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Autore: Enchalott    15/02/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Carissimi, mentre pubblico questo capitolo penso che la storia sul mio computer è ormai terminata e che ci stiamo davvero avvicinando alla fine. Leggere le recensioni che mi vengono lasciate è un modo per sfuggire alla malinconia che mi crea il non vivere ogni giorno i miei personaggi. Dunque ringrazio chi mi ha seguita fino a qui e mi auguro di non deludere in alcun modo le aspettative con l'ultima manciata di capitoli. Un bacio. ^^

Doppia sentenza
 
Nell’accampamento regnava un animato fermento: gli uomini smontavano con alacrità le tende e caricavano i carri, ligi alle disposizioni del principe Stelio. Gli ordini secchi impartiti dai superiori e i movimenti frenetici lasciavano intendere l’urgenza delle operazioni, spinta dall’inderogabile necessità della partenza. Erinna si trovava a una manciata di ore di cammino, ma l’insidia che li separava dalla capitale non era calcolabile in termini di tempo o di sforzo.
Si respirava una tensione diversa da quella che di solito precorreva uno scontro: ognuno era concentrato sul proprio compito e sulle proprie inquietudini con un nervosismo insolito, difficile da scovare in un’armata impavida come quella del Sud.
Dare Yoon procedette a passo spedito attraverso la smobilitazione generale, diretto alla zona occupata dagli Haltaki.
Osservò il cielo, slabbrato dal taglio rossastro e turbinante che pareva avere capo al Nord, ma che si stava estendendo con lesta voracità su Elestorya, privandola con meticoloso impegno della prima luce diurna. Si accigliò, esaminando il segnale funesto che indicava a chiare lettere il principio dell’estinzione. Corse con il pensiero ai compagni che erano rimasti a Iomhar, certo che stessero impiegando ogni risorsa per far fronte al Nemico. A sua volta era pronto a sfidare lo scoglio che individuava sulla propria strada, armato di una solidità interiore che aveva riscoperto di recente e dalla volontà di non lasciarsi sopraffare da eventi sui quali non aveva mai avuto diritto di parola. Lo scambio ardente e imprevisto con Sharen gli aveva lasciato in dono quella consapevolezza, oltre alla ferrea decisione di chiudere con gli irrisolti del passato per fronteggiare il presente in tutte le sue sfaccettature. Il colloquio obbligato con la donna di cui anni prima era stato innamorato non ne era che il principio.
Individuò la tenda decorata con le insegne della capotribù e vi si diresse senza esitazione. Le guardie all’ingresso sollevarono l’eftaster sulla spalla sinistra in atto di rispetto e gli consentirono l’accesso senza alcun alt.
 
L’unica lampada che rischiarava l’interno del padiglione gettava la sua fiamma discreta sui tramezzi di stoffa color avorio. Tutti gli arredi essenziali erano già stati portati via, persino i tappeti, così l’ambiente risultava spoglio.
Aylike si voltò, abbandonando la lettura di un documento. Gli si fece incontro, occhi bruni che luccicavano nella penombra, piedi nudi che affondavano nella sabbia fine, un lungo abito rosso che metteva in risalto il corpo provocante.
«Ti ringrazio per essere venuto.»
«Avevo scelta?»
«Non ti avrei biasimato, se avessi rifiutato l’incontro.»
Le iridi blu mezzanotte dell’ufficiale furono attraversate da uno scintillio di collera.
«Mi conosci davvero poco.»
La bailye incassò l’osservazione con più rincrescimento del previsto: le costò impegno continuare a mantenere lo sguardo in quello di lui, che le rammentava il dolce frammento di passato che avevano in comune.
«Ma se intuisci qualcosa di me» proseguì Dare Yoon adamantino «Puoi dedurre che non sono qui per te.»
Lei annuì, incrociando le braccia sul seno come se avesse avvertito sulla pelle un gelo improvviso, giunto a raffreddare ulteriormente l’alba opaca di quel dì.
«Yazad. Desideri sapere di lui, vero?»
