Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Ookami_96    20/02/2021    0 recensioni
"Sempre, ovunque e comunque", in ogni epoca, in ogni universo; ambientazioni differenti, luoghi immaginari, contesti particolari. L'unico filo comune saranno Aizawa e Mic, sempre insieme, alla ricerca l'uno dell'altro.
Un insieme di OneShot - AU, con i nostri due personaggi sempre come protagonisti che tenterò (con molta fatica, lo so già) di mantenere quanto più InCharacter possibile.
Non chiedetemi perchè sentivo il bisogno di scrivere codesta cosa.
Non mi resta che augurarvi buona lettura e sperare che non sia un fiasco colossale XD
*
- Dal Capitolo 4: I suoi occhi, abituati all'oscurità, individuarono subito un letto al lato opposto della stanza, e una figura adagiatavi sopra. In quell'esatto momento, iniziò a pregustare la sua ricompensa.
Si avvicinò, silenzioso e guardingo; prese un fiammifero e accese lo stoppino di una piccola candela, posta sopra al comodino di fianco al letto.
Illuminò una chioma bionda, che copriva in parte il viso, mentre il resto del corpo era avvolto in calde e spesse coperte.
"Buongiorno principessa"
- Fantasy AU
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Present Mic, Shōta Aizawa
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avvolto nel nero della notte, illuminata flebilmente solo dai raggi lunari, e dal suo mantello, anch'esso nero, Shota Aizawa si avvicinò alle mura del castello. Ovunque era pieno di ossa e cadaveri appartenuti quasi sicuramente a coloro che, come lui, avevano intrapreso quel viaggio.
A conti fatti era una missione di suicida, come l'avrebbero definita molti.
Era riuscito ad attraversare il ponte di corda abbastanza agilmente e, con quasi altrettanta facilità, iniziò la scalata della parete.
Era insolito che un cavaliere viaggiasse senza armatura, ma questo oltre a renderlo suo malgrado troppo simile a un comune ladro, lo aveva avvantaggiato spesso: questa era una di quelle volte: senza il peso del metallo scalare era più semplice e, soprattutto, meno rumoroso.
Ci mise diverse ore, ma prima dell'alba era quasi arrivato: la finestra della stanza più remota, della torre più alta, era ora a pochi metri da lui.
Entrò di soppiatto, allerta.

I suoi occhi, già abituati all'oscurità, individuarono subito un letto al lato opposto della stanza, e una figura adagiatavi sopra.
"Buongiorno principessa" In quell'esatto momento, iniziò a pregustare la sua ricompensa.
Si avvicinò, silenzioso e guardingo; prese un fiammifero e accese lo stoppino di una piccola candela, posta sopra al comodino di fianco al letto.
Illuminò una chioma bionda, che copriva in parte il viso, mentre il resto del corpo era avvolto in calde e spesse coperte.
Guardò fuori dalla finestra, intravedendo una prima timida luce: doveva sbrigarsi se voleva andare via prima dell'alba. Con una mano afferrò la spalla della giovane e la scosse, non troppo dolcemente, con l'intendo di svegliarla.
Un paio di occhi verdi si lo fissarono di scatto e subito la ragazza si mosse svelta, rannicchiandosi contro il muro, le coperte ancora premute sul corpo.

«Mi scusi, non volevo spaventarla. Sono venuto a salvarla e-» un ruggito smosse le fondamenta del castello diroccato, annunciando ai due il risveglio del temuto drago.
«Merda. E' meglio se ci muoviamo, ho faticato per evitare di incontrare quella bestiaccia.» La bionda però non mosse un muscolo, rimanendo ferma al suo posto.
«Senta, non ho tempo per le presentazioni e tutto il resto, dobbiamo andare.» Gli porse la mano, ancora sporca di calce e con dei piccoli graffi dovuti alla scalata.

La ragazza si mosse verso di lui, stava per afferrarla, ma invece prese la candela, ancora poggiata sul comodino e se la avvicinò al viso.
Non potè fare a meno di notare dei tratti decisi ora, su quel volto. Accigliò lo sguardo, ma non aveva proprio tempo ora per osservarla e dirle quello che voleva sentirsi dire (qualunque cosa fosse).
«Ne parliamo dopo, okay?» La prese per mano, tirandola verso la finestra.

