Videogiochi > Sonic
Segui la storia  |       
Autore: Indaco_    03/02/2021    1 recensioni
Mobius era una tavolozza di colori, specie, caratteri, culture, cibi e via dicendo. Pulsante di vita, la città datata secoli era un variegato multi gusto. La sua crescita economica e sociale era intessuta da persone particolari, da eventi dimenticati e poco conosciuti e da tanti, tanti soldi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sonic the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Amy non si preoccupava più del ragazzo catturato con tanta fatica: dall’alto Pierre stava preparando la burrasca personale da vomitargli in faccia e questo la terrorizzava tanto da dimenticarsi completamente del riccio e di lasciarlo libero di muoversi a suo piacimento.
Sedendosi alla sua postazione sentì il rumore delle carte e dei fogli venir smossi bruscamente: che il furetto fosse impegnato a cercare la sua lettera di licenziamento? Ad un tratto il rumore cartaceo si fermò ed una breve pausa anticipò i suoi timori.
< Amy, vieni > esclamò Pierre con tono scontento e affilato. La riccia si alzò in piedi pallida, osservata dai suoi colleghi che, con aria solenne e seria, la squadrarono altezzosi. Entrambi appoggiavano Pierre ancor prima di conoscere cosa intendesse dirgli.
La rosa entrò nello stanzino e chiuse la porta sperando che quell’accorgimento bastasse a rendere la conversazione privata: le quattro orecchie aldilà della stanza erano terribilmente brave a captare virgole, punti e dettagli di qualsiasi discorso.
 Gli occhi del furetto, piantati su una busta paga, si muovevano velocemente sul foglio, in cerca di una qualche cosa conosciuta solo a lui. Lo sguardo di pietra spaventò ancor di più la rosa la quale deglutì terrorizzata notando che, la busta paga oggetto di studio, era la sua.
< Pierre, mi dispiace davvero tanto … >
< zitta e siediti. Parlo io > il furetto ripiegò il documento e lo mise da parte mentre la rosa si sedette rigidissima.
< COSA DIAVOLO TI PASSA PER QUELLA TESTA? HAI IDEA IN CHE MACELLO CI HAI RIVERSATO?! > gridò furioso sbattendo un pugno sul tavolo. Il repentino cambio d’umore fece sobbalzare la riccia che abbassò lo sguardo al pavimento attendendo il continuo.
<  Non hai nessunissima prova di quello che tu hai sentito! E sai questo che significa? Che fintanto lui negherà di aver detto una cosa del genere la legge lo considererà innocente! E se volesse potrebbe persino farci causa per questo arresto! > concluse sbattendo il pugno assordate sulla scrivania.
Amy deglutì angosciata e strinse le dita attorno al sedile. Non aveva riflettuto su quell’ aspetto, al momento di catturarlo aveva agito puramente d’istinto accantonando ogni tipo di logica.
< I-io … mi dispiace davvero tanto Pierre, non volevo causare guai >
< e invece l’hai fatto! Non hai ubbidito agli ordini del tuo superiore, hai arrestato un tranquillo cittadino, l’hai ferito e per giunta mi hai fatto correre come un pazzo per mezzo quartiere! > elencò di getto contando sulle dita la lista sopracitata.
Gli occhi lividi di rabbia la incenerirono, tanto da far abbassare nuovamente lo sguardo alla ragazza più bianca che rosa ormai.
Dentro di sé stava infuriando un caos degno di nota: da una parte non si pentiva di quello che aveva fatto, era sicura di aver sentito qualcosa di compromettente.
Dall’altra si chiedeva come avesse potuto agire così stupidamente: la gravità di quel che aveva causato, ferire quel tossico e disubbidire al suo comandante, era davvero alta. Sapeva di aver violato regole di primaria importanza ma dal suo punto di vista considerava “tollerabile” la sua sguinzagliata: quelle parole erano state udite perfettamente anche Pierre.
Non si stupiva comunque che il suo lavoro fosse in bilico: il boss non perdonava sgarri al suo grado, inoltre, se si sommava l’antipatia reciproca, era già licenziata.
< Per cosa poi? Per il tuo orgoglio, per la tua … “carriera”. Chi credi di essere? Sherlock Holmes? Bhe, non lo sei > continuò imperterrito senza timore di ferire i suoi sentimenti.
