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Autore: heliodor    14/02/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Niente può andare storto
 
Davanti all’ingresso della forgia ebbe un’esitazione e si fermò. Non voleva correre il rischio di incontrare suo padre, nemmeno per caso. Si appostò a una ventina di passi di distanza, poco dietro l’angolo di un edificio che incrociava quello principale e attese che Rann uscisse per recarsi alla mensa.
Non posso entrare e cercarlo alla forgia, si disse. Potrei incontrare lui.
E avrebbe dovuto rispondere a domande alle quali non voleva dare una risposta.
Attese paziente che si facesse l’ora di pranzo e vide Rann uscire dalla forgia e attraversare il cortile con passo svelto, dirigendosi all’edificio basso e lungo che ospitava la mensa.
Era fatto di mattoni grigi sbiaditi dal sole e ricoperto da un tetto spiovente dalle tegole rosse. Era lungo almeno mille passi, forse anche di più ma Valya non li aveva mai contati.
L’ingresso principale si trovava in cima a una scalinata di gradini bianchi. Non uno di essi era ancora sano e tutti avevano crepe o pezzi che si erano staccati.
Seguì Rann con lo sguardo mentre si infilava nella mensa e partì spedita. Salì i gradini in fretta evitando gli sguardi di quelli che entravano o uscivano. La maggior parte erano giovani inservienti che andavano di fretta o chiacchieravano tra loro senza guardarla. Una mezza dozzina sostava sotto il colonnato godendosi il poco riposo che era loro concesso prima di tornare al lavoro della forgia.
“Ogni giorno diventa peggio” stava dicendo uno. “Ieri Hammen ha rischiato di farsi davvero male.”
“Yolav perderà il braccio” stava dicendo un altro. “È il terzo incidente in questa Luna.”
“Prima o poi toccherà a tutti noi” si lamentò un ragazzo giovane e senza barba.
“Io non me ne starò fermo ad aspettare che mi capiti qualcosa di brutto” disse quello di prima. “Tannisk deve farlo presente a Dalkon.”
“Il vecchio Tann ha troppa paura del maledetto lupo” disse il ragazzo più giovane.
“E allora chi ci difenderà?”
Valya passò oltre ed entrò nella mensa. Otto lunghi tavoli correvano paralleli al lato corto dell’edificio. Occupavano i due terzi dello spazio totale. Il resto era destinato alle cucine ed era nascosto da un muro di mattoni.
Inservienti servivano i pasti in ciotole e piatti che depositavano sui tavoli. Chiunque poteva prenderne uno e andare a sedersi in uno dei posti liberi.
Valya non aveva fame e non le interessava che cosa avessero cucinato quel giorno, anche se l’odore di carne e verdure lasciava pochi dubbi.
Lasciò che lo sguardo vagasse per la sala alla ricerca di Rann e lo trovò seduto da solo all’estremità di uno dei tavoli. Lo raggiunse marciando decisa e sedette di fronte a lui.
Il ragazzo alzò lo sguardo dalla ciotola per un attimo e sussultò. “Mi hai spaventato” disse guardandosi attorno.
“Scusa.”
“Pensavo saresti venuta alla forgia.”
“Io” disse esitando. “Preferivo incontrarti qui.”
“Maestro Keltel è rientrato” disse. “Sembrava molto stanco.”
“Non mi interessa di lui.”
“Pensavo volessi saperlo, visto che eri preoccupata.”
“Ora non lo sono più.”
Rann scrollò le spalle.
“Hai fatto quello che ti ho chiesto?”
Annuì e infilò una mano nella tasca del vestito. Quando la vide riapparire, Valya notò un foglio nella mano. Rann l’appoggiò sul tavolo.
Lei lo prese e lo aprì. C’era un numero scritto con inchiostro nero al centro del foglio e sotto il timbro col simbolo di Ferrador.
“Sei il quattrocentoquaranta” disse Rann. “Sembri delusa.”
“Credevo ci scrivessero il nome sopra.”
“A che cosa servirebbe? Molti danno un nome falso ai giudici.”
Valya ripiegò il foglio e lo infilò in una tasca. “Ora l’altro favore che mi serve.”
Rann deglutì a vuoto. “Senti Valya, mi fa piacere aiutarti.”
“Ma?”
“Ma non so se è una buona idea. Potresti farti male e io mi sentirei responsabile.”
