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Autore: FreDrachen    14/02/2021    2 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 4


Quando sentì mia madre bussare ritmicamente alla porta di camera mia avrei tanto voluto conoscere tutte le lingue del mondo per imprecare a dovere.

Ma doveva rompermi alle...otto del mattino di sabato? Ma si era fatta di qualche stupefacente negli ultimi tempi, oppure soffriva d'insonnia?

«Luca sei sveglio?»

"Adesso si" pensai acido, e di tutta risposta borbottai un debole assenso, intuendo che quel giorno non avrei più potuto sprofondare con la testa sul cuscino.

«Molto bene. Allora vieni in cucina a fare colazione. Ma fa presto che ti sta aspettando».

Aspettando chi?

Non ricordavo di dovermi vedere con qualcuno dato che nessuno dei miei amici si era più fatto vivo dopo l'incidente. Anzi no, per l'esattezza si erano presentati una sola volta in ospedale dopo che avevano smesso a tenermi buono con le benzodiazepine. Ancora ricordavo gli sguardi ricolmi di pietà e disgusto tanto che ero stato io in malo modo ad allontanarli se la mia presenza li disturbava. In cuor mio sapevo che molte amicizie erano dovute solo alla mia fama ma almeno speravo che il mio migliore amico e la mia ex mi rimanessero affianco in quel momento, ma così non era stato.

E poi ero stanco morto. Quella settimana Akira mi aveva sottoposto a un'estenuante tortura fatta di tutte le materie condensate. Si passava da inglese a chimica più velocemente della corsa di Flash, e sebbene non avessi voglia di ascoltarlo dovevo ammettere che spiegava molto meglio dei prof, ma questo non gliel'avrei rivelato neanche sotto tortura. Ma ciò non toglieva che era umanamente impossibile stare dietro a così tanta roba. Fatto sta che mi ero ritrovato interamente prosciugato di qualunque energia che avevo tutta l'intenzione di riacquistare durante il weekend.

Ancora imbambolato dal sonno mi allungai verso la sedia a rotelle su cui mi sedetti e dopo essere uscito dalla camera mi diressi verso il bagno per sciacquarmi il viso. Solo il contatto con l'acqua fredda aveva il potete di riportarmi alla realtà, almeno quel poco per fare le azioni basilari. Non ero il tipo che si accontentava di otto ore di sonno. Anche se da dopo l'incidente avevo fatica ad addormentarmi, ed era per questo che al risveglio sembravo peggio di uno zombie, e anche a mangiare. Chi mi seguiva li aveva bollati come sintomi da stress post trauma, ma sinceramente non me ne fregava nulla.

Dopo essermi sciacquato il volto e fatto tutti i bisogni essenziali mi diressi in cucina per buttare giù qualcosa giusto per far contenta mia madre, oltre che cogliere il momento per chiederle chi mi stesse aspettando.

Ma sulla soglia della cucina avvertì la mandibola cascare di botto, e immaginai la mia somiglianza con un personaggio dei cartoni animati.

Seduto al tavolo di casa mia stava calmo e placido, come il mare prima della tempesta, Akira. Sedeva al tavolo e di fronte stava una tazza colma di latte e cioccolato (il mio cioccolato per l'esattezza) e a fianco, poggiata su un tovagliolo, una brioches. In quella che era la mia solita postazione trovai disposti lo stesso tipo di cibo.
Sembrava padrone assoluto della situazione e lo odiai per quello.

Dovette avvertire il mio sguardo assassino perché alzò lo sguardo e mi sorrise come fossimo amici di vecchia data.

Che stronzo.

«Buongiorno Luca. Dormito bene?»mi salutò gioviale, calcando le parole con la presenza di un sorriso che celava ben molti significati che non mi sarebbero piaciuti.

Che stronzo parte due.

La giornata si prospettava tra quelle da dimenticare assolutamente.