Il furetto abbassò poi lo sguardo al foglio e, prendendo una matita, cancellò un dato riportato e sopra di esso scrisse l’esatta metà del valore segnato. Dopodiché le passò il foglio e si alzò in piedi stiracchiandosi.
< Visto che con le buone non l’hai capito mi costringi ad utilizzare le cattive: quello è il tuo stipendio di questo mese > la informo con tono staccato. La riccia sgranò gli occhi e si precipitò a prendere il foglio di carta.
Senza perdere tempo tuffò gli occhi sullo scarabocchio di grafite sperando che quel dannato stesse scherzando. Ma il furetto non lo stava facendo: la metà esatta del suo stipendio la fece rabbrividire.
< Tu non puoi farlo! > esclamò la rosa allontanando quella fotocopia da lei con un gesto nervoso della mano.
Immaginando di trovarsi momentaneamente senza soldi si sentì mancare il terreno sotto ai piedi. Ovviamente possedeva qualche risparmio ma quella riduzione senza un valido motivo la faceva innervosire. L’interlocutore voltò la testa e la fulminò con lo sguardo.
< Preferisci essere licenziata? Impiegherei ancor meno tempo sai? Ferire un cittadino è davvero grave > le rispose con serietà.
Pierre, colpito all’orgoglio con l’ammutinamento della sottoposta, voleva farle carico delle responsabilità che le sue azioni avevano prodotto. Sorvolava sul fatto che avesse ferito il ragazzo involontariamente, d’altronde aveva sentito benissimo il discorso criminoso ed era sicuro che il blu non fosse così innocente come si proclamava. Contemporaneamente, però, sapeva anche che in mancanza di prove tangibili Barclay non si sarebbe nemmeno scomodato a chiamare. Perciò preferiva archiviare momentaneamente il caso in attesa di tempi migliori che solo lui conosceva.
La riccia impallidì ancor di più alla minaccia, strinse i denti prima di sfogarsi e venir poi licenziata. Tutto sommato, anche se era una magra consolazione, metà stipendio era meglio di nulla. La ragazza non rispose, si alzò in piedi desiderando concludere quella conversazione in men che non si dica. Senza proseguire oltre con il discorso, si accinse ad uscire da quella micro camera che le toglieva il respiro.
Ma prima che potesse anche solo toccare la maniglia, Pierre continuò il monologo:
< ah, dimenticavo. Stanotte farai la guardia alla tua “preda”. Compila tutti i moduli necessari e domattina liberalo. In mancanza di prove ci è utile quanto un sasso > concluse affaccendandosi attorno ad una pila di fogli ammucchiati.
Amy sbarrò gli occhi e lo guardò stupefatta.
< C-che cosa? Ma il mio turno è stato la settimana scorsa! > protestò accalorata pensando alla lunga notte che l’attendeva.
< Non discutere Amy, te la sei cercata. E ora vai, è tutto > concluse davvero, degnandola appena di un’occhiata.
La rosa, ancor più stupefatta, aprì la porta ed uscì dalla stanza con l’umore a k.o.
I tre ragazzi fuori dalla porta sollevarono solo per un attimo gli occhi dalle loro occupazioni. L’intera discussione era filtrata dalla porta senza sbavi e tutti erano a conoscenza delle due punizioni affibbiatele. Sforzandosi di non mostrarsi infastidita, la ragazza uscì il più velocemente possibile dalla caserma per sfogare la sua rabbia.
Quando chiuse la porta dietro di sé, si lasciò scappare una lunga serie di imprecazioni rivolte al suo capo, ai suoi colleghi, al ragazzo che aveva catturato e a se stessa.
Con un sospiro sconsolato si sedette mollemente sulla panchina posta appena fuori dall’edificio. Appoggiandosi allo schienale abbandonò le braccia ai lati del corpo e iniziò a pensare con lucidità ai suoi problemi economici.