Lei cercò di ritrarla, costringendolo a stringerla; quando però gli arrivò un pugno ben assestato sulla spalla, l'uomo si fermò, irritato.
«Sa, inizio a pensare che la vera difficoltà non sia il drago, ma convincerla a scappare.» Mollò la presa, girandosi verso di lei. Per dargli il pugno aveva lasciato cadere la coperta che prima teneva stretta intorno a sé, quindi ora poteva vedere la sua vestaglia, di tessuto leggero e di un colore azzurro chiaro.
«Vuole cambiarsi...?» Ipotizzò. Ma questa non gli rispose, anzi afferrò i bordi del vestito e, con un singolo rapido movimento, se lo tolse.

«O porca-» si girò di scatto, cercando di non guardare, per poi coprirsi gli occhi con il braccio.
Sentì i suoi passi avvicinarsi, la sua mano afferrargli le dita, per costringerlo a guardarla.
Fidandosi, si scoprì gli occhi.
«O porca puttana! S-sei, sei un uomo?!» Non era abituato a urlare, ma non si dovette sforzare per esprimere tutto quello stupore.
Effettivamente, davanti a lui aveva tutto meno che una principessa: era un ragazzo magro, slanciato; i capelli biondi gli ricadevano lunghi fin sotto le spalle larghe, per quanto esili. Senza la vestaglia, il petto era nudo, coperto da pochi peli biondi, mentre dalla vita in giù indossava dei classici calzoni da notte.
Il ragazzo annuì appena, stringendosi nelle sue stesse braccia, come se avesse paura del suo sguardo.

Il corvino fece per parlare, ancora incredulo, ma un altro ruggito gli ricordò della presenza del drago, a pochi piani sotto di loro.
«Merda. Senti mi spiegherai tutto dopo, ora rimettiti quell'affare.» Lo sguardo del ragazzo per un attimo lo immobilizzò; cos'era quella? Incredulità? Riconoscenza?
«Su, muoviti!» Senza farselo ripetere il biondo indossò nuovamente la vestaglia e si avvicinò all'uomo, ora sopra alla finestra.
«Ho fatto due calcoli, dovremmo farcela. Tu fidati di me, okay?» Lui annuì, poco convinto.
Gli prese la mano e lo tirò nuovamente verso il fondo della camera poi, senza avvertirlo o altro, lo prese in braccio, dicendogli di aggrapparsi a lui.
Prese la rincorsa e, arrivato alla finestra, spiccò un balzo, mettendo nelle gambe tutta la forza che aveva; sorvolarono così il piccolo pezzo di terra attorno al castello, di appena qualche metro, e poi sotto di loro iniziò ad esserci solo l'acqua del lago che aveva attraversato sul ponte.

L'impatto con l'acqua fu comunque tremendo, talmente tanto che per un secondo pensò di aver perso i sensi... O forse successe davvero, visto che quando riaprì gli occhi era sulla terra ferma, vicino al ragazzo biondo intento a tossire anche l'anima.
Fece per alzarsi, ma oltre al bruciore in gola una fitta al braccio lo fece sussultare; doveva aver colpito una roccia o un qualcosa di simile, vista la spaccatura che percorreva quasi tutto il suo avambraccio sinistro.
Il biondo si accorse di lui, sveglio, e gli si precipitò vicino. I suoi occhi verdi sembrano preoccupati e spaventati, per questo si sentì di rassicurarlo.
«Sto bene, grazie per avermi portato a riva.» Si alzò, tenendosi il braccio con la mano; ricevette solo un grande sorriso come risposta.
«Ma tu sai parlare?» Gli occhi del biondo si fecero tristi; scosse la testa, facendo segno di no.
«Senti mi dispiace ma devo saperlo: sei davvero il figlio del Re?»
Annuì convinto.
«Okay.» sospirò.

Beh, che fosse un principe o una principessa poco importava. Non aveva mai pensato di chiedere al Re la mano di sua figlia come ricompensa, quindi riportare in dietro l'erede al trono rimaneva la sua priorità, fosse esso maschio o femmina. Anche perchè cos'altro poteva fare, lasciarlo lì da solo?
Con un fischio richiamò il suo cavallo, una bestia grande e possente che aveva addestrato lui stesso; prese due cambi di vestiti dalle bisacce legate dietro alla sella e ne porse uno al ragazzo.
Non erano vestiti molto principeschi, ma per evitare il congelamento e un raffreddore andavano più che bene.