Mia madre arrivò in quel momento con in mano due tazzine di caffè fumante.
Non appena mi vide accennò un sorriso dolce. Che traditrice.

«Oh Luca, finalmente sei arrivato. Forza, fa colazione. Ti aspetta una lunga giornata».

Non aggiunse altro ma intuì fin da subito che quello che mi attendeva non mi sarebbe piaciuto affatto. Ma tanto era inutile discutere con lei e manco l'avrei fatto di fronte ad Akira che mi osservava attentamente come se ci stesse studiando sotto la lente di un microscopio, essendo l'unica cavia presente dato che mia madre scomparve in cucina.

Mi avvicinai al tavolo e bevvi qualche sorso di latte e diedi qualche morso alla brioches, ma come al solito avvertì lo stomaco chiuso.

Akira dovette intuirlo perché s'inchinò un poco verso di me e fui assalito dal suo odore, per nulla fastidioso.

«Che c'è? Non hai fame Tremonti?»mi domandò con un tono saccente che odiai profondamente.

Incastrai lo sguardo con quello ossidiana di lui e bevvi tutto il latte quasi d'un fiato rischiando di farmelo andare di traverso. La nausea ammontò quasi subito ma non mi diedi per vinto.

Anzi, afferrai la brioches manco fosse il mio peggior nemico e anche quella la divorai in pochi morsi, stando attento a masticare bene i bocconi per evitare un'indigestione.

Infine bevvi il caffè ormai tiepido e per poco non sbattei la tazzina sul tavolo come a dimostrare che la sua sfida oltre che ad accettarla l'avevo pure vinta.

«Soddisfatto?»sogghignai stirando i denti in un sorriso vittorioso.

Ma...merda. Avevo una voglia matta di vomitare. Forse avevo leggermente esagerato, e la colpa era unicamente di Akira che mi aveva provocato.

Il diretto interessato sospirò rassegnato come se avesse a che gare con un caso umano. Stronzo.

«Non era per ne che dovevi mangiare ma per rimetterti in forze».

Rimettermi...in...forze? Ma stava scherzando?

«Non prendermi per il culo»gli dissi contro con enfasi, tanto da farmi risalire il cibo malamente digerito. Se non mi fossi trattenuto avrei scatenato il mio bisogno di dimettere esattamente sulla sua maglia. Quel giorno la scritta era diversa: "I cervelli domineranno il mondo". Chissà dove trovava quelle maglie strampalate. Anche durante la settimana ne aveva messe di diverse e l'una più stramba dell'altra.

Akira dovette capire il mio stato di salute perché mi fissò preoccupato.
«Luca, stai bene? Non hai un bell'aspetto».

E meno male che era intelligente.

"Se ti parlo ti vomito in faccia, e la colpa è solo tua" avrei voluto rinfacciargli ma questo avrebbe vanificato i miei sforzi di non farlo.

Per questo girai i tacchi e mi diressi spedito verso il bagno e giunto lì mi affacciai verso il gabinetto in cui sviscerai anche l'anima. I conati erano violenti mentre espellevo quello che mi ero forzatamente imposto di mangiare e per quello cominciò farmi male il torace.

Poi una mano freddina sulla fronte, che fece in modo che il mio ciuffo biondo scuro non mi finisse sul volto, mi riportò alla realtà.

Girai appena lo sguardo e incrociai gli occhi con quelli di Akira che mi fissava serio.

Vomitai ancora un altro po' e cercai di non pensare ad Akira che premuroso mi teneva, oltre che i capelli in salvo, anche le spalle affinché la forza dei conati non mi facesse perdere l'equilibrio. Sembrava muoversi con gesti esperti e mi domandai se quello fosse per lui un qualcosa già fatto in passato.

Per me Akira Vinciguerra era un mistero che non m'interessava svelare. Tanto se tutto andava come le mie intenzioni me ne sarei liberato molto presto, o almeno speravo.

