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Autore: Verfall    11/02/2021    6 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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4. 28 marzo 1983 – Saeko

Saeko rientrò nel suo appartamento, situato in un elegante palazzo sulla trafficata Sotobori-Dori Ave, in tarda serata e solo dopo che ebbe chiuso lentamente la porta alle sue spalle si permise un rumoroso sospiro, scalciando via con sollievo le décolleté nere; si sentiva esausta, il lavoro era diventato molto più stressante del solito e le responsabilità iniziavano a pioverle addosso come una grandine estiva senza fine. D’altronde la promozione era in arrivo e sapeva che quello era il prezzo da pagare, la sezione investigativa speciale era rinomata per la rigidità con cui trattava i suoi detective.
Come ogni sera il silenzio assordante dell’ambiente l’accolse; non aveva mai sofferto di solitudine, ma da alcuni mesi quella casa così vuota aveva iniziato a trasmetterle una spiacevole sensazione di freddo. Eppure erano anni – da quando aveva iniziato a frequentare l’accademia per la precisione – che viveva per conto suo, andando contro i desideri dei suoi genitori. Lei era stata irremovibile, aveva voluto rivendicare al più presto la sua indipendenza anche per svincolarsi da quel padre eccessivamente apprensivo. Già durante l’ultimo anno delle superiori si era convita che vivere lontano da casa avrebbe rappresentato il primo passo per affermarsi come individuo indipendente in una società ricca di ipocrisie e contraddizioni come quella giapponese, che non vedeva di buon occhio le donne che aspiravano a costruire una carriera piuttosto che una famiglia. Ricordava ancora la gioia dei primi tempi, quando aveva potuto affermare di avere finalmente una casa tutta sua – per quanto fosse in realtà una stanzetta poco più grande di uno sgabuzzino, ma le sue finanze non le avevano permesso di meglio. Con i primi sostanziosi stipendi da poliziotta, poi, era riuscita a prendere in affitto quell’appartamento così grande e costoso, come ne era stata orgogliosa! Per festeggiare l’occasione aveva preparato un pranzo inaugurale coi fiocchi a cui aveva invitato la sua famiglia e, se sua madre e Reika –Yuka era ancora troppo piccola– le avevano rivolto sguardi di ammirazione, non lesinando complimenti per quella felice sistemazione, il capo della polizia non si era scomposto, pronunciando un lapidario:

«Tutto questo spazio per una persona sola… Ora che hai finalmente il lavoro che volevi dovresti iniziare a pensare alle cose serie, a sistemarti. Non avrai vent’anni per sempre»

Quelle parole l’avevano indispettita oltre misura, e se non aveva risposto a tono era solo per non causare l’ennesimo litigio proprio il giorno che doveva sancire l’inizio della vita che aveva sempre sognato. “Pensare alle cose serie” le aveva detto suo padre; ma lei era fin troppo seria, e il suo desiderio di affermazione non era un semplice capriccio dettato da stupidi motivi, al contrario. Fin da piccola aveva sentito di essere diversa dalle altre bambine: non le era mai importato molto dell’amore; a differenza delle sue compagne non si scioglieva alla vista di neonati; la annoiava giocare a fare la mammina con le bambole e le vetrine con esposti abiti da sposa la lasciavano totalmente indifferente. Odiava leggere tutte quelle storie in cui inette donzelle in difficoltà attendevano il bell’eroe per poter essere salvate: lei non solo voleva salvarsi da sola ma voleva anche aiutare gli altri. Già durante le scuole elementari non aveva mancato di mostrare le sue riserve su quegli stereotipi, attirando gli immancabili sguardi smarriti da parte degli insegnati che non sapevano come gestire uno spirito così forte e indipendente, facendole guadagnare così il nomignolo di signorina polemica. Col tempo, poi, aveva compreso che non si sarebbe accontenta della vita che conduceva sua madre e che la società prevedeva per lei; no, lei aspirava a molto di più che essere una moglie e madre amorevole. Per quel motivo aveva rigettato le professioni considerate più femminili e aveva deciso di seguire le orme paterne ed entrare in polizia, era ambiziosa e desiderava diventare il primo capo della polizia donna del Giappone; poco le erano importate le proteste di suo padre, lei avrebbe dimostrato il suo valore, apportando un contributo attivo per il bene della società.
Ricordava ancora come le si era gonfiato il petto di orgoglio quando aveva scoperto di aver passato col punteggio più alto la prova di ammissione all’accademia. In quel momento aveva visto ripagati tutti gli sforzi compiuti negli anni precedenti. Sin da adolescente, infatti, aveva iniziato a rincorrere, per poi costruirsi, un’immagine di impeccabile perfezione, grazie anche a uno spiccato spirito competitivo che nella sua scuola di élite era stato ben incoraggiato. Amava primeggiare non solo nello studio ma anche nello sport e nell’aspetto, che aveva iniziato a curare attentamente già a quindici anni. Col passare del tempo, però, aveva iniziato a sentirsi sempre più arida dal punto di vista emotivo; la sua corazza di perfezione esteriore l’aveva aiutata a sentirsi sempre sicura di sé, ma d’altro canto aveva iniziato a indurirla, così se la sua bellezza attirava non pochi ragazzi, lei provvedeva a respingerli tutti con freddo sdegno. Non che disprezzasse in assoluto il genere maschile, ma una vocina interiore le diceva di non badarvi, autoconvincendola che in realtà loro erano troppo occupati ad ammirare il suo grazioso involucro per voler sondare cosa ci fosse davvero al suo interno. Sentiva di essere molto di più che due belle gambe e un seno prosperoso, e non voleva soffrire per eventuali delusioni d’amore; ciò avrebbe sottratto troppo tempo prezioso al raggiungimento suoi obiettivi. Allo stesso tempo, però, aveva scoperto che la sua avvenenza poteva esserle d’aiuto, in quanto poche moine si dimostravano più convincenti di una richiesta logica e sensata. Si era sorpresa nel vedersi capace di recitare la parte della ragazza smaliziata e seducente, proprio lei che non aveva alcuna esperienza e avrebbe ucciso piuttosto che permettere a qualcuno di toccarla con un dito. Come risultato di quella condotta, poco alla volta le persone attorno a lei avevano iniziato a considerarla fredda e cinica, ma in fondo sapeva di non essere una cattiva persona, anche perché aveva scelto di fare un lavoro al servizio della collettività. Semplicemente per lei era fondamentale mantenersi distaccata e concentrata, anche perché era sicura che il mantenersi svincolata da qualsiasi legame affettivo l’avrebbe agevolata col lavoro, anzi le avrebbe permesso di lavorare. Non erano pochi i casi in cui fidanzati amorevoli imponevano alle future mogli di lasciare l’impiego per dedicarsi totalmente alla famiglia; una prospettiva che l’aveva sempre angustiata. Era totalmente disillusa per quanto riguardava l’amore che, quando aveva varcato le porte dell’accademia, era certa che avrebbe dedicato la sua vita interamente al lavoro e che non avrebbe mai trovato nessun uomo degno della sua amicizia, ancor meno del suo cuore!
Ritornata presente a se stessa, Saeko raggiunse lentamente l’ampio openspace che costituiva la zona giorno, illuminato lievemente dalle luci che filtravano da fuori attraverso le tende leggere; si diresse verso la cucina, diametralmente opposta al soggiorno e, una volta lì, appoggiò distrattamente sul tavolo la busta con dentro la sua cena. Non cucinava quasi mai e non per mancanza di capacità; le sembrava inutile sprecare così tanto tempo ed energie solo per se stessa e, soprattutto la sera, quando rincasava sempre parecchio stanca, preferiva mangiucchiare qualcosa sul divano guardando la televisione, unica voce capace di spezzare la monotonia dei suoi pensieri. Forse, se non fosse stata sola, si sarebbe anche divertita a cucinare qualcosa, anche solo per osservare soddisfatta l’ospite mangiare con gusto ciò che aveva preparato, ma dopo l’infelice esperienza di quel pranzo inaugurale non aveva invitato più nessuno. Tirò fuori dalla busta una piccola confezione di sashimi di salmone e tonno insieme a una lattina di birra e li posizionò su un vassoietto di bambù laccato. Era una finezza del tutto evitabile ma era più forte di lei, odiava lasciarsi andare alla sciatteria e proprio sulle piccole cose voleva mantenere un aspetto il più curato possibile; le serviva per mantenere quella sicurezza che mai aveva avvertito così fragile come quella sera.
Sospirò, cacciando via quel pensiero e, una volta preso il vassoio, camminò verso il divano e con un sospiro si sedette.
“Ah finalmente! Non ne potevo più di stare in piedi” disse mentre si stiracchiava. Poi allungò il braccio per raggiungere il telecomando e accese la televisione. Iniziò a mangiare ma presto cominciò a irritarsi a causa degli insulsi programmi che si susseguivano nei vari palinsesti; quelle odiose risate finte e quelle gigantesche scritte colorate erano un vero incubo per la sua mentre stanca. Si arrese e si sintonizzò infine sul il notiziario delle dieci e, come immaginava, la prima pagina riguardava un caso a lei ben noto. La giornalista impettita leggeva:

«Per ora non ci sono ulteriori novità per quanto riguarda il pacco bomba recapitato all’onorevole Oketo Taishi. La polizia mantiene il massimo riserbo sulle indagini e non esclude alcuna pista»

“Mmh, un modo elegante per dire che non sappiamo che pesci prendere” commentò scettica sorseggiando la sua birra.
Aveva deciso di occuparsi del caso perché non le non tornavano alcuni elementi e, dopo aver incontrato di persona l’onorevole, aveva iniziato a sospettare che lui nascondesse qualcosa. Che l’attentato fosse stato tutta una farsa? Forse volevano far passare in sordina qualche infiltrazione importante all’interno del partito, sapeva che c’erano alcuni volti nuovi che erano saliti ai vertici con una velocità sospetta. La situazione puzzava di marcio e sebbene fosse brava nel suo lavoro aveva sentito il bisogno di chiedere aiuto a qualcuno più capace di lei. Poggiò il vassoio con i resti del pasto sul tavolino di fronte e abbandonò il capo sullo schienale, chiudendo per un attimo gli occhi. Sospirò profondamente.
Era inutile, aveva creduto che sarebbe stata una difficoltà passeggera, ma ormai erano quindici mesi – suo malgrado era precisa in tutto – che non lavorava più con lo stesso entusiasmo di un tempo. E pensare che all’inizio si era convita di riuscire a farcela tranquillamente da sola… che stupida, se ne rendeva conto solo in quel momento. Ogni giorno sentiva la mancanza di quel poliziotto, l’unico ad avere la sua completa fiducia, il solo che con la sua presenza discreta riusciva a infonderle sicurezza; senza quel detective, all’apparenza impacciato e dimesso ma terribilmente arguto, il lavoro aveva perso la sua bellezza, svuotandosi a mero esercizio di routine.
Makimura era stato il suo primo vero amico e anche il primo ragazzo a parlarle senza secondi fini. L’aveva colpita il primo giorno di lezione all’accademia, col suo essere sempre defilato, lo sguardo concentrato e poco incline alla conversazione con i colleghi. Si erano ritrovati seduti accanto per caso e vicini sembravano davvero due mondi totalmente agli antipodi. Lei si era messa in tiro per l’occasione, era l’inizio del capitolo più importante della sua vita e aveva voluto essere al meglio, anche per poter suscitare l’ammirazione di tutti e nascondere l’inevitabile nervosismo che l’aveva attanagliata. Dal suo ingresso nell’ampia aula quadrata non c’era stato ragazzo che non l’avesse mangiata con gli occhi e ciò le aveva dato un senso di potere inebriante, confermando la sua tesi che gli uomini non sarebbero mai stati al suo livello e che la sua bellezza, opportunamente usata, le sarebbe servita molto anche lì. Quel suo strano compagno di banco, però, non l’aveva minimamente considerata, preso com’era dai libri e dalla lezione, perciò aveva deciso di fare la prima mossa – cosa inusuale per lei – e presentarsi durante l’intervallo tra una lezione e l’altra. Era curiosa di scoprire chi si nascondeva dietro quel lungo ciuffo corvino e ampi occhiali a goccia.