Vivendo sola, tra affitto, bollette e cibarie il suo stipendio scompariva senza lasciare particolari tracce. E quel mese pagato a metà non aiutava: la scorta da cui poter attingere era esigua, le sarebbe toccato chiedere un piccolo prestito al suo fidanzato. E l’idea era ancor più insopportabile della notte che aveva di fronte a sé. Orgogliosa com’era, anche chiedere un piccolo aiuto alla persona più intima era qualcosa di terribilmente umiliante per lei.
Nonostante Gage, così si chiamava il compagno della riccia, offrisse volentieri il suo aiuto in qualsiasi ambito, la riccia non riusciva a chiederglielo.
Come prima cosa non voleva pesare sulle spalle di nessuno e, secondariamente, voleva dimostrare a se stessa di essere autonoma ed autosufficiente, principio saldo ed inderogabile che si rifletteva in qualsiasi attività alla quale si dedicava.
Attorcigliando i capelli sulle dita rifletté per altri pochi attimi quando venne interrotta dalla sveglia del suo cellulare che l’avvertiva che mezzogiorno era suonato da un pezzo.
La porta d’entrata venne brutalmente spalancata accanto a lei e dall’edificio uscirono i due colleghi e Pierre stesso avvolti nelle loro giacchette e affamati. 
Amy si alzò solamente quando furono abbastanza lontani da non scorgerla e a passo strascicato ritornò all’interno della caserma. Con la testa così fitta di pensieri e preoccupazioni, non si accorse che il riccio blu era stato letteralmente incarcerato nella minuscola cella e che il povero malcapitato stava letteralmente ardendo di rabbia.
I due energumeni avevano spostato e sistemato al meglio quei pochi metri quadrati e l’avevano rinchiuso lì dentro: un angustissimo angolo, stretto e così piccolo che con quattro passi si poteva delimitare.
Oltre alla rabbia perciò si sommava anche quel limitato spazio, lui che, di limiti, aveva solamente il cielo.
La rosa si sedette sconsolata alla sua postazione, non vedeva l’ora che quella giornata orribile finisse al più presto. Cercando con lo sguardo la sua preda, si stupì nel vederlo nella cella svuotata, probabilmente era il primo ad inaugurare quella gabbia fatiscente. Seduto sulla sedia che poco prima era stata occupata dalla fedele stampante, il riccio tamburellava velocemente il piede e fissava una delle tante sbarre. La sguardo di fuoco avrebbe potuto far sciogliere il tubo di metallo e anche crepare le piastrelle del pavimento.
Con un sospiro rassegnato, la ragazza prese un foglio all’interno del cassetto della scrivania e con un leggero schiarimento di voce catturò l’attenzione del riccio.
< Ehm ehm. Io devo … farti delle domande. Non vorrei disturbarti ancora ma … >
< quando potrò uscire da questo tugurio? > le rispose tagliandole la frase di bocca.
I due occhi verdi, fin troppo seri, la fissarono con rimprovero per quello che gli stava capitando, facendola sentire in colpa per un millesimo di secondo. Scrollandosi, sospirò irritata da quel comportamento irrispettoso e, presa una penna, iniziò a giocherellare con il bottone a scatto.
Il ticchettio della penna infastidì ancor di più il riccio che avrebbe voluto solo rimanere  in pace per qualche minuto per poter riflettere.
< Domani mattina ritornerai libero, felice e potrai scorazzare dove ti pare e piace. Ma al momento dovrai rimanere qui e fare il bravo > rispose con pazienza impugnando la penna.
< nome? >.
Il ragazzo sollevò gli occhi dal pavimento e guardò la ragazza seduta alla scrivania pronta a segnare la risposta sul documento di fronte a lei.
L’indecisione, comparsa sul suo volto alla domanda dell’agente, scomparve con un battito di ciglia ed un tono fintamente gentile.
< Silas. Silas the Hedgehog > esclamò soddisfatto stiracchiandosi compiaciuto. La riccia scrisse il nominativo e senza porsi troppe domande completò il questionario del ragazzo, mirato a raccogliere i soliti dati personali.
Apprese da quelle domande che il riccio era poco più grande di lei e che la residenza era esattamente là, da qualche parte in quel quartiere disabitato. Troppo presa a riflettere sui dati ricevuti, non prestò attenzione a come il blu glieli comunicava: tentennando, correggendosi a più riprese e rispondendo con estrema vaghezza.
