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Autore: An13Uta    15/02/2021    1 recensioni
"...E tu sei tutto ciò che mi rimane al mondo."
Un viaggio attraverso Termina, alla caccia di risposte nascoste in una visione dal sorriso dolcissimo.
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Ambientata dopo Twilight Princess
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Happy Mask Salesman, Link, Skull Kid
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'occhi d'ambra'
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2



Deve essere oltre le montagne.
 

Dei Goron sono venuti dall'altro lato, negli anni - parlando uno stretto dialetto che non sa di hyliano sulla lingua, con un accento limpido eppure impastato di polvere.

Hanno la pronuncia spezzettata dei vicini di nazione; vendono polvere d'oro. Parlano appena della loro patria.


Quando è menzionata per la prima volta, sente uno strano turbamento.

Una specie di rimescolio nel petto.


Parla piano al Goron che siede vicino a lui, in modo che capisca meglio - chiede notizie della sua casa; le sue mani sono levigate come ciottoli di fiume mentre si aiuta nel suo racconto gesticolando.

Descrive un monte che cade in cristalline gabbie di ghiaccio ogni inverno, e un mare dalle acque tiepide mantenute limpide da correnti meccaniche; parla di una palude le cui fronde piangenti fanno da muri a un palazzo, e di una città che tiene il tempo per il mondo intero. Menziona appena un vecchio canyon che è solo un antico cimitero a cielo aperto.


Ci pensa senza sosta.


Non è mai uscito da Hyrule. Non ha idea di come possa essere il mondo fuori dalle mura della sua culla.


Si chiede come possa essere, quella pianura.

Circondata da un regno acquitrino, un monte d'oro, un oceano sconfinato.

Da un deserto di roccia e ossa dimenticate.


-Conosco una scorciatoia.


Per un secondo sente che il cuore esplodergli nel petto come un pallone colpito in pieno da una freccia.


Enormi occhi arancioni lo fissano, mezzi nascosti dalla corteccia di un albero colossale. Giurerebbe che insieme alla loro vocina sottile ha sentito un soffio di vento glaciale spirare all’altezza del suo orecchio con parole di una lingua che non dovrebbe riuscire a comprendere.


-Conosco una scorciatoia,- ripete il filo di rame che esce da fauci di legno.


Si osservano in silenzio. Ogni fibra del suo corpo è tesa fino a logorarsi. Le foglie stormiscono appena nonostante non ci sia vento.


-Vuoi tornarci, sì?- gli chiede. Non ci è mai stato. -La scorciatoia, c’è ancora. Possiamo andare al Carnevale.

Te lo avevo promesso, la voce inesistente sorride dietro di lui.
 

Una mano sottile che somiglia orribilmente a un rametto secco, sul punto di sbriciolarsi in cenere si allunga verso di lui, chiedendogli in prestito il palmo.


-Possiamo andare al Carnevale insieme,- la vocina insiste senza malizia o inganno. Tende verso di lui, come animata da una qualche speranza.

-Conosco una scorciatoia.


Sente dita che si chiudono amabilmente sulla sua spalla, e altre che premono leggere sulla sua schiena per spingerlo, incoraggiarlo verso il bosco dietro all'albero. Si volta per un secondo solo: nessuno.

La mano tende ancora verso di lui.


-Conosco una scorciatoia.- ripete ancora.


L'aria è immobile.


Le sue dita scivolano nel palmo silvestre lentamente, come quelle di un sonnambulo che inizia appena a svegliarsi.

Due mani minuscole si stringono intorno alla sua con una morsa repentina che non può far male nemmeno ad una mosca e tirano, tirano, tirano, per trascinarlo nell'ombroso verde lussureggiante alle sue spalle.


-Vieni!- dice la voce sottile mentre lo tira, -Vieni!

Vai, dice l'assenza di voce mentre lo spinge, Vai!


Si volta ancora. Non c'è nessuno; non sembra mai esserci nessuno. Lacci di rami insistono, lo fanno inciampare nei suoi piedi per cercare di tenere il passo con loro, lo fanno inciampare nelle radici che si alzano a vedere, i suoi occhi ancora febbricitanti mentre si voltano in continuazione verso la strada che si lascia alle spalle nella speranza di vedere qualcuno, qualcosa.