«Buongiorno, visto che da oggi saremo colleghi credo sia giusto presentarci. Io sono Nogami Saeko» disse in tono formale sfoderando un sorriso di circostanza.
Il ragazzo alzò il capo e, dopo essersi sistemato gli occhiali con l’indice, si girò verso di lei.
«Makimura Hideyuki, piacere di conoscerti collega» rispose con un timido sorriso, mentre le allungava la mano lievemente impacciato.
Saeko rimase spiazzata. In quel sorriso sincero e in quegli occhi buoni non vi era alcuna traccia di malizia; non le era mai capitato di incontrare un ragazzo simile e neanche pensava sarebbe stato possibile. Ripresasi dallo stupore strinse quella mano così affabilmente porta; all’inizio quel gesto l’aveva stranita – le strette di mano erano roba da ragazzi – ma quel contatto non la disturbò, al contrario.
«Nogami hai detto? Allora sei tu che hai fatto il primo posto all’esame d’ingresso! Complimenti, devi essere davvero in gamba» disse portandosi una mano dietro alla nuca.
«Ehm, sì grazie» rispose, sentendosi lievemente imbarazzata e odiandosi per questo.
Non vi era invidia in quelle parole e gli occhi nocciola continuavano a guardare dritti nei suoi, senza mai scendere sulla scollatura procace. Come era possibile? In quel momento rientrò il professore e mentre preparava il quaderno per gli appunti lo sentì sussurrare.
«Tranquilla Nogami, non c’è bisogno di essere nervosi. Andrà bene, brava come sei non avrai problemi»
Si girò di colpo e, quando vide un sorriso un po’ impacciato ma sincero incorniciargli il volto, sentì nascere dentro di sé uno stupore mai provato prima. Gli rispose con un semplice cenno del capo per poi tornare concentrata sulla spiegazione. Non riusciva a credere che quel ragazzo timido avesse capito il suo reale stato d’animo, pensava di essere diventata bravissima nel nascondere le sue emozioni in profondità. In quel momento si rese conto di essere stata troppo affrettata nel giudicare gli uomini: forse aveva trovato un amico.

Sospirò, mantenendo gli occhi chiusi. Gli anni dell’accademia erano stati i più felici della sua vita. Per lei, che si era lanciata strenuamente nello studio, sapere di poter passare ogni giorno in compagnia di Maki era un conforto incredibile; adorava la sua presenza rassicurante e ammirava quel ragazzo che, sebbene fosse più brillante di lei sotto molti aspetti, era così modesto da sembrare a prima vista il più incapace degli studenti. Senza rendersene conto era quasi diventata dipendente dalla sua presenza man mano che passavano i mesi, e il solo saperlo seduto accanto a lei era una condizione sufficiente per infonderle sicurezza, spronandola a dare il meglio di sé. Lo considerava il fratello che non aveva avuto ed era felice di poter fare affidamento su una persona così responsabile, buona e gentile come Hideyuki. Con lui aveva gettato la maschera, anche perché era del tutto inutile: lui era l’unico capace di vederla per quello che era davvero, non come la figlia del capo della polizia o come la bellissima ragazza da conquistare. Per lui era semplicemente Saeko, con i suoi pregi e i suoi difetti, e quella consapevolezza le aveva riempito il cuore come mai le era capitato in vita sua. Maki era entrato in punta di piedi nella sua vita per stravolgerla completamente tanto che, verso la fine del corso, stentava a riconoscersi in quella ragazza fredda e disillusa degli anni precedenti.
Riaprì gli occhi di scatto. Si sentiva così sciocca nel voler indugiare sul passato ma non riusciva a fare altrimenti, sicuramente l’averlo rivisto poche ora prima aveva influito sui suoi pensieri. Lentamente si alzò e si diresse in bagno per preparare la sua solita coccola serale, che l’aiutava a distendere i nervi e dissipare la tensione che sentiva accumularsi quotidianamente sulle spalle. Lasciò scorrere l’acqua calda nella vasca e, dopo aver lanciato una manciata di sali da bagno, andò in camera da letto dove iniziò a spogliarsi. Ripiegò accuratamente la camicia e la gonna sulla poltroncina in velluto e poi, quando slacciò la fondina con i coltelli dalla coscia, non poté fare a meno di soffermarsi sul cinturino in pelle, su cui era inciso il primo kanji del suo nome e ci passò sopra un dito con delicato affetto. Gliel’aveva regalato Maki al termine del corso ed era l’unico regalo che le avesse mai fatto. Non poteva fare a meno di indossarlo ogni giorno, sia per essere pronta a difendersi in ogni evenienza, e sia perché, in qualche modo, le sembrava di averlo sempre vicino.

«E questo cos’è?» chiese sorpresa, sollevando dal pacchetto una fascia in pelle dalla forma irregolare e con il lato interno scamosciato.
All’inizio le era sembrata una cinta, ma era troppo corta e quella strana aggiunta l’aveva stranita.
«È una fondina per coltelli» sorrise lievemente impacciato.
«Non avevo idea che esistessero cose del genere» esclamò sorpresa, esaminandola meglio.
«No infatti, è una mia invenzione»
«Non ci credo Maki, l’hai fatta tu?! Ma sei bravissimo!»
Fu davvero sorpresa nel constatare come fosse ben fatta, rifinita con dei rinforzi metallici sui bordi degli alloggi destinati ai coltelli da lancio, l’arma in cui eccelleva. Il suo amico era sempre pieno di risorse.
«Ma no, non sono un granché!» gesticolò imbarazzato «Ho semplicemente realizzato il modello su carta e poi ho chiesto una mano al mio calzolaio di fiducia che ha provveduto a ritagliare la pelle, mentre l’assemblaggio e le rifiniture le abbiamo fatte assieme. Devo dire che ho imparato tanto… Allora ti piace?»
«Sì… Sì molto» rispose commossa, portando il prezioso dono al petto.
Nessuno aveva impiegato così tanta cura nel regalarle qualcosa e in quel momento si sentì speciale. Avvertì come l’impulso di abbracciarlo ma si trattenne, non sarebbe stato appropriato.
«Come ti è venuta l’idea? Io non ci avrei mai pensato»
«Beh, ho avuto l’ispirazione durante l’ultima esercitazione al poligono, quella con i bersagli mobili. Sei diventata bravissima con il lancio dei coltelli, però ho pensato che se potessi averne più di uno addosso, magari in un luogo ben nascosto e facile da raggiungere, potresti davvero non aver bisogno della pistola. Poi, visto che indossi sempre la gonna, mi è venuto in mente che un buon posto sarebbe stato…» ma si interruppe, arrossendo visibilmente «Insomma, sotto la gonna non si noterebbe affatto. La lunghezza del cinturino dovrebbe essere giusta… ma questo non vuol dire che non abbia visto niente, anzi…ma no, che dico?! Volevo dire no, non ti ho guardato…» borbottò nel panico più totale.
Saeko non poté fare a meno di ridere; quel suo caro amico era così adorabilmente impacciato!
«Maki tranquillo! So che non sei quel tipo di ragazzo» e sorridendo continuò «Ho capito, lo devo allacciare all’altezza della coscia giusto? Davvero un’idea fantastica, ma da te non potrei aspettarmi diversamente. Ah e questo?» aggiunse, notando il kanji inciso appena sotto la fibbia.
«Volevo personalizzarlo perciò ho voluto usare solo quell’ideogramma che secondo me ti rappresenta in pieno. Sono convinto che sarai la detective più brillante di tutti» e, ancora con il viso leggermente arrossato, la guardò negli occhi leggermente più serio.
Sentì una stretta al petto. Quegli occhi non furono semplicemente buoni e ridenti, ma per qualche secondo li vide traboccare di una luce e un calore così grandi che si sentì travolgere. Se non fosse stata la ragazza smaliziata che era sicuramente sarebbe arrossita, tuttavia fu costretta a distogliere subito lo sguardo da quegli occhi che l’avevano accecata come un sole fulgido. Aveva imparato a conoscerli bene e quella luce non l’aveva mai vista prima. Veloci iniziarono a rincorrersi alcune domande nella sua testa: era possibile che Maki non la considerasse più una semplice amica? E soprattutto, perché quello sguardo aveva avuto su di lei un effetto così forte da lasciarla turbata?

