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Autore: Red_Coat    12/02/2021    1 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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L'alba era chiara e il cielo azzurro. Quando Strife riaprì gli occhi, accolto dalla dolce voce di Aerith, un vento tiepido lo sfiorò.
Si era addormentato vicino ai suoi fiori dopo l'ennesima, dolorosa crisi, e aveva sentito la sua carezza.
Non aveva fatto incubi, come ogni giorno da quando si era rifugiato nella piccola chiesetta, ed era sempre più convinto che fosse merito suo.
Ma, nonostante questo, fu sorpreso di sentirla dire quella frase, perciò lì per lì rimase seduto a rifletterci.
Era vera, oppure faceva parte di un sogno.
All'improvviso, con la stessa premura, questa si fece riudire.
"Svelto Cloud, vieni!"
E, del tutto inspiegabilmente, il grande portone si aprì.
Il biondo lo fissò, ritrovando lucidità all'improvviso.
Aerith. Lei gli stava dicendo di ... uscire?
Perché? Aveva una certa fretta. Forse ...
Senza più esitazione, decise di ascoltarla e una volta fuori, vicino alla sua moto, vide un bambino che aveva in mano il suo telefono.
Ebbe l'istinto di ammonirlo ma poi lo vide accasciarsi a terra, e decise di accorrere ad aiutarlo.
Fu solo allora che si accorse della grossa macchia di geostigma sulla fronte e rabbrividì.
La voce di Tifa lo raggiunse dal telefono. La chiamata era ancora aperta.
Lo prese in mano, osservandolo attonito.
"Tifa?"
Perché aveva chiamato proprio Tifa?
Probabilmente perché era tra gli ultimi numeri chiamati più volte.
Il bambino tornò a lamentarsi, probabilmente gli faceva male.

«Hey!» provò a chiamarlo «Hey, mi senti?»

Lo vide cercare di aprire gli occhi, ma senza riuscirci.
E in un secondo il piano di Aerith gli fu chiaro, senza nemmeno aver bisogno di aiuto dalla sua dolce voce.
Sospirò, e di malavoglia lo prese in braccio mettendoselo sulla schiena e salendo poi in sella alla sua moto.
Un'ultima occhiata alla chiesa, un sospiro, poi assicurò il ragazzo e partì, verso coloro dalla quale aveva cercato di scappare.

\\\

Fu Marlene la prima ad udire il rombo del motore, e corse immediatamente al piano di sotto abbandonando i compiti e lasciando di stucco Barret, ch'era cosi concentrato nell'aiutarla.

«Tifa! Tifa!» esclamò dirigendosi verso la porta «Ho sentito la moto! È Cloud! È tornato!»

E, spalancando ansiosa la porta, se lo ritrovò davanti, un bambino addormentato e vestito di stracci stretto tra le braccia e quegli intensi occhi azzurri a fissarla per un istante, prima di posarsi quasi colpevoli su Tifa, che a bocca aperta non seppe che dire, se non

«Cloud ... sei tornato?»

Marlene lo vide abbassare il volto, si scostò per farlo entrare e mentre i due adulti si affannavano in quella conversazione che Strife non era intenzionato a portare avanti, i suoi occhi di bambina furono rapiti da quel ragazzino che dormiva, con una grossa macchia nera sulla fronte.
Ne ebbe paura, ma ne fu anche intenerita.

«Tifa, cos'ha?» chiese, indicando la propria fronte e poi quella del ragazzo.

La giovane parve risvegliarsi. Smise di rincorrere lo sguardo assente di Cloud e si concentrò sul piccolo orfano.

«Geostigma.» disse Strife, perentorio.

Lockhart ebbe un sussulto.

«Quindi è lui che mi ha chiamato col tuo cellulare?»

Cloud annuì, e allora finalmente la giovane decise di fare qualcosa, evitando di porre le altre mille personali domande che le balenarono in testa.
"Dove lo hai trovato?" "Dov'eri?" "Dove sei stato tutto questo tempo?"

«Ha la febbre alta.» disse invece, toccandogli il collo, bollente e fradicio di sudore «Portalo su e mettilo a letto, io chiamo un medico.»