Il ragazzo, che aveva faticato non poco a trovare risposte valide e credibili, sospirò di sollievo quando la riccia archiviò il foglio all’interno di un faldone. Nonostante si sforzasse di mostrarsi calmissimo con un sorriso straffotente, piccole gocce di sudore gli incollarono gli aculei alla nuca. Rischiava grosso restando lì ma per cause di forza maggiore non poteva fare altrimenti. Sperava che, uscito da quel macello, la riccia e company non intendessero più andare  a zonzo in quel posto, dimenticandosi, giorno dopo giorno, della sua faccia e dell’accaduto.
La ragazza, con un sospiro esasperato, si sollevò in piedi e si sistemò la camicia azzurra.
< Bene Silas, io ora vado a pranzare, ti porterò qualcosa al mio ritorno, hai preferenze? > borbottò con gentilezza dosata.
< Credo … un chili dog e … succo d’arancia > balbettò sorpreso da quella gentilezza non di certo meritata.
La rosa annuì e raccolse la borsa abbandonata accanto alla sedia girevole.
< Bene, a più tardi >. Uscì e chiuse la porta a chiave, abbandonando uno stupefatto riccio all’interno della celletta.


Il sole era davvero caldo quel giorno tanto che la temperatura si aggirava sui diciotto gradi nonostante fosse solamente marzo. La rosa, di malumore, si incamminò lungo il marciapiede che costeggiava la caserma e si diresse in centro città a passo veloce.
Era davvero in ritardo al suo appuntamento e non sapeva come giustificarsi.
Il locale che lei e l’attuale fidanzato avevano scelto per incontrarsi era uno dei più appartati della città, posto in un angolino seminascosto. La ragazza impiegò poco tempo a raggiungere il luogo prefissato e ancor meno ad assumere uno sguardo dispiaciuto.
Il locale era uno dei tanti posti anonimi che si trovavano in giro: vetrine coperte dall’insegna troppo grande, cibi precotti, bevande comuni e arredamento troppo originale.
Tutto sommato però, i panini erano freschi e il caffè era davvero buono, motivo più che valido per frequentarlo.
Gage era seduto al loro solito posto, davanti a lui il loro pranzo ormai freddo e triste. Il ragazzo sollevò la testa ricciuta dallo schermo del tablet e, spazientito, le lanciò un’occhiata torva.
Il dingo color ambra aveva venticinque anni esatti. Laureato in tempi record, aveva trovato lavoro presso un grosso ufficio che si occupava di bioedilizia. Con impegno e dedizione, in poco tempo, era riuscito a ben inserirsi in quell’ufficio, tanto che i suoi progetti iniziavano a debuttare assieme a quelli dei suoi colleghi più anziani.
Insomma, soldi e carattere non mancavano e neppure la bellezza: gli occhi grigi, la matassa di corti ricci biondi ed il bel portamento lo rendevano davvero un divo.
< Alla buon’ora! Cos’è successo per questo ritardo spaventoso? > esclamò incrociando le braccia al petto con fare nervoso. Amy, visibilmente dispiaciuta, assunse l’espressione più mortificata del suo repertorio e si sedette al suo fianco.
< Lo so, lo so, mi dispiace così tanto! Perdonami, è successo un casino enorme al lavoro! > esclamò prima di scambiarsi un veloce bacio di saluto.
Il ragazzo sembrò calmarsi e con uno sbuffo si dedicò al panino ormai congelato.
< Solite rogne con Pierre? > domandò addentando il pranzo
< sì, più o meno, ma stavolta è stata peggio delle altre > rispose brevemente per non dover descrivere i particolari.
< Breve riassunto? > aggiunse lui.
Amy, fregata, accavallò le gambe ed immaginò in fretta un resoconto insapore che soddisfasse la sua curiosità. Non voleva assolutamente che sapesse del suo handicap finanziario e, soprattutto, non voleva rivelargli la sua disubbidienza.
< B-bhe, è successo che … ecco, abbiamo catturato un tizio oggi > iniziò timorosa scartando il pranzo.
Gage sollevò le sopracciglia ammirato
< wow! Bravi! Che ha fatto di male il disgraziato? > rispose entusiasta versandole da bere.