Saeko riemerse dal ricordo sospirando. Quelle prime domande avevano decretato la fine della sua imperturbabile sicurezza, e da allora non le era stato possibile ritrovare la pace degli anni da studentessa. Nei primi mesi di servizio, quando ancora non lavoravano in coppia, aveva provato a convincersi di aver frainteso tutto, ripetendosi che lei aveva voluto vedere nei suoi occhi buoni qualcosa che in realtà non c’era mai stato. Quando, però, si incontravano durante l’immancabile riunione settimanale, tutti i buoni propositi coltivati nei giorni precedenti crollavano. Nel salutarla Maki le dedicava sempre quel fugace sguardo così luminoso e colmo d’amore che immancabilmente la faceva vacillare, così non aveva mai smesso di chiedersi se l’amasse davvero. Lui, da perfetto giapponese qual era, rendeva i suoi reali sentimenti di difficile interpretazione; i suoi modi e i suoi gesti erano rimasti quelli di sempre, non si era mai tradito, mai una parola fuori posto. Poteva essersi sbagliata? Quegli sguardi e quei sorrisi sottintendevano un sentimento più forte dell’amicizia o erano solo sue stupide paranoie? Su una cose era certa: anche se esteriormente era riuscita a mantenersi imperturbabile come sempre, aveva perso completamente la sua serenità interiore. Le bastava vederlo avvicinarsi per sentirsi tremare ma allo stesso tempo attendeva impaziente ogni incontro; gradualmente il suo volto era diventato una presenza fissa nei suoi pensieri sia di giorno che di notte, quando cercava inutilmente di scacciarlo via tra le lacrime. Eppure non poteva abbandonarsi all’amore, era il suo orgoglio a urlarlo a gran voce. Doveva pensare al lavoro che aveva così faticosamente ottenuto, a fare carriera mostrando a tutti, suo padre incluso, che non era grazie al suo cognome che si era fatta una posizione in quell’ambiente così duro. Era stata la prima del suo corso e sarebbe stata la migliore dei detective, l’aveva giurato a se stessa. Se si fosse lasciata distrarre dall’amore sicuramente avrebbe perso di vista i suoi obiettivi, e poi non poteva permetterselo altrimenti proprio lei, che aveva giudicato con biasimo le ragazze che sognavano di diventare sposine, sarebbe diventata esattamente ciò che aveva sempre rifiutato. Il suo amor proprio non avrebbe potuto sopportare uno smacco simile.
In quella situazione così complicata, in cui stava infuriando una lotta interna terribile ma invisibile in superfice, con un infelice tempismo ad aggiungere benzina sul fuoco ci aveva pensato suo padre il giorno di quel fatidico pranzo. Dopo quella spiacevole conversazione le era risultato palese il non poter assolutamente confessare di amare qualcuno, ciò l’avrebbe irrimediabilmente condannata a sopportare i sorrisini beffardi e lo sguardo di vittoria di suo padre, finalmente soddisfatto di veder sistemata quella sua primogenita così indipendente e indomabile. Era una ragazza troppo orgogliosa e troppo ambiziosa per poter ammettere di avere avuto ripensamenti o di aver sbagliato, odiava essere dalla parte del torto e così, a seguito dell’ennesima notte insonne, aveva preso la risoluta decisione di reprimere con forza quei sentimenti nascenti, non doveva far sbocciare quei germogli d’amore che qualcuno aveva provato a coltivare teneramente.
L’occasione per mettere in pratica il suo proposito le si era presentata qualche settimana dopo, quando venne trasferita d’ufficio nella stessa squadra di Makimura; avrebbero iniziato a lavorare come coppia fissa. Con la fermezza dettata dall’eccessivo orgoglio aveva rimesso la maschera di algida freddezza e lo aveva affrontato. Era stato indispensabile mostrarsi il più distaccata possibile, doveva ad ogni modo scoraggiare i dolci attacchi di cui era vittima, sapeva che non li avrebbe retti ancora a lungo, perciò aveva scelto con cura le parole più dure possibili con cui salutare il suo caro collega. Dentro di sé, però, si era odiata per il suo comportamento, Maki era la persona a cui teneva di più e la stava ferendo ingiustamente, ma non aveva visto altre alternative. Come risultato immediato il loro rapporto si era visibilmente raffreddato, l’uomo era diventato ancora più concentrato sul lavoro e, sebbene non avesse smesso di trattarla con gentilezza, aveva fatto sparire definitivamente quello sguardo che le aveva fatto tremare il cuore più volte.
Sorrise amaramente. “Non tollero debolezze” gli aveva detto quel giorno, ma in realtà quelle parole era dirette solo a lei. Non conosceva nessuno più forte di Maki: il suo duro lavoro, il suo spirito di abnegazione, la sua bontà e sensibilità, il suo forte senso di responsabilità verso l’amata sorellina…come poteva essere debole un uomo come lui? No, era lei ad essere stata non solo debole ma anche codarda, lei che per non smuoversi dalle sue stupide posizioni aveva giocato sporco, ferendo lui e se stessa. Se avesse avuto la possibilità di tornare indietro, sicuramente avrebbe modificato l’andamento della sua storia.
Riguardò nuovamente il cinturino, l’ideogramma impresso a fuoco. 
“Credo che ora abbia assunto un altro significato che forse mi rappresenta meglio1” pensò amaramente.
Fredda, oramai sapeva di essere stata considerata così da colui che un tempo le aveva riservato quegli sguardi che, se avesse avuto modo di ricevere ancora, l’avrebbero potuta sciogliere. D'altronde non era quello che le era capitato proprio poche ore prima? Al solo pensiero riappoggiò di scatto il fodero. Non le sembrava vero di aver avuto modo di riassaporare quel dolce calore nel petto che pensava non avrebbe più provato. Raggiunse il bagno, fece una doccia veloce quasi a voler scacciare i pensieri malinconici che oramai quasi ogni sera l’attanagliavano, e poi si immerse nella vasca calda, beandosi della sensazione di tepore e leggerezza che solo il bagno serale sapeva concederle. Tutto era silenzio nel bagno cieco, il lento gocciolio del lavandino scandiva il passaggio dei secondi, e Saeko cercò di liberare la mente il più possibile, sebbene sapeva essere un’attività vana.
Durante gli anni di collaborazione con Makimura era riuscita a mantenere la sua imperturbabile indifferenza, dedicandosi anima e corpo al lavoro con eccellenti risultati, soltanto perché lo sapeva al suo fianco. Lo riteneva il più grande dei controsensi, ma era la verità in fondo. Da quando lui aveva lasciato la polizia, da quando ogni mattina vedeva quella scrivania così dolorosamente vuota, si era accorta di non essere così forte come credeva. Mentre si sforzava in tutti modi di non far cadere le apparenze, di mostrarsi come la sicura e affascinante detective di sempre, si era ritrovata a combattere tenacemente contro una parte di lei che sentiva sempre più vulnerabile. Ogni giorno che passava senza Maki portava con sé un’ombra dolorosa che andava accumulandosi nel suo animo, come i detriti portati dalla corrente di un fiume; era una sofferenza nuova, che l’aveva colta impreparata ma che sentiva di dover meritare. Aveva peccato di presunzione in quegli ultimi anni, i continui successi avuti in coppia con il suo brillante collega l’avevano inebriata a tal punto da farla sentire infallibile, e proprio quando si era cullata nei suoi sogni di gloria era stata strattonata verso il basso nel modo più brutale possibile. Era stata troppo zelante durante quell’indagine e, nonostante gli inviti di Maki alla prudenza, aveva fatto di testa sua e lui alla fine aveva assecondato la sua idea… quell’idea che aveva portato alla morte dell’agente Ōmori. Al solo pensiero sentì una fitta allo stomaco, era ancora una ferita aperta. Avevano sbagliato in due ma, come c’era da aspettarsi, lui si era voluto far carico di tutte le colpe e a nulla erano valse le sue rimostranze; aveva temuto per lui una nota di demerito o un possibile trasferimento, non sospettando che il suo caro collega aveva ben altro per la testa e arrivasse addirittura a dimettersi. Maki incarnava la figura del poliziotto ideale, racchiudendo in sé tutte le migliori caratteristiche umane e professionali, e non riusciva a immaginarlo in nessun’altra veste. Le ci era voluta una settimana per riprendersi da quel vuoto improvviso, e un’altra per metabolizzare che il detective brillante e integerrimo era diventato il partner di City Hunter. Quell’uomo non aveva mai smesso di sorprenderla.
Prese un respiro profondo e con rapido guizzo portò la testa sott’acqua per alcuni secondi, buttando fuori l’aria a piccole bolle; era un vezzo infantile che tendeva a replicare quando non sapeva come esternare la sua frustrazione. Riemerse e, con uno sbuffo, si portò i capelli all’indietro, per poi poggiare il capo sul bordo della vasca.

