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Autore: throughmyhead    17/02/2021    0 recensioni
Hirugami Sachiro, studente modello di veterinaria, vince una borsa di studio e si ritrova catapultato nella realtà dei salvataggi in mare.
L’oceano non sarà l’unica cosa a rubargli il cuore.
(Una piccola storia che ha la pretesa di cantare, per quello che può, le bellezze e i dolori del mare e dell’amore.)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kourai Hoshiumi, Sachiro Hirugami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9.
 

Shimizu controllò il diario clinico. “Si è ristabilito completamente, direi che oggi possiamo liberarlo.”
Hirugami guardò il gabbiano che Hoshiumi aveva portato alla clinica. Riposava tranquillamente su un trespolo, dopo una rapida visita di controllo per la sua ala.
“Se permettete, vorrei essere io a farlo” chiese.
Shimizu sembrò sorpresa della sua richiesta, ma gli lasciò le chiavi del pick-up che utilizzavano per trasportare gli animali senza alcuna obiezione.
Sachiro si mise alla guida e decise di portarlo alla caletta isolata che aveva scoperto con Korai. Voleva liberarlo in un posto tranquillo, lontano dalle barche del porto. Sentiva anche il bisogno di prendersi un momento di solitudine. Abbassò i finestrini e accese la radio. Era ormai pomeriggio inoltrato e il suo turno sarebbe finito da lì a poco, perciò poteva fare con calma.
Giunse sulla spiaggia dopo aver percorso il piccolo sentiero nascosto fra i sassi che ormai conosceva. Si avvicinò alla riva, appoggiò con delicatezza il trasportino, lo aprí ed attese.
Il gabbiano zampettò indeciso sulla sabbia, osservando cauto in ogni direzione per studiare l’ambiente. Sbatté le ali tentativamente, un paio di volte. Si guardò attorno di nuovo, e i suoi occhi finirono su Hirugami per una manciata buona di secondi. Forse quello era il suo modo di salutarlo. Girò nuovamente la testa verso il mare, e senza ulteriori cerimonie aprì le ali e si librò in volo.
Sachiro rimase a fissarlo finché non riuscì più a distinguere la forma delle sue ali, finché non diventò altro che un piccolo puntino grigio nel cielo, per poi scomparire all’orizzonte.
​Rimase in silenzio con gli occhi persi davanti a sé. Il cielo si era fatto nuvoloso. Forse c’era una tempesta al largo. Korai lo avrebbe saputo sicuramente. Erano trascorsi un paio di giorni da quella notte contro le baleniere, ma non si erano più parlati. Forse sapevano che cercarsi avrebbe solo fatto del male ad entrambi, ma Sachiro moriva dalla voglia di vederlo, di stringerlo più che poteva adesso che ne aveva ancora la possibilità, di provare almeno a chiarirsi... L’idea che il loro ultimo scambio li avesse lasciati con l’amaro in bocca era insopportabile.
Tornò alla clinica per lasciare il pick-up e si diresse verso il porto, soprappensiero. L’aria si era fatta decisamente più fresca e il cielo più cupo, sia per le giornate che si stavano accorciando che per le nuvole grigie che annunciavano la pioggia.
Sembrava non esserci anima viva al molo, quel giorno. Solo una figura seduta su una passerella di legno, che Hirugami avrebbe riconosciuto fra mille.
Hoshiumi guardava il cielo sopra di sé, incurante delle gocce di pioggia che avrebbero iniziato a colpirgli il viso.
“Korai” mormorò Sachiro, per avere la sua attenzione, avvicinandosi.
“C’è un uragano in alto mare. Le correnti d’acqua calda probabilmente cambieranno direzione e profondità.” disse lui, senza spostare lo sguardo dalle nuvole.
“Korai…”
“Quando le uova delle tartarughe si schiuderanno, gli sarà ancora più difficile trovare la loro strada.” Finalmente posò gli occhi sui suoi. La sua espressione era quella seria e indecifrabile che assumeva inconsciamente quando si perdeva a fondo in qualche riflessione, o quando fissava troppo a lungo il mare.
Dopo un istante, Hoshiumi proseguì. “Ma ce la faranno. Loro sanno dove andare, ce l’hanno scritto dentro. Il loro istinto le guida verso l’acqua. E anche se le correnti cambieranno, quell’istinto le farà comunque tornare a casa.”
Di nuovo una pausa.
“Sai cosa fa confondere le tartarughe, Sachiro?”
Hirugami lo sapeva. “Le luci artificiali.”
