo che non esistono le favole, né belle né tantomeno brutte, e allora ha perso tutta la poeticità che Draco le ha sempre attribuito, di malavoglia, in ogni suo pensiero. Forse non è mai stata principessa, questo sì, ma ha sempre sognato il principe che le chiedesse di combattere al suo fianco e di fuggire via in quel posto dove va tutto meravigliosamente bene e non esistono le note stonate.
«A un certo punto si deve crescere, Malfoy» risponde lei, senza alcuna traccia della sua antica dolcezza. «E scopri che le favole saranno anche poetiche, ma non sono vere. E io voglio questo: una storia che sia veritiera, e non addolcisca niente».
«C’è poesia anche in questo» borbotta Draco, che nella mente ha ancora le parole scarne dedicategli da Asteria. «Nella mancanza».
È che hai il cuore ancora pieno di tenebre, Draco, e io non so come fare a mandarle via – mi verrebbe da dire: non sono la persona giusta per farlo.
Ripensarci lascia cicatrice, da qualche parte nel cuore, che Draco finge d’ignorare come ignora i battiti cardiaci che inevitabilmente saltano al pensiero della sua fidanzata. Che adesso non è più, che non è in generale.
Sparita, perduta, forse persino dimenticata: s’è persa negli appunti a margine del proprio diario segreto, dove di fianco alle loro foto insieme scriveva un nome e un cognome spariti, perduti, e mai dimenticati. L’ha sempre cercato, ha realizzato Draco quella sera, anche se non era stata in grado di dirglielo prima.
Senza voce, Asteria Greengrass aveva continuato a urlare il nome di Fred Weasley, alla ricerca di un sospiro che ne tradisse l’esistenza spettrale e incorporea. Chissà se l’ha trovato o s’è persa anch’ella nel mondo dei morti, alla ricerca del proprio amore indimenticabile.
«Dovresti smettere di vedere poesia ovunque» risponde Hermione, scrollando il capo. «A volte le cose sono come sono, niente di più».
«Pensavo fossi una persona sensibile, Granger» commenta lui, divertito. «Ma immagino che passare il proprio tempo con Potter e Weasley ammazzi la sensibilità di chiunque».
Lei gli lancia un’occhiata severa e, per una frazione di secondo che gli cancella il sorriso dal volto, hanno di nuovo tredici anni e lei sta per tirargli uno schiaffo in pieno volto. Ha un’ombra piena di rancore che le sfregia il volto – e lascia cicatrice – una strisciata di tenebra che le ombreggia il cuore in un taglio obliquo che non sanguina mai.
«Pensavo fossi uno stronzo, Malfoy» risponde lei, con il medesimo tono. «E invece scopro che sei morbosamente attaccato alla poesia».
Non dice a cosa immagina sia dovuto ma, nel profondo del proprio cuore annebbiato e inscurito, Draco sa. Sa che Hermione Granger si sta mordendo la lingua per non pronunciare quel nome impronunciabile – e allora, silenziosamente, si domanda se lei saprebbe dirgli dove s’è nascosta Asteria Greengrass.
«Certo che non posso» commenta lei, intuendone i pensieri. «Devi imparare ad andare oltre, per quanto l’abbandono sia poetico».
«Tu non sai niente» risponde Malfoy, stringendo le mani sul plico di fogli. «Non sei qui per criticare le mie scelte di vita, Granger».
«Vale lo stesso per te» lo riprende Hermione, bonariamente. «Niente principi e niente principesse. Dimmi solamente cosa devo fare per migliorare questo manoscritto».
Draco sospira, rendendosi conto che, per l’ennesima volta da quando le loro vite si sono accidentalmente incrociate, Hermione Granger l’ha semplicemente messo all’angolo. C’è nebbia nella sua testa, mentre rilegge velocemente le proprie correzioni e spera di riuscire a interpretarle per darle un consiglio che non riesce a pensare.
«Riscrivilo da zero» dice, infine, senza ridarle il manoscritto. «Tutto quello che hai pensato finora, cancellalo. Vediamo che ne viene fuori. Ci rivediamo…».
«Mercoledì» completa lei, compitamente. «Farò del mio meglio, Malfoy, quindi mi auguro che tu non abbia niente da ridire in merito».
«Io avrò sempre qualcosa da ridire su di te, Granger» risponde Draco, soffocando l’ombra di una risata. «E, se non avessi avuto la consapevolezza che sarebbe stato così, non avresti scelto me».
Hermione china il capo, concedendogli il punto. I passi che risuonano nella sala hanno il potere di farlo estraniare, così che Draco si abbandona ai propri pensieri, in silenzio.
Non c’è sempre bisogno di poesia, nella vita, a volte le cose sono quel che appaiono e niente di più. E io sono così, Draco, nonostante ogni speranza che tu abbia provato a nutrire in merito.
Con amore,
Asteria.
 