E Cloud obbedì, lieto di potersi togliere di dosso quella sensazione assurda di fastidio e disagio che chissà come gli si era appiccicata addosso da un po’ e non aveva intenzione di lasciarlo.
Seguito dalla piccola Marlene, sempre più curiosa in merito al piccolo paziente appena arrivato.

\\\

Di tutto ciò che gli era accaduto dopo aver provato a cercare aiuto attraverso quel cellulare, il ragazzo aveva solo pochissimi, frammentari ricordi, come dei flash di un sogno confuso.
Dopo era svenuto e gli era sembrato di poter volare. Aveva visto un paio di occhi azzurri, qualcuno aveva chiesto chi fosse e lui aveva provato a rispondere. Infine il buio di un sonno pesante, mentre la febbre saliva.
Aveva fino a quel momento vissuto senza una famiglia, persa nel crollo del settore 5, imparando a comportarsi da bambino dei bassifondi per poter racimolare almeno i soldi per un pasto caldo.
In quel momento però, quando riaprì gli occhi e si vide circondato da solide mura e soffici coperte calde, per un attimo i bei tempi della sua vita sopra il piatto tornarono alla memoria e gli parve di essere nuovamente a casa. Solo quando udì la voce estranea ma dolce di una bambina, l'effetto del sogno svanì riportandolo alla realtà.

«Oh? Sei sveglio? Come ti senti?» si sentì chiedere.

La guardò, sgranando gli occhi per mettere meglio a fuoco quell'immagine.
Era una bimba graziosa, forse della sua età o un po’ più piccola, i capelli castani ben stretti in una treccia tenuta insieme da un grazioso fiocco rosa, e un sorriso rassicurante.
Si portò una mano alla fronte, ma la trovò occupata da un fazzoletto di stoffa umido.
Lo guardò stranito, quindi si mise a sedere poggiando la schiena sulla testiera in ferro del letto.

«Ah, aspetta!» fece la ragazzina accorrendo a sistemargli meglio il cuscino «Così va bene?» chiese.

Lui le sorrise annuendo.

«Grazie.» rispose, e la vide annuire a sua volta, contenta.
«Dove mi trovo?» chiese quindi, dopo essersi guardato un po’ intorno.

Era il tramonto, e la luce dorata entrava filtrando attraverso le leggere tende bianche delle due finestra nella stanza, una chiusa e una aperta.
C'erano tre letti e altrettanti comodino, un armadio riempiva lo spazio vuoto sulla parete vicino alla porta. Per il resto, nonostante fosse accogliente e solida, la stanza era scarna di arredamento.
C'era una foto sul suo comodino, che ritraeva quella bambina assieme a un uomo dalla pelle scura abbastanza muscoloso, e ad una donna dai lunghi capelli neri che messa al suo confronto sembrava abbastanza minuta.
La fissò con curiosità, e Marlene parve accorgersene perché sorrise e prese la cornice tra le mani, mostrandogliela.

«Sei ad Edge, al nuovo 7th heaven!» annunciò contenta.

Il ragazzo parve pensarci su.

«Edge?»
«Mh.» annuì la piccola «E questi sono Barret, il mio papà, e Tifa.»
«La tua mamma?» domandò allora lui.

La vide sorridere alzando gli occhi al cielo.

«In realtà, io non ho una mamma. Non ricordo nulla di lei, è morta quando ero piccola piccola. Ma si, possiamo dire che Tifa è la mia nuova mamma.» ridacchiò.

Il bambino però sembrò intristirsi.

«Oh ...» mormorò «Mi spiace.»
«Mh, Mh.» rispose lei scuotendo il capo, come per dirgli di non preoccuparsi «Io sono Marlene. E tu? Sei solo?» domandò poi.
«Mh.» annuì il giovane «Anche la mia mamma e il mio papà sono morti. Un anno fa, quando il settore 7 è venuto giù.»

Marlene lo ascoltò attenta, poi sorrise tenera e annuì.

«Mi spiace. Ma ora ci siamo noi, se vuoi. Possiamo aiutarti.»

Si sentì rincuorato. E a quel punto gli venne facile sorridere e annuire, rivelandole quasi grato.

«Sarebbe bello. Comunque, io sono Denzel.»
***

Intanto ...

