7. Un buon capo
Nevio alzò lo sguardo sulla cresta al di sopra la valle e per un momento il coraggio venne meno. Ovunque guardasse, da nord a sud, uomini armati di archi li sovrastavano. Il vento si fermò e il solido sostegno di Stetio oscillò per un istante. Erano circondati. Gli Incerulani occupavano ogni sperone visibile e li tenevano sotto tiro da ogni angolazione possibile.
Erano in trappola.
Nevio non riusciva a pensare, il fianco aveva smesso di bruciare e ora era diventato un dolore sordo e costante che gli annebbiava le idee e rendeva gli angoli della visuale sfumati, sempre più incoerenti. Le voci dei compagni gli arrivavano lontane, ma si sforzò di mettere insieme i pensieri.
“Se corriamo abbastanza veloce possiamo farcela.” Stetio aveva ripreso stabilità e ora stringeva Nevio in una presa ferrea per tenerlo più o meno in piedi.
“Sei pazzo, la Foresta è un passo da noi, gli alberi ci copriranno.” Seku continuava a lanciare occhiate dietro di loro, verso la scia tra gli alberi lasciata pochi istanti prima da Anco.
Un segnale invisibile, poi per un momento il cielo grigio e carico di neve si macchiò di decine di frecce scagliate con micidiale precisione. Stetio, Seku, Vetio e gli altri alzarono i piccoli scudi per proteggersi come potevano. Un grugnito strozzato da qualche parte tra i suoi uomini disse a Nevio che qualcuno era stato colpito, forse più di uno. Come era potuto cadere in una trappola così stupida? Immagini reali e scenari possibili si affastellavano senza ordine, riusciva a stento a distinguerli e a tenerli separati, mentre i suoi compagni discutevano sul da farsi. Ci stavano mettendo troppo. Stetio si era impuntato a voler uscire dalla valle, Seku non ne voleva sapere di cedere e Vetio si era proposto di fare da esca per coprire la fuga degli altri. Decio, da qualche parte più in là gridava ordini scomposti al resto dei sopravvissuti, mentre un’altra tornata di frecce si abbatteva impietosa sugli scudi e sugli angoli scoperti. Nevio si fece forza, mise in ordine le parole e parlò con tutta la fermezza che era capace di racimolare:
“Verso l’uscita. Andiamo verso l’uscita, ora.”
Stetio non se lo fece ripetere, se lo caricò e proteggendolo con lo scudo e con il proprio corpo guidò gli altri verso la strettoia. Una nuova ondata di frecce coprì il cielo e colpì qualcuno dei ragazzi. Nevio sperò che nessuna fosse stata letale. Non ci volle molto per arrivare alla strettoia dove la cresta su cu si trovavano gli Incerulani e il banco di roccia su cui cresceva la Foresta si incontravano, lasciando un passaggio di una manciata di passi che non lasciava camminare affiancati più di due uomini. In quel momento, tuttavia, ce ne erano molti di più, armati di lance e pronti alla battaglia. Stetio imprecò e dietro di lui Seku lo imitò. Non c’era via di uscita.
Nevio sentiva la speranza farsi sempre più sottile. Non sapeva cosa fare. I suoi uomini sarebbero morti in trappola, trafitti da frecce incerulane e senza un capo a guidarli. Tutto questo perché lui era stato stupido ed ingenuo. Cosa avrebbe detto suo padre? Poteva quasi sentire su di sé lo sguardo deluso di Pompo, la sottile linea delle labbra serrarsi e piegarsi leggermente all’ingiù. Lacrime traditrici gli punsero gli occhi. Lontano, da qualche parte nel mondo reale, Seku e Stetio stavano abbaiando ordini uno in contraddizione con l’altro, incastrando gli uomini in un’indecisione fatale. L’umiliazione bruciava più della ferita, ma Nevio seppe subito che era la cosa giusta da fare. Si aggrappò al braccio di Stetio e gli sussurrò:
“Seguite Seku. È il capo ora.”
Sentì l’amico irrigidirsi un attimo, poi riferire ad alta voce l’ordine, mentre il cielo grigio e cupo diventava sempre più buio. Altre grida, altre frecce, forse altri morti. Forse lui era fra questi, forse no. Una fitta di tristezza lo assalì per un momento al pensiero di Vesullia, sarebbe stato bello dirle addio.