Korai annuì con la testa. “L’orizzonte sul mare dovrebbe essere la cosa più luminosa della notte, perché sul mare si riflettono la luna e tutte le stelle. Adesso, dove le città si affacciano sulla costa, non è più così. Meno tartarughe riescono a raggiungere il mare. E sai, dove vanno appena nate è ancora un mistero. Gli scienziati li chiamano “anni persi”. “Periodo buio”. Ma poi, le tartarughe tornano sempre alla spiaggia dove sono nate. Tornano sempre nel posto che gli appartiene.” disse, con lo sguardo sempre dritto davanti a sé, fisso sul niente.
“Korai, noi umani siamo molto più complessi delle tartarughe. Non abbiamo davanti una sola strada da seguire. Vediamo la luce del mare e vediamo anche le luci della città, ma siamo consapevoli della differenza fra le due. È solo che siamo liberi di scegliere. Non abbiamo scritte dentro le coordinate del posto dove andare. Non abbiamo un solo destino.”
“Quindi, il tuo l’hai già scelto? I lampioni della città ti attraggono più della luce del mare?”
Hirugami solitamente trovava adorabile quel lato esageratamente melodrammatico di Korai, ma questa volta se ne sentì ferito.
“Io non sono te. Non ho la tua stessa vocazione. Puoi farmene una colpa? Me lo hai insegnato tu stesso, che non c’è nulla di male, a volte, nel lasciar perdere. Che il mondo non si fermerà se io smetterò di andare in mare... Che non c’é niente di sbagliato nel dedicare la vita alle proprie passioni, esattamente come fai tu.”
Hoshiumi continuò a fissare l’orizzonte. “Hai ragione. Sei sicuro della tua scelta, allora.”
“Korai” lo richiamò. “Se ti chiedessi di scegliere fra il mare e me, cosa sceglieresti?”
L’espressione di Korai disegnò l’ennesima, silenziosa crepa nel cuore di Sachiro. “Perché devo essere costretto a scegliere? Amo entrambi. Non posso avere entrambi?”
Hoshiumi non gli aveva mai confessato così chiaramente i propri sentimenti. Lo vide prendere un respiro e sbuffare contro il cielo un lamento che racchiudeva tutta la frustrazione che non avrebbe saputo esprimere altrimenti. “Vedi, la scelta non è nemmeno fra l’amore e qualcos’altro! Perché si tratta di amore in entrambi i casi. Che sia amore per una persona, per un luogo, per una causa… non fa differenza. Non è mai facile dover scegliere fra più cose che si amano. Lo capisco, davvero! Capisco se decidi di seguire l’amore che può darti più certezze e farti meno male. Quello che ti sei scelto e costruito negli anni, quello in cui hai investito il tuo tempo e le tue energie. Forse sono io il codardo a non volerti lasciare andare. Capisco le tue parole perché anche io ho degli obiettivi a cui non voglio rinunciare. Anche io so quello che voglio. Lo so benissimo. Fino a quando l’oceano vorrà avermi, io rimarrò in mare. È solo che fa comunque male.” concluse.
Sachiro ripensò ai gabbiani, capaci di nuotare e di volare nella pioggia e nelle tempeste più rigide, senza venire travolti dal vento. Nel cielo e nel mare, nel bello e nel brutto tempo, i gabbiani non avevano paura di spalancare le loro ali. Potevano affrontare qualsiasi cosa.
Korai era forte come i gabbiani.
Allungò la mano e sfiorò le dita di Hoshiumi con le proprie. Rimasero in silenzio mentre la pioggia leggera si faceva minuto dopo minuto sempre più fitta.
“Ti prenderai un raffreddore se rimani sotto la tempesta. Vieni da me.”
Hoshiumi si lasciò sfuggire un sorriso amaro.
“Perché? Che senso ha, adesso?” replicò. “Lo hai detto tu stesso. Non siamo come le tartarughe. Non tornerai su questa spiaggia dopo qualche anno di buio. Già domani non mi rimarrà più niente di te.”
Sachiro voleva lasciare cadere la propria mano, interrompere quel contatto fra polpastrelli - perché Korai doveva affondare il coltello nella piaga in quel modo? - ma finì invece per intrecciare le loro dita e stringerle forte.
“Sei fortunato allora. Perché tu invece mi rimarrai dentro, domani, il giorno dopo e quello dopo ancora, e così per tutti i giorni a seguire. Ricorderò tutto e ti cercherò sempre, gran pezzo di idiota che non sei altro.” Sentì le proprie guance pungere, come accadeva quando si trovava sull’orlo delle lacrime. “Perché se non fossi così testardo, così stupidamente innamorato del mare, forse potremmo avere una possibilità, ma non vorrei mai vivere con la consapevolezza di averti portato via da lui. Lo so che non c’è modo di smuoverti. Lo so di non avere alcun diritto di dirti queste cose. Non posso chiederti di rinunciare al tuo posto nel mondo per me, così come tu non puoi fare lo stesso. Non so cosa fare. Non trovo una soluzione.”
Hoshiumi respirò profondamente e annuì un’altra volta. Poi si alzò in piedi, senza sciogliere la loro stretta di mano.
