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Autore: Enchalott    22/02/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fino all’ultimo respiro
 
Aska Rei vibrò il fendente e abbatté l’avversario, incurante se fosse un daimar o un Anskelisia: per lui era pari, entrambe le creature appartenevano all’ombra e stavano attentando a tutto ciò che amava.
La sua spada era viscida di sangue e di umori, tanto che aveva difficoltà a serrarla tra le dita. I suoi uomini stavano tentando il tutto per tutto al fine di proteggere le mura della città, che quella notte aveva subito l’ennesima, feroce aggressione da parte dei demoni. Il soldato che gli stava lottando accanto crollò a terra, ghermito dalle grinfie letali di un sulluhat: si contorse al suolo in preda agli spasmi, in attesa che uno dei servitori del Nulla, attratto dal suo dolore, intervenisse a divorargli lo spirito. L’ufficiale gli affondò la lama nel cuore graziandolo, ma provò una terribile angoscia e un forte senso di colpa, di ingiustizia, di impotenza. Aveva compreso da tempo che gli dei li avevano abbandonati. Forse persino Dionissa si era sbagliata: né Adara né tantomeno Irkalla erano in grado di frapporsi tra la sopravvivenza e l’estinzione del genere umano.
Gli occhi spenti e cinerini del condottiero nemico lo squadrarono, causandogli un brivido di repulsione. Oppose con un incrocio veloce alla spada nera dell’avversario e, approfittando della posizione di vantaggio, lo decapitò. Evitò di assistere alla trasformazione inversa del corpo capovolto nella polvere, dicendosi che si trattava di un’anima già persa, sporca, restituita al suo luogo d’origine.
Avanzò, facendosi largo a colpi di sprone tra la marea brulicante, nella quale le uniformi tortora elestoryane non erano più distinguibili. Ordinò ai suoi di avanzare, di riprendere la formazione, li esortò a non arrendersi.
La volta celeste sopra la carneficina in atto era spaccata in due: lo squarcio livido che incombeva sulle loro esistenze stava acquisendo un colore nerastro soffocante, che si espandeva nell’etere come una macchia d’inchiostro. Il vento sollevava la sabbia, nel pulviscolo fitto la visibilità era pressoché nulla e le torce di segnalazione, accese come riferimento nei punti chiave della battaglia, erano degli aloni aranciati sempre più tenui e stinti.
All’improvviso il suolo tremò, percorso da un’energia che si manifestò come il rombo assordante di mille tuoni all’unisono. Il destriero si impennò, terrorizzato dalla violenta scossa e Rei faticò a riportarlo alla calma. Alcuni dei suoi meno reattivi compagni finirono a terra, disarcionati dallo sgroppare impaurito degli animali. Il comandante si pose di traverso, impedendo che i nemici approfittassero del fenomeno per portarsi in vantaggio. Stranamente i daimar non rinforzarono gli attacchi, messi sul chi vive dal sisma. I loro abiti scuri si confusero nelle zone grigie dell’ambiente, diventando evanescenti e riducendo l’impatto aggressivo sui difensori della capitale.
Rei pensò di avere le traveggole a causa della mancanza di riposo e si costrinse a non abbassare la guardia, ma i soldati che lo attorniavano rivolsero alla circostanza sguardi altrettanto disorientati. Doveva essere accaduto qualcosa. Non lì, forse a Iomhar.
«Non distraetevi! Può essere una trappola! Serrate i ranghi, non lasciateli passare!»
I guerrieri si riscossero, concentrando l’attenzione sugli Angeli del deserto, che invece continuavano a ingaggiare battaglia, narcotizzati da una brama cruenta e insaziabile di morte.
«Generale!! Generale Rei!»
Il richiamo pressante echeggiò nel clamore dello scontro, accompagnato dal galoppo sfrenato di un messaggero proveniente da Erinna. L’uomo aveva la divisa pulita: Rei ipotizzò che si trattasse di un membro scelto della Guardia reale, destinata a proteggere il palazzo e i suoi occupanti. Gli si gelò il sangue.
Dionissa…
Spronò il corsiero e lo raggiunse in preda all’angoscia.
«Che diavolo accade!?” Parla, per tutte le oasi!»
Quello prese fiato, come se fosse stato lui a correre a rotta di collo attraverso la vasta piana per raggiungerlo.