Al chiarore del giorno fatidico, l'ululato di un lupo scosse a lungo l'aria, risvegliando chiunque lo avesse udito e fosse ancora avvolto tra le braccia di Morfeo, e inquietando i cuori perfino di coloro che non ne conoscevano l'origine.
Fu intenso, profondo e prolungato. Benché il sole fosse appena dietro le colline e la luce del giorno rischiarasse l'azzurro di un cielo limpido, gelò i cuori come un canto di morte.
I primi a udirlo furono proprio Rufus e i suoi Turks, pronti alla battaglia assieme allo sparuto, sgangherato esercito che si erano procurati.
La loro tenda al centro dell'accampamento, tutt'intorno gli uomini vestiti con le loro divise si riposavano imbracciando però i loro fucili, pronti ad ogni evenienza.
Erano poco meno di 200, tra SOLDIER, fanti e membri della WRO, e nel vederli Osaka sentì la rabbia salirgli al naso.

«Tsh, misere bestie. Vogliono farmi fare la fine del topo, ah?» commentò con disprezzo mentre li osservava nascosto dietro ad un gruppo di alberi.

"Con chi credono di aver a che fare, con Zack Fair? Idioti."
Kadaj rabbrividì.

«Niisan, sicuro di voler andare da solo?» chiese preoccupato.

La smorfia sulle sue labbra pallide si accentuò.

«Posso farcela.» disse, stringendo i pugni e accendendo i suoi occhi di una luce diversa, mentre sentiva i suoi poteri accrescere sempre più.

Lo scontro con Valentine gli era servito da lezione. Nella battaglia finale aveva liberato poteri che non aveva mai saputo di avere e con Valentine aveva capito come fare.
Sfoderò la spada, e prima di dirigersi verso i suoi nemici disse ai suoi fratelli.

«Tenete gli occhi bene aperti, perché oggi assisterete a qualcosa di unico. Sarà la prima volta che il lupo oltre al pelo perderà anche il vizio.»

E proprio in quel momento Fenrir cantò un lungo ululato di battaglia, e nel cuore del guerriero si accese la voglia di vincere ad ogni costo.
Fino all'ultima vita.

\\\

I primi ad udirlo furono i Turks, in attesa nella loro tenda.
Erano arrivati con largo anticipo, come da istruzioni del loro capo, e per tutta la notte non avevano fatto che tenere gli occhi ben aperti in attesa del minimo cenno di pericolo.
Nonostante ciò, quel lungo, profondo ululato ebbe l'effetto di scuoterli, tanto da farli impallidire.
Reno si alzò in piedi, impugnando il suo manganello e guardandosi intorno con gli occhi spalancati.
Tseng si mise a sedere, mettendo mano alla pistola. Elena lo seguì, avvicinandosi all'ingresso della tenda.

«L'avete sentito anche voi, quindi?» chiese il rosso, dopo averli guardati.

Il wutaiano annuì, restando in silenzio ad ascoltare.
Un lieve rivolo di vento scosse il riparo, seguito da un altro più forte che, insinuandosi tra le fessure emise un rumore simile al verso che li aveva svegliati.
Il lupo tornò a farsi risentire, ed il suo ululato stavolta sembrò riecheggiare dentro le loro menti.

«Credete sia lui?» chiese Elena, rabbrividendo.
«Non ci sono lupi in queste zone. Deve esserlo, per forza.» Reno annuì convinto, respirando a fatica.

Tseng continuò a tacere, ma le dita si strinsero di più attorno al grilletto.
E, poco prima che una raffica di vento più forte delle altre li gettasse a terra, decise ch'era arrivato il momento di tirar fuori la pistola dal fodere.
Ci fu una luce chiara, quasi accecante, poi un'altra raffica di energia ridusse la tenda in brandelli e quando poterono riaprire gli occhi di fronte a loro apparve la nera sagoma di Victor Osaka.
In alto nel cielo, circondato da sette cristalli di materia, gli occhi brillanti di luce e nelle mani globi infuocati.
Attorno a lui, delle mostruose creature di tenebra simili a tigri dalla faccia scheletrica si occupavano dei soldati, molto già morti in modo cruento, la testa tranciata di netto o la gola tagliata. Alcuni presentavano ferite sanguinanti in più parti del corpo, altri agonizzavano col sangue alla bocca coprendosi il ventre.
Victor però aveva occhi solo per loro tre. Li guardò e si guardò intorno, poi sogghignò con aria ovvia.

