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Autore: Chocolate_senpai    03/02/2021    3 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7

 

- Grazie-

- Non l’ho mica fatto per te –

- Grazie lo stesso –

 

 

Si svegliò di soprassalto, percependo immediatamente che qualcosa non andava. Respirava affannosamente, il cuore batteva più forte del normale e sentiva caldo, troppo caldo. Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce innaturale di quel luogo. Capì di essere in una piccola stanza; davanti a lui si ergeva una porta fatta per metà da sbarre di metallo; una luce fredda le attraversava, gettando su di lui ombre tremolanti. Ci mise un attimo a capire di essere in una cella, e ricordò anche come ci era finito.

Rosemary

Boris fece per alzarsi, sforzando il corpo indolenzito; non sapeva da quanto si trovava lì ma, a giudicare dalla schiena che gli doleva, aveva passato sicuramente più di qualche ora seduto su quello scomodo pavimento. Quando cercò di muovere le braccia riuscì a spostare solo il sinistro. Guardò di sbieco la parete; una catena  teneva l’altro braccio agganciato al muro.

Fantastico

Si accasciò di nuovo contro la parete; poi chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Fece mente locale riportando a se i ricordi della sera dell’incontro. La lettera, l’’anello, Rosemary, quegli uomini, la scarica del taser.

È stata lei

Ricacciò quella vocetta lontano dai suoi pensieri. Non voleva crederci. Non poteva essere solo una trappola, non di Rosemary. Lei non l'avrebbe mai fatto, e sicuramente non lo avrebbe fatto per Vorkov.

- Ciao Boris –

Alzò piano gli occhi verdi, non aveva fretta. Le labbra si curvarono in un sorriso distorto.

- Sei venuta a darmi il buongiorno?-

Gli occhi di lei erano rivolti verso il ragazzo, ma non lo guardavano davvero. Boris ne era attraversato. Lei era persa in qualcosa di sconosciuto, la sua mente era completamente assente nonostante volesse sembrare autoritaria, lì, davanti alla cella, nascosta dalle sbarre.

Ma Boris voleva sapere dove stessero vagando i suoi pensieri.

- Come sei cresciuta Rose –

- Zitto – La sua voce era poco più di un sussurro, le parole dette con scarsa convinzione risuonarono tra le sbarre. E, di nuovo, i suoi occhi non lo guardavano.

- Te lo avevo detto di darmi Falborg –

- Oh, quindi questa è la punizione?-

- Te ne saresti potuto andare, e invece ... –

- E invece cosa?- La incalzò lui – Cosa sei stata costretta a fare?-

Non ebbe risposta. Lei era di nuovo lontana, nascosta, non la poteva vedere con chiarezza. Non sapeva se stesse ridendo o piangendo, se con l’indice cercasse di scalfire le pellicine del pollice come faceva sempre da piccola; non riusciva a capire, nel semibuio azzurrognolo del corridoio, se portasse ancora quegli occhiali così spessi, se i capelli fossero sempre biondo cenere.

- Guardami –

Era un ordine, e per qualche motivo Rosemary obbedì. Non era mai stata una ragazza ubbidiente, e questo suo vivere all’infuori degli schemi, nella sua ingenuità, in una felicità per gli altri irraggiungibile, l’aveva posta in serio svantaggio al monastero.

- A che gioco stai giocando?-

- Fra poco ... sarà tutto finito –

Lui alzò un sopracciglio; soffiò una risata sarcastica.

- Cosa? Cosa deve finire?-

- Mi dispiace, non avevo alternativa –

- Rosemary –

-Lo so, lo so che ho sbagliato ... –

- è stato Vorkov?-

Lei portò una mano agli occhi, e Boris fu sicuro che stesse per piangere. Era sempre stata una piagnucolona. Quando per l’ennesima volta lei non rispose, fu anche sicuro che i suoi sospetti, come quelli di Yuriy, erano veri. Il nome del monaco svettava a caratteri cubitali sulle loro teste, pronto a calare come una ghigliottina.