«È mio figlio, tu cosa ne dici?»
Aylike schiuse le labbra, esitando nell’approfondire un argomento tanto spinoso, che affondava contorte radici nell’inconfessato. Una parte di lei avrebbe voluto alterare la verità e piegare i trascorsi a proprio favore.
Rincontrare Dare Yoon come un uomo forte e non più come un ragazzo alle prime armi le aveva provocato un subbuglio imprevisto, riportando a galla i sentimenti confusi che allora aveva provato per lui, conferendo loro una tonalità più definita. I suoi occhi cupi e sinceri non erano cambiati: possedeva lo stesso fascino di quindici anni prima, centuplicato da una profonda consapevolezza personale e dalle esperienze interiori vissute appieno.
Avrebbe potuto tenerlo legato a sé con una menzogna, secondo l’indicazione che il battito incontrollato del cuore le stava fornendo, ma non sarebbe stato giusto per nessuno. Sarebbe stata un’ulteriore, imperdonabile caduta. Tante volte si era posta sulla via del pentimento, sapendo di avergli arrecato del male gratuito, ma aveva rinunciato a percorrerla fino in fondo, aveva sempre trovato una scusa per non cercarlo. Per non fronteggiare il proprio grave fallo. Ora che la fine del creato li avrebbe inghiottiti, continuare a rifugiarsi nelle bugie sarebbe stato disonorevole, iniquo, peggiore di qualunque nefandezza operata dai daimar. Inoltre, Yazad era una responsabilità che le aveva insegnato a comportarsi in modo diverso. La sua coscienza la spronava a domandare grazia, a scegliere la sincerità, la catarsi. Così avrebbe fatto.
«Rispondimi, per tutte le oasi!» sbraitò il soldato a corto di pazienza.
«No! Non è tuo figlio!»
Dare Yoon spalancò gli occhi, completamente spiazzato.
«Chi credi di prendere in giro!? Pensi che io sia cieco?! O stupido?! Non gettare alle ortiche la poca dignità che conservi e non osare mancarmi di rispetto, Aylike! Lui è identico a me!»
«Sì! Siete due gocce d’acqua! La vostra somiglianza è la meritata punizione che gli dei mi hanno inviato per ricordarmi ogni giorno la mia colpa! Yazad non è tuo figlio… Yazad è tuo fratello!»
L’ufficiale elestoryano impietrì. Ogni risposta che aveva sulle labbra si volatilizzò.
La portavoce degli Haltaki fece del proprio meglio per arginare il tremito che la stava scuotendo. Si prese il viso tra le mani, esibendo una vulnerabilità mai sospettata nell’atto di nascondere una parte disdicevole di sé.
«Guardami in faccia!» intimò Dare Yoon, tagliente come una lama di ghiaccio.
«Mi dispiace…» balbettò lei, trovando finalmente l’ardimento necessario a chiedere perdono a colui che aveva lasciato senza un perché «Non ho avuto il coraggio di dirtelo! Poche settimane dopo che ci siamo conosciuti, mi sono accorta di essere incinta e… credimi, per me è stato un evento inatteso, complicato da affrontare, soprattutto con te. Il motivo lo puoi comprendere. Avevo la certezza che il bambino non fosse tuo, i tempi non corrispondevano e poi con te avevo regolarmente preso le erbe anticoncezionali. Oh, avrei voluto spiegarti, dirti addio in modo pulito, ma non potevo! Non potevo raccontarti la verità, sapendo che mi avresti tempestata di legittime domande, confessarti che il padre di mio figlio in realtà era…»
«Mio padre» concluse con amarezza l’ufficiale.
Aylike assentì, stringendo le mani l’una nell’altra, avvertendo sulle spalle la responsabilità che aveva evitato di assumersi.
