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Autore: IndianaJones25    09/02/2021    2 recensioni
È una luminosa e calda giornata estiva di fine Ottocento quando, in una casa di Princeton, nel New Jersey, nasce l’unico figlio del professor Henry Jones Sr. e di sua moglie Anna.
Nel corso dei venticinque anni successivi, il giovane Junior vivrà esperienze indimenticabili e incontrerà persone straordinarie, in un viaggio di formazione che, tappa dopo tappa, lo porterà a diventare Indiana Jones, l’uomo con frusta e cappello, il più celebre archeologo del mondo…
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abner Ravenwood, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr., Marion Ravenwood, René Emile Belloq
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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XI.
MOAB, UTAH, LUGLIO 1912

   Forse era stato il dolore a spingere suo padre a voler abbandonare la casa in cui era vissuto felicemente con sua moglie, ormai piena soltanto di ricordi e di fantasmi. Forse era stato il continuo patire che provava nel rimanere da solo nei luoghi in cui si erano amati profondamente a deciderlo a trasferirsi in quello sperduto paesino dello Utah, ai margini del deserto, e a chiedere di essere assunto come docente alla Four Corners University di Las Mesas, nel vicino Colorado.
   Anna se n’era andata in silenzio, durante una notte, mentre era immersa nel sonno. Un male terribile se l’era portata via, nel fiore e nello splendore dei suoi trentaquattro anni. Una malattia incurabile, di cui lei era consapevole da tempo, ma di cui non aveva mai fatto parola con nessuno. Aveva tenuto nascosto il suo deperimento fisico, attribuendo il pallore e la perdita di peso che l’affliggevano a una leggera e passeggera stanchezza. Era stata strappata troppo presto all’affetto di suo marito e di suo figlio, che erano sprofondati nell’angoscia. E la cosa peggiore era che non se ne erano resi conto, specialmente Henry, sempre così impegnato con le sue ricerche da non accorgersi di niente altro.
   Indy, distrutto, aveva versato lacrime copiose mentre guardava il feretro della sua amata mamma venire calato nella fossa del cimitero di Princeton, nei pressi una quercia secolare; Henry, dal canto suo, non era riuscito nemmeno a piangere, sconvolto da quella perdita inaspettata e terrificante. Era rimasto impassibile, ferreo, immobile.
   In verità, il dolore di essere stato lui stesso la causa di quella malattia lo aveva dilaniato, perché niente era riuscito a togliergli dalla testa l’idea che Anna avesse contratto quel brutto male durante il lungo viaggio a cui l’aveva costretta. Forse, si diceva di continuo, si era ammalata proprio in Africa, quando era apparsa tanto felice e così diversa dal solito. Probabilmente già allora, consapevole del proprio destino, aveva voluto mascherare la propria sofferenza sotto un velo di gioia e di spensieratezza.
   Poi, pochi giorni dopo il funerale, se n’erano andati, lasciando Princeton; la nuova meta, dunque, era stata lo Utah.
   Ma se Indy si era illuso che, almeno, lui e suo padre avrebbero potuto consolarsi e sorreggersi a vicenda in quel momento tanto difficile, aveva presto e con amarezza dovuto affrontare il disinganno di una realtà difficile e sempre più pesante da sopportare: per sfuggire ai suoi cupi fantasmi, Henry si era fatto assorbire totalmente dal lavoro e dallo studio e aveva praticamente finito col dimenticarsi di avere un figlio. Nel giro di pochissimo erano diventati due estranei sotto lo stesso tetto.
   Così, il ragazzino non aveva potuto fare altro che distrarsi unendosi ai boy-scout o trascorrendo lunghe ore in biblioteca. Aveva studiato la storia locale, aveva scoperto della ricerca di Cibola da parte di Francisco de Coronado; e aveva anche saputo che il conquistador aveva nascosto in quei luoghi una croce d’oro di grande valore.
   Il desiderio di trovarla lo aveva conquistato quasi alla pari del vecchio e mai sopito sogno di rinvenire l’Occhio del Pavone. Tuttavia, per settimane era stata niente altro che una semplice fantasia da rincorrere per non pensare ad altro.
   Solo che, inaspettatamente, quella fantasia si era tramutata in realtà proprio davanti ai suoi occhi.
   Così, quando aveva visto quei ladri saccheggiare la cappella sotterranea e trafugarne proprio la croce di Coronado, aveva deciso di intervenire, senza badare ai pericoli in cui si stava cacciando. Il suo antico sogno fanciullesco di diventare archeologo era rinato, quel giorno, nell’esatto momento in cui si era detto che quella croce andava salvata e posta al sicuro dietro la teca di un museo, dove tutti avrebbero potuto ammirarla.
   Però aveva perso. Era stato sconfitto dalle sue forze, troppo deboli per competere contro tanti uomini. I ladri si erano ripresi la croce grazie alla complicità dello sceriffo e l’avevano consegnata al farabutto che aveva finanziato le loro ricerche, quel maledetto zoppo con il cappello di Panama, un uomo il cui volto Indy giurò che non si sarebbe dimenticato mai più.
   La colpa non era stata solo sua. La sua sconfitta era avvenuta anche a causa di suo padre, che non aveva voluto muovere un dito per venirgli in aiuto. Ancora una volta, Henry si era dimostrato egoista e del tutto disinteressato a ciò che combinava il suo unico figlio. E mai, come in quel momento, Indy aveva odiato suo padre.
   Adesso, come segni indelebili di quella sconfitta, gli erano rimasti una cicatrice sul mento, una paura terribile dei serpenti - di cui non sopportava più nemmeno il nome - e il cappello di feltro marrone che gli aveva donato il capo di quei banditi. Quel ladrone lo aveva osservato con una luce di ammirazione accesa negli occhi e gli aveva rivolto poche ma sagge parole: «Oggi hai perso, ragazzo. Ma non significa che debba piacerti.» Poi gli aveva messo in testa il suo cappello.
   Quell’uomo di nome Garth gli aveva dato la più importante delle lezioni. Gli aveva insegnato più lui in cinque minuti che non suo padre in tutta una vita. Gli aveva insegnato a non arrendersi mai, nemmeno davanti alle difficoltà e alle sconfitte, perché è proprio da queste circostanze che nascono le migliori occasioni di rivalsa. Cadere non significa nulla, se poi si è ancora capaci di rialzarsi.
   Ora, seduto sotto il portico della loro casa, con gli occhi rivolti al deserto buio, mentre si massaggiava la ferita che si era procurato sul mento maneggiando con scarsa maestria una frusta e che il dottor Flanagan gli aveva ricucito alla meglio, Indy prese una decisione che avrebbe mantenuto per tutta la sua esistenza.
   Non si sarebbe mai più sbarazzato di quel cappello. Lo avrebbe portato con sé, sempre. E non sarebbe stato il simbolo della sua sconfitta, bensì quello della sua capacità di non arrendersi di fronte a niente, di reagire sempre con tenacia e determinazione, davanti a tutto e a tutti.
   
 
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