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Autore: DhakiraHijikatasouji    22/02/2021    0 recensioni
Siamo in tempo di guerra, anno 1916. Nessuno però sa che sotto un bunker una donna sta partorendo e un bambino alla luce sta dando. Questo cucciolo però non sa che dovrà crescere affrontando un’orribile infanzia da orfano dove scoprirà la sua vera natura che in tutto il racconto non riuscirà a negare a sé stesso. Soprattutto quando incontrerà l’aspirante artista Bill Kaulitz. E lì riuscirà a capire tutti i ritratti del mondo…del loro mondo.
INCEST NOT RELATED
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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Kapitel 12


Dopo la tragedia, Bill aveva provveduto a mettere in sicurezza il palazzo Kaulitz. Tutte le porte di accesso erano state chiuse, così come i cancelli, ben sorvegliati da dei servi fedeli. Doveva essere fatto rapporto a Bill per chiunque si avvicinasse. Il moro aveva moralmente attestato la casa anche a Tom, ma sapeva che non era in condizioni di controllarla. Vivevano loro due lì dentro, insieme a Marleen. Alla fine, dopo un po’ di tempo, era stato costretto a licenziare tutta la servitù, in quanto il loro segreto era troppo grande, andava protetto, e tutte le donne insistevano per chiamare una balia per la piccola e Bill rischiava molto spesso di infuriarsi e di non rispondere più di sé stesso. Credevano che due uomini non potessero crescere una neonata. Così, dopo tutti questi problemi, si erano isolati: rimasero loro due, Marleen e un mazzo di chiavi in mano. Avevano ancora una serva fidata che faceva loro la spesa, l’unica che se ne rimaneva muta e non si impicciava dei loro affari. Da quel momento in poi nessuno vide più né Bill Kaulitz né Tom Trümper aggirarsi per Berlino. Ebbene sì, Tom aveva ripreso il suo cognome e lo aveva dato anche a Marleen. Lei non doveva essere contaminata da quella famiglia come lo erano stati lui e Saphira. Marleen Trümper. Ogni giorno che passava cresceva sempre più bella. Aveva gli stessi capelli scuri di sua madre, le guanciotte rosse e il sorriso perennemente a fior di labbra nonostante stesse venendo su in un brutto contesto. Tom aveva trovato pian piano la forza di superare la morte di Saphira guardando sua figlia che tentava di camminare e ripetendosi che non poteva spegnersi di nuovo. Bill e Marleen avevano bisogno del suo amore e della sua presenza ora più che mai.

- Guarda, lo sta facendo ancora!- Bill era bravissimo con la bambina. Era davvero formidabile. Certe cose che le persone credevano contro natura, come l’adozione con due genitori omosessuali, erano uno spettacolo...Bill e Marleen erano uno spettacolo. Ella stava in piedi traballante e si reggeva ad una sedia. Sorrideva perché capiva di star imparando sempre di più a fare una cosa automatica e naturale. - Vai da papà Tom, su-

- Perché vuoi che venga da me? Sei più vicino tu-

- Perché so che ce la può fare...vai, amore- Marleen lo fissò per un po’, poi voltò la testolina verso Tom che stava seduto e la guardava senza sapere che dire. Certe volte quegli occhietti vispi erano davvero un enigma per lui, eppure era suo padre. - Incoraggiala però, sennò come capisce che deve venire da te?- 

- Ehm...va bene- Si schiarì la voce e si mise in ginocchio sul pavimento aprendo le braccia e invitandola a camminare verso di lui. - Vieni qui- Marleen scosse la testa, troppo impaurita dal lasciarsi. - Che c’è? Non vuoi il tuo pupazzo?- Tom afferrò il suo coniglietto di peluche, oggetto dal quale Marleen non si separava mai e molto spesso piangeva e urlava se qualcuno glielo osava levarglielo dalle mani per un qualsiasi motivo. Appena la bimba lo vide allungò una manina mugugnando qualcosa.

- Dada...dada…- Ripeteva.