«Ciao Saeko» disse una voce alle sue spalle.
Restò imbambolata per la sorpresa, la mano con la chiave del portone ferma a mezz’aria. Non lo vedeva da due settimane, ovvero dal giorno prima che lasciasse in sordina la centrale come l’ultimo dei delinquenti. Il cuore le saltò in petto, felice di rivederlo, ma si impegnò a riacquistare la calma quando si girò per guardarlo.
«Makimura che ci fai qui?» chiese non riuscendo a nascondere un moto di sorpresa.
«Vorrei darti una notizia, immagino sarai stanca e vorrai rientrare subito, quindi sarò veloce. Ci tenevo a dirtelo di persona il prima possibile» e guardandola negli occhi con espressione ferma aggiunse «Ora collaboro con City Hunter»
Saeko si sentì travolta da un macigno.
Il lungo viale trafficato si silenziò di colpo, la sua mente non fu capace di percepire altro mentre le rimbombavano quelle parole cupe e improvvise come un tuono feroce. Collaborare con City Hunter… Makimura, il brillante detective, era diventato un fuorilegge?
«Maki ti sembra questo il momento di scherz…» ma il sorriso le morì in gola.
L’uomo la fissava come mai aveva fatto prima. Era spaventosamente serio, stentava a riconoscerlo.
«Devo fare ammenda, ho commesso un errore imperdonabile…»
«Non è solo colpa tua, io sono colpevole quanto e forse più di te!» gli urlò senza riuscire a controllarsi.
Nonostante si fosse imposta di restare impassibile una piccola parte del suo dolore era riuscita a fuoriuscire. Vederlo così angustiato le straziava il cuore. Hideyuki la fissò sorpreso e raddolcì per un attimo lo sguardo prima di tornare serio e risoluto.
«Non riesco più a vedermi come un poliziotto, non dopo quello che è successo. La centrale mi era diventata un luogo invivibile, troppe regole e anche troppe finzioni. Ho capito che in alcuni casi bisogna uscire dal sentiero battuto per percorrere strade meno lecite, ma non per questo sbagliate e inefficaci. Ora, facendo parte di City Hunter, potrò agire indisturbato e raggiungere luoghi e persone che con il distintivo mi sarebbero stati inaccessibili. Anzi, così potrò svolgere ancor meglio il mio compito»
«Così passerai dalla parte del torto Maki. Come puoi schierarti con quelli che combattevi fino a qualche settimana fa? Non fare scelte di cui potresti pentirti»
Makimura scosse lentamente la testa.
«Ah Saeko, sempre così rigida» disse in uno sbuffo appena udibile e poi continuò «Sai che per vaccinare una persona le si inocula una piccola parte del male che si vuole debellare? Non lasciarti ingannare dalla forma, cerca sempre di vedere oltre. Intendo continuare a impegnarmi con tutte le mie forze per portare giustizia e supporto a chi ne ha bisogno»
«E questo City Hunter, quel criminale, sarebbe d’accordo con te?» chiese scettica.
«Sì» rispose secco «Lui già lo fa e credimi, ha più senso della giustizia lui che molti poliziotti di mia conoscenza»
Saeko fu totalmente scioccata. Non aveva mai sentito il suo collega parlare di nessuno in quel modo. Lei conosceva Makimura abbastanza da sapere quanto fosse eccezionale, col suo intuito infallibile sapeva riconoscere la vera indole delle persone, quindi non poteva essersi sbagliato. Tuttavia stentava a credere che quello sweeper potesse avere la stima del detective. Lui, poi, le sembrava così diverso, ancor più distante di prima… Come era potuto cambiare in così poco tempo?
«Maki» disse in un sussurro, le parole che uscirono prima di poterle fermare «Perché te ne sei andato via senza dirmi niente? L’ho dovuto scoprire dal nostro superiore che avevi presentato le dimissioni»
L’uomo sistemò nervosamente gli occhiali sul naso.
«È stato più facile così» ammise mestamente, guardandola come se volesse leggerle dentro. Poi cambiò argomento, distogliendo lo sguardo.
«Ho bisogno del tuo aiuto, per me sarebbe di vitale importanza mantenere i contatti con la centrale. Naturalmente potrai contare sulla nostra collaborazione per qualsiasi indagine. Te la sentiresti di fare questo favore a un vecchio amico o adesso mi disprezzi?»
Si sentì morire. Era davvero riuscita così bene nel suo intento di mostrarsi fredda e distaccata da aver ingannato proprio lui? Come era diventata ai suoi occhi? Quei pensieri la ghiacciarono all’istante.
«No… Puoi contare su di me» disse piano.
«Grazie Saeko» e girandosi aggiunse «Per contattarmi scrivi un XYZ sulla bacheca della stazione di Shinjuku, uscita est. Buonanotte e scusa il disturbo» concluse, andandosene senza aspettare una risposta. Su quel punto non era affatto cambiato, voleva avere sempre l’ultima parola.
“Forse l’ho perso per sempre” si disse con amarezza, guardando la sagoma dell’uomo scivolare via in direzione della fermata della metro Akasaka-mitsuke.