«Gadyvian» mormorò «Ha detto che l’avrebbe riconosciuto, che se ne sarebbe occupato. Ha rinunciato al suo grado di generale e si è allontanato da Erinna per evitare uno scandalo, ha lasciato voi… per me! Io mi sono sentita colpevole, subdola e sono fuggita dalla città, dalla mia vita e anche da te, Dare Yoon! Se ti fossi rimasta accanto, io…»
«Tu sapevi chi ero, non è così?» sferzò il soldato con sdegno «Eppure l’hai permesso. Hai voluto fare l’amore con me e quella notte mi hai promesso dedizione e vincolo. Perché l’hai fatto, Aylike?! Forse non ti era sufficiente mio padre!?»
«No! Io… pochi giorni prima Gadyvian mi aveva lasciata. Non voleva che tua madre patisse a causa della sua infedeltà, così aveva deliberato di non vedermi più. Io ero molto innamorata di lui e non sono riuscita a farmene una ragione, ho sperato che cambiasse idea, ma non è accaduto. Poi… poi sei apparso tu, come mandato dagli dei, con la richiesta del tatuaggio con il sole a sette raggi. Tu, che avevi scelto di incidere sul tuo cuore la tua lealtà, eri così giovane, così bello e gli assomigliavi talmente tanto che mi è sembrato che lui mi fosse stato restituito! Avere te, nella mia mente accecata dalla gelosia e dallo sconforto, era come avere lui senza nuocere ad alcuno! Ho perso la testa per te, ti ho desiderato davvero, ti ho voluto bene e ho fantasticato che potessimo rimanere insieme per sempre! Tuttavia, leggendo così tanto amore nel tuo sguardo, ho compreso che ti stavo facendo del male: proprio a te che invece meritavi di essere amato con autenticità e non per brama di riscatto, non per il sangue che ti scorreva nelle vene, non come seconda scelta… e ho avuto orrore di me stessa!»
«È questa la ragione per cui mi hai letto il futuro? Ti sei sentita in colpa e hai voluto che conoscessi il mio avvenire in qualità di indennizzo all’assenza di te, dopo che hai deciso di piantarmi in asso?»
«Sì. Il vaticinio che ho estratto dalle fiamme mi ha rasserenata, anche se non mi ha resa meno detestabile.»
«Tsk! Falso, come te e tutto ciò che è uscito dalla tua bocca mendace!»
«No! Lo giuro! Ti ho detto la verità, il responso è stato molto chiaro! Dare Yoon, non so se riuscirai a provare pietà per me o per la ragazzina irriflessiva e scapestrata che ero a quel tempo. Per un attimo ho pensato di rimanere con te, facendoti credere che il bambino fosse tuo! Grazie agli dei non sono giunta a tanto! So di aver sbagliato, di averti ferito, ma una parte di me si era legata davvero a te. Il modo vile e ingannevole con cui ti ho abbandonato è stato l’unico che ho trovato per mettere fine a tutta l’ipocrisia! Perdonami! Perdonami, ti prego!»
«Fine? Hai soltanto salvaguardato te stessa! Mio padre ha scelto te e tuo figlio, mia madre ha sempre saputo che lui aveva un’altra donna e ora comprendo molte delle sue allora imperscrutabili ragioni. Quando se n’è andato per provvedere a te, lei non è mai più stata la stessa, finché è vissuta. Ma non ha mai voluto che mia sorella ed io disprezzassimo chi ci ha messi al mondo. Deciderò io quale sarà la fine, perciò tu limitati ai fatti di cui sei artefice primaria!»
La capotribù si impose di non piangere, realizzando che le sue lacrime di coccodrillo sarebbero state soltanto l’ennesimo oltraggio all’uomo che le stava davanti.
«Mirza, mio padre, mi ha allontanata con disonore dalla tribù per via del mio comportamento disdicevole, non a torto. Il provvedimento ufficiale ha posto fine ai pettegolezzi, che gli Haltaki considerano peggiori di una sconfitta. Quando Yazad è venuto alla luce, Gadyvian ed io siamo andati a vivere poco lontano da Thyda, dove i volti che si alternano tra deserto e mare cambiano in continuazione e dove nessuno possiede la curiosità di indagare sui trascorsi altrui. Lui scriveva spesso a sua moglie, non ho mai chiesto se e cosa lei gli avesse risposto.»
