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Autore: Cossiopea    03/02/2021    0 recensioni
Trovavo sempre strano come, su questo remoto pianeta dell'Orlo Esterno, le tempeste fossero rapide, variabili, quasi vive. Erano capaci di coglierti alla sprovvista, di investirti con una violenza implacabile nel bel mezzo del silenzio... per poi sparire e dileguarsi come spettri.
Avevo imparato ad accettare questi fenomeni fin da piccolo, ma a volte mi ritrovavo a domandarmi se così non fosse stato; se fossi nato su qualche pianeta meno desolato, se invece del caldo secco che genera piaghe sulla pelle avessi potuto ritrovarmi catapultato in qualche altro destino, magari più folle, ma non per questo sbagliato.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6
Profumo d'altrove

 
 

La capanna di Ben Kenobi odorava di altrove.

Non riuscii del tutto a mettere a fuoco la provenienza o la natura di quella strana fragranza dolciastra, ma la sola cosa di cui potevo ritenermi certo era che non proveniva da nessun luogo avessi mai visitato nel corso della mia breve, monotona esistenza.

Un luogo al di fuori di Tatooine.

Non che fosse una scoperta poi così straordinaria. In fondo, molti degli abitanti di questo ammasso di sabbia potevano dirsi stranieri; nati in qualche altro territorio altrettanto sperduto oppure venduti come schiavi, una raccapricciante pratica che continuava a serpeggiare indisturbata al di fuori della portata dell’Impero e della loro smaniosa voglia di ordine.

Ben Kenobi poteva tranquillamente essere un prigioniero miracolosamente fuggito ad un destino molto più ingrato di una capanna persa nel deserto (qualunque esso fosse, ne dubitavo fortemente); oppure trasferitosi su questa isolata isoletta per motivi di lavoro o famigliari… La madre del mio amico Biggs Darklighter era rimasta schiava per anni prima di riuscire a costruirsi una vita pressoché felice e crescere suo figlio (non che Tatooine fosse chissà quale paradiso).

Eppure c’era qualcosa in Kenobi che ancora non mi convinceva. Lo stesso qualcosa che, in uno strano gioco di contraddizioni, mi aveva spinto a fidarmi di lui. Nulla più di una sensazione, un impulso scattato incrociando quello sguardo di vetro.

Mi resi conto troppo tardi di essere rimasto imbambolato sulla soglia della piccola abitazione, le braccia penzoloni lungo i fianchi e la mente partita per la tangente verso mondi lontani.

Ben mi scrutò piegando leggermente la testa di lato, l’ombra di un sorriso sulle labbra.

– Tutto bene? – chiese, facendomi precipitare drasticamente nel presente.

Sbattei ripetutamente le palpebre e deglutì a vuoto, la gola arida come il deserto alle mie spalle. Mi schiarii la voce e mi decisi a fare un passo all’interno della capanna, richiudendomi cauto la porta alle spalle. Solo allora rivolsi a Kenobi il sorriso più sicuro che riuscii a partorire.

– Benissimo – risposi incrociando le braccia sul petto e facendomi passare la lingua sui denti, dove ancora si annidava qualche antipatico granello dorato.

Ben annuì pacato e si levò il mantello bruno dalle spalle, lanciandolo su una piccola poltrona dietro di sé e lasciandocisi ricadere sopra con uno sbuffo.

– Accomodati, Luke – fece un cenno gentile ad uno sgabello di legno scuro a meno di un metro dai piedi, lo stesso sgabello che, avrei giurato, si trovasse dall’altra parte della stanza meno di tre secondi fa.

Cosa…? Scombussolato, aggrottai la fronte. Doveva essere solo la stanchezza o qualche singolare forma di insolazione… anche se non ricordavo di aver mai avuto allucinazioni del genere prima d’ora. Ma d’altronde avevo riparato il cannone laser posteriore di una navetta T-4a classe lambda solo quella mattina e decisi, seppur titubante, che tutto poteva essere possibile. Ovviamente senza realmente cogliere la portata di quell’affermazione.

Mi sedetti spostando il carabina di lato, a ciondolare come un pericoloso pendolo dalla mia cintura, e automaticamente raddrizzai la schiena, un istinto dovuto alle mie molteplici corse in speederbike e i disastrosi tentativi di diventare pilota.

La capanna di Ben Kenobi si poteva dire mediamente confortevole, anche se un po’ caotica. Indovinai che non dovesse avere visite molto frequentemente, motivo per cui poteva permettersi di abbandonare in giro abiti e stracci a suo piacimento, seminati a casaccio su mobili e bauli come sinistri grovigli di stoffa; cosa che, fatta a casa mia, avrebbe decretato la mia prematura morte.

Le pareti erano rozze e bitorzolute, dello stesso fango solidificato di cui era costruita la nostra fattoria, però di una tonalità più scura, un dettaglio semplice ma capace di rendere l’ambiente più malinconico e inquieto, l’aria densa di ricordi che turbinavano come polvere sulle scie dei raggi di luce.

– Ti perdi spesso a guardare il vuoto, eh?

La voce divertita di Kenobi mi riscosse dalle mie confuse elucubrazioni e io maledissi la mia frivola abitudine di pensare. Un talento sopravvalutato, credetemi.

Tesi timidamente gli angoli della bocca in un sorriso traballante.

– Mi scusi – farfugliai – Non mi capita spesso di essere ospite da qualche parte.

Il vecchio Ben ridacchiò.

– Speravo solo di offrirti un bicchiere d’acqua prima di riportarti a casa.

Casa… Deglutii mentre la voce remota di zia Beru sembrava rimbombarmi in testa, proveniente da altri universi ma ugualmente carica di crescente apprensione.