- Vattene via. Appena potrai, esci di qui e vattene –

- Prima rispondimi. A che ti serve Falborg? Perché serve a lui?-

Rosemary scosse la testa. Le spalle si mossero in piccoli spasmi, le mani andarono di nuovo ad asciugare gli occhi.

Boris avrebbe voluto guardarla con durezza, con cattiveria; con il suo sguardo che pietrificava gli avversari al di là del campo da gioco e faceva paura agli ubriachi nelle risse da bar. Avrebbe voluto ridere e dirle cosa fare, come faceva quando erano piccoli, quando lei non sapeva come comportarsi davanti alla rigidità delle regole del monastero. Strinse i pugni facendo tintinnare la catena che lo teneva inchiodato al muro, maledicendola più volte.

- Dimmelo maledizione!- esplose al silenzio ostinato di lei.

- Mi dispiace ... mi dispiace ... –

Ripeté le parole come una cantilena, piegando leggermente il busto in avanti con le mani strette al petto, come se il cuore le stesse facendo male.

- Perché lo stai facendo?-

- Perché voglio che finisca tutto – Sembrava lo stesse dicendo più a se stessa che a lui. Alzò di poco la testa, giusto per far riflettere i suoi occhi in quelli di Boris, guardandolo davvero solo in quel momento.

- Sono stanca Boris, stanca di essermi di nuovo trovata a fuggire, a nascondermi, ad avere paura–

- Da cosa stai cercando di salvarci?-

La domanda la spiazzò, e Boris se ne accorse. Lui sorrise impercettibilmente.

- Ti conosco bene Rose. Non è tutta farina del tuo sacco questa, tu non sei così. Perchè lo hai fatto? –

- Questa era una battaglia solo mia. Volevo ... volevo solo provare a vincerla. Da sola –

- Perché volevi Falborg? Devi dirmelo, penso di esserci in mezzo anche io a questo punto –

- Non avresti dovuto. Ma io non ho potuto ... salvarti. Non ce l’ho fatta a fare tutto da sola. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace –

- A fare cosa? Perché ci dovresti salvare? Rosemary, giuro su dio che appena esco da qui ti prendo a schiaffi–

Uno spasmo un po’ più forte degli altri la scosse. Un sorriso le si disegnò in volto, un po’ per il pianto, un po’ per il tentativo di Boris di fare dell’ironia. Lui si addolcì appena.

- Mi dici come faccio ad aiutarti, se non so chi andare a picchiare?-

Lei si aggrappò all’improvviso alle sbarre. Prese il coraggio a due mani e lo guardò fisso, anche se si era ripromessa di non farlo. E, quando si fu tuffata in quegli occhi di un bellissimi, gelido verde chiaro, seppe che sarebbe stato ancora più difficile farla finita. Perché quello era una specie di capolinea.

- Io ... –

Distolse gli occhi, abbassò il capo fino a toccare le sbarre con la fronte. Quando si rialzò la voce le era venuta a mancare. Sussurrò qualcosa, mimando un labiale ben scandito.

Boris sentì distintamente il cuore perdere più di un battito.

Poi, all’improvviso, lei girò i tacchi. Il ragazzo sgranò gli occhi.

Non ci provare

- Rosemary!-

Tentò di alzarsi ma il braccio incatenato al muro lo inchiodò a terra.

- Hei!-

Le sue urla si spensero nel corridoio; l’eco rimbombò sulle pareti senza raggiungere la persona desiderata.

Il cuore continuava a lavorare a intermittenza al pensiero che di nuovo, come dieci anni prima, l’aveva persa così; in silenzio, davanti ai suoi occhi, senza fare niente. Ma la prima volta la decisione era stata sua; sua e degli altri, ma anche, e soprattutto, sua. E si era preso le sue responsabilità. Adesso no.

Adesso non te lo permetto

 

..............

 

Decise di aspettare. Prima o poi qualcuno sarebbe arrivato, ne era sicuro. Era solo questione di tempo; non lo avrebbero portato lì solo per tenerlo incatenato ad una parete, con Falborg perso chissà dove e Rosemary a svolgere un ruolo non proprio chiaro alle sue spalle.

