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Autore: Slytherin_Divergent    19/02/2021    2 recensioni
In un mondo dove la popolazione ha tatuato sul proprio corpo il nome della propria anima gemella, quando si compie una certa età sul corpo di chi può rimanere incinta compare una macchia bianca.
Kenjirou tiene nascosta la sua da anni a causa del terrore dei genitori e quando scopre di aspettare due gemelli allontana Eita e tutti i suoi cari. Per tre anni lui e la sua anima gemella non si vedono e quando riprendono i contatti sembra andare tutto per il meglio, almeno fino a quando Kenjirou non trova il suo migliore amico svenuto in bagno e scopre che qualcuno ha rapito i suoi figli e vuole ucciderlo.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Taichi Kawanishi
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Mpreg, Spoiler!, Violenza
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«Che vuol dire che te ne sei andato via?!» sbottò Taichi, piantando il piatto pulito sopra al tavolo. Kenjirou si voltò lanciandogli un'occhiataccia, sibilando: «Abbassa la voce o sveglierai i bambini. Io non gliela racconto di nuovo la storiella della buonanotte.»

Kawanishi chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro per calmarsi. «Okay, scusa, hai ragione. Ma spiegami perché diamine te ne sei andato piantandolo in asso.»

Shirabu scrollò le spalle. «Ero in ritardo per il turno. Non voglio rischiare che mi sbattano fuori, perché poi trovare un nuovo lavoro ugualmente retribuito sarebbe difficile. Già con lo stipendio che ho, pagare affitto e bollette è difficile.»

«Cosa...» il biondo appoggiò lo strofinaccio e afferrò il suo migliore amico per le spalle, facendolo voltare. «Ti rendi conto che il padre dei tuoi figli ti ha palesemente implorato di tornare con lui e ti ha... Dio, ti ha detto che avrebbe pensato alle tue spese e tu hai rifiutato! Non ho idea di come tirerai fuori i soldi per pagarti la retta universitaria l'anno prossimo visto che qualunque aiuto ti venga proposto tu rifiuti!»

«Non voglio vivere a sue spese. Non sarebbe giusto.» ribadì Kenjirou, tornando a lavare i piatti. Taichi fece un passo indietro, massaggiandosi le tempie.

«Forse allora è il caso di mandare un bel messaggio ai tuoi genitori con scritto "ciao, siete nonni da tre anni, siccome qui stiamo facendo la fame che ne dite se ripristiniamo tutti i rapporti così magari sia io che i miei figli avremmo una buona salute e una buona istruzione?"» Shirabu gli lanciò un'occhiataccia, schizzandolo con la schiuma del sapone per piatti.

«Non ho intenzione di scrivere alla mia famiglia solo per farmi guardare dall'alto al basso.»

«Sai che prima o poi lo scopriranno, non è vero?» mormorò Taichi. Kenjirou si fermò e tirò un lungo sospiro, annuendo.

«Sì, lo so, ma preferisco che sia poi invece che prima.» esclamò. «E poi, comunque, al massimo, posso chiedere ad Akihito di versare qualcosa sul mio conto bancario.»

«Mi stai dicendo che parlarne civilmente con la tua famiglia non va bene ma rubare i soldi sì?»

«Non è "rubare i soldi". È più un prestito...» Taichi tornò ad asciugare i piatti con un lungo sospiro.

«Sei impossibile.» improvvisamente il suo cellulare trillò e si allungò per leggere il messaggio. «Cazzo.»

Kenjirou si voltò verso di lui. «Che succede?»

«È il mio capo. Una delle cameriere sta di nuovo male e vuole che la rimpiazzi dopodomani.» Shirabu sbiancò.

«Ma... Ma dopodomani è...» deglutì. «È sabato.»

«Sì, lo so anche io che è sabato, grazie Kenjirou.»

Il castano appoggiò la spugna e scosse la testa. «No, voglio dire... Io lavoro e... e anche Akihito e... e se devi lavorare anche tu allora...»

Kawanishi sembrò realizzare. «Oh.»

«Devo chiamare il locale per avvertire che dovrò portare i bambini. Fammi passare.» Kenjirou si sfilò i guanti, ma Taichi gli sbarrò la strada. «Cosa? Fammi passare, Taichi.»