La rosa ringraziò con un cenno.
< Dialoghi incentrati su sostanze illegali >
< qualche prova? >
< no, nessuna, inoltre il ragazzo che era con lui se l’è data a gambe e non  siamo riusciti ad acciuffarlo > sentenziò brevemente sperando che quell’interrogatorio concludesse in fretta.
Il dingo annuì e le sorrise sornione, evidentemente aveva ancora qualche domanda da porgli
< e perché si è arrabbiato con te? > domandò con interesse cercando di capire il nesso.
La rosa tracannò un sorso della bibita.
< Ho avuto delle divergenze con lui > biascicò asciugandosi le labbra. Perché non mangiava il suo panino e non cambiava discorso?
Il dingo sorrise acuto e le scostò la ciocca dalla fronte con dolcezza
< poca voglia di parlare noto > replicò utilizzando un tono posato. Conosceva troppo bene la ragazza per venir fregato con quelle mezze risposte.
La rosa arrossì imbarazzata
< bhe, con lo stipendio dimezzato e una strigliata di dimensioni bibliche posso assicurarti che avresti poca voglia di parlare anche tu > rivelò evitando di guardarlo negli occhi. L'espressione corrucciata era un sinonimo della preoccupazione che aleggiava in lei.Gage sollevò le sopracciglia allibito: sapeva che Pierre era un tipo particolare ma per arrivare a quel punto doveva esserci stata una motivazione davvero valida.
< Che hai fatto di così terribile? > replicò mollando il panino e rivolgendogli la sua totale attenzione. La riccia si guardò le scarpe imbarazzata, era così difficile ammetterlo davanti a lui che viveva per il lavoro e che si auto poneva regole ferree pur di brillare. 
Con un sospiro pesante appoggiò il tappo della bottiglia al tavolo e cercò di raccogliere qualche altro secondo accomodandosi sulla sedia.
< Ho disubbidito agli ordini: ho catturato il tizio nonostante non volesse > rispose asciutta sentendosi le gote infiammare pian piano. Ammettere il suo errore non la faceva sentire affatto meglio, anzi, la parte peggiore iniziava esattamente ora.
< Che cosa!? > esclamò il dingo rischiando di far cadere la lattina che aveva in mano. Gli occhi grigi le si piantarono addosso con cipiglio severo
< Amy! Sei un’agente! Non puoi farlo nemmeno se ti è sembra insensato! > continuò rizzandosi ben a sedere e rincarando la dose. Il tono acceso fece voltare un’umana di mezza età intenta a spiluccare un sandwich, la quale gli rivolse un’occhiata di rimprovero.
Amy scosse la testa in totale disaccordo.
< Non l’ho catturato per niente! Stava parlando di droga! > si giustificò innervosendosi dal quel tono di voce.
L’ambrato sbatté le palpebre incredulo
< e cosa ti importa se Pierre, il tuo capo, ti ha fermamente proibito di acciuffarlo?! >. La riccia sgranò gli occhi e lo guardò allibita
< “cosa mi importa”? Stai scherzando spero! E’ il mio lavoro Gage! Cosa dovevo fare? Lasciarlo andare liberamente ad avvelenare la gente? > protestò lei alzando ancor di più la voce.
Il dingo chiuse gli occhi stancamente e scosse la testa irremovibile
< non vivere nelle utopie Amy! Non è un film! Sei pagata per fare ciò che ti ordinano. Punto. E se Pierre ti ha detto di lasciar stare allora devi fare come ti ha detto! E’ già tanto se non ti ha licenziato > concluse nervoso.
La riccia roteò gli occhi teatrale e si appoggiò al tavolino con il gomito
< col cavolo, ho semplicemente seguito le linee guida che la divisa mi impone. Non mi pento del mio ideale anche se ho perso metà stipendio >.
Possibile che non esistesse nient’altro oltre a ciò? Solo perché era pagata non significava che doveva buttarsi giù da una rupe se ordinato.
La gente riponeva fiducia in loro, erano loro a dover fermare almeno quei piccoli spacciatori di quartiere. Aveva scelto quel lavoro per dare una mano concreta alla società, non certo per rimanersene ferma di fronte ad un ovvio criminale.