Tentò di nuovo a forzare gli anelli d’acciaio con un tirone ben assestato, con l’unico risultato di farsi male al polso. A giudicare dal bruciore che sentiva sulla pelle, l’anello che lo teneva congiunto alla catena lo stava graffiando. Poco importava.

Non si sentiva volare una mosca. L’unica sensazione che dava quella cella era l’odore di umidità; chissà in quale buco lo avevano sbattuto. Per il resto, il buio era sempre lo stesso di quando si era svegliato, rotto dalla luce bluastra che filtrava dal corridoio.

La serratura della cella scattò. Dietro le sbarre comparve un uomo alto, visibilmente a disagio a intuire da come si guardava intorno. Boris sorrise, facendo saettare gli occhi sul nuovo arrivato.

Guarda che fortuna

- Lui ti vuole parlare- Parlò con una voce borbottata, evitando palesemente lo sguardo verde e incandescente dell’altro. Boris lo notò subito.

Paura, eh?

- E lui chi sarebbe? Mago Merlino?-

- Vedremo se fra poco avrai ancora voglia di scherzare –

- Uuuh, come siamo minacciosi –

L’uomo tirò fuori una piccola chiave. Esitò prima di inserirla nella manetta legata alla catena. Boris lo squadrò scettico, sfoderando un sorriso tutt’altro che rassicurante.

- Beh? Hai già cambiato idea?-

- Non provare a fare scherzi –

- Che uomini coraggiosi – L’ironia nella sua voce era palpabile, talmente tanto che persino l’uomo, in tutta la sua fifa, ne venne ben presto irritato. Boris incassò un pugno in pieno volto, sentendo distintamente un rivolo di sangue scendere dal naso. La sua espressione non mutò e i suoi occhi incrinati di astio perforarono l’altro.

- Io non ci riproverei se fossi in te –

- Altrimenti?-

Era evidente che il momento di superiorità gli aveva fatto credere di potersi prendere certe confidenze. Inutile sottolineare quanto si sbagliasse.

Boris chinò il capo facendolo ciondolare verso terra. Sputò un grumo di saliva sporco di rosso che gli fece montare altra rabbia.

Con uno scatto del braccio libero afferrò l’uomo per il bavero, sbattendolo contro il muro. La mano si staccò solo per prendere una presa migliore, afferrandolo per i capelli. Assestò un secondo colpo, facendo cozzare la testa dell’uomo contro la parete. Un suono secco riempì il silenzio della cella. Quando Boris lasciò la presa, il corpo dell’altro scivolò tra le sue dita, accasciandosi al suolo.

- Vedi se mi dovevo far dare un pugno da un idiota del genere ... –

Portò una mano al volto asciugandosi il  sangue che gli colava sul labbro.

- Ivan aveva ragione, sono dei fottuti novellini –

Avvicinarsi al nemico semi libero senza un’arma era davvero da idioti. Con la mano libera afferrò da terra la piccola chiave, liberandosi dalla catena. Quando la manetta in acciaio si aprì Boris soffocò un’imprecazione: il polso era tagliato in più punti dal metallo. Poco male, un graffio non lo avrebbe certo fermato.

Uscì dalla cella senza nemmeno fare lo sforzo di aprire la porta, lasciata spalancata dall’imbecille che ora giaceva inerte al suolo. Non si preoccupò nemmeno di vedere se era ancora vivo, ma non ci avrebbe scommesso.

Ricordò le parole del tizio. Se quel lui, che Boris immaginava sapere chi fosse, voleva parlargli, allora avrebbero mandato altri a vedere perché non si presentava nessuno all’appuntamento. Quindi aveva i minuti contati.

Dove sei?

Ci mise poco a capire di trovarsi in un dedalo di corridoi stretti, forse uno scantinato o chissà quale diavolo di posto scavato sottoterra. Le memorie del monastero gli vennero in aiuto nel districarsi in quel labirinto; il problema era che non sapeva bene cosa cercare.