- Dada ti aspetta, vienilo a prendere- Ella cominciò ad innervosirsi e mise un broncino. Batté i piedini sul pavimento e questo era segno che si stava arrabbiando e non poco. Tom si stava già arrendendo all’idea di essere un pessimo padre, e non pensò che invece sua figlia era ancora troppo piccola per comprendere che quello non voleva essere un gesto cattivo, bensì un incentivo per spingerla a camminare. Bill si alzò da terra e si chinò a prendere Marleen per le mani. 

- Andiamo a riprenderci Dada, che papà Tom ce l’ha rubato...è un papà davvero cattivone- La bimba si staccò e iniziò a camminare alla conquista del suo Dada perduto. Avevano compreso entrambi che era ancora troppo piccola per farlo senza un sostegno, ma era già stupefacente che stesse in posizione eretta. Bill ad un certo punto la lasciò, quando mancavano pochissimi centimetri, e Marleen fece i suoi ultimi due passi da sola prima di cadere tra le braccia di Tom che la sorresse appena in tempo. La bimba alzò lo sguardo incontrando gli occhi amorevoli del suo papà e sorrise gioiosa alla vista di Dada, che poté essere nuovamente stritolato dalle sue braccia.

- Sei la mia piccola, non sai minimamente quanto ti amo- Le sussurrò senza pensarci. Era vero. Tom amava quella bambina più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non se ne sarebbe mai separato e avrebbe fatto di tutto per impedire che gliela portassero via. Dovevano rimanere insieme, lui, Marleen e Bill. Dovevano essere una famiglia. Bill si inginocchiò accanto a loro e appoggiò la testa sulla spalla di Tom. - Vuoi anche tu le coccole dal papà cattivone?- Annuì sbuffando divertito dalla sua stessa battuta.

- Vorrei un altro tipo di coccole...ma prima è necessario che la mettiamo a letto- Gli soffiò all’orecchio iniziando a lasciargli tanti piccoli baci lascivi sul mento. - E devi farti la barba, mi pungi-

- Me la fai tu? L’ultima volta mi sono scorticato mezza faccia-

- Questo perché sei un autolesionista- E fu Tom a ridere.

- E’ vero...quindi?-

- Certo, te la faccio io- Si alzò per andare a preparare la piccola bacinella con l’acqua calda e il sapone, mentre Tom si occupò di addormentare Marleen. Era tardi per lei e si era allenata tanto quel giorno, era necessario che andasse a dormire. Quando la mise nella culla, rimase qualche minuto a guardarla. Gli dispiaceva non riuscire ad essere totalmente presente, ma la sua mente, i suoi ricordi, erano in grado di giocargli brutti scherzi nei momenti meno opportuni. - Vieni?- Sussultò a sentire la voce di Bill alle sue spalle. Annuì e poco meno di due minuti si trovava su una sedia e Bill che con una lama gli levava la schiuma dalla faccia. - Lo sai? Ti preferisco senza barba-

- Ma a te è mai cresciuta?-

- Certo, ma me la faccio. Mi piace andare in giro ben pulito e curato, e sono solito fare lo stesso con tutto ciò che mi appartiene- Si chinò a lasciargli un bacio sulle labbra sporcandosi un pochetto di schiuma. Beh, non gli era nuovo avere la bocca sporca di sostanze bianche da quando aveva conosciuto Tom.

- Se non fosse che sono con te impazzirei...rimanere rinchiuso in una casa con una bimba e senza poter uscire...-

- Sì, sarebbe terribile-

- Stai facendo un ottimo lavoro con Marleen- 

- Tom, cerca di non parlare troppo, potrei tagliarti. Pazienta un po’, ho quasi finito- Rispose concentrato nel rasargli la guancia destra. - Comunque Saphira l’ha affidata a me e intendo non deluderla, oltre al fatto che amo quella bambina, come...come se fosse mia- Tom lo guardava e basta, essendo che gli era stato proibito l’uso della parola e quando Bill diceva una cosa, era un ordine. - Delle volte mi trovo a guardarla e, per quanto somigli così spaventosamente ad una persona che non è né me né te...non posso non pensare che stia crescendo tra le mie braccia, che lei avrà il mio odore, imparerà da me tutto ciò che potrò insegnarle della vita...ed è una sensazione impagabile- 