***
 
Ho fatto a pugni come il solito mio
Ti ho chiesto scusa ma di solito io
Non credo a niente che sia per sempre
(…)
Dimmi che serve fingere
Che sia per sempre
Se non ci serve
 
Quanto può durare un inverno?
Draco indossa ancora la cravatta Babbana che gli ha regalato Asteria, che cozza e s’infrange contro la quieta banalità del completo da mago: non ha mai avuto il coraggio di smetterla, di nasconderla nei meandri del proprio armadio e, così, continua semplicemente ad indossarla. Non è elegante, è solamente l’ennesima corda che Draco desidererebbe avere il coraggio di usare per potersi impiccare da solo.
Ma lui è così poco Grifondoro che, per quanta corda potrà mai trovare, non riuscirà mai a nuocersi in maniera alcuna. E fa freddo, con il collo scoperto, anche se è giugno e l’unico freddo che Draco riesce a percepire è quello che ha dentro.
«Avrei due domande» Hermione lo distoglie da quelle riflessioni, facendolo rabbrividire. «Perché indossi un abito invernale in pieno giugno e, in secondo luogo, cosa ci fai qui?».
Lui non sa rispondere. L’ufficio Granger-Weasley è un luogo ameno, spartano, e soprattutto è gelido come tutto il Ministero della Magia. Ronald Weasley è sguardo bruciante che gli dedica con quegli occhi azzurri come una pervinca, ma Draco non riesce a sentire altro che non sia il gelo strisciante sulla pelle.
«Oggi è giovedì» risponde lui, atono. «Sei in ritardo con la scadenza, Granger, i patti erano chiari».
«E adesso la licenzierai, Malfoy?» commenta Ron, aspro. «Non abbiamo bisogno del tuo aiuto, ancora non capisco perché tu ti sia voluta affidare a lui, Hermione».
Ma lei gli restituisce uno sguardo sinceramente dispiaciuto, togliendo sia a Draco sia a Ron le parole dalla bocca.
«Mi dispiace, Malfoy» risponde lei, dolcemente. «Abbiamo avuto da fare in ufficio, e Kingsley mi ha chiesto di accompagnarlo a Parigi per il weekend, per una missione diplomatica».
«Grazie per avermi elencato la tua agenda, Granger» commenta Malfoy, sarcasticamente. «Ma vorrei sapere a che punto è il primo capitolo, quantomeno quello dovresti averlo scritto».
Hermione china il capo, ha le guance chiazzate di rosso, e Draco non riesce a non farsi sfuggire un sorriso trionfante di fronte a quell’espressione talmente colpevole.
«Fammi indovinare» la anticipa. «Non hai avuto abbastanza tempo?».
«Malfoy, io non ti permetto» sibila Ron, parandosi davanti a Hermione come se potesse schermarla da quelle parole. «Di trattare Hermione in questo modo».
«Ron, lascia perdere» lo interrompe lei, con tono fermo. «Non sono affari che ti riguardano, questi».
Draco ride, facendo tremare l’aria con quel suono così elementare, così spontaneo, e la Granger gli scocca un’occhiata piena di avvertimenti silenziosi – Ronald Weasley ha il viso così rosso da rischiare l’autocombustione, i pugni che fremono dal desiderio di infrangersi sul viso di Malfoy.
«Un principe senza guai, Granger?» commenta il biondo, con voce grondante d’ironia. «E pensare che avevi detto di non credere più nelle favole».
«Malfoy» lo avverte lei, tagliente. «Questo è un ottimo momento per imparare a tacere: verrò nel tuo ufficio stasera, con il capitolo pronto, ma ora…».
Ma ora lui ride nuovamente e l’aria è solamente l’ennesima sinfonia di chincaglierie che s’infrangono lungo i respiri tra le parole e poco più.
«Dovresti impegnarti di più, Granger» commenta Draco, voltandole le spalle. «Al posto di cercare di recuperare i pezzi della tua favola personale».
Un colpo spana le tenebre, lui si tocca il viso, turbato.
 