“Andiamo a casa tua, Sachiro, e calmiamoci.”
Rimase tranquillo e in silenzio finché si trovarono entrambi a piedi scalzi sulla soglia del suo appartamento. Poi fu lui a gettarsi per primo sulla sua bocca.
Le sue labbra si mossero con impeto, con una forza quasi cattiva, come per esorcizzare con quel gesto rude il dolore che avvertiva dentro. Hirugami ricambiò nella stessa maniera vorace.
Sentì i denti di Korai affondare nel suo labbro inferiore e poi sentì il sapore metallico del sangue. Gli aveva fatto male, ma quel piccolo dolore era niente. Niente faceva male come assaggiare le stelle e doversene staccare. Decidere, di staccarsene.
Hoshiumi non smise di morderlo nemmeno quando Sachiro lo sbatté contro la porta, o quando lo fece cadere sul divano, mentre fuori aveva iniziato ad infuriare la tempesta. Lo spogliò frettolosamente dai vestiti fradici di pioggia e si lasciò spogliare a sua volta, mentre quelle labbra pretenziose non cessavano di chiedere attenzioni.
Non si preoccupò di essere delicato - anche Hoshiumi stava mettendo nei suoi gesti tutta la sua frustrazione. Era una confessione, fatta con i denti e con le unghie, nel linguaggio segreto che avevano imparato a parlare fra di loro, l’unico modo che conoscevano per dirsi la verità: quanto entrambi erano entrati troppo in profondità nell’anima dell’altro, come la spina di un riccio di mare. Ma era arrivata l’ora di estrarla, di succhiare via il veleno, di rimuovere quel corpo estraneo da sotto la pelle, e l’unico modo che avevano per farlo era questo, mordendo e graffiando. Amando più forte.
Hirugami lasciò che fosse Hoshiumi a guidare il ritmo dei loro movimenti - un ritmo impetuoso, a ondate, come doveva essere il mare là fuori in quel momento. Hoshiumi era audace e insaziabile, ma in una maniera quasi solenne. Stringeva fino a ferire e pretendeva lo stesso trattamento.
Sachiro pensò improvvisamente alle perle. Quei piccoli gioielli del mare che nascondono la storia di una ferita. Un corpo estraneo che penetra una conchiglia, e una conchiglia che, non riuscendo ad espellere quell’intruso, allora lo ricopre di sé, lo circonda con la sua madreperla per difendersi e proteggersi, per allontanarlo dalla sua parte più vulnerabile.
La conchiglia lo avvolge per liberarsi di lui. E forse era esattamente quello che stava cercando di fare Hoshiumi in quell’istante.
Con rinnovata energia Sachiro ribaltò le loro posizioni e sovrastò Korai, senza uscire da lui, senza lasciarlo solo nemmeno per un secondo. Siamo una cosa sola - si ritrovò a pensare - come non lo saremo forse mai più. Prenderò e porterò con me ogni momento che posso. Ogni dettaglio che posso.
Affondò i denti in quel triangolo di pelle chiara e delicata, appena sotto l’attaccatura dei suoi capelli candidi. Chi avrebbe baciato quel posto segreto, dopo la sua partenza?
Chi altri avrebbe sentito i gemiti di Korai - la cadenza disperata che avevano in quel momento, quasi un singhiozzo, mentre spingeva i fianchi contro i suoi in quel moto febbrile e sconclusionato? Chi altri avrebbe intrecciato le dita in quei capelli morbidi come piume, e intrecciato i suoi desideri a quelli di Korai? Chi altri lo avrebbe amato così, fino a far male?
Hirugami lo guardò inclinare la testa all’indietro e abbandonarsi ad uno spasmo più forte degli altri. Quando riaprì gli occhi il suo sguardo si era annebbiato, o forse si era addolcito. Korai gli spostò dalla fronte le ciocche scure che si erano accollate alla pelle per il sudore, e lo accolse in un abbraccio, mentre anche lui si lasciava scappare gli ultimi sospiri. Solo poi, quando non aveva più difese, si lasciò sfiorare dal pensiero che stavolta davvero era finita. La lotta, la tempesta e tutto il resto. Restava solo da leccarsi le ferite, e poi andare avanti.
Korai si addormentò sul divano e Hirugami rimase a lungo a guardare la sua pelle arrossata, ascoltando la pioggia che era tornata leggera ma non dava comunque segno di cessare.
Avrebbe voluto che quei lividi rimanessero per sempre, come prove indelebili di ciò che era esistito fra loro, anche quando non sarebbero più stati lì.

 

 


 

Siete liberi di linciarmi brutalmente, ma devo confessarvi che questo è il mio capitolo preferito. L’ho sentito un sacco mentre scrivevo. Aaaaaaaa çç

   
 
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