«Tutto bene?»mi domandò dopo che mi fui un attimo ripreso e quasi fui tentato a rispondergli in modo sarcastico, dato che era palese che nulla andasse bene. Ma di fronte a quello sguardo intenso non capì il motivo per fui volevo parlargli sinceramente. Ci conoscevamo da appena una settimane gli avevo dichiarato guerra aperta, perché allora quello che riflettevano i suoi occhi mi metteva a disagio?

«Ho mangiato più del dovuto»ammisi, pentendomene subito dopo. Odiavo con tutto il cuore sembrare debole di fronte a qualcun altro.

Lui mi scrutò attentamente mettendomi in soggezione. Doveva davvero smetterla, era inquietante.

«A me pareva una normale colazione».

Sorrisi amaramente. «Da dopo l'incidente mi viene difficile mangiare troppo» provai a spiegargli ben conscio che non avrebbe mai capito fino in fondo. Non gliene facevo una colpa. Finché uno non lo provava sulla stessa pelle non avrebbe mai potuto veramente intuire cosa si passava.

Invece diversamente da quanto mi aspettassi lui mi fissò come se avesse realmente capito, e per questo lo fissai tra lo stupito e il sospetto. Secondo me lo aveva metabolizzato solo dal punto di vista clinico e in modo distaccato come accadeva da parte di soggetti terzi.

«Anche io dopo il mio ricovero in ospedale»disse, smontando la mia ipotesi.

Lo fissai incuriosito. Quella sua ammissione me l'aveva messo sotto una luce diversa.

M'innumidì le labbra prima di parlare. «E quando è successo?»

«Tre anni fa. Ho anche perso l'anno per le troppe assenze che avevo fatto per potermi riprendere»rispose e nei suoi occhi lessi il mio stesso identico stato d'animo. Ma prima che potessi chiedergli altro aggiunse: «Mangiare era diventato a volte insostenibile, così come dormire o anche solo respirare. A volte ero arrivato al punto che speravo di smettere di provare qualsiasi cosa. Le ferite interiori non guariscono come quelle esterne, si cicatrizzano lasciandoti rotto dentro».

Per un attimo fu a me che mancò il respiro. Neanche il mio psicoterapeuta che dopo le mie dimissioni dall'ospedale mi aveva preso in cura aveva capito realmente come mi sentivo. E invece Akira aveva espresso ad alta voce ciò che covavo nel cuore, facendomelo sentire vicino come non era mai stato durante la settimana.

Un momento. Ma. Cosa. Stavo. Pensando?

Mi liberai dal suo tocco leggero come le ali di una farfalla, e cercai di tornare in me. Mi stavo facendo rincuorare da quello che avevo deciso di considerare il mio nemico.
Ma il caldo tiepido delle sue mani a contatto con la mia pelle mi aveva fatto stare bene, come non accadeva da tempo. Cosa mi stava succedendo? Cosa andavo a pensare? Con lui non volevo avere niente a che fare.

«Rincuorarmi dicendo quello che mi aspetto di sentirmi dire fa parte dell'essere un tutor? Quanti crediti in più ti danno se fai il leccapiedi con me?»

Lui strinse le labbra, segno che le mie parole lo avevano punto sul vivo, ma si riprese un fretta assumendo di nuovo il suo aspetto impassibile. «Non é così. É quello che ho provato sulla mia pelle e a quanto pare é quello che stai vivendo anche te».

Quelle parole così cariche di sincerità mi fecero capitolare e mi persi completamente nelle sue iridi del colore dell'abisso.

No, non andava bene per niente. Dovevo attenermi al piano e non lasciarmi sopraffare dalle emozioni anche se questo necessitava di un bel po' di autocontrollo che pareva completamente estinguersi in presenza di questo ragazzo.

Cazzo.