Luke, ma che ti viene in mente di seguire gli sconosciuti?! Mi parve di distinguere nitidamente la profonda ruga d’espressione che le si generava sulla fronte durante i rimproveri, un piccolo canyon facciale che la faceva sembrare ancora più imbruttita di quanto non fosse, Hai l’istinto di conservazione di un gorg rincitrullito!

– Un bicchiere d’acqua? – mi riscossi – Ahm… volentieri.

Mi accorsi solo in quel momento di quanto avessi sete. Una sensazione piuttosto famigliare per un abitante medio di Tatooine (sì, anche per chi vive insieme a venti modelli diversi di estrattori di umidità), ma con cui il mio fisico non era mai riuscito a convivere pienamente.

Kenobi si alzò dalla propria poltrona e versò amabilmente un po’ d’acqua biancastra in un piccolo bicchiere di vetro opaco da una borraccia panciuta; oggetti che fu miracolosamente in grado di estrarre dal caos che imbastiva la capanna.

– Allora – Ben mi porse il bicchiere e il liquido al suo interno traballò – cosa sai di Tatooine, Luke?

La domanda sembrava buttata lì a caso, tanto per fare conversazione. Il tono con cui me l’aveva posta era quello di un vecchio amico che chiede come va… eppure, ancora una volta, qualcosa non mi tornava.

Tracannai l’acqua in un solo sorso e presi a studiare i riflessi geometrici che la luce creava sulla superficie torbida del vetro.

– Ci vivo – risposi, tentando di apparire altrettanto disinvolto e mascherare il nervosismo.

Kenobi si riaccomodò sul proprio seggio e avvertii il peso del suo sguardo celeste.

– Certo – annuì, paziente – Ma che mi dici della sua storia? – si sporse in avanti – Di ciò che si nasconde sotto la superficie?

Aggrottai la fronte e piantai i miei occhi dei suoi, quei due squarci di cielo limpido, aperti sull’immensità del cosmo. Qualcosa lampeggiò al loro interno.

Mi azzannai il labbro inferiore, improvvisamente a disagio. Un brivido mi scosse, mentre attorno a me calava una improvvisa e spessa cortina di tenebre, che estinse il tepore nel mio cuore, soffocando i fasci dorati dei soli.

Un ammonimento dal deserto.

Strinsi con forza il bicchiere nel palmo sudato.

– Non c’è niente sotto la superficie – replicai, secco, mentre la luce nello sguardo di Kenobi si smorzava. Mi strinsi nelle spalle – Qui non c’è niente…

– Luke…

– Mi scusi – mi alzai di scatto e il carabina al mio fianco oscillò. La mia mano era una morsa attorno al vetro del bicchiere, ma mi sforzai di aprire le dita intirizzite e lo poggiai con un gesto meccanico sullo sgabello vuoto, rivolgendo un freddo cenno della testa al vecchio Ben. Tentai di deglutire, ma avevo la gola di carta vetrata – Devo andare, adesso.

Kenobi tacque un istante prima di abbandonarsi ad un sospiro sconsolato.

– Immagino tu sappia guidare il mio speeder – commentò, regalandomi un sorriso triste che allentò leggermente la rigidità dei miei muscoli – Puoi prenderlo, ragazzo – annuì lentamente – Vai a casa.

Mi morsi l’interno della guancia, senza capire con chiarezza il motivo di quell’improvvisa inquietudine, sapendo semplicemente di dover uscire di lì, che c’era qualcosa di sbagliato. Percepivo la stessa pulsante energia che nei momenti di vuoto sosteneva il mio istinto, accompagnando il mio sguardo, guidandomi verso una meta precisa… solo che adesso sembrava intaccata, percorsa da crepe.

– Mi scusi – ripetei, questa volta con la voce che tremava – Io non… – le parole mi morirono in gola e io mi ritrovai a scuotere la testa, il cuore che sbatteva ansiosamente contro le costole. Non riuscii ad aggiungere altro e spalancai la porta dietro di me, voltando le spalle all’uomo dagli occhi chiari, il petto pieno di sassi.

In qualche strano modo, mentre uscivo, seppi che Kenobi sorrideva.

 

La scia di sabbia tracciata dallo speeder si fece sempre più distante, fino a divenire soltanto un sottile filamento fumoso sull’orizzonte tremolante del deserto.

Ben si strinse nella veste bruna, tentando di scacciare il doloroso ricordo del terrore che aveva attraversato lo sguardo innocente di Luke Skywalker. Lo stesso orrore che era baluginato nello sguardo di Anakin mentre le fiamme divampavano e il buio si compattava tra loro, una barriera che non avrebbe mai più penetrato, una divisione netta che aveva stracciato i loro destini e cosparso le loro strade di odio.

L’uomo sospirò, chiedendo silenziosamente scusa alla Forza per aver pensato che Luke fosse pronto. Forse era stata la solitudine a farlo parlare, lo sciocco desiderio di udire distintamente il suono delle parole, la parte di lui stanca di vivere nel silenzio.

Un fremito, una percezione, gli fece alzare lo sguardo verso un gruppo di dune che si innalzava con morbide onde sul confine tra cielo e terra, conscio di una presenza che da giorni aleggiava su di lui ma senza realmente sfiorarlo. Uno sbiadito spettro del passato.

Il mantello che avvolgeva la figura danzava nell’aria torrida, oscillante nel fiato caldo della desolazione.

Anche a quella distanza Kenobi fu in grado di cogliere la rigida serietà dei suoi occhi blu.

Un sorriso gli nacque sulle labbra attraversate da vecchie cicatrici.

Ciao, Furbetta…

   
 
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