Quando il ragazzo vide la sua ferita non indugiò e strappò parte della sua veste, porgendogliela per usarla come fasciatura.
«Grazie, ma, vedi mi ero portato qualcosa per medicarmi» disse, indicando delle bende, estratte anch'esse dalla bisaccia. Sconsolato, il povero principe si limitò a cambiarsi.
«Io mi chiamo Aizawa Shota, sono un cavaliere proveniente da un piccolo villaggio.» Gli tese la mano, e quando il biondo l'ebbe stretta ricominciò a parlare. «Ora ti spiego brevemente come funzionerà il viaggio, okay?» L'altro annuì.
Avrebbero percorso assieme il tragitto fino alla capitale; lui da solo ci aveva messo quasi due settimane, quindi probabilmente avrebbero impiegato un po' più di tempo. Avrebbero fatto poche soste in villaggi e piccole cittadine, giusto per rifornirsi, e avrebbero dormito all'aperto.
Si sarebbe occupato lui dei vari conti e delle spese con il suo denaro, denaro che tanto avrebbe riavuto con la ricompensa.
«Tutto chiaro?» Di nuovo, annuì.

«Bene. Allora monta su forza, non voglio perdere altro tempo.» Il principe si indicò con l'indice, guardandosi attorno.
«Certo che dico a te! Forza, sali.» Si avvicinò al cavallo, accarezzandone il pelo morbido.
Al solo pensiero di poter di nuovo salire su un destriero gli scese una lacrima.
Ripensò a tutto quello che aveva passato, chiuso in quella torre, senza il coraggio di scappare. Ripensò a tutti gli uomini che erano rimasti uccisi dal drago, e a quelli che come Shota erano riusciti a raggiungerlo, ma che alla scoperta del suo segreto se n'erano andati.
Qualcuno aveva persino provato ad abusare di lui, come "premio di consolazione". Un uomo l'aveva fatto evadere da quella prigione ma, arrivati al suo cavallo, l'aveva legato ai polsi e aveva iniziato a trascinarlo, al pari di uno schiavo.
Il drago era volato fin da lui e l'aveva riportato indietro, ovviamente solo dopo aver divorato l'uomo.

Con tutti quei pensieri in testa, lasciò scivolare ancora qualche lacrima sul volto, poi salì in sella al cavallo. Shota fece lo stesso e, prima che potessero partire, diede un'ultima occhiata al castello: il drago era lì, in piedi sulla soglia. Le scaglie bianche azzurrine riflettevano la luce del sole appena sorto, mentre i suoi occhi gialli lucenti lo guardarono allontanarsi all'orizzonte.

*

Alla prima sosta Aizawa aveva lasciato il cavallo libero di riposarsi e abbeverarsi ad un piccolo ruscello, mentre lui e il suo nuovo compagno di viaggio avrebbero semplicemente aspettato di ripartire.
Il principe non ci mise molto a capire che il suo compagno di viaggio non doveva essere proprio quello simpatico e chiassoso ai balli; così, stanco di quel silenzio, decise che avrebbe fatto conversazione a modo suo.
Si alzò dal tronco su cui si era seduto e ritornò poco dopo, seguito dallo sguardo attento di Shota, con un bastoncino alla mano.
Cercò, con quanta più precisione possibile, di scrivere sul terreno fangoso.

«Qualcuno qui vuole fare conversazione, eh?» Il sorriso che gli rivolse per poco non gli bloccò il cuore: nessuno gli aveva mai sorriso in quel modo e soprattutto, nessuno che conoscesse da meno di tre ore.
«Hi... zas... Hizashi?» Lui annuì felice, come un bambino.
«E' il tuo nome? Hizashi Yamada?» Euforico esultò.
Gli chiese se volesse essere chiamato per nome o per cognome, ma a quella seconda ipotesi il biondo non sembrò molto entusiasta.
«E Hizashi sia. Ti direi di chiamarmi Shota, ma penso sarebbe inutile.» Gli riservò un'occhiataccia offesa, ma lui sorrise.

«E come mai non puoi parlare? Sei nato così o-» Il ragazzo scosse la testa, poi impugnò nuovamente il legnetto, cancellando il suo nome e iniziando a scrivere.
«Un incantesimo? Sul serio?» Gli veniva da ridere, non erano cose così frequenti nel loro mondo; ma dopotutto poco prima aveva intravisto un drago, quindi non poteva del tutto escluderlo.
«Non è che in realtà sei una donna, sotto incantesimo e-» Lui gli diede un bonario pugno sulla spalla, mimando una risata silenziosa con la bocca.
Ripartirono, e a quella sosta ne seguirono molte altre: alcune fatte di silenzi, altre di qualche domanda e qualche parola scritta con un bastoncino.