“Ti ho già spiegato che senza quell’armatura potrei farmi molto più male e la colpa sarebbe davvero tua.”
Rann emise un sospiro rassegnato.
“L’hai completata?”
“Sì” rispose dopo un attimo di esitazione.
Valya trattenne a stento un sorriso. “Voglio vederla.”
“Devo tornare alla forgia.”
“Ci metterò un attimo.”
“Non so se…”
“Per favore” disse con tono supplice. “Devo provarla o non avrai il tempo di modificarla, se necessario.”
Rann sospirò di nuovo. “Ci vediamo all’edifico abbandonato. Esci prima tu, io ti raggiungerò dopo.”
 
Valya cercò di non farsi notare mentre attendeva Rann davanti all’ingresso del palazzo abbandonato. Anche se non ci passava nessuno, qualcuno poteva vederla sostare in un posto dove non avrebbe dovuto esserci. Per questo motivo prese a passeggiare facendo dei giri lunghi per il cortile e quando vide il giovane aiutante di suo padre venire dalla sua parte gli andò incontro col cuore che le batteva forte nel petto.
“È pericoloso stare qui” disse Rann affrettando il passo.
“Ci metteremo poco” lo rassicurò lei.
Si diressero subito alla sala dove il ragazzo aveva nascosto l’armatura.
Rann aprì un grosso baule e tirò fuori i pezzi uno per volta. Erano di metallo brunito e non lucidato. Non si vedevano saldature e sembrava anche più solida dell’ultima volta che l’aveva vista.
“Ho rifinito tutte le giunture” spiegò Rann. “Ora non dovrebbero esserci parti che cedono all’improvviso.”
Valya lo guardò perplesso.
Lui batté sul pettorale. “Vedi? Qui il metallo è compatto, ma non spesso come nelle altre armature.”
“Cos’ha di speciale?”
Rann passò la mano sulla superficie liscia come se stesse accarezzando un bel vestito dal tessuto prezioso. “Si piega, ma non si spezza.”
“Non mi sembra una buona cosa.”
“Invece lo è” rispose lui entusiasta. “Più una corazza è dura, più è difficile spezzarla o perforarla.”
“Dovrebbe essere sempre così, no?”
“Certo, ma il metallo prima o poi si spezza e si piega, è inevitabile. Possono servire due o dieci colpi a seconda di come è stata forgiata e dall’abilità del fabbro, ma nessuna corazza è indistruttibile.”
“E invece la tua lo è?” chiese Valya scettica.
“No, non del tutto” rispose Rann. “Ma l’ho resa molto più resistente.”
“Ma se hai appena detto che…”
“Ascolta. In una corazza il metallo è molto duro e tende a spezzarsi. È solo questione di quanti e quanto forti sono i colpi che riceve. La corazza che ho forgiato io più riceve colpi, più diventa forte e resistente nel punto in cui è stata colpita.”
“Come è possibile?”
“L’ho scoperto per caso” disse Rann entusiasta. “Ho fatto delle prove senza sapere esattamente quello che stavo facendo e ho capito che potevo fare una corazza più forte rendendo meno duro il metallo. Il bello è che funziona.”
“Lo spero per me” disse Valya. “Aiutami a indossare la tua armatura magica.”
“Non è magica” disse Rann perplesso.
“Faremo finta che lo sia.”
Lui l’aiutò a indossare la pettorina e a fissarla alla schiena con dei lacci. Dal baule prese spallacci e schinieri e un elmo sul quale aveva inciso la figura di un animale con le fauci spalancate.
Valya quasi si mise a ridere vedendolo. Sembrava il disegno che avrebbe potuto fare un bambino ed era peggio di uno dei suoi. E lei a stento sapeva reggere una matita.
“È un cane?” gli chiese.
“No” sbottò Rann. “È un leone.”
“Mai visto un leone” rispose Valya scrollando le spalle.
“Nemmeno io” disse il ragazzo. “Ma zia Erla ne parlava spesso quando raccontava dei suoi viaggi a noi ragazzini del villaggio.”
“Interessante” disse Valya mentendo. “Spero che sia della mia misura.”
“È fatto in modo che si possa adattare anche a una testa piccola.”
Lei lo fissò di sbieco.
“Scusa” fece lui arrossendo. “Non volevo dire quello che ho detto.”
Valya sospirò e si abbassò un poco per facilitargli il compito. Rann fissò l’elmo a dei ganci sulla corazza.
