Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: Ksyl    17/02/2021    4 recensioni
La storia prende spunto dalla fine della 8x08, ma le cose non sono andate esattamente come nel telefilm.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

18

Kate si appoggiò al muretto e lanciò un'occhiata di sotto. Era solo un modo per prendere fiato dopo l'ultima discesa dalla pendenza così ripida e il selciato tanto scivoloso da farle temere che sarebbe caduta rovinosamente a terra da un momento all'altro, sotto gli occhi di tutti.
Castle aveva continuato a dirle che era tutta colpa di quei tacchi che ostinava a mettersi, ogni volta che l'aveva afferrata prima che capitombolasse giù dai gradini.
I tacchi non c'entravano niente, gli aveva risposto piccata. Erano tutte quelle stradine a essere state progettate da una mente diabolica. Si chiese come facesse la gente quando pioveva, con la pietra bagnata e sdrucciolevole o, ancora peggio, quando nevicava.

Che quella giornata si sarebbe rivelata un'impresa ardua l'aveva capito fin da quando Castle aveva parcheggiato fuori dalle mura della cittadina arroccata in cima a un pendio.
All'inizio era stata troppo distratta a osservare il panorama della campagna sottostante, che riempiva lo sguardo fino all'orizzonte. Si era accorta all'ultimo che Castle si era diretto verso una delle entrate principali, e l'aveva raggiunto correndo, rischiando di inciampare in una delle radici nodose che sbucavano dall'asfalto.

Quando si era accorta di quanto fosse impervia la salita si era quasi rifiutata di seguirlo. Doveva esserci un altro modo per accedere alla piazza principale, la gente non poteva davvero farsela a piedi. Non tutti, perlomeno.
Cos'era, una specie di via crucis per mettere alla prova la loro fede? No, aveva riso Castle. Però c'era davvero una via crucis lungo la strada che portava alla basilica. Quale basilica, Castle? Quella più in alto. Più in alto? E non era finita lì, aveva aggiunto sibillino. Più sopra ancora c'era una fortezza, ma non l'avrebbero visitata. Era chiusa. Bene, aveva pensato Kate tra sé, uscendosene invece con un: “Oh, che peccato”, che non aveva convinto nessuno.
“Fosse per te, Beckett, ce ne staremmo sempre in casa”. Da quando era una brutta idea? Finalmente suo marito l'aveva capito.

Si era rassegnata e gli era andata dietro. Non era stato così faticoso risalire il viale di accesso. C'erano molti negozietti, in cui era voluta entrare a curiosare, rallentando di fatto la scarpinata. In più Castle le aveva tenuto un braccio sulla schiena con il secondo fine, non molto ben occultato, di spingerla in avanti. Gli era stata grata, anche se per orgoglio avrebbe voluto dimostrargli che ce la faceva benissimo. O forse sarebbero stati graditi dei cani da slitta. Aveva già visto qualche proprietario farsi dare una mano da quattro zampe allenate che sgambettavano senza fatica.

Una volta arrivati in cima si era detta felice di aver compiuto lo sforzo. Aveva amato la scenografia che era apparsa davanti ai loro occhi: una piazza circolare, con i palazzi storici molto antichi a fare da sfondo e una scalinata centrale su cui bivaccavano turisti intenti a riposare dopo la fatica o a scattare fotografie. Nonostante la giornata nuvolosa, il posto era pieno di gente. Si erano confusi nell'anonimato della folla, avevano passeggiato pigramente e si erano fermati ad ammirare gli scorci dei vicoli con le case addossate l'una sull'altra. Come era ovvio quando suo marito si metteva in testa qualcosa, erano saliti fino alla chiesa superiore, prendendo un sentiero esterno che avevano percorso boccheggiando fino alla fine.
Dopo sarebbe stata tutta discesa, l'aveva rassicurata Castle. Peccato che avesse rischiato in più punti di dover dire addio alle sue ginocchia.

Kate era contenta. Non quella felicità euforica che arrivava come un'onda e ti portava in alto solo per farti precipitare di colpo nella tristezza del dopo sbornia. Non si svegliava più con il respiro corto temendo che la sua vita, costruita con tanta fatica, le stesse scivolando via come sabbia tra le dita.
Non sapeva come si sarebbero comportati una volta tornati a New York. Non avevano fatto progetti concreti. Dopo essere stata con lui giorno e notte temeva che sarebbe stato difficile tornare nel suo vecchio appartamento da sola, dovendo mantenere la finzione della separazione.