«Vostra moglie è entrata in travaglio! La regina Eudiya vi ordina di rientrare subito, Neli Delas è già pronto a sostituirvi!»
Rei trasalì. Nella sua mente risuonò la cruda minaccia che il demone Kheera gli aveva rivolto al termine del duello. Era certo che sarebbe tornato per vendicarsi, che non avesse mentito: la vita innocente di sua figlia era in pericolo.
Fece per seguire il soldato, pronto a passare le consegne al suo secondo, quando un nuovo sisma, più devastante di quello precedente, rivoltò il creato. La luce si infiochì, rendendo il dì simile al crepuscolo. Una raffica di vento gelato spazzò il campo di battaglia, scortata da un lamento agghiacciante, proveniente dal nucleo stesso dell’esistente, dalle fauci maligne dell’oscurità.
Prima che Rei potesse risolversi, fu sfiorato da una freccia dall’impennaggio rosso, che andò a conficcarsi in un cadavere abbandonato poco oltre. Riconobbe senza il minimo dubbio la fattura e il colore: Aethalas.
«Dove diamine stanno tirando!?» ringhiò su tutte le furie, convinto che il buio stesse disorientando gli arcieri appostati sulle mura.
«Non viene da Erinna!» squittì il messaggero, che aveva scorto la parabola del dardo «Ci attaccano alle spalle!»
l generale voltò la cavalcatura con uno strattone. Una seconda ondata di strali gli troncò la parola, dandogli appena il tempo di evitare di essere centrato e dimostrando che l’altro purtroppo aveva ragione.
Trasecolò. Impossibile. I Guardiani del Mare non avrebbero mai tradito Elestorya! Tutti quelli che avevano a disposizione stavano combattendo dalla cinta muraria, mentre il resto della tribù era al seguito di Stelio. Ne era convinto. Aveva la parola di Phylana e la promessa di Narsas, era sicuro che Dare Yoon avesse raggiunto Varsya a scanso di qualsivoglia equivoco. Ma allora perché?
«Comandante!»
Un altro appello disperato lo staccò dalla riflessione: individuò il nuovo latore di evidenti pessime notizie, guardandosi intorno come se all’improvviso ciascuno fosse divenuto un nemico infido da cui stare alla larga.
«Comandante! L’ala sinistra dell’esercito è in difficoltà! L’offensiva giunge dal deserto!»
«Sciocchezze!» ribatté Rei innervosito «È inattuabile una manovra del genere! Eras Jace è schierato al margine dell’altipiano, nessuno può arrampicarsi per quella zona rocciosa, lo abbiamo deciso apposta per evitare di essere circondati!»
«M-ma signore…» balbettò il messo.
«Dovrebbero essere stati sputati dalla terra per riuscire a…» si bloccò, sudando freddo «Chi?» domandò poi, mutando tono «Chi li sta assalendo?»
«Il capitano non ne è persuaso, ma… Iohro, generale. Sembrano guerrieri Iohro.»
Aska Rei si lasciò sfuggire un’imprecazione, conscio della situazione estrema. Gli avversari imprevisti non erano né gli Aethalas né i valenti uomini di Eisen. Non c’era stato alcun voltafaccia. Le anime risucchiate dai daimar nelle loro ripetute incursioni si stavano radunando ai piedi della città, richiamate dalla volontà dell’essere malvagio che stava annientando il cosmo. Il terremoto aveva annunciato la fine.
«Riferisci alla regina Eudiya che non rientrerò» mormorò all’inviato proveniente da Erinna, sentendo il cuore andare in frantumi «È qui che la mia spada e la mia vita difenderanno la nostra terra e la nostra gente. È qui che sono chiamato a morire.»
 
Dionissa gemette per la nuova contrazione, stringendo il braccio della madre, che la stava sorreggendo quasi di peso.
«Tesoro, sdraiati adesso. Presto tuo marito arriverà, l’ho mandato a chiamare.»
«Non avresti dovuto. Il posto di Rei è con l’esercito e anche tu non dovresti stare qui, mamma. Elestorya ha bisogno di te. Tutti i giorni nascono bambini, mi aiuteranno le levatrici.»
