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Autore: BabaYagaIsBack    14/02/2021    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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capitolo venti

This Bitter Taste

Aralyn oltrepassò la soglia del cascinale inspirando a pieni polmoni l'aria mattutina, pregna dei profumi più disparati: caffè, latte caldo, pane e marmellate di ogni tipo. Per un attimo le parve di essere realmente tornata a casa, ma bastò abbassare lo sguardo sulla misera tavolata sotto al portico per rendersi conto di non essere realmente alla Tana.
Dodici sedie se ne stavano disposte malamente sotto al sole, mentre qualche confratello si aggirava per il patio sistemando le ultime cose, esattamente come era solito accadere anche nei pressi di Berna. I gemelli parevano intenti a piegare e disporre tovaglioli a lato di ogni piatto, mentre Marion, alle loro spalle, li rimproverava con amorevole severità, esattamente come una madre o una sorella maggiore.

Fu impossibile, di fronte a quella scena, trattenere un sorriso.

«Di buon umore, a quel che vedo» Garrel spuntò senza preavviso da una delle innumerevoli porte del vecchio edificio, probabilmente quella che collegava l'esterno con la cucina, viste le stoviglie che sorreggeva tra le mani e, avvicinandosi lentamente, si concesse una frecciatina tutt'altro che apprezzata: «posso solo immaginarne il motivo».
Aralyn gli lanciò un'occhiata di tralice, ma cercò di non farsi vedere infastidita - non ce n'era ragione, dopotutto.

«Ma conoscendoti, sono certo che tu ti stia sbagliando» anche Arwen fece la sua comparsa e, a passo lento, si avvicinò a sufficienza da cingere con le lunghe braccia le spalle della ragazza, tirandola quanto più possibile a sé per prendersi ancora un po' del suo calore, come se le ore spese insieme non fossero bastate o, più probabilmente, rivendicando la propria proprietà sulla sorella. Appoggiando il mento sulla testa di lei, si rivolse nuovamente all'amico, trastullandosi con una malizia inusuale per la sua persona: «E' stata la dormita più piacevole degli ultimi anni».
Il cipiglio dell'energumeno al fianco dei fratelli Calhum fece scoppiare la più giovane dei due in una timida, ma soprattutto involontaria, risata. Aralyn provò a nascondere il proprio sorriso dietro agli avambracci dell'Alpha, incrociati davanti al suo viso, senza però ottenere grandi risultati. Garrel si stava indispettendo, eppure nessuno di loro sembrava intenzionato a placare il suo malumore.
«Mi credi fesso?»
«No, solo troppo malizioso».
Le sopracciglia dell'omaccione si corrugarono, testimoniando la sua più totale incomprensione e l'aumentare, per ora silenzioso, del fastidio - e come dargli torto, visti i presupposti? Non era la prima volta che mettevano in discussione le leggi del Concilio, men che meno che ignorassero i suoi consigli; qualsiasi cosa fosse accaduta quella notte, erano certi stesse pensando Garrel, avrebbe nuovamente messo in pericolo la loro già di per sé precaria situazione. Eppure, più lui si sentiva preso in giro dal loro atteggiamento, più Aralyn si ritrovava piacevolmente divertita. Vederlo imbufalirsi per le marachelle di due fratelli, per non parlare della loro più totale assenza di responsabilità in simili circostanze, era un toccasana per il suo attuale stato emotivo - la illudeva che vi fosse ancora qualcosa di normale, nella sua vita.
Arwen però, arrivati a quel punto, decise di mettere fine allo scherzo. Liberando le spalle della sorella da una delle sue braccia, colpì con un pugno amichevole l'uomo al loro fianco: «Non abbiamo ceduto, tranquillo. Dubito saremmo passati inosservati senza il tuo impetuoso russare!» e a quella confessione, seppur amaramente, persino Aralyn dovette annuire - già, perchè alla fine, nonostante i tentativi di convincerlo, non aveva ottenuto altro che un petto su cui appoggiare la testa mentre con delicatezza le dita di lui le s'infilavano tra i capelli, cullandola in un sonno meno irrequieto del solito.