*

La sua vita a corte, nella giovinezza, non era stata molto ricca di conoscenze, soprattutto di plebei, come li chiamava suo padre; se a questo aggiungeva qualche anno di prigionia in una torre remota, da solo, era logico che non si trovasse a suo agio in mezzo alla gente.
Questo però Shota non lo poteva sapere, quindi si era ritrovato a girare per la piccola cittadina con le redini del cavallo in una mano e l'altro braccio arpionato tra le mani di Hizashi.
«Okay, calmati ora. Dobbiamo solo comprare da mangiare» La presa del biondo si fece ancora più stretta; in un giorno di mercato come quello era inevitabile scontrarsi con più gente del solito, ma questo al principe sembrava non entrare in testa.

«Ehi tu! Guarda dove vai!» Un energumeno, il doppio di loro due messi assieme, andò a sbattere proprio contro il gracile biondino, e aveva tutta l'aria di voler attaccare briga.
«Vieni Hizashi.» Shota afferrò il compare, tirandolo via. L'omone però prese entrambi per un braccio, proprio dove il corvino aveva la fasciatura.
«Chiedimi scusa.»
«Lasciaci.» Non avrebbe sprecato fiato con quello lì, poco ma sicuro.

Appena il pugno dell'uomo vibrò verso il suo volto spinse Hizashi di lato, sfoderando un coltellino da sotto la maglia; schivò il colpo e, agile e veloce, colpì l'uomo con un pugno al fianco, poi gli salì sulle spalle. Attorcigliò le sue gambe al suo collo e con una capriola lo ribaltò in avanti; era ancora steso a terra quando gli salì sulla schiena e gli afferrò il mento, tirandolo verso di sé quel tanto che bastava per esporre la giugulare, pulsante.
«Sparisci.» Sibilò, pungendo appena la pelle con il coltello.
Questi si alzò e corse via svelto, seguito da un piccolo omuncolo che non aveva mosso un dito per tutto il tempo.
Hizashi gli corse incontro, preoccupato; lo rassicurò e, sempre con il braccio stretto tra le sue mani, comprarono l'occorrente e ripresero il viaggio.

*

Allungò le mani verso il fuocherello acceso, beandosi di quel tepore, e volse lo sguardo al cielo: non si sarebbe mai stufato di poter osservare le stelle e la luna così liberamente, e non da una piccola finestra.
«Tieni.» Shota gli passò la sua cena in una piccola scodella; non era molto bravo a cucinare, ma a lui sembrava ogni volta come se quello fosse il pasto più buono della sua vita.
Da circa dieci giorni ormai era in viaggio con lui: gli era grato per averlo salvato, ma non avrebbe mai immaginato che si sarebbe affezionato a quel corvino scontroso, e mai così tanto.
Era spesso taciturno, ma non sembrava infastidito quando voleva "chiacchierare"; anzi lo scopriva a fissarlo dal nulla in certi momenti, a volte poi era lui per primo a porgergli un bastoncino trovato "per caso".
Consumò la sua cena, poi gli si avvicinò per cambiare la medicazione al braccio: una piacevole routine che gli consentiva di stare vicino a lui più del solito.
«Sembra migliorata.» Annuì convinto, porgendogli la spada, come tutte le sere. Per Shota l'allenamento era essenziale, e anche con quel braccio non si era mai fermato.

Quando si sedette di nuovo con lui, Hizashi scrisse poche lettere sul terreno.
«Età? Vuoi sapere quanti anni ho?» Il biondo gli si avvicinò, curioso. Faceva sempre così quando si aspettava qualcosa di più di una semplice risposta.
«Ventidue» L'altro si agitò, indicando ripetutamente sé stesso. «Ah anche tu? Sì?»
Rise al pensiero che lui, un guerriero del Re, e quel principino, così magro e smilzo, fossero coetanei.
Con il bastone indicò la spada dall'elsa nera, appoggiata poco lontano da loro.
«Vuoi sapere da quando sono un soldato?» Non ci fu quasi bisogno che lui facesse segno di si; ormai dopo una settimana era diventato particolarmente bravo a interpretare i suoi segni e le sue scritte.