«Avrei dovuto saperlo che non avrebbe avuto abbastanza fegato per presentarsi.» commentò, poi intensificò la cattiveria nel suo sguardo, e fissò famelico Reno «Poco male. Mi divertirò un po’ coi suoi cagnolini, già che sono qui.»

E, senza aver nemmeno il tempo di reagire, il rosso si riscoprì intrappolato in stretti lacci di lifestream, mentre Elena cercava disperatamente di aiutarlo e Tseng fissava sconvolto il viso putrefatto e senza occhi di un irriconoscibile Reeve Tuesti.

\\\

Lentamente, un passo dopo l'altro, ad occhi chiusi Osaka iniziò ad avanzare, servendosi unicamente dei sui cinque sensi e del sesto per orientarsi.
Ad ogni passo in più sentì il legame con il pianeta farsi più forte e i suoi poteri aumentare, fino a non aver nemmeno più bisogno di guardare per vedere le energie di ogni singolo soldato nemico.
Molti avevano paura, ma non quello che stoltamente si alzò imbracciando il fucile e gl'intimò di fermarsi.

«Chi sei? Identificati!»

Dal tono usato sembrava un first, o magari qualcuno che avrebbe voluto diventarlo. Povero sventurato! In altre circostanze lo avrebbe premiato per quel coraggio. Ma non oggi. Non adesso.
Sogghignò.

«Chi sono?» ripeté canzonatorio «Tsh! Qualcuno di fronte al quale avresti fatto meglio a tacere.»

Quindi allargò le braccia e lasciò che quella nuova energia gli fluisse attorno, sollevandolo.
Era pronto. Era arrivato il momento di agire.
Aprì gli occhi, e una intensa luce chiarissima cancellò iridi e pupille, riempiendo di terrore gli astanti, mentre i sette cristalli di materia iniziarono ad apparire e vorticargli attorno, come scudo difensivo, illuminando il crepuscolari dei loro colori sinistri.
I soldati in prima fila arretrarono, quel fante stoltamente coraggioso alzò il fucile e ordinò il fuoco.

«Tsh!» mormorò schifato Osaka, accelerando il movimento dei cristalli, che presero a volteggiare intorno a lui talmente veloce che quasi i loro colori si fusero in un bianco accecante.

Dovette sforzarsi, per un incantesimo del genere. Come durante la battaglia finale, sentì di star attingendo al fondo del suo barile, al potere più grande che possedeva ma che non era in grado di sostenere per lungo tempo, e questo consumava in maniera ancora maggiore le sue energie.
Era uno sforzo quasi disumano.
Poteva sentire ogni proiettile che urtava contro il duro cristallo, e alla fine divenne insopportabile.
Urlò, e decise di levarsi dalle scatole quel fastidio. Con un'onda di energia scaraventò a terra l'avanguardia, la seconda servì per colpirli gravemente e disarmare la retroguardia.
Nel frattempo, osservandolo, Yazoo e Loz si ritrovarono a trattenere il fiato, mentre Kadaj ... non era più Kadaj, almeno non nella mente. Se non fossero stati impegnati a guardare il combattimento, guardandolo negli occhi se ne sarebbero accorti.

«Non può farcela. Sono troppi.» mormorò preoccupato Yazoo.
«Sembra stanco.» assentì Loz.

E a quel punto videro il loro fratello più piccolo alzarsi in piedi e allungare un braccio verso di lui, richiamando dalle ombre le stesse mostruose creature che avevano usato contro i soldati della WRO.
Erano due, comunque insufficiente. Si voltò a guardarli, e solo allora finalmente si resero conto del cambiamento nel suo sguardo.

«Kadaj ...» mormorò stupefatto Loz.

Yazoo invece, senza fare domande, si alzò in piedi e si unì al fratello evocando altre due belve infernali.

«Forza Loz, non volevi giocare?» lo incoraggiò.