Garrel sbarrò gli occhi.
«State parlando seriamente?» La sua incredulità era palpabile, persino un ottuso avrebbe potuto capirlo - e non c'era da biasimarlo, dopotutto anche lei sembrava ancora faticare a crederci. Appena la porta si era chiusa alle spalle del loro confratello, Aralyn aveva premuto le proprie labbra su quelle di Arwen. Lo aveva fatto fino a farsi male, cercando d'infilare la propria lingua oltre i denti di lui, ma questi erano rimasti sigillati con incredibile convinzione, impedendole di dare il via a qualsiasi cosa. Si era negato a lei. Lui, l'Alpha, il maschio che più di tutti avrebbe dovuto dar sfoggio della propria virilità, del ruolo che ricopriva all'interno della loro specie, le aveva proibito sé stesso. Non erano servite né le carezze, né i graffi. Non era stato sufficiente slacciare bottoni e provare a sfilare vestiti per mettere a nudo i corpi: suo fratello l'aveva fermata. Ed era stato come venir nuovamente pugnala al cuore. Un po' come quando nelle celle di Villa Menalcan aveva realizzato il vero significato delle parole di Gabriel - ma stavolta, a dispetto di allora, nessuna lacrima aveva osato scivolarle via dagli occhi.

Arwen tornò a stringerla, facendola sussultare. Nemmeno si era accorta di essersi distratta, così provò a camuffare il proprio disappunto: «Qui in Italia ho sentito che le persone dicono una cosa in circostanze del genere "chi tace acconsente". Direi che il nostro silenzio basta, no?»

Già, perché a essere sinceri, si disse, entrare nei dettagli non avrebbe fatto altro che farla sentire ancora più a disagio.

***

Joseph infilò la chiave all'interno della serratura, ma prima di aprire rimase fermo di fronte a una porta che da troppo tempo non vedeva più - e gli fu impossibile negare che una fastidiosa stretta si stesse formando intorno al cuore. C'erano ricordi, al di là di quell'enorme anta e lui non era certo di poterli affrontare tutti, anche se doveva, per il bene di coloro a cui teneva.

Socchiudendo le palpebre si concesse un lungo respiro. Affrontare un nemico non gli era mai parso difficoltoso come, ora, oltrepassare quella soglia, eppure sapeva bene che tra gli artigli di un lupo e le pareti di un appartamento c'era una notevole differenza: i primi avrebbero potuto ucciderlo, lacerargli le carni in modo da mettere fine alla sua stupida vita, mentre le seconde, si rese improvvisamente conto, solo schiacciarlo sotto il peso dei momenti che conservavano al loro interno. Gli avrebbero fatto male, ma non gli avrebbero impedito di riprendere la propria esistenza. Certo, bisognava dirlo, se con lui fosse andata anche Leah, forse, la pressione di quel luogo lo avrebbe fatto sentire meno soffocato, però ogni volta che lei si era proposta di seguirlo lui si era opposto con maggior convinzione - era la sua guerra, era lui quello che aveva deciso di insorgere contro la propria famiglia e coloro che dall'origine della loro specie governavano una società tanto soprannaturale quanto segreta. Inoltre, quella era la casa che per otto anni aveva condiviso solo con Kyle, tra una lezione universitaria e quella successiva, un meeting di lavoro e poi un viaggio, una questione del clan e l'altra; era l'ultimo posto che desiderava visitare con un Menalcan che non fosse il suo migliore amico.

Ma perché era tornato lì? Per quale ragione aveva deciso di farsi un simile male a una settimana dalla partenza per l'Irlanda? Non bastava la consapevolezza di rivederla senza poterle correre incontro e abbracciarla, dirle tutto ciò che non era riuscito a confessarle, prima che uno stupido gruppo di licantropi chiedesse la sua testa?
A quanto pareva, no, ma a dire il vero era proprio per lei se aveva deciso di rifugiarsi in quel luogo per qualche giorno. C'erano cose che voleva portarsi via in quell'appartamento e, soprattutto, segreti da disseppellire. Quando sua madre era morta, e prima che Douglas decidesse di trasformare quella che era stata la loro camera da letto in un mausoleo di discutibile gusto, Joseph aveva lasciato che il suo disprezzo nei confronti del padre, nonché l'istinto di ribellione tipico degli adolescenti, prendessero la meglio su di lui e, di nascosto, con il favore di una delle notti sacre ad Arianrhod e la complicità di Kyle, aveva trafugato alcuni oggetti appartenenti alla donna: libri, album fotografici, un paio di vinili e persino un cofanetto pieno di lettere ingiallite. Lì in mezzo, ne era certo, avrebbe trovato qualcosa di utile alla sua causa, anche se non aveva idea di cosa, esattamente, fosse. Ricordava con vaghezza degli appunti, un messaggio, qualche numero che non aveva mai avuto la premura di approfondire - ma se Elizabeth si era preoccupata di segnare era certamente per un motivo, forse per avere una via di fuga da quel matrimonio che dopo il secondo figlio si era accorta detestare con tutta sé stessa. E se quell'escamotage poteva contrastare l'Alpha dei Menalcan, chi negava che potesse dare una possibilità anche ad Aralyn? Un'unica chance di sopravvivenza, sarebbe bastato quello, in caso il suo piano iniziale non avesse trovato appiglio sulla coscienza, o orgoglio, di Arwen Calhum.