Ci sarà una stanza più grande, forse un laboratorio

Se quel pazzoide aveva ricominciato gli esperimenti di dieci anni prima, era sicuramente così.

Camminò per almeno dieci minuti nel silenzio più totale; strano che in giro non ci fosse anima viva.

In che diavolo di posto sono finito?

Un altro corridoio, i suoi passi silenziosi sulle pietre, il buio azzurrognolo che illuminava gli ambienti tutti uguali tra loro. Ogni volta che arrivava ad un bivio si fermava, sporgeva il capo in avanti per controllare che non ci fosse nessuno, poi si muoveva.

Era quasi sicuro di essersi perso quando, finalmente, gli giunsero distanti delle voci. Si appiattì contro la parete giusto in tempo per veder sbucare dalla fine del corridoio due uomini in camice bianco. Erano così presi nel loro confabulare, che gli sfilarono davanti senza accorgersi della sua presenza nascosta nel buio. Parlavano una lingua inconfondibile, e l’idea che li avessero portati a Mosca sfiorò la mente di Boris.

Scacciò via il pensiero; avrebbe pensato più tardi a come levarsi dai piedi, se fosse riuscito ad uscire ovviamente.

Prima la devo trovare

Senza indugiare ulteriormente, decise che seguire i due soggetti in camice bianco sarebbe stata la mossa giusta. Percorse con loro un tratto di strada abbastanza breve, finché, dietro un corridoio non comparve una porta in vetro. Boris si appiattì al muro, sporgendo il capo verso quella che doveva essere la sua meta, sperando che di laboratori, o quello che era, ce ne fosse solo uno. Notò subito che uno dei due pseudo scienziati aveva passato una carta magnetica a lato della porta per farla aprire.

Boris sorrise d’istinto.

Così è troppo facile però

Gli bastò aspettare che i due uomini uscissero dalla stanza segreta. Presi dai loro affari non si accorsero minimamente di lui, e quando il primo dei due era già steso a terra con un colpo secco alla nuca, il secondo ricevette lo stesso trattamento senza il tempo di reagire. Boris strappò la carta metallica dalla mano di uno dei due, sperando fossero abbastanza anestetizzati da rimanere a nanna per il resto della giornata; o della nottata. Non aveva idea di che ore fossero lì sotto.

La visuale che la porta a vetri dava sull’interno della stanza la faceva sembrare vuota. Boris entrò, e subito si nascose dietro al primo strano macchinario a tiro. Anche se non c’era nessuno era meglio essere prudenti.

Diede un’occhiata veloce alla zona, completamente addobbata di marchingegni elettronici che riconobbe subito. Ricordava molto bene tutti quelli che lui e gli altri avevano distrutto dieci anni prima.

Si morse la lingua per non imprecare. Anni di lavoro andati in fumo.

Si mosse piano, un passo davanti all’altro, districandosi tra vasche verticali che un tempo dovevano essere state piene.

Quando i suoi occhi si scontrarono con la silhouette di una persona, si fece scudo con una di queste; poi osservò meglio l’individuo, e capì che non aveva bisogno di nascondersi.

Lei sembrava seduta su una sedia metallica, al centro del pavimento. Ad un’occhiata ravvicinata notò che i suoi polsi erano legati alla sedia da due manette. Trovare la chiave sarebbe stato un ulteriore problema.

Le si avvicinò piano, e quando le fu a tiro lei aprì gli occhi di soprassalto. Boris le mise una mano sulla bocca; se avesse urlato, tutta la fatica che aveva fatto per arrivare lì sarebbe andata sprecata.

Rosemary lo guardò con occhi spalancati.

- Zitta- Gli intimò lui, liberandole la bocca.

- Boris?-

- Ora ce ne andiamo, poi mi dovrai spiegare un sacco di cose – Il tono ammonitorio da maestrina arrabbiata smorzava molto l’atmosfera lugubre di quel luogo, ma la ragazza non lo colse. Sembrava molto spaventata, e questo incuriosì Boris. Era quasi certo che lei fosse lì di sua spontanea volontà: allora perché l’avevano legata?