Il diretto interessato sbuffò e li raggiunse, usando parte dei suoi poteri per evocare le ultime due creature.

«E sia, giochiamo!»

Le sei bestie scheletriche si avventarono contro i soldati più vicini e li uccisero sul colpo recidendo loro la gola, mentre Osaka, stupito, si voltò ad osservare i suoi tre fratelli.
Kadaj sorrise appena, le pupille feline si assottigliarono ancora di più.
Annuì, e per la prima volta da che lo aveva scoperto, usò il suo legame telepatico per parlargli.
Solo attraverso di esso Victor poté capire che non si trattava di Kadaj, nonostante la voce fosse la sua.
"Non farmene pentire." gli disse "Usali al meglio. Lo sai fare, lo so."
Di certo non si stava riferendo all'aiuto ricevuto da loro tre, e in un attimo nella sua mente tornarono chiare le immagini della battaglia finale, sovrapposte ai ricordi propri di Sephiroth, durante il suo ultimo giorno a Nibelheim.
Aveva combattuto così contro Zack e Cloud. Con le sue stesse abilità. Ecco dove le aveva già viste.
Erano le sue. Le stesse del Sephiroth di Nibelheim, prima della sua ascesa al rango di Dio.
Ma certo! Come aveva fatto a non capirlo prima! Il suo DNA era in parte compatibile con quello del suo Niisan, era identico, perciò tutte le abilità da sempre manifestate gli avevano permesso di eguagliarlo.
Lui era come Sephiroth, nel vero senso della parola! Ecco perché il suo Maestro aveva sempre cercato di spronarlo a dare di più. Sapeva che sarebbe potuto diventare come lui! Ma se questo poteva non sorprenderlo, a scuoterlo furono le parole di Kadaj.
Non aveva mai sentito la coscienza di Sephiroth così forte in un'altra identità. Non gli era mai capitato di trovare Sephiroth nella mente di qualcun altro che non fosse lui, e soprattutto ... questa era la prima volta che Sephiroth si faceva udire identificandosi in Kadaj, ed era la prima volta che parlava di quei poteri come se ... come se glieli avesse direttamente donati.
"Non farmene pentire."
Di sicuro non era riferito all'aiuto che stava ricevendo dai suoi tre fratelli. Tre ombre. Le sue.
Ma ... perché lo stavano aiutando? Erano consapevoli del suo sforzo o avevano solo paura per lui? Sephiroth ... se sapeva che nonostante tutto non sarebbe riuscito a usare quei poteri con la sua stessa forza, perché glieli aveva dati?
Vittorio, lui aveva detto che Sephiroth lo aveva scelto per aiutarlo a vincere. Allora ... qual era il piano? Se la battaglia finale non era stata che una farsa, se Sephiroth continuava ad essergli accanto e aveva trovato il modo di ritornare ... perché donargli parte dei suoi poteri?
Si sentì improvvisamente confuso, spaesato, ma non ebbe il tempo per risolvere quegli enigmi.
Aveva un combattimento da portare a termine prima di esaurire le forze e una guerra da iniziare, perciò, pur se a fatica, decise di lasciare da parte quei dubbi e concentrarsi sul presente.
Anche perché, proprio davanti ai suoi occhi, erano apparse tre interessanti obiettivi.
Tseng, Reno ed Elena.
I tre segugi del Presidente del nulla, anche se Shinra non sembrava essere nei paraggi.
Chiuse gli occhi, acutizzò i suoi sensi e lo cercò in tutte quelle energie.
Non c'era, era confermato.

«Avrei dovuto saperlo che non avrebbe avuto abbastanza fegato per presentarsi.» commentò con una smorfia, affatto deluso, concludendo poi con un sorriso famelico rivolto ai tre in giacca e cravatta, lanciando un particolare sguardo al rosso «Poco male. Vorrà dire che mi divertirò un po’ coi suoi cagnolini, già che sono qui.»

Anche perché aveva finalmente trovato il modo giusto per vendicare la morte di suo padre e suo figlio.
E assecondando la gioia perversa del suo cuore, Fenrir cantò di nuovo.