***
 
«Davvero, Granger?» Draco sospira, tenendo sulla guancia una pezza umida. «Lo difendi anche dopo che mi ha colpito come un Babbano?».
Hermione alza gli occhi al cielo, trafficando con un cassetto della propria scrivania. «Ti ha colpito perché, anche se sono passati anni, sei rimasto il solito idiota borioso e viziato» risponde, atona. «Devi smetterla di provocare le persone, Malfoy».
«Tu devi imparare a essere puntuale con le consegne» risponde il ragazzo, sibilando per il dolore al volto. «Senza farti difendere dal tuo fidanzato».
«Non potresti semplicemente scusarti perché sei stato uno stronzo?» commenta lei, sorridendo leggermente. «E io sono sempre puntuale, ma qui… più vado avanti e mi convinco che ho solo peggiorato tutto».
Che non ci può essere poesia nella prosa e qualcosa che sia diverso dalle tenebre, nel cuore – ricordi anneriti, quelli di Draco e lei, senza bisogno di leggergli la mente, li percepisce come fossero i suoi.
Draco Malfoy sta ancora pensando a una lettera lasciata sul tavolo della cucina alle otto e mezza di mattina, chiusa con ceralacca su porta sbarrata di fronte al cielo rischiarato dal sole, e bardata della stessa scrittura persa su un manoscritto mai finito. Aveva l’anima del bardo, Asteria Greengrass, avrebbe potuto cantare ballate senza stonare mai: le parole dalla sua anima scorrevano fluide su carta, piene di poesia, e mai una volta Draco ha dubitato che lei fosse piena in ogni sua fibra di talento.
Anche nella lettera con cui l’ha lasciato v’era quella poesia che lui, da lei, ha sempre preteso. E che adesso non leggerà mai più – anche se lei gli scrivesse nuovamente, Draco non avrebbe la forza di farlo.
«Perché?» le domanda, improvvisamente attento. «Cos’hai cambiato, da farti dubitare così tanto?».
«Il punto di vista» risponde lei, porgendogli un plico di fogli spiegazzati. «Sono passata dalla terza persona alla prima».
Draco annuisce, pensieroso. «E chi hai scelto?» domanda. «Con la prima persona si perde la coralità, ma potrebbe funzionare. Chi di voi è il protagonista?».
Lei lo guarda e gli occhi ne tradiscono l’ansia con cui mormora una risposta che non riesce a udire, che il suo cervello rifiuta di cogliere, e allora si ritrova a restituirne lo sguardo con aria disorientata. Non le chiede di ripetere, non ne avrebbe la forza: così mormora quelle medesime parole, senza riuscire a comprenderne il significato.
«Hai scelto me» mormora, ma mastica il sentore di una domanda. «Tu hai scelto me».
Lei stringe le mani sul completo da strega, fino a sbiancarsi le nocche, e lo guarda ripetendo quelle parole che lui ha pronunciato e che ha temuto con tutto sé stesso, in quegli istanti infiniti, facendolo divenire realtà.
«Sì, Malfoy» commenta Hermione, porgendogli finalmente il plico di fogli. «Io ho scelto te».
 
***
 
«Malfoy, pensi davvero che nasconderti in ufficio serva a farmi desistere?» Hermione guarda la porta chiusa, con poca sopportazione, e sospira. «Ti conviene aprire la porta di tua spontanea volontà, prima che decida di farla saltare».
Non ottiene risposta, ma se l’immagina quasi: seduto alla scrivania, con la schiena dritta, a osservare un punto indefinito sulla parete. Io ho scelto te. Starà sfregando le mani tra di loro, per scaldarle, mentre un inverno infinito gli tesse una fitta trama di tenebra nel cuore.
«Malfoy» ripete Hermione, bussando leggermente alla porta. «Conto fino a tre».
Ma la porta rimane chiusa, così da costringerla a contare fino a cinque, dieci, venti e a trenta Hermione sfodera la bacchetta, aprendo la porta con un silenzioso Alohomora.
Lo trova seduto sulla scrivania e non dietro, con le mani aggrappate strenuamente al bordo del mobile, e uno sguardo torvo a decorargli il volto.
«Hai contato fino a trenta: per ventisette secondi mi hai illuso che potessi aver lasciato perdere» commenta lui, atono. «E, invece, eccoti qui».
Lei l’osserva, incuriosita di fronte a quel disagio tutto nuovo con cui le si rivolge, come se gli mancassero le parole.
«Ti ricordo che avevamo un appuntamento» risponde lei, accomodandosi su una delle poltroncine verdi messe a disposizione degli ospiti. «Tre giorni fa».
«E non ti è proprio saltato in mente che potessi non volerti incontrare?» borbotta Draco, acido. «Non ho niente da dirti, se non che faresti meglio a bruciare quel dannato manoscritto».
È la prima volta, da quando è entrato nel mondo dell’editoria, che si permette di essere così poco professionale: ma non riesce, semplicemente non riesce a permettersi di valutare quel manoscritto come fosse di poco conto.
È inquietante, grossolanamente angosciante, il modo in cui le parole della Granger gli rimbombano nella testa, fondendosi con i suoi ricordi in un connubio indistinguibile. E, la cosa peggiore di tutto questo è che – anche se fatica ad ammetterlo persino con sé stesso – lo stile di scrittura di quella dannatissima donna gli ricorda in maniera inquietante (e squallida, squallida) quello di Asteria Greengrass.
«Tu non lo pensi davvero» commenta Hermione, sicura di sé. «Se davvero non ti piacesse, me lo avresti detto in faccia e senza troppi giri di parole».
Draco sospira: come dire alla persona che detesti da metà della tua vita che ti ricorda quella che hai amato nell’altra metà?
«Mi ricordi una persona» ammette, infine. «E la cosa non mi piace, quindi sei pregata di andar via».
Ma lei sorride, illuminata per l’ennesima volta da una luminosa comprensione che lui non le ha mai domandato, né ha mai desiderato poter ricevere. E ciò lo irrita e basta, costringendolo a serrare i denti su parole dure e amare, amarissime, che vorrebbero rompere l’argine dei denti e sguazzare nell’aria aperta dopo aver superato sangue e frammenti d’osso.
Mi ricordi una persona che mi manca, e mi sono ripromesso che un giorno avrebbe semplicemente smesso di farlo.
Perché è poetica, la mancanza, ma la poesia è qualcosa che deve rimanere relegato ai mondi di carta e mai piegata in origami su un foglio che è vita vera. Origami di cartastraccia, quelli di Draco, inutilizzabili – l’ennesimo santino cui nessun sacro folle riuscirebbe a crear preghiera.
Lui pregherebbe, però, se solamente ciò gli fornisse la certezza che gli serve: che basterebbe un’invocazione a qualcuno, per riportare indietro Asteria Greengrass.
«Penso di sapere di chi stai parlando» mormora la Granger, sfiorandogli un braccio. «Vorrei poterti dire che tornerà, Malfoy, ma…».
Ma io cerco l’amore e chi me l’ha dato per la prima volta: dicono che esista un modo per parlare con i morti, io cerco quella maniera, quella soluzione. Tu sai chi è?
«Ma non lo farà mai, immagino» risponde lui, atono. «Credi che non lo sappia anche io, Granger? Esiste solamente una maniera per parlare con i morti».
Ed è restituire la propria vita a chi vita ha dato, e allora parlare con la morte sarà semplicissimo: morta anch’ella, Asteria Greengrass sarà riuscita a contattare l’amore della propria vita, della propria morte.
E allora che spiegazioni cerchi, che soluzioni vorresti – vorrebbe chiedergli lei – di cos’altro hai bisogno?
«Ma tu hai ancora un po’ di speranza» constata, invece. Perché con un tono talmente amaro? «Anche se sai che non tornerà mai più indietro».
«Morire per un Weasley, Granger?» chiede Draco, guardandosi le scarpe con aria turbata. «Una morte da sciocchi: e lei non lo era».
Non riesce a domandarle se lei darebbe la vita per Ronald Weasley perché, a quel punto, sarebbero due sciocche – e lui non potrebbe tollerare il macchiarsi spontaneo di due persone che ha sempre idealizzato, nel bene e nel male.
«Morire per amore, forse è meno da sciocchi di quanto tu non riesca a immaginare» risponde Hermione, calma. «Ma immagino che ti ferisca comunque».
«Niente favole per me, Granger» conferma lui, atono. «Vorrei dirti che mi dispiace per aver provocato Weasley, ma sarebbe una sonora cazzata».
Lei ride e scuote il capo. «Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile2» predice. «E verrai a dirmi che, a conti fatti, non conta più niente».
Ma Draco ricambia la risata, e suona come l’ennesima incrinatura che il suo corpo potrà mai sperimentare.
«Lo potrai dire solamente tu» la rimbecca, con un cenno brusco del capo. «Solamente perché hai abbastanza speranza da credere ancora in un per sempre».
 