- Non avrebbe potuto sperare di me- ah!- 

- Oh no! Scusa!- Un piccolo taglietto stava rilasciando qualche goccia di sangue sulla guancia destra del ragazzo. - Comunque te l’avevo detto di stare zitto- Prese un panno bagnandolo con dell’acqua pulita e gli tamponò la ferita accuratamente. - Delle volte ho la sensazione che tu non mi dia ascolto-

- Delle volte io ho la sensazione che la mia testa non me lo dia- E un silenzio scese pesante tra loro due, una volta che Bill ebbe realizzato che cosa stesse dicendo. In un attimo gli tornarono in mente le parole di Listing. Tom era strano a volte, era vero, ma sembrava stare molto meglio ora che aveva ciò che realmente desiderava. Appariva solo assente e scostante certe volte, ma mai violento o iracondo. Bill si sentì un po’ colpevole e gli salì a cavalcioni sulle gambe prendendogli il viso tra le mani.

- Non volevo rimproverarti, solo che mi dispiace averti fatto male, sono stato sbadato-

- Sei bellissimo- Sussurrò Tom estasiato. Si era innamorato davvero di quel viso dalla prima volta che gli aveva posato gli occhi addosso. Si sentiva in colpa perché non era in grado di comportarsi come una persona normale anche adesso che non gli mancava niente per essere felice. Non gli importava davvero di quella prigionia se era con Bill e Marleen, ma allora dove stava il problema? Era lui il problema. - Voglio fare l’amore con te-

- Era anche nei miei piani-

- No, Bill...non hai capito- Il moro era rimasto in silenzio a vedere Tom arrossire leggermente, senza veramente comprendere le sue intenzioni. Non poteva proprio immaginare che cosa gli stesse per chiedere. - Voglio che tu...faccia l’amore con me...per una volta- E Tom non era in grado di capire se era ancora la sua testa a giocargli brutti scherzi, oppure il cuore. Un desiderio strano che aveva provato solamente con Oskar, alla sua prima volta. Bill era rimasto fermo, come se ancora non ci stesse arrivando. In realtà aveva realizzato, ed era questo il punto: non sapeva se ne era capace. - Hai ragione, forse non avrei dovuto chiedertelo, io…-

- No...va bene...si può fare- Ma nonostante il suo annuire convinto, Tom leggeva timore nel suo sguardo.

- Cos'è che ti preoccupa?-

- ...che non sia come tu te lo immagini- 

- Io lo immagino con me e con te, il resto non conta- Bill sorrise, anche se nei suoi occhi era possibile captare una certa timidezza, come se fosse una prima volta per entrambi. Si chinò per baciarlo, ma si fermò appena ad un millimetro dalle sue labbra, un secondo di esitazione. Poi si convinse che era arrivato a fare cose nella vita che mai avrebbe pensato e si lasciò andare. Il sapore delle labbra di Tom era sempre lo stesso, anche se ora come ora aveva assunto una sfumatura diversa. Bill doveva essere in grado di cambiare genere dell’opera. Se lui era un attore di drammi adesso doveva recitare il copione di uno da commedie. Nessuno aveva detto che sarebbe stato semplice, ma si sarebbe impegnato tanto per ottenere quella parte. Si trasferirono in camera da letto e si presero tutto il tempo per spogliarsi e fin lì nulla cambiava. A baciarsi avevano invertito le solite posizioni, Tom sotto e Bill sopra, ma alla fine non era la prima volta. Era quindi tutto molto tranquillo e senza pressioni di alcun tipo. Si stavano rilassando a vicenda. 

- Sei ancora convinto?- Chiese quando sentì che ormai era arrivato il momento di cominciare ciò che sarebbe stato diverso. Tom annuì.