Così, facendosi forza, Joseph poggiò la propria mano sulla maniglia e, aprendo nuovamente gli occhi sulla porta di fronte a sé, si fece strada all'interno dell'appartamento. Con il cuore stretto in gola, e i nervi tesi come corde di violino, gli bastò oltrepassare la soglia per essere investito dal fastidioso odore di chiuso, un tanfo tanto intenso da stordirlo e costringerlo ad aggrapparsi allo stipite per non barcollare. Stringendo la presa, si ritrovò a imprecare contro i propri sensi animali, in particolare nei confronti di quell'olfatto che, a causa del suo sangue puro, gli faceva avvertire ogni sentore con maggiore intensità - e se lo aveva ringraziato innumerevoli volte in passato, in quel momento non poté che detestarlo.
Coprendosi il naso con un braccio, si mosse svelto verso la finestra più vicina e, dopo qualche strattone senza risultato, riuscì a spalancare le ante.

Nonostante la pioggia battente, sporse la testa al di là del vano murario, boccheggiando nel tentativo di racimolare quanto più ossigeno possibile: persino lo smog delle strade di Glasgow gli sembrò meno malsano del fetore dentro il quadrilocale.
Con la bocca spalancata nel vuoto, e le gocce a bagnarli il capo, Joseph si rese conto che dalla sua partenza per Berna nessuno doveva aver più messo piede in quella casa e, in assenza delle direttive di Kyle, la donna delle pulizie non si era più presentata per rassettare e arieggiare gli ambienti. Gli bastò lanciare un'occhiata fugace al di là della spalla, in direzione dei primi scaffali, per confutare i propri dubbi; la polvere se ne stava placidamente depositata su ogni mensola, in attesa di essere pulita.

Fanculo, pensò picchiando i pugni sul davanzale e decidendo di tornare ad affrontare il tanfo, certo che, data la sua intensità, avrebbe impiegato ore a dissiparsi.

Joseph tornò quindi a fissare il salotto che, al suo arrivo, non aveva degnato di alcuno sguardo, troppo occupato a non soffocare. Una sensazione strana gli fece formicolare le viscere mentre, con lentezza, i suoi occhi passavano da un elemento d'arredo all'altro.
Sul divano di pelle, lì dove ricordava di aver visto decine di film e fumato centinaia di sigarette, i cuscini se ne stavano ordinatamente sistemati, quasi nessuno vi avesse mai poggiato sopra il proprio corpo. Sul tavolino di legno, il posacenere vuoto teneva fermi alcuni fogli che, senza nemmeno doversi sforzare, ricordò di aver lasciato lì: la duplice copia delle poche fotografie che erano riusciti a scattare la sera dell'attacco alla Villa, dove l'unico corpo definibile era quello di Fernando. Ora, si disse, se avesse osservato le altre bestie presenti in quegli scatti sfocati, avrebbe saputo identificare chiunque: Garrel, Luke e persino Aralyn. Oh, lei l'avrebbe riconosciuta persino a occhi chiusi.

Con un colpo di reni, lento per paura che il tanfo potesse nuovamente mettere a repentaglio il suo equilibrio, il ragazzo si fece vicino. Senza staccare gli occhi dalla cartellina di plastica in cui erano contenute le foto, avanzò fino al centro della stanza, ma una volta arrivato al cospetto di quei reperti non osò toccarli, quasi potessero avvelenarlo.

Quante cose erano cambiate dal momento in cui aveva discusso con Kyle di quei documenti. Quanto aveva perso, ma anche trovato - e quanto ancora stava rischiando, pur di salvare ciò che ora contava davvero per lui.


 
   
 
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