Eudiya sospirò contrariata, continuando a sostenere la figlia, che camminava a fatica per la stanza da letto, visibilmente provata. Nel momento stesso in cui le si erano rotte le acque, il contatto con Iomhar si era interrotto e il Kalah aveva smesso di assecondarla, lasciandola in uno stato d’ansia che travalicava quello plausibile dovuto al parto. Nonostante le doglie, Dionissa aveva provato a ristabilire la connessione con il Nord, tentando di raggiungere spiritualmente Irkalla. Non c’era stato nulla da fare. Il suo corpo, sfibrato dalla malattia, l’aveva richiamata all’atto del dare alla luce, sottraendole tutte le altre energie. E forse era giusto così.
«Così non fai altro che indebolirti.»
«Camminare mi aiuta e… ah!» una nuova fitta costrinse la ragazza a stringere i denti «Finché ne sono in grado, desidero seguire le sorti dello scontro.»
La regina gettò un’occhiata inquieta alla piana sottostante, visibile dall’ampia trifora della torre meridionale. Non avrebbe saputo dire chi fosse in vantaggio, ma forse alla figlia era rimasto il sesto senso comune a tutte le donne innamorate. Anche lei avvertiva la presenza di Stelio, come se il marito fosse poco distante dalla città.
«Dove si è cacciato Aska Rei!? Quanto ci mette a tornare indietro!?»
Dionissa si fermò, curva sotto il peso dei nove mesi e del travaglio.
«Non verrà.»
«Se solo osa non presentarsi, lo faccio imbarcare come mozzo sul peggior mercantile ancorato a Thyda!» sbottò Eudiya incollerita.
«Mamma, l’uomo che ho sposato ci sta difendendo a costo della vita, affinché nostra figlia e noi tutti possiamo conservare una speranza. Se si fosse precipitato qui in preda all’agitazione da neo padre, non l’avrei riconosciuto. Non è la sua presenza a farmi capire che mi ama, è il suo sacrificio. Posso immaginare quanto la lontananza gli stia costando e condivido la sua coraggiosa decisione.»
La regina le scostò un ricciolo ramato dal viso sfiorito e sorrise commossa.
«Come vuoi tu, tesoro. È che vorrei…»
«Lo so. Va’ mamma, ti prego. Reggi Erinna anche oggi.»
Eudiya annuì, stringendole le mani diafane.
 
Il vento si era rinforzato, alterandosi in un turbine che aveva ridotto ai minimi termini la visuale e costretto gli uomini a procedere piegati, riparati alla bell’e meglio sotto le stole di stoffa colorata e i cappucci di tela chiara. L’improvviso rombo proveniente dal sottosuolo aveva fatto rizzare i capelli persino ai più impavidi, ma l’armata del reggente aveva continuato la sua marcia estenuante verso la capitale.
Assegnato ai preziosi ranghi della retroguardia, Dare Yoon cavalcava a testa bassa, fissando le orme labili impresse sulla sabbia da coloro che lo stavano precedendo, per non perdere l’orientamento e per evitare di incrociare lo sguardo di Sharen… no, di Tsambika, imprigionata su uno dei carri pesanti.
Quando la donna era stata portata via dagli yafandi Melayr, l’ufficiale era rimasto inginocchiato davanti al principe con il pugno destro conficcato a terra, con un uragano di pensieri rabbiosi e avviliti nella mente. Avrebbe dovuto capire, avrebbe dovuto riconoscerla, non lasciarsi fuorviare da…
Il richiamo di Stelio lo aveva staccato dallo stato di apatia esteriore e di profonda inquietudine interiore.
«Maestà…?» aveva mormorato, avvampando per essersi fatto cogliere in fallo.
«Avvicinatevi, vice capitano.»
Lo sguardo benevolo del sovrano gli aveva lasciato intendere che stesse comprendendo alla perfezione la sua impasse. O forse si era trattato di una mera impressione, dettata dal disagio che lo stava pungolando senza pietà. Dare Yoon aveva obbedito, pensando che il principe desiderasse conoscere altri particolari sulla piratessa che aveva imperversato per vent’anni sul Pelopi. Si era preparato psicologicamente a rivangare gli eventi dei mesi precedenti, invece Stelio aveva sfoderato la spada gemmata.