***
 
«Ti ho portato un caffé» Hermione entra in punta di piedi nello studio di Malfoy, facendo levitare un vassoio con due bicchieri di carta. «Ho pensato che potrebbe servirti a…».
«Non a cambiare idea, spero» commenta lui, senza rifiutare la bevanda. «Non voglio avere a che fare con il tuo manoscritto, Granger, e sinceramente nemmeno con te».
«Eppure non mi hai ancora cacciata» risponde lei, che sono tre giorni che si è stabilita nell’ufficio di lui, portandosi persino le proprie scartoffie lì, su quella medesima poltroncina. «Chissà perché».
Lui beve un sorso generoso di caffè, e stringendo le labbra nel constatare l’assenza di zucchero nella bevanda.
«Quanto devi essere triste per voler bere un caffè amaro?» le domanda, appellando una zuccheriera. «La vita non ti sembra abbastanza amara?».
Hermione sorride, sopra una lettera da finire di scrivere. «Oh, sì» ammette, sorbendo un sorso dal proprio bicchiere. «E a te?».
Draco sospira, stremato. «Non ti stancherai mai di questa farsa?» le domanda. «Cioè, forse non ti odio come pensavo, ma da qui a permetterti di mettere le tende nel mio ufficio…».
«Me ne andrò, quando mi dirai che continuerai a leggere il mio manoscritto» risponde lei, quieta. «D’altronde, io sto continuando a riscriverlo».
Draco la guarda e deve sopprimere l’istinto di affatturarla, regalandole nuovamente la sua originaria dentatura: d’altronde è conscio dei rischi – di nome Potter e Weasley – e sa che non ne vale la pena. Eppure. Eppure è così curiosamente simile all’idea che ha di Asteria che, alla fine, quasi non gli dispiace averla intorno.
 