- Lo sai che sono molto testardo- Disse per sdrammatizzare, anche se anche lui aveva un po’ di disagio negli occhi. Era da sei anni che non lo faceva, aveva dimenticato perfino la sensazione. Ricordava che quando era piccolo, aveva fatto davvero molto male, aveva perfino perso un po’ di sangue nonostante Oskar fosse stato il più gentile e delicato possibile. Alla fine arrivò a pensare che questo poteva essere un aspetto di sé che non concedeva a tutti, era in qualche modo una prova di amore eterno. E se quello con Oskar non aveva potuto esserlo perché morto nel momento che lo avevano scoperto, era sicuro che non avrebbe mai smesso di amare Bill, anche se quello stesso destino fosse toccato ad uno di loro due. - Bill-

- Dimmi-

- Tu non pensare a me ora, va bene?-

- Mi stai chiedendo una cosa leggermente impossibile- Rispose ridacchiando leggermente nervoso.

- Io questo l’ho già fatto. Voglio che per te sia una seconda prima volta...e come l’originale, desidero che sia altrettanto bella e soddisfacente per te- Il moro comprese che era il suo tentativo per non farlo agitare e sorrise chinandosi per donargli un piccolo bacio. 

- Ed io per te- Sussurrò. Prese poi un respiro dirigendo la mano a sud verso l’apertura di Tom e la forzò con un dito. Non trovò nessuna difficoltà ad entrare completamente. - Ti ho fatto male?-

- No…- Tom era davvero arrossito e Bill lo trovava così dolce.

- Sei adorabile- Tom non ebbe il tempo di replicare, che Bill introdusse due dita cominciando a fare avanti e indietro per abituarlo a quella sensazione.

- E’...terribilmente strano- Ansimò sentendosi già avvampare. Le dita di Bill stava risvegliando nuove sensazioni in lui, ed erano dannatamente piacevoli.

- Più parli e più mi sto eccitando- Quella parte così vulnerabile di Tom stava facendo letteralmente impazzire Bill. Pareva così fragile, così da proteggere, come fosse stato ancora quel bambino dell’orfanotrofio abbandonato da suo padre. Bill non voleva solo farlo suo, bensì desiderava amarlo e fargli comprendere che anche lui avrebbe fatto di tutto per la sua felicità. Tornarono a baciarsi con sempre più passione. Bill ad un certo punto fu costretto a poggiare una mano sulla spalliera perché stava per “scivolare” erroneamente dentro Tom senza preavviso e si era fermato appena in tempo. Dopo una serie infinita di baci e preliminari, si ritrovarono ansimanti a guardarsi negli occhi.

- Non aspettare ancora- E quelle parole sussurrate nel silenzio fecero sparire qualsiasi dubbio dalla mente di Bill, il quale avvicinò le proprie dita alla bocca di Tom. Lui le leccò assicurandosi di inumidirle di saliva abbastanza per bagnare l’erezione di Bill. Una volta fatto, realizzarono entrambi che era giunto quel momento. - Che c’è? Adesso non hai più il coraggio?-

- Non prendermi in giro, lo faccio seriamente, Tom- E nonostante sorridesse, il suo tono era serio e ciò fece deglutire Tom per un istante, ma non di paura. Bill era davvero uno spettacolo, con il suo ciuffo ora sbarazzino e quegli occhi scuri e decisi. Si sentiva quasi una stupida verginella davanti a lui e desiderava poter essere infinitamente suo per quella notte. Bill si chinò su di lui, in un gesto di protezione che aveva imparato da tutte le volte che era Tom a farlo. - Fermami se dovesse essere troppo per te- Tom sapeva che sarebbe stato troppo, ma era consapevole anche che non lo avrebbe fermato, per tutto il sangue versato e il dolore espresso. Desiderava Bill. Quando egli iniziò a spingersi dentro Tom, si stupì di quanto fu facile...e infatti non passarono neanche due secondi prima che il ragazzo contrasse i muscoli e lo bloccasse. Bill gemette e non seppe per cosa, ma era stata una sensazione nuova e unica. Tom era così caldo e lui stava cominciando a non vederci più chiaro. Era questo che si provava? Si abbassò sul suo collo lasciandogli tanti baci per farlo rilassare. Tom piano piano cedette, gli permise di entrare totalmente, e, proprio come ricordava, faceva davvero male. Non era per niente una bella sensazione a primo impatto. - Come stai?-