Aprì gli occhi e un brivido la percorse lungo tutta la schiena. Si era addormentata nella vasca e l’acqua ormai fredda iniziava a farla rabbrividire. Si diede dalla stupida e in fretta uscì, avvolgendosi nel caldo accappatoio di spugna. Doveva essere proprio esausta per appisolarsi durante il bagno e per di più aveva sognato quella notte per lei terribile, in cui aveva preso coscienza non solo del cambiamento di Maki ma anche del suo. Era passato poco più di un anno ma quella conversazione e quello sguardo erano rimasti scolpiti nella sua memoria. Da allora aveva sentito farsi strada pian piano dentro di lei il tarlo del rimpianto per essersi mostrata così fredda e distaccata nei suoi confronti negli anni precedenti e, per la prima volta, si era trovata a maledire quel suo stupido orgoglio. Aveva sbagliato un caso importante e aveva perso l’unica persona che l’avesse capita davvero: si era sentita sconfitta su tutti i fronti e, per cercare di superare il senso di vuoto e la frustrazione che si erano fatte compagne quotidiane, si era buttata ancor più alacremente nel lavoro, riservandosi sempre i casi più difficili. Il suo non era altro che un modo per tenere la mente impegnata, per impedirle di vagare tra i ricordi che la facevano sentire così vulnerabile. Lentamente il freddo orgoglio aveva iniziato a sgretolarsi, decretando la morte definitiva della donna che era stata. La esasperava ammettere come la sua vita ruotasse in funzione di Makimura; la vera felicità l’aveva provata solo quando si era lasciata andare, e aveva liberato la sua vera essenza grazie alla sua vicinanza. Le Saeko prima e dopo di lui erano da considerarsi dei meri spettri in confronto.
Raggiunse lentamente la camera da letto, indossò l’elegante pigiama in seta blu e, sedutasi al tavolino da toeletta, iniziò la sua routine serale fatta di creme e tonici. Per essere sempre al meglio la costanza era un presupposto fondamentale e lei, precisa e rigorosa come sempre, non trascurava mai la cura del corpo, riuscendo anche a frequentare con regolarità il corso di aerobica. Tutto ciò non solo le era utile per il lavoro, ma soprattutto per se stessa, poiché sapere che la sua bellezza fosse nel pieno del suo fulgore le dava una certa sicurezza. Mentre si spalmava la crema idratante sul viso ne approfittò per guardarsi attentamente allo specchio e fu soddisfatta dell’immagine riflessa. Aveva ventisette anni ma sembrava più giovane e le sembrò assurdo che per la società giapponese fosse da considerarsi ormai quasi fuori mercato – come odiava quell’espressione! –
“A giudicare dalle reazioni che suscito non direi proprio di essere così indesiderabile” disse rivolgendosi al suo riflesso e immediatamente il pensiero andò verso un uomo in particolare. Aveva conosciuto Ryo la prima volta che si era recata alla stazione per lasciare un messaggio in bacheca. Aveva appena impugnato il gessetto quando si era vista piombare addosso un maniaco dalle fattezze di un gigante che però, con sua grande sorpresa, si era lasciato colpire e bloccare con facilità. L’avrebbe anche arrestato all’istante se non avesse scorto alle sue spalle un Makimura leggermente imbarazzato. Le era sembrato incredibile che un tale personaggio potesse essere il tanto temuto City Hunter ma, appena ebbe modo di vederlo in azione durante il primo caso che aveva loro affidato, si ricredette del tutto. Era rimasta incredibilmente affascinata da quell’uomo dalle capacità prodigiose, così fuori dal comune in ogni senso. Stentava ancora a credere fosse giapponese, per quanto il taglio degli occhi doveva confutare ogni dubbio, poiché la sua stazza possente e la sua attitudine dirompente erano lontane anni luce da quelle di qualsiasi uomo nato e cresciuto nell’arcipelago nipponico. Se si fossero confrontati i due partner su un piano meramente fisico sicuramente Makimura ne sarebbe uscito sconfitto, però… Però se avesse dovuto scegliere con il cuore non avrebbe avuto esitazione nel preferire il suo ex collega. Lo sweeper, per quanto fosse indubbiamente molto bello – quando non faceva il maniaco – era avvolto da un’aura di mistero che inconsapevolmente la intimoriva. Non riusciva a decifrarlo, anche perché non era certo brava come Maki. Sembrava convivessero in lui due uomini diversi: da una parte il professionista serio, dalle capacità fuori da comune, e dall’altra un mandrillo in calore, ingestibile come un adolescente in piena crisi ormonale. Come potessero coesistere due universi così opposti era per lei un mistero, ed essendo una donna altrettanto complicata non si sentiva affatto attratta da quella mina vagante… Non dopo aver conosciuto Maki. No, sebbene Ryo non mancasse di esternare in modo più che palese e molesto il suo interesse nei suoi confronti ogni volta che si vedevano, lei non si sarebbe mai concessa, anche se non smetteva di incoraggiarlo. Non le ci era voluto molto per capire che qualche sguardo ammiccante e la promessa di future serate mokkori erano il migliore incentivo al lavoro per lo sweeper, perciò se ne serviva sistematicamente riuscendo, però, a svignarsela ogni volta che la cercava famelico per riscuotere il suo pagamento. In fin dei conti per lei era un semplice gioco e negli ultimi tempi aveva sospettato che Ryo l’avesse capito. Su quell’aspetto era sempre stata tenacemente rigida e seria, per questo non si sarebbe mai sognata di andare a letto con un uomo solo per divertimento. Così, se da una parte era riuscita lentamente a entrare in confidenza con il tenebroso sweeper attraverso quel gioco tutto allusioni e moine, dall’altra il rapporto con Maki era precipitato ulteriormente. Più riceveva le attenzioni di Ryo e più l’ex detective diventava sfuggente, totalmente impenetrabile e, sebbene quell’atteggiamento la facesse soffrire, sentiva di non poterlo biasimare, in fin dei conti era stata lei a voler raffreddare per prima i loro rapporti. A redarguirla, però, ci pensava la sua parte più razionale, intimandole di non crucciarsi oltre per quelle sciocche speculazioni che già avevano seriamente minato il suo equilibrio emotivo e professionale; non doveva lasciarsi indebolire dall’amore.
“Ma chi voglio prendere in giro” si disse “Questi discorsi che prima mi davano forza ora li trovo così vuoti…dopo oggi poi…”. Cacciò un sonoro sbuffo di irritazione mentre con le dita tamburellava nervosamente la superfice del tavolo. Incapace di star ferma si alzò di scatto e prese a camminare pigramente per l’appartamento senza una meta precisa, aveva solo voglia di muoversi un po’ e sentiva la testa scoppiarle.
In mattinata aveva rivisto Maki dopo due lunghi mesi. Aveva voluto vederlo e per questo aveva deciso di non lasciare un semplice messaggio in bacheca, ma lo aveva aspettato stazione, nascosta dietro un pilastro. Com’era stata felice quando aveva scorto quella sagoma così piacevolmente familiare! Le era mancato più di quanto volesse ammettere.