***
 
«Non va bene, Granger» Draco si sistema degli occhiali di corno sul naso, pensieroso. «Credo sia poco realistico».
Lo imbarazza aver bisogno degli occhiali da vista: mai come Potter, si è detto, ma ormai si è talmente abituato alla presenza di Hermione Granger che, farsi vedere da lei con gli occhiali, non conta più niente.
«Lo dici solamente perché conosci i tuoi pensieri meglio di quanto non faccia io» commenta lei, atona. «Prova a guardarlo con distacco».
Lui la osserva, curioso. «Tu volevi un resoconto veritiero, della guerra» risponde. «E io ti sto dicendo che, secondo me, non lo è».
«Spiegami, allora» borbotta lei, con sguardo attento. «Se non sto facendo bene, spiegami».
«Non ti renderò depositaria delle mie memorie, Granger» Draco scuote il capo, serio. «Né capisco perché dovrebbero interessarti».
Lei sorride.
 
***
 
La sta cercando.
Se ne rende conto in un momento che si perde tra le pagine spiegazzate e inchiostrate di quel maledetto manoscritto. Lui la sta cercando tra quelle righe imprecise di parole, alla fine di ogni frase e ad ogni segno d’interpunzione.
Ne cerca la figura in quel manoscritto di cui lei non è protagonista, ma lo è lui, e allora Draco sospira e riprende a cercare. A lei non lo dirà mai: tenebroso è il cuore, insensati i suoi ragionamenti – non c’è alcuna poesia, nel volere stare accanto a qualcuno che semplicemente non può. Una favola stupida, quella che gli s’è creata in mente, mentre lui a stento se ne rendeva conto.
E adesso la cerca alla fine di un libro che non è terminato, chissà se lo sarà mai, e in quella storia di Hermione Granger non v’è traccia. Forse, la sua autrice pensa di non avere abbastanza poeticità per inserirsi in quella vicenda.
«Non va bene, Granger» Draco le porge il manoscritto, pieno dei suoi soliti segni rossi. «Manca qualcosa».
È che leggo questa storia e tu non ci sei: senza voce, Draco le sussurra quelle parole, sperando che lei non riesca mai a udirle. Hermione lo guarda, senza comprendere.
«Non sarebbe più semplice se tu semplicemente mi dicessi cosa manca?» gli domanda, scrollando le spalle. «Abbiamo rivisto quindici dannati capitoli, e ancora non ho capito come lavori».
Draco sorride, ma è solamente una smorfia che gli divide in due il volto, deformandolo: il punto è esattamente quello, pensa una parte nascosta del suo cuore. Quindici capitoli su diciannove, l’epilogo di una vicenda che si staglia dietro l’angolo come un miraggio avvelenato, e lui si sente esattamente in quel modo. Un miraggio, intangibile, e soprattutto avvelenato.
Tenebre nebbiose si diramano attorno al cuore, fiorendogli addosso come edera, e Draco semplicemente non ha idea di come fare a dirle che il problema è uno soltanto.
«A che serve fingere che sia per sempre?» sussurra, talmente piano che Hermione sembra non averlo udito. «Non ci serve».
Lei ha un anello al dito. Draco non l’aveva mai notato prima – non ne aveva avuto la forza – ma adesso quello cattura la luce e la rilascia come se gli stesse urlando guardami. E lui lo guarda, l’osserva: è una fedina minuscola, placcata in oro, una promessa.
Ma a cosa servono le promesse, a cosa servono le speranze, in quella bella favola in cui la stessa Hermione Granger ha detto di non credere più? Farà sempre così freddo?
L’inverno smangiucchia i contorni incerti di novembre, soffiando brina sulla pelle nuda di chi è abbastanza coraggioso da avventurarsi all’esterno o da aprire una finestra per riscoprire il mondo. Draco non esce mai dal suo ufficio ma, quella finestra, a volte si costringe a spalancarla per ricercare un brandello di luce che gli rischiari il petto.
«A qualcosa dovrà servire, no?» risponde la Granger, inclinando il capo. «E magari scoprirai che è davvero per sempre, anche se non ne avevi idea».
Ma lei indossa quella fedina come fosse un’armatura, e se la rigira lungo il dito – sulla punta della lingua, ne immagina il sapore. Sa di promesse infrante.
Perché s’infrange ogni convinzione e ogni preconcetto e lei se ne rende conto e l’accetta: l’ha trovato, voce unica in quelle pagine spiegazzate e inchiostrate, ma continua a dargli uno spazio che non merita (l’ha mai fatto?).
Perché Draco Malfoy scuote il capo, e guarda quel manoscritto come se la sua stessa vita dipendesse da esso, con aria malinconica e un po’ rassegnata. Ha le dita vuote – lui, l’anello che Asteria gli aveva regalato in un raro momento di dolcezza, l’ha gettato sul fondo cavo di un cassetto nel proprio armadio. E non l’ha cercato più.
Sono poche le cose che vale la pena di cercare, per lui, in un numero che tende e s’approssima sempre inevitabilmente a zero. Altrettante sono quelle che vale la pena di trattenere, fingere che sia per sempre anche se non serve a niente.
Draco sospira, ha l’anima nuda e pura che trema infreddolita sui bordi di una finestra chiusa, e piange disperata. Forse, da qualche parte in quel suo cuore muto e ottenebrato, vorrebbe piangere anche lui. Tornare ad avere sedici anni e una cotta insensata, non sarebbe bellissimo?
«Non comportarti come se tutto questo ti servisse, Granger» commenta, invece. «Io non ti servo».
 