Dare Yoon annuì secco, mostrando di conoscere le circostanze cui si stava riferendo. Sua nonna paterna non aveva mai perdonato il figlio per quel tradimento. Aveva chiesto alla nuora di ignorare le sue missive e lei le aveva distrutte dopo averle lette. Probabilmente la nonna aveva intimato a Gadyvian di non farsi mai più vedere, ne sarebbe stata capacissima.
«Quando è giunta la notizia che tua madre era venuta a mancare, lui è sprofondato nel dolore. Avrebbe voluto rientrare a Erinna per porgerle l’estremo saluto, ma qualcosa lo ha impedito, così non si è presentato alle esequie. Dopo aver atteso tre mesi, il tempo debito del lutto, Gadyvian ha chiesto la mia mano e in questo modo ha fatto sì che io recuperassi sia i contatti con gli Haltaki sia il mio rango di korbailyis. Però, ne sono conscia, con quest’atto amorevole ha scelto di perdere per sempre te e tua sorella. Non avrebbe mai ardito ripresentarsi con una nuova, deprecabile sposa e un fratellastro che era la prova evidente della sua infedeltà coniugale, scoperchiando in voi una sofferenza ancora bruciante.»
«Lui è…?»
«È rimasto a Ebi. Non si ritiene degno di combattere per il reggente, al tuo fianco. Sa che sei il vice comandante della Guardia reale e che sei partito per Iomhar con la principessa. È fiero di te, non ha mai smesso di pensarti.»
L’ufficiale corrugò la fronte e le sue sopracciglia scure si contrassero, rendendo la sua espressione più tormentata. La guardò con riprovazione.
«Che cosa sa Yazad di questa dannata storia?»
«Praticamente tutto. Gli Haltaki non perdonano chi trasgredisce le regole. Quando sono diventata la loro bailye, ho dovuto ammettere pubblicamente la mia colpa e attendere l’assoluzione generale, sebbene Mirza mi avesse proposta come successore già da tempo. Anche tuo padre si è sottoposto al loro giudizio per essere riconosciuto come membro acquisito della tribù.»
Lo sguardo di Dare Yoon si incatenò alla fiammella languente della lampada. Dall’esterno della tenda provenivano i suoni familiari che precedevano di poco l’adunata e la partenza. Il tempo era agli sgoccioli.
«Dov’è il ragazzo?»
«L’ho mandato a sellare i cavalli. Desideravo parlarti a tu per tu.»
Il soldato si apprestò a lasciare la tenda senza aggiungere una parola.
«Dare Yoon» lo fermò Aylike, angosciata «Potrò mai ottenere il tuo perdono?»
Lui si arrestò all’ingresso del padiglione, stringendo tra le dita il telo chiaro che schermava l’entrata. Non rispose subito, come se stesse valutando la richiesta.
«È tutto ciò che avrai, Aylike. Non voglio vederti mai più.»
Uscì senza voltarsi. Una lacrima rigò la guancia della capotribù, nella tragica coscienza di averlo amato davvero e perduto per sempre.
 
L’ufficiale elestoryano trovò Yazad intento a sistemare i finimenti del suo purosangue. Si appoggiò allo steccato, osservandone i movimenti esperti, sicuri: fu di nuovo come rivedere se stesso durante i primi giorni dell’addestramento militare, con la differenza che il quindicenne Haltaki era già un guerriero.
Questi sollevò lo sguardo nella sua direzione e nel notarlo ebbe un lieve sussulto. Tuttavia gli si fece incontro, trattenendo per la cavezza un magnifico esemplare di blu roano, che esibiva un manto curato e lucido come metallo.
Dare Yoon tese la mano e l’animale la annusò, sbuffando il fiato dalle froge.
«Sembra che non abbia paura di niente» commentò con gentilezza.
«È così» confermò l’adolescente, aprendosi in un sorriso timido «Soresh sarebbe capace di gettarsi tra le fiamme, alle volte bisogna tenerlo a redine corta.»