< Avrà avuto il suo buon motivo. Non è il tuo superiore per niente Amy, di sicuro sa il fatto suo e tu dovresti rispettare le sue decisioni > esclamò Gage con tono grave. 
Zittendosi, Amy sbuffò e rimase in silenzio per qualche attimo: era inutile continuare a discutere, nulla sarebbe cambiato.
Il ragazzo la imitò e lanciò un’occhiata al telefono fingendosi impegnato.
La cocente ramanzina aveva leso l’orgoglio della ragazza, la quale cercava di trovare qualche affermazione che portasse il ragazzo dalla sua parte.
Ma, minuto dopo minuto, la sua testa si svuotava trovandosi, dopo poco, completamente senza parole e con un gran senso di colpa.  Visto che nessuno dei due non intendeva dare altre parole in merito all’argomento, il dingo prese le briglie della conversazione assumendo un tono di voce più rilassato.
< Tieniti libera giovedì > esclamò facendo trapelare un certo entusiasmo.
La rosa si voltò e aggrottò le sopracciglia
< per cosa? > domandò abbandonando il malumore creato poco prima.
Le labbra del ragazzo si stirarono in un sorriso.
< Giovedì saranno presentati i progetti. Ti ricordi quel grande hotel che stavamo progettando, fuori città? >, la riccia annuì continuando il suo pranzo
< certo che mi ricordo, mi hai sacrificato per un’intera settimana per quello stupido progetto > sentenziò con un sorrisino ironico.
Il dingo sorrise orgoglioso
< bhe, se tutto va come previsto, giovedì sera potrai vantarti di essere la fidanzata del progettista di quel fantastico posticino e tra un anno ti porterò nel centro benessere ogniqualvolta vorrai > concluse baciandole le guancie e ritrovando in un batter d’occhio l’entusiasmo.
Un sorriso spontaneo le incorniciò il volto e la rosa passò le dita sulla matassa degli adorati ricci dorati.
< Perché invece della sauna non mi porti a cena dai tuoi? Preferirei di gran lunga quello > lo stuzzicò lei agitando i capelli ben legati.
Il dingo avvampò e si staccò da lei punto sul vivo
< un passo per volta Amy. Lo farò, ma dammi un po’ di tempo prima >.
Non era una situazione facile, i genitori di Gage, avvocato e casalinga, erano estremamente determinati ed schietti, soprattutto su tutto quello che girava attorno ai loro figlioletti. Il dingo era stato più che lesto a lasciare il comodissimo nido famigliare, soprattutto con una madre severamente adorante ed un padre orgogliosamente testardo. Come ogni genitore che si rispetti, i suoi avevano le più rosee aspettative per lui: un lavoro ben retribuito, agi, onori e una fidanzata modello.
Modello che non rispecchiava esattamente l’attuale ragazza. Non che Amy non fosse abbastanza bella o intelligente, ma il fatto che fosse orfana gettava su di lei un’aura di insicurezza che i suoi genitori disapprovavano. Insomma, per farla breve, i futuri suoceri credevano che la riccia avesse alimentato qualche tipo di complesso o una di quelle patologie che sorgono in questi sfortunati casi, indebolendole e rovinandole irrimediabilmente il carattere.
Gage, come di routine, scansò quel problema e con un sorriso cercò di confortare la riccia lievemente innervosita:
< la mia pausa sta per scadere tesoro, è meglio che mi avvii, non voglio arrivare in ritardo. E non dovresti volerlo nemmeno tu > la pungolò lui alzandosi in piedi e raccogliendo il giubbotto. Amy replicò con un’occhiataccia
< evita certe battute, non sono affatto in vena. Inoltre ho un intero pomeriggio da passare con Pierre. Mi viene da vomitare a pensarci > sospirò lei alzandosi a sua volta.
< Su, su, forza. Poche ore e poi sarai libera di fare ciò che vuoi. A proposito, stasera pensavo di passare da te: domani vado al lavoro qualche ora più tardi e perciò mi sarebbe piaciuto fermarmi. E’ un problema? > domandò con un furbo sorriso sistemandosi i riccioli scompigliati dalla ragazza.