\\\

Con una mano comandò a robusti lacci di lifestream d'intrappolare la sua preda principale, con l'altra scagliò lo zombie di Reeve contro Tseng e lo guardò con soddisfazione prima impallidire dal terrore e poi tentare di difendersi mentre quello lo aggrediva ruggendo e allargando le grosse zanne che gli aveva fatto crescere al posto dei denti.
I due colpi di pistola che il turk riuscì a sparare non ebbero alcun effetto, se non quello di farlo imbestialire ancora di più.
Lo atterrò colpendolo alla spalla, quindi fece per azzannarlo al collo ma Victor lo fermò proprio sul più bello e scoppiò in una perfida, sonora risata, spanciandosi quasi fino a lacrimare, mentre osservava le loro facce ceree fissare quel corpo dissolversi fino a ridursi in polvere. Solo la testa rimase, macabro pegno per loro e per chi non era presente.
E mentre lo faceva, Tseng si rialzava barcollando e grondando sangue dalla spalla e dal naso. Elena accorse in suo aiuto, ma subito la loro attenzione si spostò su Reno, ancora intrappolato nelle spire dei lacci, che erano arrivate a stringere fino a farlo annaspare.

«Pensa a lui!» mormorò il wutaiano in un soffio «Devi liberarlo prima che soffochi.»

Ma a quel punto Victor intervenne nuovamente.

«Oh, non preoccuparti per il tuo collega.» disse con tono più schermitore che rassicurante «L'assassino di mio figlio non avrà una fine così facile com’è quella per strangolamento.» soggiunse facendosi mortalmente serio.

E connettendosi di nuovo con la mente di Kadaj lo chiamò, trovandolo pronto.

«Dagli tutto il geostigma che serve per lasciarlo agonizzante almeno una settimana. Anzi no, due giorni saranno sufficienti.»
«Sarà fatto, Niisan.» ridacchiò questi.

E il più velocemente possibile sopraggiunse, rendendo le sue mani pulviscolo scuro e coprendo con esse il viso di Reno, fino a farlo urlare di dolore.
Quelle grida furono melodia celeste per il cuore ammorbato da dolore e vendetta di Victor Osaka.
E le successive invocazioni dei due rimasti completarono l'estasi.

«Victor! Victor, per favore lascialo andare! Ti prego, basta!» lo supplicò Tseng, cadendo in ginocchio.

Per la prima volta completamente sottomesso alla paura. Mai, l'inflessibile Turk di Wutai aveva mostrato così apertamente i suoi sentimenti. Vederlo cadere fu un colpo anche per Elena, che si ritrovò a piangere e tremare come una bambina.
Soddisfatto, Osaka alzò una mano dando ordine a Kadaj di smetterla di torturarlo.
All'istante Reno crollo a terra privo di sensi, con una grossa macchia di geostigma a ricoprirgli metà del viso e, più tardi avrebbe scoperto, anche il braccio destro e parte della schiena.
Poi, lentamente Osaka iniziò a discendere e quando ebbe toccato nuovamente terra gli si avvicinò, un passo alla volta, senza curarsi nemmeno di Elena e dei pochi soldati rimasti che gli puntavano contro le loro armi. Erano così stanchi e spaventata da non riuscire neanche più reggersi, non sarebbero stati una minaccia, cercavano solo di difendersi.

«Tu ...» mormorò cattivo «Mi stai implorando per la vita del tuo commilitone?»

Un sogghigno deformò le sue labbra sottili. Lo afferrò per il colletto della camicia e lo tirò a sé, guardandolo negli occhi.

«Allora anche i Turks hanno un cuore alla fine, Mh?»

Ridacchiò di nuovo, sommessamente.

«Da non credere ...» lo schernì.

Tseng strinse i denti cercando di non piegarsi al dolore atroce che quella veemenza gli aveva provocato. Volle rispondere, ma il SOLDIER lo prevenne.

«Avresti dovuto pensarci prima, cagnetto.» mormorò «Ora non ti resta che accettare la tua sorte. E già che ci siamo, avvisa il tuo padrone che sto venendo a prenderlo, visto che ha rifiutato uno scontro alla pari.
Mi sono rotto il cazzo di giocare, diglielo!
Ora voglio soltanto che il sangue marcio della Shinra scompaia dalla faccia del pianeta, assieme a tutti quelli che lo hanno favorito.»