«Qualcosa mi dice che non è il solo.»
Il ragazzo arrossì, sistemando con le dita la criniera scura del cavallo.
«Un uomo deve conoscere il proprio obiettivo e realizzarlo con tutte le proprie energie» rispose poi con educata risolutezza.
«E qual è il tuo, se posso chiedere?»
«Suppongo sia il medesimo vostro, oyketi
«Dare Yoon. Non occorre l’onorifico, il mio nome è sufficiente.»
Yazad lo fissò con leggera sorpresa, ma anche con un certo conforto: blu nel blu, nella sfumatura identica del colore intenso dell’alto mare.
«Obbligato» rispose, obbedendo al severo codice Haltaki, che lo vincolava a restare distante da un suo superiore e a mantenere la formalità con chi non era membro della sua stessa gente.
«Se è come sostieni» mediò l’ufficiale, consapevole del modo di interagire di quella tribù «Allora ci assomigliamo, non solo nell’aspetto esteriore. Vorrei dirti che ne sono lieto, ma così ti sembrerei presuntuoso.»
L’adolescente rise alla battuta, perdendo parte della sua aria impacciata. Poi tornò serio e carezzò il muso allungato del destriero.
«Ho sentito dire dal nobile Eisen che hai attraversato anydri a piedi, pur di riferire un messaggio al principe e di salvare una donna.»
«Corrisponde» confermò Dare Yoon, quasi divertito nel ripensare a quella follia.
«Ecco… so che hai perso il tuo cavallo, ho pensato che forse ti avrebbe fatto piacere montare Soresh. Se lo accetti, è tuo.»
L’elestoryano spalancò gli occhi, meravigliato: era un dono immenso e singolare. Gli Haltaki non erano soliti elargire i loro corsieri da guerra con tanta munificenza.
«Sono onorato» rispose, ricevendo le redini dal fratello minore insieme con tutto ciò che il gesto concorreva a significare «Mi dolgo di non poter offrire altro ringraziamento che la mia mano tesa.»
Yazad la prese con una certa emozione, perdendo in quell’atto l’aria di orgoglioso combattente.
«So che sei un guerriero e che la tua gente considera le manifestazioni fisiche troppo affettuose alla stregua di debolezze» proseguì Dare Yoon, abbandonando la stretta virile, come a scusarsi di quel comportamento all’apparenza troppo freddo.
«Sì. Sono ammesse solo tra coniugi e consanguinei…»
A quell’affermazione si guardarono, consapevoli e imbarazzati.
«Al diavolo!» borbottò il soldato, facendosi avanti e attirando a sé il fratello.
Yazad ricambiò l’abbraccio, cercando con pochi risultati di scacciare il magone.
«Ti avrei cercato! Al compimento del sedicesimo anno, noi membri delle tribù del deserto acquisiamo il diritto di decidere per noi stessi. Io sarei venuto da te e…»
«Ti ringrazio» replicò il soldato altrettanto commosso.
 
Tsambika assistette da lontano alla scena, stentando a credere a ciò che stava vedendo. Eppure di dubbi ne restavano pochi, a mettere insieme quanto stava guardando e le parole cariche di ansia pronunciate da Dare Yoon. Il giovanissimo guerriero nomade era il ritratto dell’ufficiale elestoryano e quella sembrava una presentazione in piena regola, compresa di ricongiunzione e di accettazione reciproca. Compì il medesimo ragionamento che il soldato aveva eseguito quando aveva scorto Yazad per la prima volta e giunse a un’uguale conclusione: il ragazzino doveva essere suo figlio e probabilmente la seducente bailye degli Haltaki era la madre.