- Un po’ male...ma va tutto bene, davvero- Non voleva che si fermasse o che pensasse di star sbagliando qualcosa. Era tutto perfetto.

- C’è qualcosa che posso fare?-

- Continuare...e dire che mi ami- 

- Amo tutto di te, qualsiasi cosa- 

- ...e adesso continua- Bill cominciò a dare leggeri colpi di bacino e quella nebbia gli invase nuovamente lo sguardo. Si sentiva come un animale che non poteva più controllare i propri istinti. Tom aveva ripreso ad ansimare e ogni tanto emetteva dei piccoli gemiti che non riuscita a trattenere. Gli stava piacendo. Pensò che dire che amava Tom fosse un eufemismo, pareva banale, ripetitivo e senza più valore. Però era vero e sapeva di poterlo dire tutte le volte convinto che fosse realmente così. Non aveva nulla da nascondere a Tom e non lo avrebbe avuto mai! - Ti amo, Wilhelm- E quando anche Tom lo sussurrò con il suo nome completo accanto, ormai madido di sudore e scosso dal piacere, fu anch’esso un momento autentico. Voleva che Tom non smettesse mai di dirgli che lo amava, anche laddove non ci sarebbe più stato con la testa, loro dovevano continuare maledettamente ad amarsi, a respirare l’uno dell’altro, a vivere insieme! Loro due e quella splendida bambina.

- Ci hai mai pensato?-

- In questo momento non riesco a pensare- Risero senza riuscire a baciarsi come avrebbero voluto. - A cosa?-

- Io, te e Marleen...in una casa di campagna...soli…- Disse tra gli ansimi. Sì, Tom lo aveva sognato tantissime volte prima di avere la piccola. La campagna era il luogo di pace dove nessuno li avrebbe disturbati. Si sarebbero rifugiati lì non appena tutto quel tumulto fosse finito e sarebbero invecchiati insieme, Marleen sarebbe cresciuta, avrebbe studiato e si sarebbe sposata con qualcuno che l’avrebbe amata sul serio. Tom però non aveva la forza di rispondere in quel momento, tirò semplicemente Bill a sé per fargli capire che sì, ci aveva pensato. Durante quei baci però accadde che Tom si sentì improvvisamente inebriato dal piacere più assoluto e non si trattenne più venendo prima di quanto si potesse immaginare. Non credeva che Bill potesse essere così bravo...o magari non era bravo, era lui che era “vergine” da un bel po’ di tempo. Nonostante questo, Bill continuò, e venne dopo pochi secondi liberandosi con un lungo gemito dentro Tom. Era stato davvero bello, non credeva che potesse essere così completo anche da quel punto di vista. Finirono ansimanti nel letto a riprendersi da questa nuova esperienza. Si coprirono di più perché il freddo li investì improvvisamente e ripresero a baciarsi per ritrovare calore almeno sulle labbra. - Come è stato?-

- Qualcosa che non mi aspettavo. Sei stato...molto bravo...e attento- Ora che era finito pareva in imbarazzo a parlarne. Bill ridacchiò a notare le sue guance rosse. Lo amava tanto. - Mi chiedo come tu non abbia avuto occasione di farlo prima- Bella domanda. Bill a quel punto non sorrise più tanto, ma si sistemò meglio tra le braccia di Tom sospirando. - In effetti ci sono tante cose che non so di te ora che ci penso…-