Quindi lo lasciò andare e gli voltò le spalle regalandogli un ultimo sguardo di disprezzo, mentre sentiva le forze scemare rapidamente.
Aveva bisogno di un riparo dietro al quale crollare, perciò glitciò un paio di volte e finalmente tornò dietro la macchia di cespugli che li aveva protetti.
Lì, accolto dai suoi fratelli, poté infine abbandonare le forze e chiudere gli occhi alla stanchezza, mentre l'esercito che aveva osato affrontarlo cercava di rimettersi in senso per battere un'umiliante ritirata.

\\\

«Sei stanco?»

Più che una domanda gli parve un'affermazione. Victor riaprì gli occhi e si ritrovò ancora una volta nel buio del suo subconscio. Guardò alla sua destra, e riconobbe il proprietario di quella voce bambina inconfondibile.
Il piccolo Sephiroth era di nuovo lì, ancora dietro quelle sbarre.
Lo guardava, e sorrideva.
Non rispose, anche se stavolta, stranamente, sentì di poterlo fare. Ma non ce la fece. Si sentiva ancora troppo confuso.
Il giovane albino continuò a sorridere.

«Ci sei andato vicino stavolta.» gli disse.

I suoi occhi si sollevarono verso le sbarre. Di nuovo, Osaka lo guardò senza parlare, riflettendo su quell'affermazione.
Ci mise poco, in realtà. Davvero poco.
Le sbarre. La chiave.
Doveva trovarla, le indicazioni erano state chiare.
E adesso ... ci era andato vicino? Perché ...?
Proprio adesso ...
I dubbi che aveva avuto durante il combattimento tornarono a travolgerlo tutti insieme. Lentamente, destreggiandosi tra di essi con fatica e abilità, un pensiero si fece largo nella sua mente. E mano a mano che si consolidava, sul volto del bambino si dipingeva un sorriso sottile.
All'improvviso una fulminazione. Osaka alzò gli occhi a guardarlo e finalmente se ne accorse.

«Tu ... tu non sei il vero Sephiroth, giusto?»

Il giovane sogghigno, restando in silenzio.

«Sei sempre stato dentro di me ... per tutto questo tempo.» mormorò sconvolto l'ex first class, quasi incapace di credere alle sue stesse parole «Perché?»

Ma a quel punto la risposta non era più un mistero. Una parte di Sephiroth era dentro di lui, c'era sempre stata, ed era la stessa che gli aveva permesso di eguagliarlo.
La stessa che gli aveva conferito metà dei poteri del suo Niisan.
Esattamente la metà. Ecco perché ... si era sempre sentito un passo dietro di lui.
Incompleto. Custode di un tesoro troppo grande per essere speso tutto insieme da un corpo come il suo, solo per metà degno di contenerlo.
E di colpo, così come era arrivato, quel sogno svanì e lui riaprì gli occhi, ritornando alla realtà.


\\\

«Niisan!» la voce di Kadaj lo aiutò a riemergere dalla confusione e dallo sgomento in cui si era ritrovato immerso fino al collo.

Riaprì lentamente le palpebre, e li vide. Erano tutti e tre lì, intorno a lui, che lo osservavano preoccupati.

«Oh, ecco!» fece Loz, sollevato.
«Victor, come ti senti?» chiese Yazoo.
«Hai avuto un incubo? Parlavi nel sonno ...» gli rivelò Kadaj.

Sobbalzò, preoccupato.

«C-cosa dicevo?»

I tre scossero il capo.

«Farfugliavi, non si capiva molto bene.» replicò lo spadaccino.

Osaka sospirò sollevato, mettendosi allora a sedere. Fu allora che si accorse di quel piccolo particolare. Le tenebre erano calate, ma una tenue luce illuminava i dintorni e i loro visi.
Un piccolo falò era stato acceso poco distante, il suo calore lo raggiunse avvolgendolo in un abbraccio confortante.

«Quanto tempo ho dormito?» domandò, toccandosi la tempia dolorante.

La stessa sotto la ciocca bianca.

«Un giorno.» gli rivelò Loz col suo solito tono scorbutico.
«Niisan, come mai sei svenuto? Non avevi detto di avere tutto sotto controllo?»