«Comandante, il debito che abbiamo nei vostri riguardi può essere ripagato soltanto in parte, date le tragiche contingenze di cui siete testimone. Il valore delle vostre azioni, la fedeltà dimostrata alla corona e a mia figlia Adara comunicano la vostra lealtà meglio dei vostri pur esaurienti rapporti. Siete un uomo riservato e modesto, vi siete incaricato di una missione decisiva, rinnovando la vostra parola quando la principessa vi ha chiesto di ritornare in patria con un compito altrettanto rilevante. Vi siete preso carico di innumerevoli vite e adesso siete pronto a morire per Elestorya.»
I bailye presenti avevano accompagnato la dichiarazione con un mormorio d’approvazione e Varsya lo aveva guardato con aggiuntiva gratitudine. Poi il sovrano aveva appoggiato la lama di piatto sulla sua spalla destra, facendolo sussultare.
«Io vi conferisco con atto immediato il grado di capitano della Guardia reale, affidandovi il comando dei soldati scelti che ne fanno parte e vi dispongo alla testa di cinquecento uomini della mia armata. Accettate l’oneroso mandato?»
L’emozione suscitata dalla circostanza inaspettata si era fusa con tutte le altre, facendolo vibrare nell’intimo. La risposta era stata umile e sincera.
«Accetto.»
«Alzatevi, capitano Dare Yoon. Siete destinato alla coda dell’esercito finché non giungeremo a Erinna. Tenteremo il tutto per tutto. Gli dei vi accompagnino.»
Lui aveva replicato con lo stesso augurio e aveva lasciato il padiglione, frastornato. Era montato in arcione e aveva raggiunto il su posto, accanto al carro dove ora si trovava, cercando di elaborare gli eventi delle ultime ore al ritmo del trotto armonioso e cadenzato di Soresh. Sul suo omero, il nodo elaborato che indicava in cremisi il grado appena acquisito luccicava a ogni folata, battendogli contro il bicipite e contribuendo a ricordargli che non si trovava tra i tortuosi meandri di un sogno.
«Lo meritate» affermò Tsambika, indicando la decorazione e spezzando il silenzio che era calato tra loro come uno scudo invalicabile.
L’elestoryano non rispose, serrato nel suo caparbio mutismo.
«Ero preparata ad affrontare le vostre sacrosante ragioni e persino la vostra collera, ma così…» sospirò lei, dopo aver atteso invano un segnale distensivo «Vorrei dirvi che mi dispiace, ma rischierei di non essere sincera.»
«Sareste riconoscibile in tal caso.»
«Non vi ho mentito, Dare Yoon. Ho cambiato nome perché colei che era nota come Tsambika non esiste più. Ho promesso che vi avrei rivelato tutto, non ho mai contato sul fatto che sarebbe stato semplice. Per me non è stato indolore e, a giudicare dalla vostra espressione, neppure per voi. Non era mia intenzione ferirvi o circuirvi. Quando ci siamo incontrati, sono stata tentata di non accettare la vostra compagnia, di fuggire da voi. Poi il desiderio di farmi conoscere per come sono è prevalso. Senza veli interiori, seppur velata all’esterno. Senza pregiudizi. L’ho considerata una possibilità offertami da una divinità misericordiosa. Il mio passato è caduto quando ho sciolto il voto a Manawydan e ho affrontato il giudizio del re come ho giurato. Sono rinchiusa tra le sbarre e per paradosso mi sento libera.»
L’ufficiale alzò di qualche centimetro il cappuccio, ma continuò a guardare altrove.
«Scontate la vostra doppiezza inventando nuove falsità, nient’altro.»
«Ciò che vi ho raccontato è la verità. Sono nata sulle Isole, sono stata catturata e venduta come un oggetto qualsiasi. La nave su cui ho passato dieci anni della mia vita in segregazione era la Violine, l’uomo che mi ha adottata era il padre di Iker. Loro due mi hanno protetta e mi hanno insegnato quanto era necessario per sopravvivere in quel mondo maschile, fatto di acqua e sale. Finché a quattordici anni non ho assunto il comando della Xiomar e sono divenuta la persona orribile che avete conosciuto. Ho omesso i nomi, ma li stimate tanto importanti rispetto a quanto ho voluto che sapeste di me? Parlando con voi, ho ripercorso per la prima volta il mio cammino e l’incerta convinzione di aver attuato la decisione corretta si è consolidata. Il merito è vostro, Dare Yoon.»
L’ufficiale sollevò uno sguardo tagliente e irato, ma non riuscì a nascondere altre sensazioni altrettanto potenti.