Castle le aveva promesso che non avrebbe fatto mosse avventate e non si sarebbe messo nei guai, il che era più di quello che aveva osato sperare. La situazione era molto pericolosa e lui sembrava averne capito la gravità. Le aveva giurato che avrebbero fatto solo quello che voleva lei. Lei aveva corrugato la fronte, poco convinta. Castle aveva sempre trovato il modo di insinuarsi nelle sue faccende personali senza curarsi dei suoi desideri. Spesso si era rivelata la scelta migliore, ma non questa volta. Qui c'era in ballo la loro incolumità. E se poteva accettare l'idea che LokSat se la prendesse con lei, non avrebbe mai più tollerato che lui fosse in pericolo. Non poteva rischiare di perderlo come era successo il giorno delle loro nozze interrotte. Non avrebbe tollerato di rivivere l'esperienza di crederlo morto, aggrappata alla speranza, sempre più fievole, che fosse ancora vivo da qualche parte lontano da lei e impossibilitato a raggiungerla.

Castle aveva ascoltato in silenzio il suo sfogo accorato. Stavano passeggiando lungo un viottolo polveroso che li aveva portati nei pressi di una casa diroccata, identica a tante altre di cui la tutta l'area era punteggiata. Il tetto era sfondato, le tegole erano crollate in quello che doveva essere stato il corpo principale, ormai collassato. Le finestre erano rettangoli vuoti. Attraverso una di esse Kate aveva scorto alcune ceramiche di un blu intenso che dovevano aver adornato la cucina. Una scelta insolita, aveva pensato. Quel giorno la campagna si era presentata silenziosa e immobile. Si stava preparando al lungo sonno rigenerante dell'inverno.
Si erano fermati vicino a un albero dalla folta chioma e dal tronco distorto e piegato da chissà quali intemperie. Aveva continuato a crescere partendo da quell'angolatura strana, senza cedere alle forze naturali, traendo linfa dall'interno.
Quando si era zittita, lui aveva annuito. Le aveva detto di aver capito. Lei non era certa che avesse realmente compreso i motivi per cui era stata costretta ad andarsene, anche se glieli aveva spiegati più volte. Ne aveva colto forse il nesso di causa ed effetto, ma i mesi di sofferenza a cui la sua decisione l'aveva obbligato non potevano essere dimenticati tanto facilmente. Forse li avrebbe sempre tenuti relegati in uno spazio nascosto del suo cuore, pronti a balzare fuori e fargli del male. Si augurava che con il tempo quel dolore si sarebbe stemperato. Quel che contava era che in quel momento fossero insieme e decisi a farcela in due. Non solo non ci sarebbero stati più segreti, lo aveva rassicurato, ma lei non se ne sarebbe mai più andata.
Aveva sottolineato le sue parole, guardandolo fisso negli occhi per convincerlo che si trattava di molto più che una semplice promessa. Castle aveva riflettuto per qualche istante e poi, con molta gravità, le aveva chiesto se non volesse sigillare il tutto con un patto di sangue, visto il tono da tragedia incombente con cui gli aveva parlato e che gli stava facendo credere che avesse nascosto sotto al cappotto un coltellaccio da macellaio con il quale intendeva ridurlo in poltiglia.
Kate non si era offesa per l'apparente mancanza di serietà. Lo conosceva troppo bene per non comprendere che era il suo modo di dirle che aveva ascoltato con attenzione e che aveva colto con molta precisione quello che lei aveva voluto comunicargli. Poi aveva coperto tutto con qualche trovata sciocca per alleggerire la tensione. Era così che facevano sempre. E più o meno aveva sempre funzionato.