***
 
Tu credevi in un 'per sempre'
Io credo solo a me stesso
Tu che ascolti il tuo cuore
Il mio è freddo come l'inverno
 
«Ci pensi mai?».
Draco la guarda, ha gli occhiali storti sul naso e una penna d’oca dietro l’orecchio, che gli sporca leggermente la guancia d’inchiostro rosso sangue. Non ha una risposta, per quella domanda: sono tante le cose che s’impedisce di pensare e, quando ci pensa, se ne accorge a stento. Così le restituisce uno sguardo perso, disorientato, senza riuscire a dirle niente.
E, se c’è una cosa che Draco Malfoy odia più di qualunque altra, è dover ammettere di non avere più parole di fronte a Hermione Granger.
«A cosa dovrei pensare?» le domanda, cercando di non farle intuire il proprio disagio. «Lo sa Salazar cosa gira nella tua testa, Granger. A volte dubito che lo sappia anche tu».
Lei sorride, leggermente, e guarda fuori dalla finestra chiusa. Sta nevicando e lei ha evocato una coperta da tenere sulle gambe, come se fosse a prendere un tè da un suo vecchio amico e non nell’ufficio di una persona che ha sempre detestato.
«Che è quasi finita» mormora, stringendo le mani sulla coperta, con aria pensierosa. «Quando sono venuta qui non pensavo mi avresti aiutata per davvero».
«Un giorno potrò dire di aver comandato a bacchetta il Ministro della Magia» risponde lui, con un sorriso divertito. «Penso sia una cosa di cui vantarsi con gli amici, no?».
Hermione scuote il capo, con aria divertita. Ma, dentro di sé, è segretamente inquieta: quella sensazione di finitezza l’ha assalita quando ha cominciato a riscrivere il capitolo diciassettesimo, rendendosi conto che il limite di pagine mancanti s’assottiglia sempre di più. Che non c’è tempo, forse nemmeno spazio, per continuare segretamente quell’intesa costruitasi su pagine macchiate d’inchiostro e spiegazzate dai momenti in cui le idee semplicemente non venivano fuori.
Che non ci sarà mai più, quel tempo, perché sono entrambi troppo dannatamente orgogliosi per ammettere a loro stessi che.
Che vorrebbero che quel tempo semplicemente proseguisse.
«Immagino di sì» commenta, lei, atona. «Alla fine rimane questo, no? Vantarsi con gli amici e poco di più».
Draco sorride, a fatica. «Solo perché ti ostini a credere in un per sempre» commenta, piano. «Quando sono finite, le cose in cui credere».
Perché finita e irregolare è questa stessa esistenza, e per quanto freddo Draco possa sentire, sa che non ci sarà niente che potrà riscaldarlo di più di quella tiepida consapevolezza: forse non può credere in un per sempre, ma può ancora credere in sé stesso.
Non c’è cicatrice, nel pensare solamente a sé, non c’è graffio che sfregi l’anima purissima in un miscuglio di inutili frammenti.
Lei sembra comprendere, perché s’oscura in volto – tenebre che lui conserva silenziosamente nel cuore – e scuote il capo, con dolcissima rassegnazione.
«Solo perché sei davvero convinto che lasciare andare le persone possa evitare di ferirti» risponde, sfilandogli la penna d’oca da dietro l’orecchio. «E perché sei convinto che quelle stesse persone non sappiano mancarti».
Lui china il capo, rassegnato. «Abbiamo esaurito il tempo, Granger» commenta, atono. «Mi aspettavo poesia, da te, e in qualche modo sei riuscita a darmela. Niente di più».
Hermione sorride, falciandogli l’anima a metà. «Eppure qualcosa c’è ancora» risponde, piano.
Draco spalanca gli occhi.
 