Si, lo aveva detto.
Ma quando non immaginava nemmeno cosa ci fosse dietro e cosa gli sarebbe costato provarci. In fondo Sephiroth glielo aveva sempre detto, perché era così sconvolto?

«Kadaj ...» lo chiamò, guardandolo negli occhi «Perché hai deciso di aiutarmi?»

Lo vide farsi serio e titubante.

«Che domande sono? Sei mio fratello, è normale che abbia voluto farlo!» sbottò infastidito, allontanandosi e voltandogli le spalle.

Non lo sapeva. O se ne era stato consapevole, aveva odiato fosse stato Sephiroth ad avere il controllo in quel momento. Lui lo avrebbe fatto ugualmente, anche senza forzature. Perché Victor era il suo Niisan!
Sorrise, e accolse l'aiuto degli altri due per rimettersi in piedi.

«Grazie, comunque ...»

Una frase sincera che valse più di qualsiasi altra cosa. Il giovane spadaccino si voltò di nuovo a guardarlo e dopo un attimo di stupore ricambiò il suo sorriso.

«Come ti sentì, ora?» gli domandò.

Bella domanda. Si stava letteralmente sforzando di stare in piedi, era affannato, e i muscoli facevano male.
Questo succedeva quando cercava di imitare Sephiroth pur consapevole di non doverci provare.
Ma doveva resistere, perciò si limitò a sorridere e rispondere con un po' di sana autoironia.

«Un elisir e sarò come nuovo, niente di grave.»

Fu Yazoo a darglielo, tirandolo fuori dalla bisaccia che si erano portati dietro.
Lo ingollò senza respirare e quando ebbe finito gli sembrò di poter tornare a respirare.
Chiuse gli occhi traendo un respiro.

«Molto meglio.» annuì.
«Si, ma abbiamo un problema Niisan.» replicò il pistolero «Sono quasi finiti, ne restano tre.»

E con la morte della Shinra erano praticamente introvabili.
Non se ne preoccupò più di tanto, però. Per due fondamentali motivi, il secondo dei quali era puramente tecnico.

«Saranno abbastanza.» disse «Una volta a Midgar raggiungeremo ciò che resta dei bassifondi e ne faremo scorta.»

Aveva accumulato talmente tanti tesori nella sua palestra da riuscire a sopravvivere almeno fino al compimento della sua missione, qualunque essa fosse.

I suoi tre fratelli sgranarono gli occhi, strappandogli un sorriso.

«Non avete mica creduto di avere a che fare con uno sprovveduto? Ho pur sempre i miei pregi, anche se sono pochi.» ridacchiò.

E a quel punto lo fecero anche loro.

«Sei davvero inarrivabile, Niisan!» si complimentò Loz battendogli una pacca sulla spalla «Ma quante ne sai?»

A sufficienza per riuscire a sprofondare un intero pianeta nella paura e nella dannazione eterna.
A proposito di questo, la nuova apocalisse zombie che aveva intenzione di portare era appena al crepuscolo, ed era arrivata l'ora di accelerare l'alba.






Nda: Come vi avevo promesso, eccovi il nuovo capitolo con una settimana esatta di distanza dal 185. Capitolo denso, ci vuole un pò per metabolizzarlo ma per me è stato bellissimo e facilissimo scriverlo. Victor si è divertito, i turks un pò meno.
E Reno è pronto per il lifestream, preparatevi a salutarlo. RIP.
Ed ora veniamo alle cose serie. Per chi si stesse chiedendo come faccia Sephiroth a comunicare con Vic attraverso Kadaj, una delle spiegazioni ve l'ho data nel capitolo col pezzo del Sephiroth bambino, l'altra ... beh, è semplice.
Qualcuno ha ipotizzato che il Sephiroth di Nibelheim dal momento in cui impazzisce diventa semplicemente un burattino nella mani della madre. E se anche in questo caso fosse stata Jenova a servirsi di Sephiroth per far breccia nel cuoricino del suo debolissimo fratellino?
Non è una conferma, solo una teoria. A voi scegliere la più bella e confacente ai vostri gusti. :D
A presto col 187!
   
 
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