La piazza sottostante era gremita di persone, molte di più di quando erano arrivati. Kate si rese conto solo allora che stava per aver luogo un matrimonio, proprio sotto i loro occhi. Gli invitati arrivavano alla chetichella, scherzando e ridendo euforici, con i loro vestiti ben stirati, le gonne fluttuanti e i tacchi a spillo, a causa dei quali qualcuno avrebbe detto addio per sempre alle proprie caviglie.
Si girò a chiamare Castle, che stava controllando il suo telefono. Notizie da casa, forse?
La raggiunse, in tempo per vedere sopraggiungere uno sposo piuttosto nervoso.
“È un bel posto per sposarsi, non credi?”, gli domandò continuando a guardare in basso.
“Lo pensi davvero?” Kate si chiese perché avesse un'aria così seria.
“Sì, beh... è una bella cornice. Storica. E artistica”. Le sembrava di parlare come un dépliant turistico.
Castle fece silenzio per qualche minuto. Kate pensò che l'argomento fosse chiuso, ma non era così.
“Vuoi che ci risposiamo qui?”
Non avrebbe potuto coglierla più di sorpresa.
“Che cosa? Certo che no”, gli rispose con veemenza, alzando la voce senza rendersene conto. “Vuoi davvero ricelebrare il nostro matrimonio?”, si informò dopo essersi ripresa. Che razza di idee gli venivano?
“Io no. Ma magari a te piacerebbe qualcosa di più tradizionale che non una cerimonia veloce senza quasi nessun invitato”.
Gli infilò una mano sotto al braccio. Solo ora capiva da dove era saltata fuori la questione; Castle era ancora dispiaciuto di non averle dato quello che credeva avesse sempre sognato fin da piccola.
“Il nostro matrimonio è stato perfetto. Non ho bisogno di nient'altro. Tanto meno di farlo di nuovo”.
La fronte di Castle si distese. Ognuno aveva i propri punti deboli, che ogni tanto facevano capolino.

Gli invitati avevano bloccato il passaggio, riempiendo gran parte dei vicoli che confluivano nella piazza antistante.
“Possiamo intrufolarci in quel bar all'angolo, in attesa che entrino in chiesa”.
Kate indicò a Castle un piccolo locale soffocato tra un negozio di ceramiche e uno che vendeva borse di pelle artigianali. “Quando siamo passati ho visto che aveva in vetrina diversi tipi di cioccolatini”.
“Perché non mi stupisce che tu abbia ancora fame, dopo il pranzo generoso che abbiamo consumato non più tardi di...”, guardò l'orologio. “Due ore fa? Io fatico ancora a respirare”.

Si erano fermati in un ristorante nascosto in una via secondaria, che era sembrato più una cantina rimessa a nuovo che non un locale alla moda. Pareti di pietra, travi a vista e un menu molto ricco che avevano saccheggiato. Avevano ordinato molti più piatti di quanti fossero in grado di svuotare, ma si era rivelato tutto così buono che, in un modo o nell'altro, erano riusciti ad avere la meglio di tutto quel cibo. Non era colpa sua se le piacevano i prodotti locali. L'Italia era famosa per le sue tradizioni gastronomiche, no?
“Se è alla mia cosiddetta fame insaziabile che ti riferisci – definizione che io contesto - vorrei ricordarti che nelle ultime due ore abbiamo scarpinato su e giù per la collina e di conseguenza ho bruciato tutte le calorie. E poi un cioccolatino non ha mai fatto male a nessuno”.

 

Erano i loro ultimi giorni lì, voleva goderseli tutti. Anche se non avevano deciso una data precisa, e, anzi, non avevano più affrontato l'argomento, la verità era che non potevano rimanere ancora a lungo. A casa non avrebbero potuto passeggiare senza una meta e fermarsi a bere qualcosa nel primo locale che li avrebbe ispirati.
Castle le sorrise. “Non mi lamento affatto del tuo appetito. È grazie a quello che sei così diversa rispetto a quando sei arrivata”.
Kate si accigliò. Che cosa aveva voluto dire?
“Diversa, come?”, si informò.
“Diversa”, ripeté lui ottusamente lui, non riuscendo a cogliere il nocciolo della questione. “Più rilassata. Non hai più quei segni violacei sotto agli occhi. E sei più... morbida. Sei sempre stata molto bella...“, continuò, correndo ai ripari e temendo di averla offesa insinuando che fosse stata meno che splendida, quando era arrivata. Doveva essere convinto che si trattasse di una mancanza di apprezzamento estetico da parte sua e voleva porvi rimedio.
“Ma adesso sei più luminosa. Felice, oserei dire”, concluse allarmato. “Non c'è niente di male a essere felici, no?”
Castle stava andando in panico.