Il ragazzo non perse tempo; gli occhi vagarono per la stanza, scivolando sui tavoli ricolmi di fogli e scartoffie, frugando veloci in ogni soprammobile presente.

- Dove cavolo sono le chiavi?-

- Prendi Falborg –

- Uh?-

Lei indicò con un cenno del capo uno dei macchinari in un angolo della stanza.

- è laggiù –

- Non mi hai ancora detto cosa ci vogliono fare –

Trovò il suo bey chiuso nella morsa di un piccolo braccio meccanico, circondato da una serie infinita di cacciaviti e lenti d’ingrandimento. Ringraziò il cielo che non lo avessero già smontato, o avrebbe fatto davvero una strage. Gli bastò forzare il braccio, o per meglio dire romperlo, per recuperare Falborg.

Mi sembra tutto troppo facile

Boris tornò a concentrarsi sulla ricerca della chiave, o di un modo per rompere quella maledetta sedia.

- Hai visto delle telecamere in giro? Perché credo che ci sia rimasto poco tempo – Borbottò, frugando su una scrivania.

Lei gettò il capo all’indietro, chiudendo stancamente gli occhi.

- Non lo so. Io ...  –

- Ah, non sforzarti di aiutare eh, me la cavo da dio anche da solo –

- Mi stai prendendo in giro? –

- No, no, figurati –

- Mi dispiace, ok? Non sarebbe dovuto succedere tutto questo –

Un dialogo vuoto. Nel cassetto della memoria in cui Boris conservava i ricordi di Rose, qualcosa fece un sordo crack. Quello che le usciva dalle labbra era un gelo innaturale. Ricordò in un flash gli occhi di lei l’ultima volta che li aveva visti. Quanto era passato? Due ore? Un giorno? Sovrappose quei cieli che a stento trattenevano le lacrime a ciò che ora si trovava davanti.

Che ti hanno fatto?

- Ormai ci sono in mezzo anche io –

- Boris ... –

Il sangue freddo mantenuto fino a quel momento gli scoppiò in gola. Non solo era finito in un casino grande come il globo terracqueo, cadendo in una trappola banale; ora ci si mettevano di mezzo i ricordi, i dubbi, dubbi terribili, e lei non era d’aiuto. Boris saettò i suoi occhi su Rose, parandosi davanti al suo campo visivo.

- Ok, ora stai zitta e per una volta, una sola, fai quello che ti dico. È una pessima idea? Forse. Ci salverà? Non lo so –

- ... Grazie –

Fu un lampo quella parola, e di nuovo la ragazza e la bambina si sovrapposero.

Grazie lo stesso

Un secondo dopo scattò l’allarme. Boris non capì in che modo nè cosa aveva toccato per farlo partire, ma il suo cervello cominciò in automatico a fare il conto alla rovescia dei secondi che avevano per sgombrare quel posto. Il cuore restò calmo, la mente si svuotò con un respiro profondo.

Afferrò Falborg e lo agganciò a un lanciatore recuperato da uno dei tavoli ammassati di scartoffie. Il lancio fu rapido e preciso, come aveva sempre fatto. Con un suono metallico le manette si incrinarono, e bastò un ulteriore strattone per farle rompere.

- Andiamo –

Lei si alzò barcollante; sbatté le palpebre più volte respirando intensamente. Doveva cercare di riattivarsi, ma aveva la testa completamente vuota, un peso morto sulle spalle.

- Ci sei?-

Si scontrò con i suoi occhi, quel verde brillante e gelido che riusciva a penetrarle l’anima. Annuì, senza credere davvero che sarebbe riuscita a stare in piedi per più di dieci minuti. L’avevano conciata per le feste. Ma non aveva alternative.