“Così sarà più stabile e comodo per te.”
La prima sensazione fu quella di soffocare dentro quella gabbia di metallo in miniatura. Il metallo era pesante e le impediva di muoversi come avrebbe voluto. Le giunture cigolavano un poco e formavano delle leggere pieghe nella carne che le facevano male.
“Come la senti?” le ciese lui apprensivo.
“Bene” mentì.
Non c’era tempo per modificarla e avrebbe dovuto accontentarsi.
“Dammi qualcosa che posso usare come se fosse una spada.”
Rann le passò un bastone che doveva aver ricavato da un asse di legno.
“Lo uso per scacciare i topi.”
“Andrà bene lo stesso” disse Valya impugnando il bastone con entrambe le mani. Accennò un paio di fendenti muovendo il bacino a destra e sinistra. L’armatura non si oppose ai suoi movimenti e dopo un po’ fece due passi in avanti e altrettanti a destra muovendo la spada di lato.
“Allora?” chiese Rann osservandola ansioso.
“Mi sto già abituando” rispose. “Avrei bisogno di più tempo, ma l’importante è che mi protegga dai colpi più forti.”
“Lo farà” disse il ragazzo. “Ma devi stare attenta. Ogni botta che prenderai in un punto, indebolirà un poco tutto il resto.”
“Che vuoi dire?”
“Che se prendi troppi colpi l’armatura non ti proteggerà bene. Non devi farti colpire troppo.”
“Se tutto andrà come spero, sarò io a colpire gli altri. Aiutami a togliere questa roba e parliamo di cosa dovremo fare domani.”
Rann l’aiutò a togliere l’armatura. “Ancora devi spiegarmi come farai a uscire da qui con l’armatura addosso.”
“Sarai tu a portarla fuori.”
“Non posso allontanarmi dalla forgia” protestò Rann.
“Trova una scusa qualsiasi. Di’ che padron Keltel ti ha mandato a comprare qualcosa per lui.”
Rann la fissò inorridito. “No” esclamò. “Tuo padre mi farebbe uccidere se lo scoprisse.”
“Vorrà dire che dovrò andare al torneo senza l’armatura e qualcuno potrebbe scoprire che tu lo sapevi e non hai fatto niente per impedirlo.”
“Sono giorni che ti dico di non andare” protestò Rann.
“Non credo che a mio padre e alla governatrice importerebbe quello che hai detto.”
Rann assunse un’aria sofferente. “Come farò a far uscire l’armatura da qui?”
“Sei forte. Mettila in una cesta abbastanza grande, buttaci sopra un lenzuolo e portala nella Piazza della Vittoria.”
Dal bando che gli araldi avevano affisso aveva scoperto che era lì che si sarebbero concentrati i partecipanti al torneo prima del sorteggio.
“E tu dove sarai?”
“Ti aspetterò lì” disse Valya.
“Dove?”
“Non lo so di preciso, in una tenda. Ufficialmente andrò con Ferg Abbylan per assistere a qualche incontro. Il signor baffetto sa che volevo andarci e non si insospettirà troppo. Con una scusa mi allontanerò e ti raggiungerò. Tu mi darai l’armatura e mi aiuterai a indossarla.”
“E dopo?”
“Te ne tornerai alla forgia fino a sera. Il torneo andrà avanti fino al tramonto e forse anche oltre. Quando starà per finire verrai a prendere l’armatura e la riporterai dentro.”
“Mi sembra tutto assurdo.”
“Funzionerà se fai come ti dico.”
Valya aveva pensato a quel piano tutta la notte. Non riusciva a prendere sonno dopo le parole di suo padre e quello che era accaduto e le era sembrata una buona idea concentrarsi su qualcosa di diverso.
C’erano mille cose che potevano andare male e tutte si concludevano con lei che veniva scoperta e punita o finiva per ferirsi in uno di combattimenti.
A quel punto persino la prospettiva di ricevere un colpo in un duello le sembrava migliore di tutto quello che le era capitato da quando si trovava a Ferrador.
Nei suoi sogni più sfrenati vinceva il torneo e si rivelava a tutti, finendo per venire acclamata come guerriera più forte della città.
O del regno, si disse. Perché no? E forse, un giorno, anche del continente. Basta avere la spada giusta. E io ho quella spada. Niente può andare storto. Niente.

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