Kate strinse le dita sulla pietrisco del muretto, che si sbriciolò, sporcandole le mani. Se le pulì sulla giacca. Si ricordò della chiesa imponente che avevano incontrato salendo in auto i lunghi tornanti, di cui aveva letto la storia nella guida. Era fatta di tufo, le venne in mente, proprio come quel muretto. Nei secoli non aveva retto all'erosione degli elementi, o forse solo allo scorrere del tempo.
“Morbida?”, ripeté con voce incolore, fissando un punto oltre la sua spalla.
“In senso positivo. Più riposata”. Castle stava finendo i sinonimi. Le mise le mani sui fianchi, scuotendola piano. “Kate, cancella tutto. Era solo un modo di dire che sono contento di vederti serena, tutto qui”.
Kate non lo stava ascoltando. Guardò verso il basso, staccandosi da lui. La fame. La stanchezza. Il fiato corto. Le lacrime. Il suo essere insolitamente emotiva. Un chilo in più, forse. Morbida. Non aveva voluto dirle che era ingrassata.
Armeggiò con la chiusura della borsa e prese il cellulare. Lo assemblò e lo accese, lasciando da parte la prudenza, per una volta. Controllò la sua agenda. Era come temeva. Stando in vacanza aveva perso il conto del tempo.
Le tremarono le gambe. E le venne da sorridere. Si sentì vacillare, Castle si affrettò a sorreggerla.
Si voltò verso di lui. Lo vide confuso perché non capiva cosa stesse succedendo ed era preoccupato per lei.
Si sentì frastornata e incapace di articolare delle parole sensate. E intanto le fiorì sulle labbra il sorriso più travolgente che avesse mai provato nella sua vita. A parte forse il giorno del suo matrimonio.
“Castle...”, gli toccò un braccio con un movimento febbrile. “Non sono solo rilassata. Cioè anche quello, sì”. Le venne da ridere. “È che sono incinta”.
Glielo disse come se una parte dentro di lei non avesse alcun dubbio che fosse così. Quando parlò si rese conto di esserne sicura, senza capire da dove le venisse quella strana sensazione alla bocca dello stomaco che aveva scacciato ogni incertezza.


Non sapeva che cosa si era aspettata. Che fosse sorpreso, o sotto shock. Forse perfino impaurito.
Ma di certo non si era immaginata quel che successe davvero. Castle si irrigidì, trasformandosi sotto ai suoi occhi in un estraneo furente . Si allontanò da lei, facendo qualche passo indietro. Le sembrò quasi che la odiasse.
“L'hai sempre saputo”, la accusò, ghiacciandola all'istante. “Lo sapevi e non me l'hai detto”.
Di cosa stava parlando? Se ne era accorta solo ora. Non lo aveva specificato, ma...
“No, Castle...”.
Non la fece parlare.
“Per tutto questo tempo. Mentre mi facevi credere che volevi prenderti una pausa. Mentre indagavi da sola mettendoti in pericolo. Come hai potuto farlo?”.
Kate ascoltò in un silenzio raggelato, non volendo credere a quello che sentiva, alle accuse che le stava lanciando contro con una spietatezza irriconoscibile. Era confusa. Lei era incinta da poco, se lo era davvero. Prima doveva fare un test, o delle analisi, per esserne sicura.
Che cosa c'entrava quindi la loro separazione? Doveva essere successo la sera dopo il loro anniversario. Chiuse gli occhi. In effetti poteva essersi distratta abbastanza da lasciare che accadesse l'irreparabile. Del resto non si era aspettata che la serata finisse in quel modo. Li riaprì. Non era il momento di fare certe considerazioni.
Non aveva mai visto Castle tanto arrabbiato. Offeso. Ferito. Nemmeno quando se ne era andata.
“Che razza di persona fa una cosa del genere?”, aggiunse esterrefatto.
Era troppo. L'ingiustizia della condanna senza appello che l'aveva travolta rendeva inutile cercare di spiegarsi di fronte a quell'uomo irragionevole che aveva deciso, senza pietà, che lei era colpevole. Di nuovo.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: Ksyl