Il biondo scosse la testa. «No, non portarli là. Lo sai com'è sempre il sabato sera. Se iniziano ad andare in giro è la fine.»

«Beh, non mi pare di avere molte altre alternative, non credi?!» sbottò il castano, alzando le braccia.

«Chiama Semi-san.» Shirabu sbatté le palpebre una, due e poi tre volte.

«Cosa?»

«Chiama Semi-san.» ripeté Taichi.

«Semi-san? Eita?» rispose Kenjirou nel tentativo di capire se aveva effettivamente capito bene. Il suo migliore amico annuì. «Spero tu stia scherzando.»

«No, non scherzo. Ha detto che sarebbe stato disponibile ad aiutarti, no? Beh, che ti aiuti.» Kenjirou sbuffò irritato e tentò di circumnavigare la figura del suo migliore amico.

«Spostati e smettila di scherzare su questa roba. Non sei simpatico.»

«No, io invece sono serio. Molto serio.» afferrò Kenjirou per un braccio per trattenerlo.

«Veramente? Cioè, sei serio?» il più basso lo guardò come se avesse detto qualcosa di molto stupido. «Vuoi che chiami la persona che ho ignorato per tre anni e che ieri pomeriggio ho piantato in asso solo perché lavoro in un posto poco raccomandabile per dei bambini che non so a chi lasciare?»

«Esattamente, sì.» rispose Taichi. Si fissarono per qualche secondo, poi Shirabu scosse la testa e sorpassò il suo migliore amico spingendolo leggermente di lato.

«Senti, ho da fare e non ho tempo da perdere. Fammi fare questa dannata chiamata.» il castano si avvicinò al telefono e lo sbloccò, aprendo la rubrica. Taichi annuì e lasciò cadere sul tavolo il panno per asciugare i piatti.

«D'accordo, fai quella chiamata.» afferrò la sua giacca e se la infilò. «Ma sappi che io non sono per niente d'accordo.»

E uscì sbattendo la porta e lasciando cadere l'appartamento in un silenzio mortale.

Il locale era più affollato di quanto si sarebbe immaginato quella sera e la musica più alta di quanto la sua testa dolorante potesse sopportare. Avrebbe dovuto aspettarsi che il suo capo lo avrebbe spedito a lavorare nel locale sottostante, ma quello che non si aspettava era di ritrovarsi una figura fin troppo familiare in attesa al bancone per ordinare qualcosa da bere. Afferrò il bicchiere di whisky con ghiaccio che uno dei clienti aveva ordinato, depositandoglielo davanti, e si avvicinò ad Eita.

«Che ci fai qui?» domandò, aprendo il rubinetto dell'acqua e iniziando a lavare i bicchieri sporchi.

«Beh, ti cercavo. Insomma, sono passato di fronte al locale e mi sono detto "perché non passo a salutarlo?"» Semi si appoggiò al bancone. «Poi però non ti vedevo di sopra e quindi ho chiesto ad uno dei tuoi colleghi dove fossi e mi hanno detto di scendere qui giù.»

Shirabu tirò un profondo respiro e piantò un bicchiere appena lavato e riempito con un po' di champagne di fronte al biondo. «Bene, ora mi hai salutato, quindi bevi e vattene.»

Eita afferrò il bicchiere e tirò un lungo sorso. «Sai, quando ho scoperto che lavoravi part-time qui pensavo che facessi le pulizie o stessi alla cassa, però wow, sei dietro il bancone di uno strip-club.»

«Non mi pagano la cifra che mi pagano all'ora perché gli fa piacere.»

«Cosa direbbero i clienti che servi se sapessero che pagano per lo stipendio di un aspirante dottore che deve sostenere da solo – da solo! – ben due bambini?»

«Di certo non tutte le stronzate che stai dicendo tu. Quanto cazzo hai già bevuto?» sibilò il castano, afferrando un bicchiere vuoto abbandonato sul bancone e mettendolo nel lavello.