Sebbene gli eventi fossero collegati al passato dell’uomo e non possedesse alcuna informazione sulle sue future intenzioni, la consapevolezza le provocò una dolorosa stilettata al petto. Fu come se l’ultima speranza di trovare posto nel suo cuore generoso fosse andata in pezzi. Si sostenne a una grossa botte, con l’animo in subbuglio: si era ripromessa di non cedere ai sentimenti, invece se n’era lasciata travolgere come un’incauta… e quando si erano scambiati quei baci infuocati aveva pensato di essersi avvicinata a lui di un infinitesimo e che forse, anche quando avrebbe scoperto la sua effettiva identità, Dare Yoon non le avrebbe portato rancore. Che non l’avrebbe allontanata disgustato. Che addirittura un giorno avrebbe potuto provare qualcosa per lei.
Illusioni…
Sedette sul barile e si accorse di stare tremando. Inspiegabilmente non provava né collera né gelosia, solo un immenso sconforto. Non ne attribuì la responsabilità al soldato, bensì a se stessa. L’incontro con lui tra le dune era stato un caso: non era giunta al confine estremo del mondo per crogiolarsi nel miraggio di far parte della vita di Dare Yoon, ma per scontare la propria colpa. L’obiettivo che si era posta non era mutato: era la redenzione, pagata a qualunque prezzo, non che lui ricambiasse l’amore che la riempiva come una marea. Avrebbe dovuto accettare il fatto che avesse una donna e una famiglia di cui lei non avrebbe fatto parte, che avrebbe percorso un sentiero diverso dal suo.
Per tutte le onde, fa talmente male…
La ex piratessa assunse quella posizione di remissività forzandosi, scontrandosi con il proprio carattere indomito e rincanalandosi a forza nel percorso che aveva intrapreso quando aveva abbandonato la Karadocc. Non riuscì a vincere la sofferenza interiore, ma scacciò i sogni felici dalla propria mente, riportandosi sul proprio reale proposito.
Tu sai cosa devi fare, sei qui solo per questo e non per… oh dei, aiutatemi…
«Sharen?»
La sua voce risuonò inaspettata, facendola sobbalzare. Aveva abbassato la guardia, persa nei propri ragionamenti.
«Che cosa fate quaggiù?» domandò il soldato con un certo stupore.
«Oh, ero in pensiero per voi. Prima fate discorsi disfattisti, sembrate sull’orlo del tracollo e poi ve ne andate come se aveste i demoni alle calcagna! Mi sono preoccupata non vedendovi rientrare.»
Dare Yoon inarcò un sopracciglio: tra il rimuginare e l’uscire in tutta fretta c’era stato ben altro interludio. Non era da lei evitare di rinfacciarglielo, magari con una battuta al vetriolo in grado di far arrossire anche una roccia.
E poi per lui era stato…
«È quasi ora di partire» le disse con cortesia «Mi dispiace che stanotte non abbiate riposato affatto a causa mia. Venite, vi accompagno alla vostra…»
«No! No, scusatemi. Devo incontrare il principe di Elestorya prima che l’esercito si muova! È importante!»
«Cosa? Adesso? Non credo sia il momento opportuno. Nonostante la sua disponibilità non riuscireste ad avvicinarlo.»
Sharen gli afferrò la mano e la strinse. Quel gesto gli diede una fitta d’inquietudine.
«Se ne fate richiesta voi per me, sono sicura che mi riceverà. Vi prego.»
L’ufficiale avvertì i battiti aumentare d’intensità, come se la supplica accorata avesse a che vedere in qualche misura con lui. Si soffermò sullo sguardo angosciato della straniera, sui suoi occhi a mandorla neri come la pece. Cedette.
«Va bene. Ma non vi garantisco nulla.»
 
Si diressero verso il padiglione riservato al reggente, attraversando la confusione generale. Sharen lo seguì in silenzio, rimanendo un passo indietro.
Dare Yoon si accorse del suo insolito mutismo, ma realizzò che a propria volta non aveva alcun desiderio di discorrere. Continuò a condurre il cavallo per la cavezza, con una strana sensazione cucita addosso e vari dubbi a martellargli il cervello. Entrò nel vestibolo della tenda maggiore e gli alabardieri Thaisa scattarono sull’attenti al suo passaggio. Attraversò i divisori di tela colorata per raggiungere la zona più interna dell’ambiente. Si inginocchiò con rispetto, rimanendo a distanza dal seggio decorato di sete e cuscini variopinti su cui sedeva il sovrano, sapendo di essere già stato annunciato.