- Non so quanto reggerò –

- Risparmia il fiato per correre allora –

Era una follia. L’allarme era scattato, e sicuramente si erano accorti che la sua cella era vuota. Lui non conosceva la pianta dell’edificio, e lei sembrava sfinita. Si sarebbero persi per quel dedalo di corridoi, li avrebbero presi e sarebbe stata la fine. Ma non l’avrebbe lasciata fare, ah no. Questa volta Rosemary non avrebbe fatto a modo suo.

 

................

 

 

- Destra!-

L’urlo arrivò alle sue orecchie; il cervello lo elaborò in meno di un secondo, portando le gambe a virare bruscamente la corsa. Gli occhi erano fissi sui corridoi tutti uguali, la mano stringeva quella di Rose.

Per qualche motivo lei sapeva come muoversi in quel labirinto; Boris non si fermò a pensare a come fosse possibile, al fatto che poteva significare che lei in quel posto ci aveva trascorso parecchio tempo, a quanto gli suonasse strano tutto quello che stava succedendo. Spense la parte di coscienza che gli chiedeva di fermarsi a riflettere, e non fece altro che correre.

Il respiro della ragazza dietro di lui gli arrivava affannato e incespicante; non era una buona scusa per fermarsi.

- Bo ... aspetta-

Non la ascoltò. La trascinò con se, l’eco dei loro passi rimbombava sulle pareti appena coperto dall’allarme che non cessava di suonare.

- Dove?- Fece lui schietto davanti all’ennesimo bivio.

Rosemary si guardò attorno con il fiatone e un pallore innaturale in volto.

- Io ... –

- Dove Rosemary?- Insistè Boris.

Di tempo non ne avevano, e quella era la loro unica possibilità e non potevano sprecarla. La penalità per aver perso il gioco sarebbe stata inaccettabile.

- A ... destra. A destra – ripetè sicura. Strinse la mano in quella di lui, sentendolo scattare di nuovo in quella folle corsa che li avrebbe portati verso la libertà, o verso un’orribile fine. Poteva essere solo una questione di fortuna. Ma Boris non credeva alla dea bendata; per lui quella stronza non aveva mai soppesato la bilancia tra buono e cattivo. Decidere di ignorarla era stata la sua vendetta.

Un proiettile sfiorò le loro teste, scheggiando infuocato sulla pietra della parete a destra, a tanto così dall’orecchio di Rosemary.

È sacrificabile

Boris la spinse davanti senza preavviso, invertendo l’ordine della loro corsa. Se era a lei che miravano sarebbe stata un bersaglio troppo facile da colpire, con la schiena direttamente esposta ai proiettili.

Rendiamogli la vita più difficile

Rosemary non era messa bene a fiato, e, a giudicare da come rischiava di incespicare ad ogni passo, le sua gambe non avrebbero retto a lungo. Era tenuta in piedi dalla paura e dall’adrenalina, e tanto bastava a Boris.

Gli spari si fecero più fitti, costringendoli ad aumentare il ritmo, zigzagando tra i corridoi. Per un attimo lui pensò che non avrebbero mai raggiunto l’uscita; balenò nella sua testa l’idea di affrontare i nemici di petto, a pugni se necessario. Forse sarebbe stata una follia, ma se non ci fosse stato altro modo lo avrebbe fatto. Un sorriso contorto gli dipinse il volto. Erano secoli che non provava quella sensazione di pericolo, l’adrenalina in corpo, i polmoni che bruciano per il fiato che non è mai abbastanza; e la certezza che chi si ferma muore.

Fu un lampo in un cielo non proprio sereno quando si accorse che Rose aveva drasticamente rallentato il passo. La afferrò per un polso, trascinandola di nuovo con sé nella corsa sperando che non cadesse a terra a peso morto.

- Hei, hei! –

Lei non rispose nemmeno, risparmiando il fiato per muovere le gambe. Andava bene così, bastava che corresse.

Continua a muoverti

Boris non avrebbe tenuto il passo con il peso di un corpo da trasportare.