«Se lo dici tu»mormorai scansandomi e riprendendo il controllo di me.
Notando che continuava a fissarmi gli parlai nel modo più sgarbato possibile. «Presumo che non te ne andrai finché non mi avrai sottoposto alla tortura per il tuo tornaconto, giusto?»

Volevo farlo arrabbiare, vederlo perdere la pazienza e dimostrarmi che non era un automa ma più un essere umano. Ma di nuovo si mantenne imperscrutabile.

Prima o poi l'avrei fatto crollare.

Prima o poi l'avrei fatto crollare


Ci sistemammo in salotto. In camera mia sarebbe stato troppo strano e l'avrei sentito quasi come una violazione della mia intimità. In quella stanza era racchiuso il mio dolore e la mia rabbia e questo Akira non doveva sentirli. Era e doveva rimanere uno sconosciuto con cui dovevo avere a che fare perché costretto. E poi avevo intuito che Akira fosse un tipo precisino, visto che al minimo accenno della penna messa leggermente storta la raddrizzava. Tutto quello che toccava lo metteva in ordine in modo maniacale, e per quello sarebbe inpazzito se avesse visto il caos entropico che regnava indiscusso in camera mia, peggiorato dopo l'incidente. E poi da nerd non avrebbe capito le gigantografie dei più grandi calciatori, i miei idoli indiscussi, preso com'era sicuramente da quei personaggi di cartoni animati giapponesi.

Sprofondai quasi nel divano amaranto mentre Akira si sistemò sulla poltrona di fianco correlata, e cominciò a tirare fuori dalla sua borsa a tracolla da nerd, piena zeppa com'era di così di diversi personaggi di quei cartoni animati che tanto gli piacevano, i libri per studiare.

Mia madre era già andata in camera mia a recuperare i miei ma anziché seguire l'esempio di Akira mi sdraiai comodamente incrociando le braccia dietro la testa con lo sguardo rivolto al soffitto.

Sentì un sospiro da parte di Akira ma nessuna replica. Trattenni un sorriso vittorioso. Doveva aver capito che quello era territorio mio e che ero io a dettare legge.

Ma diversamente da quello che mi aspettassi ribatté: «Sai che qualsiasi tentativo di ribellione da parte tua sarà vano? Non ho alcuna intenzione di cedere con te».

Scostai lo sguardo dal soffito per soffermarlo su di lui. «Perché? Per te valgono così tanto i tuoi crediti?»domandai mettendomi poi seduto. «Dii che sono un caso disperato e che hai fatto di tutto e io farò leva affinché ti diano questi crediti del piffero. Così saremo entrambi soddisfatti».

Vidi che soppesò le mie parole e per quello mi trattenni dal sfoderare un sorriso. Il caro retto e responsabile Akira Vinciguerra stava per capitolare. Dovevo essermi sbagliato sulla sua integrità, e in fondo non era altro che un ragazzo disposto a tutto per ottenere quello che voleva, rendendomelo più simile di quanto pensassi.

Ma la vittoria durò meno di un minuto, e si sgonfiò alle parole di Akira.

«Sarebbe tutto più semplice sai? Ma ti dirò, odio le cose troppo semplici». E per la prima volta lo vidi assumere un sorriso sinceramente divertito ma che per me aveva il sapore di sconfitta e presa in giro.

Strinsi i denti, facendoli quasi scricchiolare.

Pensava di aver vinto la guerra. Ma si sbagliava di grosso. E questo gliel'avrei fatto capire presto.

Angolino autrice:

Buonsalve *-* Buon San Valentino!
Comunque ecco un nuovo capitolo che spero vi sia piaciuto :3
Luca non ha una gioia manco il sabato e Akira ha accennato finalmente qualcosa del suo passato...vi siete fatti istintivamente già un'idea? XD sono apertissima alle vostre ipotesi ^^
Ringrazio tantissimo chi sta seguendo questa storia ❤️ spero che continui a piacervi 😍

A presto con un nuovo capitolo!

FreDrachen

   
 
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