Stelio si illuminò, felice di vederlo in salute.
«Vice capitano! Siate il benvenuto! Posso finalmente ringraziarvi di persona per la lealtà e l’ardimento dimostrato a discapito della vita! E per avermi riportato notizie certe di mia figlia Adara! Vi sono debitore!»
L’ufficiale chinò la testa con umiltà.
«Alzatevi! Di cosa volete parlarmi?»
«Non io, altezza. La donna che è giunta con me al campo chiede la vostra preziosa attenzione. Sono qui a suo nome.»
«Non c’è bisogno di questa formalità eccessiva, comandante» sorrise il reggente «Ci stiamo giocando l’esistenza allo stesso modo, io sono soltanto il responsabile di tutti voi. Anche se ho poco tempo, la ascolterò volentieri. Fatela entrare.»
 
Sharen avanzò lungo il tappeto ricamato in giallo e azzurro, scortata da due guerrieri Iohro e a sua volta si prostrò davanti al sovrano del Sud.
Dare Yoon osservò la sua figura minuta e snella, ammantata nella stoffa di una tenue sfumatura ciclamino, impossibile da definire nell’aspetto e nei tratti. Eppure…
«In ogni luogo dei due Regni ci si riferisce a vostra maestà come a un uomo imparziale e obiettivo» esordì lei, quando il sovrano le domandò il motivo dell’urgenza «Per questa ragione desidero essere giudicata da voi e scontare la pena che riterrete per me più consona senza detrazione alcuna. Persino la peggiore delle condanne sarebbe per me un onore immeritato.»
Stelio spalancò gli occhi verdi, lanciando uno sguardo sorpreso al suo vice capitano, che ricambiò con un’espressione di pari, tesa inconsapevolezza.
«Che grave colpa ritenete di aver commesso, signora?» la interrogò il re.
«Non una. Il mio nome stesso è sinonimo di crudeltà e mancanza.»
Un brivido gelato corse lungo la spina dorsale di Dare Yoon. Cercò di controllarsi, pur senza distinguere con chiarezza la fonte dell’improvviso turbamento. Quando l’isolana iniziò a sfilarsi il velo, si sentì bruciare.
I lunghi capelli corvini, resi rossicci dal pigmento colorato con cui li aveva tinti, le si sparpagliarono lungo la schiena, liberi e folti come una cascata scura. Sollevò il viso, privo della seta che fino a quel momento lo aveva celato agli sguardi altrui. La sua carnagione nivea aveva acquisito una sfumatura artificiale più scura. Solo gli occhi contornati dal bistro nero erano gli stessi, eppure irriconoscibili.
Dare Yoon impallidì, paralizzato dalla visione.
No, impossibile…
«Mi chiamo Tsambika» proseguì lei «Sono il capitano della Xiomar, imprendibile leggenda dei mari, comandante in capo dell’antica filibusta del Pelopi, indiscussa regina di Karadocc, l’isola dei pirati. Oggi mi consegno a voi e mi rimetto al vostro arbitrio.»
Stelio balzò in piedi esterrefatto, mentre gli arcieri Aethalas tendevano le corde delle loro armi letali, orientando a lei le frecce madide di veleno. I guerrieri Thaisa incrociarono le alabarde con l’intento di impedirle qualunque movimento. La donna allargò le braccia, priva di intenzioni cruente.
«Sono disarmata. Ho consegnato la scimitarra all’ingresso e non nascondo insidie. Non ho motivo di attentare alla vostra vita, altezza. Desidero solo che esprimiate la vostra sentenza, la accetterò senza obiezioni.»
Dare Yoon strinse le dita sull’elsa della spada, appellandosi a tutte le proprie facoltà per non far trapelare nessuna delle sensazioni discordanti che lo stavano frastornando. Lo sguardo di lei rimase distante.
Idiota… sei un idiota…
«Stento a credere a quanto affermate» mormorò il principe «E non giungo a comprendere la vostra decisione, signora.»