«Come stai Maki?» gli chiese raggiungendolo accanto alla lavagna.
Gli occhi dell’uomo si allargarono per la sorpresa.
«Saeko, non pensavo di trovarti qui» disse nuovamente controllato «Un nuovo lavoro per caso?»
Gli rispose semplicemente annuendo, se avesse parlato un lieve tremore della voce avrebbe tradito la sua emozione.
«Allora è meglio discuterne lontano da possibili orecchie indiscrete» e così dicendo rimise le mani nelle tasche del soprabito e con passo tranquillo la precedette verso l’uscita della stazione.

Si avvicinò al finestrone del soggiorno e ammirò il suggestivo panorama della città rivestita dalle luci notturne, con in primo piano la zona di Nagatachō e i suoi palazzi governativi. Appoggiò la fronte contro il vetro freddo e sospirò. A giudicare dal suo modo di parlare e di porsi aveva ritrovato un Hideyuki ancora più determinato e sicuro; il suo istinto le suggeriva che gli era successo qualcosa di importante in quei mesi di assenza, qualcosa che aveva dissolto definitivamente quell’impalpabile aurea di incertezza che non aveva mai smesso di avvolgere l’uomo.  Era contenta di averlo aspettato, aveva avvertito il bisogno fisico di passare del tempo solo con lui e, se avesse lasciato un semplice messaggio, sapeva che alla fine avrebbe incontrato i due City Hunter – il che voleva dire gestire quello sweeper fuori controllo. Maki, poi, tendeva sempre a defilarsi quando iniziavano i siparietti tra loro due e ciò era anche il principale motivo che le aveva impedito di parlare con lui per molto tempo. Chiuse gli occhi e riuscì a percepire nuovamente la gioia irrazionale che aveva provato nel camminargli accanto in silenzio, all’ombra dei grattacieli che si affacciavano sull’ampia Kita Dori fino a raggiungere il Central Park, sovrastato dall’imponente Palazzo del Governo Metropolitano che si stagliava sullo sfondo con la sua peculiare struttura a due torri. Quando si erano seduti su una panchina sufficientemente defilata aveva provato una felicità e una serenità che pensava appartenessero solo al passato ma, una volta ritrovato il suo usuale controllo, gli aveva esposto in modo preciso e puntuale la questione, non mancando di illustrare i suoi dubbi. Hideyuki l’aveva ascoltata concentrato, annuendo lievemente senza mai guardarla, in apparenza troppo occupato a studiare l’intricato disegno dei rami che si affacciavano sulle loro teste.