- Dove siamo?-

Le urla del ragazzo le arrivavano ovattate alle orecchie, mischiate alle sirene d’allarme e ai proiettili che rimbalzavano ad un pelo da loro, al sapore ferroso in bocca che le fece presagire il peggio sulle sue condizioni e all’urlo dei polmoni che chiedevano aria.

Il corridoio si allargò impercettibilmente. In un istante la strada che percorrevano li catapultò in una sala circolare con più uscite. L’immagine si sovrappose a quella dei sotterranei al monastero.

- Merda ... –

- Di ... qua ... –

Rose gli passò davanti portata avanti solo dai muscoli delle gambe che non ne volevano sapere di fermarsi. Scattò in uno dei corridoi a sinistra, conducendo Boris fino ad una rampa di scale nascosta nell’incavo della parete di pietra fredda. Il ragazzo la spinse verso i gradini, appiattendola contro la parete. Lui aspettò pochi secondi, tutto il vantaggio che avevano sugli inseguitori; li sentì avvicinarsi; al momento giusto scattò fuori dal nascondiglio, prendendoli di sorpresa. Strappò la pistola dalle mani del più vicino, colpendolo con una ginocchiata allo stomaco. Per gli altri tre bastarono i proiettili. Tre colpi, e il corridoio fu di nuovo fatto solo dell’allarme che non smetteva di urlare al pericolo.

Si gettò sulle scale, prese la mano di Rose e riprese la corsa. Alla fine della scalinata li accolse una piccola porta, la prima visione rassicurante di quella corsa infinita. Boris la spinse con una spallata, spalancandola. Si catapultò fuori senza avere idea di dove fosse, e dopo aver incrociato gli occhi con un paio di crocifissi si fece qualche idea.

- Una chiesa ... –

Era una piccola stanza, una specie di sgabuzzino stracolmo di oggetti liturgici e vecchi libri impilati e polverosi. Boris non si fermò più di tanto a pensare all’arredamento di quello che sembrava un posto dimenticato, a giudicare dall’ammontare di polvere. Tirò con sé Rose, uscendo dalla stanza al ritmo del fiatone di lei e dei loro passi sul pavimento ingrigito dagli anni. Oltrepassarono lo spazio buio che un tempo doveva essere il corpo principale della chiesa, mentre ora appariva completamente spoglio, se non per i candelieri che pendevano bassi sulle loro teste.

Non si fermò nemmeno quando la presa della mano di Rose sulla sua venne a mancare, continuando a correre verso l’unico punto da cui arrivava uno sprazzo di luce flebile.

- Bo ... Boris –

- Ci siamo quasi –

- Non ... –

Un suono fuori posto, e Boris capì che non erano soli. Spinse Rosemary contro una parete, frapponendosi tra lei e chiunque stesse arrivando in quel momento così vicino al traguardo. Non gli servì neanche vedere in faccia l’uomo: al baluginare della canna di una pistola fece un rapido calcolo, sparando alla gamba di lui. Con un tonfo il corpo cadde a terra.

Rose si era accasciata completamente alla parete, tenendosi le mani al petto. Gli occhi le bruciavano e la testa le girava da impazzire. Boris la fece rialzare, tirandola per un polso, buttandosi letteralmente verso il portone della chiesa che, chissà perché poi, era appena accostato.

Qualcosa non va

Scacciò subito via quel pensiero nel momento in cui l’aria satura di umidità delle notti inglesi lo investì in pieno. Non si diede ancora il tempo di respirare. Gli occhi saettarono veloci sulla strada davanti a lui, completamente deserta e abbastanza buia da fargli intuire che fosse tardi. Molto tardi.

- Rosemary –

Lei aveva il fiato corto, spezzato da colpi di tosse. Dalla sua bocca uscivano continue nuvolette di condensa, e il pallore del volto non prospettava nulla di buono.

Ma lo guardava. I suoi piccoli e severi occhi azzurri penetravano le distese verdi e fredde di Boris con un’intensità devastante.

Il ragazzo non aggiunse altro. Lei fece un respiro più profondo.

E ripresero a correre.

 


 

  
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