«Quanto alla mia identità» rimandò Tsambika «Il vice capitano della Guardia reale può confermarvela. Non era al corrente di chi fossi quando mi ha salvata dagli Anskelisia, ma ha avuto occasione di incontrarmi sull’oceano e di constatare di che pasta ero fatta. Volutamente uso il passato. Poiché ciò che di me scorgete oggi, non ha nulla a che vedere con la mia sostanza di allora. Essa non mi appartiene più e l’unico modo che ho per affrancarmene in toto è quello di saldare il mio debito.»
Dare Yoon, incapace di proferire verbo, annuì con un unico cenno forzato quando le iridi verdi e sgranate del principe si volsero nella sua direzione.
Stelio liberò il fiato e si accomodò di nuovo sullo scranno con aria severa. Una ruga profonda gli si incuneò tra le sopracciglia regolari.
«Anche se le leggi di Elestorya mirano a rispettare la dignità e i diritti degli esseri umani, quella che mi state domandando è una sentenza di morte, Tsambika. Ne siete consapevole?»
«L’ho messa in conto, maestà.»
Il reggente assentì, passandosi le dita tra i capelli ramati e sulla fronte contratta, ornata da un sottile diadema dorato. Gli dei l’avrebbero perdonato, se avesse ordinato di versare altro pur colpevole sangue?
Prima che potesse emettere il verdetto, Dare Yoon fece un passo avanti e tornò a genuflettersi davanti a lui. I suoi occhi blu erano un crogiolo di tortura interiore.
«Mio signore. Perdonate se ardisco intervenire, ma la donna qui presente non vi ha fornito tutti gli elementi utili a formulare il giudizio che richiede.»
Sharen sussultò. Cosa significavano quelle parole? Impedì alle lacrime di varcare la soglia: rivolse lo sguardo al suolo per non incontrare quello di lui. Per non cedere, per conservare le energie e la fierezza, per accogliere a testa alta la propria sorte.
«Anthos di Iomhar ha graziato la capitana su richiesta della principessa Adara» precisò il soldato «Vostra figlia ha espresso il desiderio che potesse continuare a vivere per servire il Nord e per riflettere su se stessa, per comprendere e cambiare.»
«Questo secondo voi è avvenuto?» domandò Stelio, sollevato «Se così fosse, non sarei certo io a pronunciarmi per la pena capitale.»
«Maestà, Tsambika ha accolto sul proprio galeone i profughi di Iomhar e li ha condotti a Elestorya senza perdite. Inoltre, durante la traversata mi ha salvato la vita.»
La ex piratessa trovò il coraggio di sollevare il viso. Dare Yoon era teso come una corda di violino e il suo sguardo, rivolto decorosamente al re, tradiva emozioni che certo non avrebbe gradito esibire. Persino la sua voce era incrinata.
«Capisco” meditò il reggente «Ho saputo che un gran numero iomharesi ha trovato rifugio al porto di Thyda. È giusto che ne tenga conto, come reputo corretto esprimere il mio riconoscimento per aver conservato in salute voi, che ci siete tanto prezioso. Vi sono debitore per il chiarimento, comandante.»
L’ufficiale rimase immobile quando il silenzio calò sul padiglione. I minuti divennero insopportabili, l’attesa si fece spasmodica.
Stelio si alzò.
«Considerando le decisioni di mia figlia e del suo consorte, enumerando le esistenze che avete strappato all’oscurità e ai flutti, io vi condanno a partire da oggi al carcere duro, Tsambika. Sei mesi saranno più che sufficienti.»
La donna sollevò uno sguardo allucinato, stordita dalla sentenza insperata.
«Durante il tragitto verso Erinna la prigioniera sarà affidata a voi, Dare Yoon» ultimò il reggente «Vi ritengo la persona più adatta e preparata all’incarico.»
«Agli ordini» rispose lui solerte.
Ma tutto il suo essere gli gridò di rifiutare, di supplicare un’altra sorte.
 
   
 
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