Poi tutto si fece buio e Nevio sperò di rivedere Vetilla nelle sale degli antenati.
Erano in trappola.
Nevio non riusciva a pensare, il fianco aveva smesso di bruciare e ora era diventato un dolore sordo e costante che gli annebbiava le idee e rendeva gli angoli della visuale sfumati, sempre più incoerenti. Le voci dei compagni gli arrivavano lontane, ma si sforzò di mettere insieme i pensieri.
“Se corriamo abbastanza veloce possiamo farcela.” Stetio aveva ripreso stabilità e ora stringeva Nevio in una presa ferrea per tenerlo più o meno in piedi.
“Sei pazzo, la Foresta è un passo da noi, gli alberi ci copriranno.” Seku continuava a lanciare occhiate dietro di loro, verso la scia tra gli alberi lasciata pochi istanti prima da Anco.
Un segnale invisibile, poi per un momento il cielo grigio e carico di neve si macchiò di decine di frecce scagliate con micidiale precisione. Stetio, Seku, Vetio e gli altri alzarono i piccoli scudi per proteggersi come potevano. Un grugnito strozzato da qualche parte tra i suoi uomini disse a Nevio che qualcuno era stato colpito, forse più di uno. Come era potuto cadere in una trappola così stupida? Immagini reali e scenari possibili si affastellavano senza ordine, riusciva a stento a distinguerli e a tenerli separati, mentre i suoi compagni discutevano sul da farsi. Ci stavano mettendo troppo. Stetio si era impuntato a voler uscire dalla valle, Seku non ne voleva sapere di cedere e Vetio si era proposto di fare da esca per coprire la fuga degli altri. Decio, da qualche parte più in là gridava ordini scomposti al resto dei sopravvissuti, mentre un’altra tornata di frecce si abbatteva impietosa sugli scudi e sugli angoli scoperti. Nevio si fece forza, mise in ordine le parole e parlò con tutta la fermezza che era capace di racimolare:
“Verso l’uscita. Andiamo verso l’uscita, ora.”
Stetio non se lo fece ripetere, se lo caricò e proteggendolo con lo scudo e con il proprio corpo guidò gli altri verso la strettoia. Una nuova ondata di frecce coprì il cielo e colpì qualcuno dei ragazzi. Nevio sperò che nessuna fosse stata letale. Non ci volle molto per arrivare alla strettoia dove la cresta su cu si trovavano gli Incerulani e il banco di roccia su cui cresceva la Foresta si incontravano, lasciando un passaggio di una manciata di passi che non lasciava camminare affiancati più di due uomini. In quel momento, tuttavia, ce ne erano molti di più, armati di lance e pronti alla battaglia. Stetio imprecò e dietro di lui Seku lo imitò. Non c’era via di uscita.
Nevio sentiva la speranza farsi sempre più sottile. Non sapeva cosa fare. I suoi uomini sarebbero morti in trappola, trafitti da frecce incerulane e senza un capo a guidarli. Tutto questo perché lui era stato stupido ed ingenuo. Cosa avrebbe detto suo padre? Poteva quasi sentire su di sé lo sguardo deluso di Pompo, la sottile linea delle labbra serrarsi e piegarsi leggermente all’ingiù. Lacrime traditrici gli punsero gli occhi. Lontano, da qualche parte nel mondo reale, Seku e Stetio stavano abbaiando ordini uno in contraddizione con l’altro, incastrando gli uomini in un’indecisione fatale. L’umiliazione bruciava più della ferita, ma Nevio seppe subito che era la cosa giusta da fare. Si aggrappò al braccio di Stetio e gli sussurrò:
“Seguite Seku. È il capo ora.”
Sentì l’amico irrigidirsi un attimo, poi riferire ad alta voce l’ordine, mentre il cielo grigio e cupo diventava sempre più buio. Altre grida, altre frecce, forse altri morti. Forse lui era fra questi, forse no. Una fitta di tristezza lo assalì per un momento al pensiero di Vesullia, sarebbe stato bello dirle addio.
Poi tutto si fece buio e Nevio sperò di rivedere Vetilla nelle sale degli antenati.