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Autore: Alarnis    15/02/2021    4 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11 I casi della vita

 
Chissà cosa aveva portato quell’uomo a ridursi così, goccio dopo goccio, rifletté Moros con amarezza. Sentì lui stesso che il rimorso poteva condurti a quel punto. Anche lui vedeva lontana la sua meta, forse irrealizzabile.
Puntò lo sguardo a fissarlo; del resto l’ubriaco dormiva o così era all’apparenza, nel torpore che sembrava avvolgerlo quanto gli stracci che indossava. Il respiro rantoloso, come se baruffasse nel sonno; la posizione scomoda che lo faceva russare con ritmo regolare per poi farlo destare per l’apnea mentre ruminava la saliva e piegava le labbra quasi sprezzante verso i suoi sogni inquieti.
“Prima” l’ubriaco fece un cenno con il capo all’indietro, “Non ti aveva visto…” lo chiamò in causa d’un tratto. Imbarazzato per averlo fissarlo, Moros si portò la mano destra al centro del capo in un atteggiamento monello.
L’ubriaco si ricompose seduto, come se fosse ritornato vigile nell’animo ma stanco nel corpo.
“Braccioforte è il mio nome.” annunciò presentandosi.
Un nome d’arte appropriato, ironizzò Moros, prima che l’uomo alzasse a muscolo il braccio che prima tratteneva la bottiglia e lo esibisse: vigoroso e sodo come quello d’un fabbro.
A Moros comparve per lo stupore una leggera smorfia tra le labbra che fece sorridere l’uomo.
“Moros.” si presentò alla spiccia allungando la mano a stringere la sua, che l’uomo gli aveva sporto: una stretta decisa ma veloce.
“Sono stato maleducato.” si scusò Moros, non avrebbe dovuto arrivare a conclusioni frettolose, ma l’uomo non sembrò portargli rancore “Non scusarti.” scrollò le spalle, che ora sembravano molto più larghe “Qualche volta mi buttò giù!” ammise intendendo l’altalenante umore.
“A chi non succede.” approvò Moros, prendendo posto accanto a lui, pronto ad ascoltare la sua storia.
“Iorio Chiarofosco morì per una pernice durante un banchetto.” sembrò iniziare alla lontana quell’uomo per poi stravolgere la narrazione “Così mia moglie, il giorno dopo. Cucinandola aveva fatto pochi assaggi…” disse tristemente.
Moros per rispetto restò in silenzio senza sviolinare inutili mi dispiace.
“Ero soldato a Rocca Lisia e Zelio il mio capitano. Fu lui a comandarmi di portare alla mia Betta quella pernice. Per quello bevo!” palesò il suo rimorso.
“Lasciasti il castello?”.
“Sì. Disgustato.” ammise l’uomo conscio di non poter più servire un capitano di cui non aveva più stima e fiducia. Vendicarsi sarebbe stato impossibile, del resto non aveva prove e “Gli eventi mi hanno dato ragione!” confidò: Zelio aveva rinnegato la propria fedeltà a Ludovico, confessandosi meschino.
“Tu, invece? Sei un ramingo?” chiese Braccioforte curioso.
Ramingo? Costretto da un destino avverso ad un continuo peregrinare? Non ci aveva mai pensato! rifletté Moros.
“Sono nato contadino e taglia boschi a Raucelio.” cominciò la sua storia catturando l’attenzione di Braccioforte che incalzò “Ma ora non lo sei più? O sbaglio?”.
“Ho servito Guglielmo Montetardo come scudiero nella battaglia di Castelferrato ma non seppi difenderlo.” confidò di cuore. Braccioforte si scurì giudicando le sue parole con interesse e portando la mano a strofinare il mento “Volevi difenderlo però...” quasi si aspettasse che un motivo si era messo di traverso e, in battaglia succedeva spesso.
“Mi impose di salvare sua figlia.”.
“Una fanciulla.” gli dette merito Braccioforte credendo Lavinia dolce e inoffensiva. Moros sorrise ma chiarì fosse soldato di ventura lei stessa e ben abile, ritornando con la mente a quel giorno.
Spalla a spalla avevano combattuto lui e Guglielmo che sottolineava “Ti ho addestrato bene!” mentre schivano i colpi dei soldati del castello di Castelferrato che tentavano di arginare l’assalto delle truppe assoldate da Re Bressano per sconfiggere il loro signore.
La spada di Moros che schermava una spada che voleva giungere a colpire Guglielmo, prontamente tenuta lontana “Da contadino a soldato, non male?” aveva scherzato, prima che non scorgesse Lavinia in soccorso di Gregorio in difficoltà, in pericolo come nei timori di Nicandro. Lei che ribaltava la situazione del fratello mentre lui cautelava Guglielmo, finché l’impensabile, l’immaginabile…
“Tua sorella. Difendi tua sorella! Non lasciarla scoperta!” aveva gridato a Gregorio che l’aveva guardato velenoso, dandogli poi le spalle come se non gli importasse, nella calca concitata della lotta. E lui? Ci era cascato di brutto in quella trappola: quella di accorrere a salvare la donna che amava, facendosi seguire da Guglielmo che mai li avrebbe abbandonati, mettendolo senza volerlo in pericolo.
Una spada aveva sfiorato il capo di Lavinia nel tentativo di mozzarla, un’azione che li aveva resi feroci entrambi. Una spada che raggiungeva di striscio Lavinia che capitombolava a terra tra la polvere del calpestio.
Quelle parole “Spetta a me! E’ mia figlia!”, parole che solo a ricordarle lo facevano aggredirsi al capo con entrambe le mani a far tacere la mortale risoluzione a cui Guglielmo era andato incontro per colpa sua, ordinandogli “Portala in salvo!”.
“Sei l’uomo che ama.” una confessione che aveva destabilizzato Moros, perché involontariamente vi aveva sperato a dispetto del suo chiuso comportamento. Un padre non poteva far dividere la propria figlia dall’uomo che amava. Se una scelta spettava a qualcuno, quella spettava a Guglielmo e a nessun altro! “Dille… che l’ho sempre amata!”. Come se Lavinia già non lo sapesse! Null’altro tempo per dire addio a Nicandro se non dettare a Moros di proteggerlo.
“Una triste storia.” confermò pacato Braccioforte facendo l’atto di alzarsi, ma per sfortuna di Moros quello era stato solo l’inizio.
   
 
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