«Nulla di ché. Una tua collega mi ha offerto uno shottino. Era carina, sai. Mi ha anche chiesto il numero.» Kenjirou alzò lo sguardo dal lavello solo per lanciargli un'occhiataccia ed Eita ridacchiò. «Geloso?»

«Di te? Mai.»

«Oh, smettila di comportarti come se tutto andasse perfettamente, per favore.» Eita si sporse verso Shirabu. «So che stasera Kawanishi lavora.»

Shirabu si mordicchiò un labbro ma non concesse ad Eita la sua attenzione. «E quindi?»

«E quindi a chi hai lasciato i nostri figli?» Kenjirou si voltò verso una donna che tentava di richiamare la sua attenzione e prese mentalmente nota del suo ordine prima di tornare da Eita per preparare il cocktail.

«Non penso sia cosa che ti riguardi né interessi.» fece in risposta. Semi scosse la testa con un sospiro.

«No, non è vero. Dove sono, Kenjirou? Non dirmi che li hai lasciati a casa da soli.»

Il castano fece una smorfia disgustata. «Certo che no, per chi mi hai preso?»

Eita attese che finisse di preparare l'ordine per poi allungarlo alla donna che gli fece l'occhiolino. Lui la ignorò e tornò a guardare Shirabu. «E quindi?»

«E quindi cosa?» Eita buttò giù il resto dello champagne. «Posso sapere dove sono? Sono venuto qui per darti una mano.»

«Non mi serve il tuo aiuto, te l'ho già detto.» sbottò il più basso, allontanandosi per sentire l'ordine di un nuovo cliente. Eita tamburellò le dita sul tavolo attendendo che il castano tornasse dopo aver passato il bicchiere all'uomo.

«Prepara qualcosa anche per me, ti va?»

«Sei già abbastanza brillo per quel che mi riguarda.»

«Il tuo lavoro è far ubriacare i clienti, non tenerli sobri.» Kenjirou chiuse gli occhi per contare da uno a cinque nel tentativo di calmarsi. «Sono un cliente anch'io, in fondo.»

Shirabu sospirò. «Che cosa vuoi?»

«La cosa più lunga che puoi preparare in questa postazione.» Kenjirou gli scoccò un'occhiataccia.

«Ti odio.»

«No, non è vero.»

«Senti,» Kenjirou gli piantò davanti un bicchiere d'acqua presa dal rubinetto. «Se davvero ci tieni a darmi una mano vammi a fare la spesa per domani. E no, non ho intenzione di servirti altri alcolici.»

Eita prese il bicchiere d'acqua senza obiettare. «D'accordo. Cosa ti serve?»

Kenjirou gli lanciò un'occhiata fugace per controllare che fosse serio, poi prese un paio di chiavi dalla tasca e le allungò al biondo. «Fatti indicare la stanza dei camerini. Dentro lo zaino ci sono sia le chiavi di casa, che il portafoglio, che il mio cellulare. La lista è negli appunti. Questo è l'indirizzo.»

Scrisse su un pezzo di carta la via del suo appartamento e allungò il foglio a Semi. Il biondo gli sorrise. «D'accordo. A dopo.»

«Chiudi a chiave la porta quando esci!» gli gridò dietro Kenjirou.

<°>.°.<°>

«Quindi ti ha fatto la spesa.» Kenjirou si sedette sul divano con un sospiro, sfogliando pigramente le pagine del libro di anatomia comprata che aveva davanti.

«Solo perché volevo che se ne andasse.» fece una smorfia, sistemandosi il telefono tra orecchio e spalla. «Ha preso più roba di quella che avevo scritto e ha pure usato i suoi soldi.»

«E di cosa ti lamenti, esattamente?» dal tono di voce che aveva, Kenjirou immaginò che Taichi stesse sorridendo divertito dall'altra parte della linea.

«Gli avevo detto di usare i miei soldi.» sbuffò.

«Non penso che lo manderai sul lastrico per avergli fatto comprare due verdure e qualche pacco di noodles istantanei.»

«Mi ha lasciato un biglietto attaccato al frigo dove mi ha scritto il suo nuovo numero di cellulare, dicendo di chiamarlo! Se si aspetta davvero che lo faccia-» Kawanishi lo interruppe.