«Piantatela con le blandizie! Non si è trattato che di un ennesimo imbroglio, per ottenere ciò che bramate da quando ci siamo conosciuti. Per prendervi la rivincita su di me, per piegarmi ai vostri squallidi desideri!»
Tsambika scosse la testa, amareggiata. Eppure quel muro insormontabile che lui stava opponendo era proprio quanto si era attesa.
«Vi sbagliate. Sono adirata con me stessa, perché quando mi avete baciata non sono stata abbastanza risoluta da respingervi! Ho ceduto come una sciocca e me ne vergogno. Se vi avessi rifilato il ceffone che vi spettava, forse ora non mi accusereste di macchinazione ai vostri danni. Forse vi limitereste a considerare che, dopotutto, non avete attraversato il deserto con un mostro.»
L’elestoryano avvampò. Non poté fare a meno di ammettere che era stato lui il primo a varcare il limite, mentre lei stava cercando di alleggerirlo di un fardello, di portarlo a ragionare in modo lineare. La decisione era stata sua: sia confidarsi con lei sia l’essersi lasciato trasportare sino a quel punto da una delle tante liti che costituivano il loro modo di interagire. Strinse le redini tra le dita, facendole cigolare. Le aveva raccontato ciò che gli ardeva nel cuore, aveva accolto con grato conforto il suo consiglio, si era fidato dopo tanto tempo! Non lo accettava, non poteva perdonarla per… per cosa in verità? Per averlo fatto sentire compreso? Per avergli ricordato Aylike quando era Tsambika o per aver pensato che fosse lei la donna del suo destino quando era Sharen? Per aver scatenato in lui qualcosa di inaspettato e incontrollabile? Avrebbe dovuto rivolgere la propria rabbia contro se stesso per essere stato ingenuo, per essersi lasciato andare, per aver commesso un fatale errore di valutazione! 
«Un mostro» ripeté beffardo «Eppure il nuovo nome che vi siete scelta lascia intendere quello. O è una velata presa in giro a me rivolta?»
L’isolana abbassò gli occhi a disagio.
«Quando vi ho adagiato esanime sul ponte della Violine, ho creduto di avervi perduto e… oh, non avevo mai sperimentato una simile disperazione! Non ho pensato a me stessa nemmeno per un secondo tra i flutti dell’oceano in burrasca. Ciò di cui mi importava era portarvi al sicuro. Invece dalle vostre labbra non usciva alcun respiro e io ho supplicato gli dei di salvarvi, di prendere me al posto vostro, pur sapendo di offrire uno scambio iniquo, ingiurioso. Avrei dato qualunque cosa per farvi tornare, proprio io, che non sono mai stata altruista o generosa! Poi, ho afferrato il nucleo della questione. È stato in quell’istante che ho accettato in toto il mutamento interiore che faceva già parte del mio essere. Ho smesso di ribellarmi, è stato come se le onde avessero inghiottito definitivamente la persona che ero, persino nell’ammissione che tanto mi infastidiva. Tsambika è annegata quel giorno e io mi sono liberata di lei, l’ho sacrificata agli abissi mandandola a raggiungere il suo leggendario galeone. È là che deve rimanere e da ultimo il suo ricordo affonderà, non appena avrò scontato i mesi della mia condanna. Non ho rimpianti, solo speranze. Riprendendo coscienza, voi avete mormorato quella parola nel vostro dialetto: sharen. Mi avete chiamata così e io ne sono rimasta folgorata. Non potevate certo saperlo, tantopiù in quelle condizioni: sulle Isole le sirene sono creature benevole. Accolgono le anime di chi perisce tra i flutti e le riportano a casa, affinché possano salutare i loro cari prima di raggiungere le dimore di Reshkigal. Cantano per dissipare la solitudine di chi resta, sono pietose e amorevoli. Ho pensato che un giorno avrei potuto realizzare qualcosa di buono, che quell’appellativo mi avrebbe portato fortuna e rammentato il cammino nei momenti di sconforto. Non era mia intenzione prendermi gioco di voi.»
Dare Yoon ascoltò la spiegazione fissando la criniera scura di Soresh e sforzandosi di apparire distaccato davanti alla tessera che andava ad aggiungersi al resto del mosaico. Un disegno complesso, che stava assumendo chiarezza. Così come la sofferenza della donna, che non poteva essere simulata sino a quel punto.