-Non pensarci.- la vocina di rame mormora acuta come quella di un bambino, e tira, tira, impaziente, e non riesce a capire se ha fatto bene a fidarsi (si è fidato?), se lo stia portando al macello o in paradiso, se una differenza ci sia tra le due destinazioni.

Una brezza gelida corre appena sotto il suo mento con il suono di una risata che non può esistere.

Si volta.

Niente.

Nessuno.

Inciampa in una radice.


-Non pensarci,- lo spiritello insiste, e tira, -Gli alberi bisbigliano: non pensarci.


Non c'è vento; le foglie stormiscono.

La Foresta bisbiglia.

Una voce inesistente ride.

Si volta.

Nessuno.


-Gli alberi bisbigliano. Non pensarci.


Non riesce a smettere di pensarci.


La luce filtra tra foglie e nebbia. Passano un ceppo; riesce a intravedere appena un disegno graffiato su di esso tanto sono veloci. Tira, tira, tira – una radura. Tronchi tagliati che si piegano su sé stessi, divorati da muffe le cui escrescenze sono simili a petali. I loro resti si abbandonano e si mescolano al terreno, diventano la pelle ingorda e instabile di una piccola collina. Un grosso albero lo attende: il tappeto rossastro di un fungo colossale lo invita.

La bambola di legno si infila in un arco a sesto acuto tra le antiche radici – e tira, tira, tira.


-Vieni!


Il buio fagocita la gamba sottile.


-Vieni!


In un attimo il busto sparisce.


-Vieni!


I grossi occhi arancioni mandano un ultimo bagliore.


-Vieni!


La morsa di legno gli abbandona il polso, e si rende conto di essere sull'orlo di un precipizio.


Stivali scalpicciano per fermarsi, un grido muore a metà tra i denti: si aggrappa alla parete di corteccia, occhi blu fissati sul vuoto, un tremore incontenibile scuote le sue falangi.

È completamente solo.


Dov'è? Dov'è finito? Era qui un secondo fa. Dove si è nascosto? Dove potrebbe mai essersi nascosto? Controlla febbrile le pareti: neanche un angolo, una rientranza, un buco. Dov'è? Perché lo ha portato qui? Sente la natura che mormora dietro di sé. Non c'è vento. L'albero scricchiola tutt'attorno a lui. Osa volgere lo sguardo al pozzo senza fine a cui è stato offerto come vittima sacrificale: è nero. Più nero dell'assenza assoluta, completa, di luce.


Non riesce a muoversi.


Un sibilo.

Un filo di rame.


-Vieni.


Non riesce a muoversi.


Dal fondo dell'abisso.

Una voce più sottile della polvere.


-Ti prendo io.


Non riesce a muoversi.

Non riesce a respirare.


Due mani si spandono sulle sue scapole, fredde quanto l'abbraccio di uno spettro vendicativo.

Si gira di scatto, le suole scivolano.


Un sorriso dolcissimo.

Labbra senza contorni si schiudono.

Vai!



Cade.



Non sa più dove sia il suo corpo – lo ha perso nel nero totale. Tiene le gambe strette al petto, il mento nello sterno, le braccia a coprire il cranio. Non c'è vento che lo graffi nella sua rovinosa discesa. Aspetta il rumore sordo di ossa spezzate, il dolore lancinante – prega arrivi, perché lo conosce; e non sentire niente lo spaventerebbe molto, molto di più.

Una mano passa tra i suoi capelli – per un momento è tiepida, e ruvida, e screpolata, e confortante.


Si raffredda fino a cristallizzare le sue ciglia.


Un tonfo ritmico, e uno sciabordio...


A fatica, apre gli occhi.

La mano non è calda né fredda.


La bambola di legno lo fissa con i suoi occhi di ambra.


-Siamo qui.- sussurra.


La sua voce ha le dimensioni di un filo.


Giace illeso su un tappeto di muschio fine; poco lontano, alimentata da un piccolo ruscello artificiale, incanalato in un corridoio chiuso da inferriate, una ruota gira lentamente. Delle scale tradiscono l'esistenza di un piano superiore il cui pavimento è della stessa pietra grigia del soffitto.


Riprende a respirare, piano.


Fuscelli secchi si stringono attorno al suo palmo. Lo aiutano ad alzarsi. Sbatte le palpebre: sul viso di legno ora è stretta una maschera cornuta.


-Vieni.


Lo spiritello lo trascina gentilmente.


Salgono.
 

   
 
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