«Beh, penso che dovresti farlo. Lui ci sta provando davvero, sai? Ultimamente ci sentiamo più spesso e sembra davvero abbattuto per come lo stai evitando.»

«Beh, cosa si aspetta che faccia? Lui lavora in ufficio e fa parte di una band, io studio all'università e lavoro part-time in un bar. Non siamo compatibili.» Taichi sbuffò dall'altro lato della linea.

«Siete anime gemelle. Certo che lo siete.»

«Sto riattaccando.»

«Chiamalo!» Shirabu mise fine alla chiamata con un sospiro sconsolato e rimase ad osservare la rubrica telefonica.

Forse Taichi aveva ragione e lui doveva veramente chiamare Eita, ma il solo pensiero di chiedergli di vedersi dopo come lo aveva trattato gli diede il voltastomaco e mise in stand-by lo schermo scuotendo la testa. Forse un giorno, ma di certo non oggi, si disse.

<°>.°.<°>

Kenjirou avrebbe dovuto immaginare che incominciare a trovare pacchi anonimi davanti alla porta di casa sarebbe stata la rovina della sua esistenza, ma aveva deciso di ignorare il tutto perché sapeva che discutere con Eita – era assolutamente certo del fatto che fosse opera sua, perché nessun altro a parte Taichi sapeva che i giocattoli preferiti di Fuyuki erano i supereroi e Taichi di certo non si sarebbe messo a regalare pupazzetti di supereroi a gratis – sarebbe stato inutile. La faccenda divenne seria quando sotto la porta trovò infilata una lettera contenente tre biglietti per il concerto di quel sabato con allegati dei pass per il dietro le quinte.

Eita rispose al quarto squillo di cellulare e la sua voce sembrava stanca come se si fosse appena svegliato – e anche un po' scorbutica. «Chi sei? Come hai avuto questo numero?»

«Me lo hai lasciato tu attaccato ad un post-it sul frigorifero un mese fa!» sbottò il castano, poi si sedette sul divano prendendo un profondo respiro.

«Oh, ciao, Kenjirou.» rispose Eita, ora più calmo. «Che succede?»

«Senti, mi... Mi fa piacere che tu abbia preso bene la notizia e mi sta bene anche che tu mi stia facendo la spesa quando riesci, ma questo è veramente troppo e non posso accettarlo.»

«Uhm... Di cosa stai parlando?» domandò l'altro dall'altro capo della linea.

«Dei biglietti del concerto!» sibilò il castano e sentì Semi scoppiare a ridere.

«Ti stai veramente arrabbiato per tre biglietti?»

«Senti, sono serio. Primo, chissà quanto diavolo ti saranno costati, secondo, non ho il passaggio e terzo devo lavorare quel giorno.» per un attimo dall'altro capo della linea ci fu silenzio, poi Kenjirou udì Eita sospirare.

«Beh, allora rivendili. Di certo puoi farci su i soldi che faresti in una settimana.» Kenjirou si morse un labbro e strinse il cellulare tra le dita, rimanendo in silenzio per parecchi secondi. «C'è altro?»

«Sì. Smettila di lasciare pacchi davanti a casa mia.» rispose il castano.

«Pacchi? Ma di che stai parlando?» Shirabu deglutì nel sentire il tono stranito nella voce dell'altro.

«Quelli che trovo ogni giorno quando torno a casa.» rispose il più piccolo.

«Non so di cosa tu sia parlando, davvero, ma ti giuro che non ho mai lasciato niente davanti a casa tua.» rispose il biondo. Kenjirou deglutì. Se non era stato Eita, allora chi altro poteva esser stato?

«Devo attaccare.»

«Aspet-» Shirabu mise fine alla chiamata, guardandosi intorno nervosamente. Se davvero non era stato Semi a lasciare davanti a casa sua tutte quelle scatole – e di certo Taichi e Akihito non potevano essere stati, non ne avrebbero avuto alcun motivo – allora c'era qualcuno che stava cercando di fare chissà cosa e lui avrebbe dovuto stare molto più attento di prima.

Si alzò dal divano e non pensò nemmeno per un secondo alla possibilità di aver un obiettivo color rosso sangue disegnato sulla schiena.

 

   
 
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