«Non mi avreste perso. A ben vedere, non sono mai stato vostro. Inoltre a Elestorya si dice che le sirene portino male.»
«Non siete voi quello che non si fa trascinare dalle superstizioni?»
Il soldato le rifilò un’occhiataccia, risentito per il fatto che lo conoscesse tanto bene. Le iridi nere di lei, pur simulando uno sfacciato divertimento, luccicavano di angoscia.
«Concedetemelo, non sono una stupida. Sono conscia che la vostra sia stata solo l’umana debolezza di un istante e che il vostro cuore risieda altrove, che esso appartenga a un’altra donna.»
«Cosa!?» sbottò Dare Yoon d’istinto, dimenticandosi di essere infuriato con lei.
Tsambika sussultò, sorpresa dalla reazione poco misurata.
«Quando sono venuta a cercarvi, ho visto che siete rimasto a lungo nella tenda della bailye degli Haltaki e che dopo avete raggiunto vostro figlio ai recinti. Non sapevate di essere padre, è la scoperta che vi ha turbato tanto, vero? L’ho compreso dallo slancio con cui lo avete abbracciato e dal vostro rapportarvi successivo, mettendolo in relazione con quanto mi avete confidato. Sono felice per voi. Spero che ora siate sereno e vi auguro la felicità che…»
«Lui è mio fratello!»
La donna sgranò gli occhi, abbandonando la posizione rilassata che aveva mantenuto fino a quel momento.
L’elestoryano si maledisse per essersi lasciato sfuggire un’informazione personale. Sharen non esisteva. Sharen era un eikatoptri creato dal deserto. Quella che lo osservava con turbamento dalla cella improvvisata sul carro da guerra era la capitana della Xiomar, non un’amica, non altro. Eppure gli risultava impossibile scindere le due immagini di lei: c’era così tanto di Tsambika nella donna che aveva stappato alla morsa di anydri, mentre l’intrigante fisionomia della straniera velata continuava a sovrapporsi ai lineamenti addolorati della crudele piratessa. Così era difficile detestarla, arduo tornare a fornirsi la ragione per cui dovesse continuare a farlo. La ferrea convinzione che lei non fosse cambiata, che fosse insincera e fasulla, andava sgretolandosi. Si trattava di decidere. Dare Yoon inspirò, partendo dalla realtà oggettiva che gli stava arrecando il maggiore malessere.
«Avete deciso di consegnarvi per quel motivo? Perché avete dedotto dalla mia somiglianza con Yazad che non ci sarebbe stato posto per voi al mio fianco?»
«Il mio voto è precedente, perché mi ponete una simile domanda? Vi avevo detto da tempo che stavo cercando il principe.»
«Non avete risposto.»
«Sì, invece. Siete voi che non siete chiaro!»
«Tsk! Evitate la questione, eh! Ve la semplifico subito! Se non aveste erroneamente creduto che il ragazzo Haltaki fosse mio figlio e sua madre la mia compagna, avreste insistito per incontrare subito il reggente? Quando mi avete pregato di intercedere per essere ricevuta seduta stante, sembravate invasata! In caso contrario avreste atteso la fine della guerra? L’urgenza di rivelarvi sarebbe stata la medesima?»
«Che magnifico giro di parole! Non riuscite a chiedermi se ho agito d’impulso perché sono innamorata di voi? Perché mi sono sentita perduta? Temete che sia contagioso o cercate una conferma senza mettervi in gioco?»
«Proferite delle assurdità!»
«Sì, lo sono!» lo gelò lei «Come vi ho confessato quel giorno sulla passerella della Violine! Stare vicina a voi non ha fatto altro che accrescere i miei sentimenti! Nel deserto ho conosciuto l’uomo dietro al soldato, la gentilezza che celate oltre la scorza, la luce che risplende nel vostro cuore! Quanto avevo soltanto intuito si è materializzato davanti a me e mi è rimasto accanto per tutto il tempo del viaggio! Per proteggermi, per aiutarmi a realizzare i miei sogni! Avevo il terrore che poteste riconoscermi e non perché mi avreste abbandonata tra le dune, non l’avreste mai fatto, neppure capendo che ero soltanto la donna che detestate! Paura di cogliere di nuovo il disprezzo nel vostro sguardo, di sentirvi lontano a causa di un nome che ho seppellito! Odiatemi, se lo ritenete necessario, ma per come sono adesso! Aborrite Sharen, poiché è lei che vi sta davanti con la sua unica verità! Lo accetterò! La speranza che, dopo aver saldato il mio debito, riconosceste che il mio mutamento non era una recita è stata la sola a guidarmi, non ho mai desiderato sedurvi in quei panni. Cambiare vita, ecco quanto ho inseguito! E vi giuro che lo farò a qualunque costo, anche lontana da voi!»