«[…] Spero possiate aiutarmi. Per qualsiasi altra informazione puoi chiamarmi quando vuoi, naturalmente sono sempre a vostra disposizione e vi fornirò tutto il supporto possibile» terminò, soddisfatta per la sua esposizione puntuale e priva di qualsiasi emozione.
Maki rimase in silenzio per qualche minuto e lei ne approfittò per godere del tepore così fuori stagione di quella giornata; si sentì perfettamente serena e fu costretta ad ammettere che nessun altra persona riusciva a trasmetterle quel senso di sicurezza come faceva lui, semplicemente standole accanto. Per lei, abituata a mostrarsi sempre forte e incrollabile, fu come prendere una boccata d’aria fresca.
«Che ti succede Saeko? Ti sento molto stanca, non ti starai forse affaticando troppo?»
Si voltò di scatto e vide quegli occhi così cari guardarla con una punta di apprensione misto ad amore. Sentì il cuore venirle meno all’istante. Perché riusciva sempre a vedere oltre? Perché la guardava in quel modo così all’improvviso? Per non tradirsi abbandonò immediatamente il contatto visivo, combattendo strenuamente per non mostrare il turbinio di emozioni che quel semplice gesto aveva scatenato dentro di lei.
«No, sto bene non preoccuparti» rispose in fretta, alzandosi precipitosamente «Grazie Maki, ci sentiamo» e con passo sostenuto si allontanò.

Saeko ritornò con la mente nel suo appartamento e, vista l’ora tarda decise, di andare a letto così, dopo aver lavato i denti, raggiunse la camera e si fiondò sotto le coperte. Quello sguardo aveva avuto la capacità di destabilizzarla in un modo terribile; dopo anni di latitanza era riemersa quella luce che aveva il potere di sciogliere il blocco di ghiaccio che si era costruita attorno al cuore. Le sembrava ancora incredibile. Fino al giorno prima era convinta che lui ormai la detestasse e a ragione; sapeva di averlo trattato ingiustamente e proprio il saperlo ormai perduto le aveva permesso di mantenere la maschera che indossava ogni giorno, riuscendo a tenere sotto controllo i suoi rimpianti. L’episodio di quella mattina, però, cambiava tutto. Maki non la odiava, quegli occhi erano troppo onesti per poter mentire, lui provava ancora qualcosa per lei. Improvvisamente pensò a tutte le volte che aveva flirtato apertamente con Ryo davanti a lui e se ne vergognò terribilmente, ma non poteva immaginare… Lei lo credeva ormai indifferente! Si chiese se sarebbe stata in grado di resistergli come aveva fatto quasi cinque anni prima e in impeto di rabbia afferrò il cuscino colpendolo con foga.
“Ti odio Maki, ti odio” mormorò con voce rotta “Perché sei sempre così buono con me? Perché devi essere l’unico a leggermi dentro?” e lasciò scorrere due lacrime silenziose. Si sentì dilaniata, da un lato il suo cuore indurito stava iniziando a sperare di poter finalmente godere di quel sentimento così a lungo cercato e negato, mentre una vocina fastidiosa le intimava di mostrarsi forte e di non cedere. Questa volta non era l’orgoglio a farla desistere ma un sentimento più infido e paralizzante; aveva paura. Se si fosse arresa all’evidenza dei suoi sentimenti quali sarebbero state le conseguenze? Temeva che tutto ciò che aveva così duramente conquistato sarebbe svanito per sempre. Passare il resto della vita con la persona amata poteva essere una prospettiva più invitante che dedicarsi totalmente al lavoro? Maki era gentile ma molto protettivo, forse avrebbe desiderato che lei smettesse di esporsi in prima linea… O poteva arrivare addirittura a chiederle di lasciare la polizia. E anche se avesse lasciato tutto per amore, cosa sarebbe successo nel caso in cui avesse smesso di amarlo? Senza rendersene conto era entrata in quel circolo vizioso di domande e risposte innescato dalla paura di fare la scelta sbagliata. Era già rimasta scottata una volta e non avrebbe tollerato di commettere ancora lo stesso errore. Si sentì vulnerabile e debole, odiandosi ferocemente.
 “Cosa dovrei fare?” mormorò mentre si rannicchiava su un lato, stringendo al petto il secondo cuscino. La ragione le venne in soccorso. Come primo passo doveva recuperare il rapporto di amicizia che aveva avuto con Maki, il che significava impegnarsi ad abbattere il muro che aveva sollevato tra loro anni prima. Doveva trovare il coraggio di togliersi la maschera, almeno quando era sola con lui, per mostrargli che la ragazza entusiasta dell’accademia non era morta, ma giaceva sopita in attesa di risvegliarsi. Solo così, a piccoli passi – sapeva di aver bisogno di tempo – avrebbe ritrovato l’amico e la complicità di un tempo e, allo stesso modo, avrebbe avuto la possibilità di riflettere meglio sul da farsi. Non poteva tirarsi indietro, ne era consapevole: Hideyuki le aveva lanciato quel timido segnale – da lui non poteva certo aspettarsi qualcosa di plateale – e stava a lei decidere se accoglierlo o rigettarlo come aveva fatto in passato. In quel momento le sembrò la responsabilità più grande che avesse mai avuto in vita sua; il destino di entrambi dipendeva dalla sua scelta. Affondò la testa nel cuscino, stremata.
“Ti odio, ti odio, ti odio…” mormorò come una lenta litania, finché si abbandonò al sonno in cui due occhi amorevoli la raggiunsero per cullarla dolcemente.

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1In giapponese – lingua degli omofoni per eccellenza – i nomi posso essere scritti in molteplici varianti, assumendo ogni volta un significato diverso. Nel caso della nostra detective, Saeko è composto dai kanji 冴子, avendo così il significato di “colei (bambina) che eccelle”. Tuttavia, il kanji 冴 “sae” (che sarebbe lo stesso usato per Saeba) da solo ha molti altri significati, tra cui “estremamente freddo, ghiacciato”.
   
 
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