Gli raccontò della povertà della sua famiglia, della fuga di suo padre e di come lui fosse rimasto solo, sotto le grinfie di una madre non troppo affettuosa. Le due sorelle erano la sua unica fonte di felicità: per proteggerle aveva imparato a tirare di spada e un cavaliere, passato per caso vicino a casa loro, lo aveva preso sotto la sua ala e lo aveva portato fino al cospetto del Re.
«Avevo forse tredici anni quando il mio maestro morì, lasciandomi in eredità la sua spada. Da quel momento, ho dovuto cavarmela da solo.»
Hizashi lo guardava con gli occhi sognanti, impressionato. Di sicuro avevano avuto due infanzie totalmente diverse, agli antipodi forse.
«Mi piacerebbe sentirti dire qualcosa su di te»
Lo vide mimare "anche a me" con le labbra, in un modo dolce e... sensuale.

Lo faceva spesso ultimamente, tralasciando il modo in cui lo faceva: mimava spesso le parole, rivolto verso di lui. Aveva compreso che forse quello era un modo inconsapevole di dirgli che avrebbe voluto parlargli, fargli sentire la sua voce, nonostante non potesse.
Avevano deciso di mettersi a dormire, quando delle gocce avevano iniziato a cadere dal cielo, provenienti da diverse nuvole minacciosamente grigie. Senza perdere tempo raccolsero tutta la loro roba, alla ricerca di un riparo dove passare la notte.
Per loro fortuna trovarono una vecchia casa, probabilmente abbandonata. Controllarono in giro: la totale assenza di tegami, coperte, vestiti e molto altro sembrava dar credito alla loro ipotesi.
«A nessuno dispiacerà se passiamo la notte qui.» Stese per terra le coperte, per fortuna non così zuppe come temeva.

Hizashi gli si sistemò subito vicino, molto vicino.
Se n'era accorto: erano diversi giorni che il biondo si aggrappava ancora più stretto a lui mentre cavalcavano e, da un paio di giorni, gli sembrava che la loro vicinanza prima di addormentarsi si stesse facendo sempre più... intima.
La cosa in un certo senso lo turbava, però allo stesso tempo gli piaceva.
Gli piaceva sentire il contatto con la pelle morbida del ragazzo, il suo profumo così dolce, perdersi nel verde di quegli occhi.
Senza accorgersene, mentre cercava di trovare una posizione che non fosse equivocabile, si appoggiò proprio sul braccio ferito, disattenzione che gli costò un lamento a denti stretti.
Le mani di Hizashi gli afferrarono subito il polso, tastando la fasciatura e sfilandola, per controllare lo stato del taglio.

Quando alzò lo sguardo, il principe trovò gli occhi nero pece di Shota a fissarlo come nessun altro aveva mai fatto: era forse quello lo sguardo di chi è innamorato? E se era quello, pure lui assumeva quell'espressione, quando guardava il corvino?
Si avvicinò a lui, attratto dalle sue labbra rosee e si stupì di come persino Shota si stesse pian piano avvicinando a lui.
Si sfiorarono appena, per poi lasciare che quel bacio diventasse più intenso.
All'improvviso però, il cavaliere lo spinse via.
«No. No è sbagliato. Siamo due uomini, e per di più tu sei il Principe!
Santo cielo, che sto facendo...» Si mise una mano sugli occhi, mentre le dita di Hizashi si aggrappavano a lui e con gli occhi gli implorava di non dire quelle cose.
«Ascolta, non si può. Sei- sei solo confuso, perché ti ho salvato dalla prigionia... Tu non vuoi questo, credimi.» Si alzò, pronto ad andarsene e dormire fuori, sotto la pioggia battente.
«Ma io ti amo...» Era appena un sussurro, ma l'aveva sentito fin troppo bene.

Voltatosi di scatto, vide con i suoi occhi che Hizashi si teneva la gola con entrambe le mani, gli occhi sbarrati, sorpreso quanto lui.
«T-tu hai...?»
«S-shota...» Era flebile, di nuovo, ma lo sentì.
Gli corse incontro, felice come forse non lo era mai stato in vita sua, e lo abbracciò; Hizashi era troppo scosso persino per muovere un muscolo, ma appena si rese conto di quello che era successo ricambiò l'abbraccio, e cercò le labbra del corvino come se fossero aria.
Passarono tutta la notte abbracciati, con il principe a raccontare tutto quello che in quei giorni non aveva potuto dire, e il cavaliere a pensare che non avrebbe mai più potuto fare a meno di quella voce.