Appoggiò la fronte alle sbarre di ferro. Le sue mani tremavano.
«Mi duole se la cosa vi offende» continuò in un soffio appena udibile «L’amore che sento per voi è meraviglioso e terribile. Per un dannato attimo mi sono illusa che fosse possibile che voi ed io… ah, perdonatemi. Sì, ho voluto sciogliere il mio voto, affrontarne le conseguenze a causa dell’errore di valutazione che ha turbato persino voi. Caduta nella vostra stessa trappola. Sarebbe spassoso, se non possedessi la contezza che comprendete quanto faccia male. Forse avrei atteso l’esito dello scontro con i demoni o un momento meno intempestivo per sfilarmi il velo. Ma è stato meglio così. Ora non ho rimpianti e se morirò sarò in pace.»
Dare Yoon ricevette in pieno quel rovescio di parole disperate e sincere. Realizzò di non poterle respingere, poiché gli erano penetrate in profondità e lo incitavano a essere altrettanto risolutivo. A non lasciare sospesi prima della battaglia. Sospirò.
«Io… sapevo. O meglio, una parte remota di me» ammise, abbassando il viso nell’ombra del copricapo «Essa aveva inteso che eravate voi, ma è giaciuta inascoltata. Non siete l’unica colpevole. Avrei dovuto mettere a tacere quel lato di me che auspicava che così non fosse. O ascoltare l’altro e allontanarmi da voi. Ho sbagliato a non farlo, a consentire che qualcosa me lo impedisse. A permettere che tutto il resto accadesse.»
Gli occhi d’onice di Tsambika si riempirono di lacrime. Si afferrò alle stanghe che la rinchiudevano, cercando di avvicinarglisi. La veste le scivolò sulla spalla, scoprendo il tatuaggio con l’onda e il vento.
«E se non vi foste sbagliato? Se essa fosse stata l’unica voce cui prestare ascolto? Lo escludete a priori?»
L’ufficiale abbassò il cappuccio sulle spalle e finalmente si risolse a guardarla. Le sue iridi blu notte erano nitide e le sue parole risuonarono con fermezza.
«Non a priori. Io sono fuoco e terra, voi siete mare e vento. Questa è la realtà che accetto. La stessa che grida con forza che l’acqua è destinata a estinguere il fuoco e che la terra, a contatto con essa, si trasforma in viscido fango. E l’aria non fa che inasprire un incendio, innalza le fiamme. Essa solleva la sabbia dal suolo, rendendo impossibile qualunque azione. Sono elementi che non possono combinarsi, che si incrociano soltanto per creare il peggio, per produrre sofferenza.»
Sharen colse la metafora. Le lacrime che aveva trattenuto per fierezza personale trovarono il varco e piovvero sul legno consunto del carro.
Il soldato strinse i pugni azzerando il proprio scompiglio interiore.
«Perché adesso state piangendo?»
«Oh, io credo sia per il vostro stesso motivo.»
Dare Yoon trasalì e si passò le dita sugli occhi con incredulità. Le ritrasse bagnate.
«È soltanto la polvere» rimandò in fretta.
Un grido attraversò l’esercito in marcia, passando di bocca in bocca come un avvertimento e raggiungendo le retrovie in un’eco concitata: Erinna! La capitale era finalmente in vista.
L’elestoryano si raddrizzò sulla sella, scrutando l’orizzonte familiare dal quale si ergevano le torri ritorte e le cupole mosaicate della sua città. Strinse i talloni sui fianchi del cavallo, pronto a raggiungere la testa dell’armata. A combattere sino all’ultimo respiro. A morire.
«Addio, Tsambika» mormorò.
Lei lo udì, ma quando ritrovò la voce per rispondergli, lui era già lontano.
«Restate vivo» pregò tra le lacrime «Restate vivo!»
   
 
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