***
 
Che vuol dire, un bacio?
Un semplice sfioramento tra pelli che si perde nell’occasionalità di un contatto inaspettato, e Draco ad aspettarselo non imparerà mai.
Ricorda ancora il primo bacio con Asteria Greengrass – aveva cominciato lui, un po’ per scherzo e un po’ cogliendola di sorpresa – anche se la memoria inizia pian piano a infangarsi. È sporco e inutile, quel ricordo, guardarlo una ferita aperta, respirarlo sangue rappreso che s’attacca sulla superficie della pelle.
Che significato aveva avuto, per lui, quel bacio? Draco non s’è mai domandato se avesse significato inizio o fine, ma in verità s’è sempre chiesto cos’avesse significato per lei.
È che a volte riceviamo un amore che non meritiamo, Draco, o che semplicemente vorremmo non avere mai ricevuto.
Asteria gli parla ancora, nelle notti sbiadite di stelle, risuona la sua voce nell’ultima lettera che gli ha lasciato prima di sparire in un mare di nulla ch’ha inghiottito un po’ volentieri e un po’ costringendosi. Eppure c’è stato, Draco ne è certo. Quel bacio che le ha strappato, che lei ha ricambiato: il giorno dopo, ha cominciato a sparire.
«Si può sapere che ti è preso, Granger?» borbotta, incapace di staccarsi da lei, la coperta come ultima barriera tra di loro. «Io…».
Lei lo guarda, ha gli occhi annacquati come ghiaccio secco, le mani che tremano sulle braccia di lui. Non l’ha mai vista così incerta, in vita sua, con quelle mani che paiono foglie secche abbracciate alla sua pelle, alla sua anima.
Draco trattiene il respiro: silenziosamente teme che, anche solamente sfiorandogli il braccio, Hermione riesca a percepire il battito folle e sconsiderato del suo cuore ormai rischiarato.
«Tu vorresti dimenticare» lo anticipa lei, dolcemente. «Ma la dimenticanza è poco poetica. E io mi aspetto poesia, da te, Malfoy, una storia che si fa vivere mentre la si legge. Qualcosa di profondo, di esistenziale».
Lui vorrebbe ridere, ma tutto quel che gli esce è solamente un suono raschiato e innaturale che gli graffia la gola al posto di farne uscire delle parole.
Fuori dalla finestra, il sole sta consegnando alla notte la propria resa in una colata di sangue che sfregia il cielo come una ferita aperta, fa così freddo che persino un respiro danza in cielo e diviene vapore. Puoi avere l’inverno dentro e cavartelo via con la forza di un singolo bacio?
«Non puoi semplicemente smettere di credere nelle favole, Granger?» le domanda, sfiorandole distrattamente una ciocca di capelli. «Inizia a diventare irritante, questo tuo insensato ottimismo».
Lei sorride, ma è un po’ malinconica.
«Manca poco» constata, amaramente. «Immagino che scapperai via subito dopo, non è vero? Anche se la fuga è poco poetica, oltre che poco coraggiosa».
Draco china il capo, punto nel vivo. «Sei l’unica che vede in me tutta questa poesia» la rimbecca. «Ed è solo perché credi nei per sempre, anche se solo in un limite di tempo».
Hermione vorrebbe rispondergli ma, per l’ennesima volta da quando hanno cominciato a lavorare insieme, le mancano le parole.
 
***
 
Draco,
 
Non mio caro Draco, mio amato, amore mio: il suo nome senza orpelli, piazzato lì, al centro della pagina. Senza poesia, senza addolcimenti di sorta – Draco e niente di più, come se tra di loro non ci fosse mai stato niente di più che una collaborazione strettamente lavorativa.
Forse, si dice leggendo quelle righe scritte in grafia perfetta, priva di sbavature, è davvero così.
 
Mi sono sempre chiesta se, da qualche parte in me, ci fosse la forza necessaria per riuscire a salvarti. Mi hai chiesto aiuto, anni fa, quando ti sei detto innamorato di me per la prima volta (e ho desiderato invano che fosse anche l’ultima) – mi hai chiesto aiuto con uno sguardo e io, che ho sempre pensato di conoscerti come conosco me stessa, non ho saputo dire di no.
Ma, alcune volte, bisogna semplicemente riconoscere un’impossibilità di fondo nel compiere dei miracoli: io non sono in grado, non lo sono e basta, di risolvere tutti i problemi che si frappongono tra te e la tua favola bella, bellissima, e di questo me ne sono sempre dispiaciuta.
È che hai il cuore pieno di tenebre, Draco, e io non so come fare a mandarle via – mi verrebbe da dire: non sono la persona giusta per farlo.
 
Draco sospira, passando le mani sulla carta: quando è stato stupido, rinchiudersi in ufficio per leggere la sua ultima lettera? Come se non ne conoscesse a memoria il senso, il significato, le premesse e la tremenda conclusione.
Come se non avesse ancora voglia di guardare il cielo e mettersi a urlare contro quel per sempre che gli è stato trafugato dal destino, se esiste un destino, dal fato, se esiste un fato, e da sé stesso se continuerà a esistere dopo quella lettera.
Ma non ci sarebbe alcuna poesia, in quel grido.
 
Ti chiederai perché sto andando via in questo modo, e nemmeno ho il coraggio di dirlo in una maniera che non sia carta stracciata e inchiostro diluito. Tu non hai mai bisogno di andare alla ricerca di qualcuno, Draco, quindi penso che se te lo dicessi semplicemente proveresti a impedirmi di andar via.
Ma io cerco l’amore e chi me l’ha dato per la prima volta: dicono che esista un modo per parlare con i morti, io cerco quella maniera, quella soluzione. Tu sai chi è?
 