La riccia si morse la guancia e prese tempo fingendo di pensarci. Quella notte avrebbe dovuto controllare il suo trofeo-attira-sfighe e perciò era costretta a dire addio alla seratina romantica. Assumendo uno sguardo addolorato, raccolse la borsa da terra e sospirò dispiaciuta:
< mi dispiace tesoro, stasera sono di turno extra e perciò non sono a casa > fu costretta a dire osservando la sua espressione mutare.
Il dingo sospirò e guardò distrattamente fuori dalla vetrina per un paio di secondi. Non l’aveva bevuta quella piccola bugia, anzi, la non chiarezza lo innervosiva ancor di più.
< E’ la punizione per aver disubbidito no? Dovrai controllare il malcapitato presumo > svelò lui con sagacia.
La rosa cercò di atteggiarsi normalmente ma i suoi gesti, come legarsi con eccessivo zelo il foulard, lasciarono intendere al ragazzo il suo nervosismo. Il sospiro impaziente del dingo fece comprimere lo stomaco alla rosa,
< mi dispiace Gage, so come la pensi ma è davvero un’occasione! Se si aprisse qualche indagine Barclay in persona potrebbe farci visita e forse Pierre verrebbe sostituito! Potrei migliorare la mia posizione! > esclamò facendo fatica a contenere il tono di voce.
Gage si guardò attorno assicurandosi che nessuno guardasse dalla loro parte, la voce acuta della riccia attirava fin troppo l’attenzione.
< Perché invece non consideri l’idea di rinunciare? > esclamò nervoso e al limite della pazienza. Non capiva perché, dopo tentativi buttati al vento e insoddisfazioni che avrebbero logorato persino il più agguerrito dei manager, la ragazza continuasse ostinata ad inseguire quell’utopia da film.
Amy richiuse la bocca e rimase a guardarlo sbigottita ed incredula. Tutto, ma di certo non si aspettava quella frase dal fidanzato. Sapeva quanto ci tenesse a raggiungere il suo obiettivo e le sembrava irreale che lui, quel stacanovista, potesse suggerirle una simile assurdità.
Ma non stava scherzando, glielo leggeva in faccia e con altrettanta serietà stava aspettando una risposta. La riccia non si soffermò nemmeno a riflettere, amava il suo lavoro e puntava alto, era fuori questione abbandonarlo.
< Non se ne parla > replicò con altrettanta serietà e tono sofferente.
Gage la squadrò torvo, sapeva che non aveva nemmeno valutato l’idea e la cosa lo infastidiva, d’altronde gliel’aveva proposto anche per il suo bene. Il viso del ragazzo annuì ma gli occhi grigi si puntarono tra le piastrelle nocciola,
< perfetto. Non lamentarti mai più allora e impara a gestire il privato con il lavoro. A giovedì >.
Detto ciò le lanciò un’ultima occhiata e se ne andò senza tante cerimonie. Amy rimase paralizzata dal dispiacere e lo seguì con lo sguardo fin dove la vetrata glielo permise.
Mogia più di quando era entrata, si avvicinò alla cassa cercando di riprendere il controllo della situazione.
La cassa, che ospitava un’ordinata fila di alzatine ripiene di panini, era presidiata dallo strampalato proprietario, perso in chiacchiere con un cliente abitudinario. L’avanzare della riccia però, catturò la sua attenzione, soprattutto perché estrasse il portafoglio intendendo chiaramente di voler pagare.
Il sorriso dell’umano la riportò nel mondo, soprattutto quando si rivolse a lei con estrema gentilezza:
< ha già pagato il tuo compagno, puoi tranquillamente andare se non ti serve altro >. Amy sforzò un sorriso,
< oh meglio allora. Sono apposto così, grazie ugualmente > rispose aprendo lo zip della borsa per metterci il portafoglio
< sicura che non serve altro? Abbiamo hamburger, chili dog, toast … >
< Chili dog? > ripeté lei confusa.

Spazio autrice:
Buonasera, spero che questa storia vi stia prendendo almeno un po'! Spero anche i capitoli così lunghi non diano fastidio o annoino.
Segnalate quasiasi tipo di errore. Grazie.
A presto!
Baci.
Indaco

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Sonic / Vai alla pagina dell'autore: Indaco_