*

Arrivarono al castello pochi giorni dopo, entrambi con un ritrovato ottimismo per la vita.
Persino a Shota i prati sembravano più verdi e i cieli più azzurri; tutto sembrava più bello, ora che era con Hizashi.
Non sapevano ancora come comportarsi dinnanzi al cospetto del Re, ma speravano nella buona sorte e che qualche divinità si schierasse dalla loro parte.
Contro ogni aspettativa, il principe fu accolto solo da poche guardie e il Re richiese la loro presenza nel salone principale dove, sempre molto stranamente, non vi era nessuno se non loro.

«Padre!» Urlò Hizashi quando vide arrivare l'uomo; era invecchiato da quando lo avevano relegato in quel castello, non aveva perso però quel fare orgoglioso e regale che l'aveva sempre contraddistinto, e che da piccolo lo aveva sempre intimorito.
«Sei vivo, dunque.» Non finse nemmeno di essere contento. Gli diede una pacca sulla spalla e si avviò verso il centro della sala, verso Aizawa.
«E così, sei riuscito nell'impresa, giovane cavaliere.»
«Si, mio signore.» Si inginocchiò, chinando il capo.
«Dammi la spada, cavaliere.»
Restio, vedendo l'ombra di una guardia dietro di sé, obbedì. Sfilò la spada dalla guaina e la porse al sovrano, tenendo sempre il capo chino.
«Per anni mio figlio è rimasto prigioniero in quella torre. Per anni i più prodi cavalieri hanno tentato di riportarlo qui. Mai avrei creduto che qualcun altro riuscisse nell'impresa.»
«Per la seconda volta, questa spada tradirà il suo stesso cavaliere.» Fece per alzarsi e indietreggiare, ma il colpo vibrò più veloce di quanto potesse immaginare.

Sentì il dolore e il calore del suo stesso sangue avvolgerlo; poi, solo l'urlo del principe... Quella bella voce, angelica, ormai distorta.
Per un secondo, gli sembrò di sentire ancora la sensazione delle sue mani sulla sua pelle, ad accarezzargli il viso. Ma durò poco.
Chiuse gli occhi, stanco.

«Pezzente di un contadino. Avrebbe dovuto morire tra le fauci del drago!» Volse lo sguardo verso il figlio, accasciato ai piedi del trono.
«E tu... Avresti dovuto rimanere in quella torre. Hai forse dimenticato quel cavaliere di dieci anni fa?
Tu! Riportalo in quel posto sperduto. E bada che non scappi.»
Come in trance, lasciò che lo caricassero a peso morto su un cavallo e che lo riportassero lì, dove tutto era cominciato e finito allo stesso tempo.

*

«Mio Signore, siete in partenza?» Aprì gli occhi, riscosso dai suoi pensieri.
«Hai preparato l'oro che ti ho chiesto?» Si alzò dal trono, tenendo una mano salda sull'elsa nera della sua spada.
«Sì, Sire.» Afferrò la borsa tintinnante e, con passo spedito, salì i gradoni che dalla sala principale percorrevano a spirale una piccola torretta, fatta costruire apposta per lui.
Quando fu sulla sommità, produsse un sonoro fischio con le dita, e rimase in attesa per una manciata di secondi: un enorme, maestoso drago azzurro, comparve appena sotto di lui; spiccò un salto millimetrico, finendo a cavalcioni proprio sul collo della creatura.

«Andiamo Shirakumo.» Il drago sbuffò, i muscoli tesi e le ali spiegate, pronto a partire.
Lui, creatura fedele che lo aveva lasciato partire quel giorno; creatura che lo aveva protetto negli anni e che lo aveva accolto sulla sua groppa il giorno che si era deciso a tornare per affrontare il padre.
Diede un'occhiata al Regno, sotto di lui. Il suo Regno.
Né la vendetta, né il potere avevano colmato il vuoto che da quel giorno divorava il suo cuore.

Solo portare quelle piccole somme di denaro a due ragazzine di un piccolo villaggio, attenuava di poco quel dolore: vedere i loro occhi neri come la pece, e i capelli corvini.
Strinse di nuovo l'elsa nella mano e, sorvolando sopra a una piccola casetta abbandonata in periferia, si diresse al villaggio.

Salve ❤️
Sorry per il ritardo ma in questi giorni sono stata davvero incasinata e la stanchezza ha avuto il sopravvento...

Mi scuso comunque, il capitolo è un po' sad, molto sad... Quando l'ho scritto il mio pensiero è andato subito alle favole con un lieto fine, poi ho voluto cambiare il finale (non so bene perché, ho solo voluto stravolgere un po' le cose e dare un finale felice all'Erasermic mafiosa e un non-finale a loro, ma vabbè.)
 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Ookami_96