Lo sa, certo che lo sa: ha trovato tutte le foto che lei ha nascosto nel cassetto della propria scrivania. Non ha nemmeno avuto il buonsenso di sigillarlo con la magia e, allora, rinvenirle è stato semplice come bagnarsi di pioggia durante un acquazzone.
Fred Weasley sorride in ogni istantanea, come a sbeffeggiarlo dell’aver scoperchiato il vaso di Pandora. E, alla fine dei conti, il male del mondo è sempre e solo lei.
 
È che la notte non ho più sogni da sacrificare, ormai li ho persi tutti per cercarlo, e allora semplicemente smetto di dormire e aspetto. Non so perché mi sia entrato dentro in questa maniera così lontana da ogni spiegazione, da ogni comprensione, ma semplicemente l’ha fatto e allora. Allora come fare a continuare a resistere, qui, senza di lui?
È che a volte riceviamo un amore che non meritiamo, Draco, o che semplicemente vorremmo non avere mai ricevuto. E io non me lo merito, di essere amata da te, non merito che tu ti preoccupi per me come avresti dovuto fare per te stesso.
Ma, soprattutto, io non voglio essere amata da te. Ed è ingiusto e poco poetico, lo so, me ne rendo conto. Eppure, è anche la cosa più vera e più drammaticamente corretta che riuscirò mai a dirti in tutta la vita che mi resta.
Non posso amare te, Draco, non potrò mai più amare nessun altro. E per questo ti vorrei dire che.
Non c’è sempre bisogno di poesia, nella vita, a volte le cose sono quel che appaiono e niente di più. E io sono così, Draco, nonostante ogni speranza che tu abbia provato a nutrire in merito.
Con amore,
Asteria.
 
***
 
«Abbiamo finito, Granger» Draco si sfila gli occhiali di corno, scuotendo la testa con aria stanca. «Possiamo mandarlo in stampa il mese prossimo».
«Abbiamo finito» ripete lei, quasi come se faticasse a crederci. «Per sempre?».
Lui sorride: forse, quello sarà l’unico per sempre cui non faticheranno a credere entrambi e, in qualche modo, forse li legherà per (sempre) davvero.
«Domani parto» le spiega, lui, a disagio. «Prendo e vado via, non so dove. Io… ho bisogno di tempo».
Hermione scuote il capo, incredula, di fronte a quelle parole. «Tempo» ripete, amaramente. «E dove hai intenzione di andare?».
«Via di qui» risponde Draco. «Ci sarà pure un posto, nel mondo, dove la poesia conti ancora qualcosa. O no?».
 
***
 
E siamo simili lo ammetto
Freddi come le frasi che dico
Dentro al tuo letto
Finti come sorrisi che fai davanti allo specchio
Per essere bella
Fin troppo bella per quello che ho dentro
Per quello che ho dentro
(Irama, Per sempre)
 
La stazione brulica vita, pensa Hermione distrattamente, c’è un mondo che lei ben conosce lì, al binario sei, che osserva distrattamente la copertina del libro che tiene tra le braccia.
Non ha scelto lei, del suo di libro, né il titolo né la copertina: avesse potuto, avrebbe deciso per Cuore di Tenebra e vi avrebbe incollato sotto la foto di Draco Malfoy. Ma, com’era prevedibile, l’editore si era mostrato decisamente contrario all’idea.
«Di nuovo qui?» gli domanda, dolcemente, sorprendendolo alle spalle. «Pensavo che le tue fughe durassero più di qualche settimana».
Lui sorride, ironico, il libro ancora aperto tra le mani. «Cerco un posto dove andare» le confessa. «Dove ci sia quella poesia che ho sempre immaginato, quella che…».
Che hai scritto tu. Hermione china il capo, consapevole di quel sottinteso, e allunga il collo per sbirciare il contenuto di quel libro – è quello scritto da lei.
«Non pensavo tenessi un biglietto del treno come segnalibro, è una cosa molto Babbana» Hermione sorride, tristemente. «Hertford, eh?».
Lui la guarda: quand’è che sono finiti ad avere bisogno di sostenere una conversazione di una banalità disarmante? Quand’è che hanno smesso di avere parole da dirsi?
È che la vede ovunque, Draco, e anche nel finale di un libro mai terminato o nel biglietto di un treno riesce a leggerci il suo nome.
«Hertford, sì» conferma lui, sfiorando con il dito le pagine stampate. «Potresti venire con me, sai?».
Perché, nel finale del libro, vi è scritto esattamente quello: che se continuerà a leggere il suo nome nei finali dei romanzi e nei biglietti dei treni, nelle poesie, allora non se la lascerà mai indietro. E sarà sempre inverno.
Ma Hermione sorride, sfilandogli il biglietto dalle mani. Sa di estate.
 
 
1Non sono pazza, è il paese dell’Inghilterra con le iniziali più simili a “Hermione”.
2Titolo del romanzo di Peter Cameron

 

A sorpresa, rieccomi con una Draco/Hermione. Questa pazza idea è frutto di un pisolino pomeridiano, e spero che vi sia piaciuta. Grazie a Freya per il titolo della storia, che mi ha ispirata enormemente.
E grazie a voi per avermi letta.
Gaia
   
 
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