- Forse è arrivato il momento di raccontartele- Il moro odiava parlare di certe cose, non voleva ricordare il suo passato felice che poi aveva irrimediabilmente cozzato con una realtà spinosa e a tratti rivoltante. Tuttavia per Tom fece questo sforzo. - Non ho mai avuto certe occasioni per molti motivi, ma tutto partì dal fatto che fui costretto a rimanere in casa quando ero piccolo siccome ero un bambino molto particolare e spesso gli altri tendevano ad escludermi. I miei genitori decisero di nascondermi agli altri, di farmi vivere al buio da tutto e da tutti, così da non crescere con una brutta reputazione. Certo, rare volte mi capitava di uscire...ma a causa del fatto che non vedevo mai il sole, la mia pelle era bianchissima e molti vociferavano che io fossi un fantasma. Ero spesso debole a causa della carenza di vitamina D, ma durante quegli anni, guardando mia madre, sviluppai la mia passione per l’arte- Wow, era una storia davvero strana e particolare. Tom ammirava tanto la pelle di Bill, la trovava bellissima anche se era paragonabile a quella di un albino. Gli prese la mano accarezzandogliela. Era così morbida... 

- La gente è davvero stupida, ti ha trasformato in una leggenda nel mondo delle favole spaventose e non in quello dell’arte- Bill sorrise intenerito da quel broncino che a volte riaffiorava sulle labbra del ragazzo al suo fianco. Assomigliava dannatamente a quello di Marleen.

- Non voglio essere una leggenda per nessuno, meno che per te e nostra figlia- Sussurrò alzando lo sguardo. Tom abbassò il proprio incontrando i suoi occhi. Aveva appena detto…?

- Marleen...nostra figlia- Lo stava ancora realizzando ma quando ebbe chiaro il concetto non poté fare a meno di sorridere. - Sì...è nostra-

 

***

 

Due anni dopo… (Schwerin, anno 1936)

In quel poco tempo la situazione in Germania era decisamente peggiorata. Quel pazzo di Hitler era riuscito a prendere il potere ormai da tre anni e nessuno era riuscito a debellarlo. Nessun angolo del mondo sembrava essere sicuro, per nessuna persona! Era giunta notizia anche del primo campo di concentramento aperto a Dachau dove gli ebrei venivano deportati. Era tutto solo all’inizio e sembrava che la vita stesse decisamente capitolando. Bill e Tom permasero chiusi nella loro dimora fino a che compresero che la capitale non era più un posto sicuro per loro due e neanche per la piccola Marleen. Una notte quindi la presero e scapparono. Fu la fuga più brutta e ansiogena della loro vita. Non presero niente, solo lo stretto necessario. Si misero addosso quanti più vestiti poterono e quelli della bambina li riposero in una sacca non troppo grande. I soldati avevano cominciato a controllare le strade, ma fortunatamente non in maniera così tassativa. Bill e Tom cercarono di apparire più volte persone separate, che non avevano niente a che fare l’uno con l’altro. Grazie a questo metodo, riuscirono ad acquistare due biglietti del treno diretti a Schwerin. Non era una città molto distante da Berlino, ma non potevano permettersi di più per non rimanere al verde. Erano riusciti anche a trovare un appartamento carino aiutati soprattutto da un amico di Bill, il signor Gustav Schäfer. Egli era un signore illustre di Schwerin e conosceva Bill tramite suo padre. Era un amico fidato, una persona riservata e l’unico che era arrivato a conoscenza della situazione di Bill e Tom a tutto tondo, per questo aveva deciso di aiutarli. Egli non li discriminava, al contrario, li ammirava per il loro coraggio. Quando arrivarono, si resero conto che per campare avrebbero dovuto cercare un lavoro. Entrambi non persero tempo. Quando non erano in casa affidavano Marleen a Gustav, che cresceva e teneva compagnia alle sue due figlie più grandi di lei di un anno. Tom aveva trovato un impiego in una fabbrica mentre Bill come commesso in un negozio di abbigliamento. Non avevano chissà quale paga ma riuscirono ad andare avanti due anni così e Bill fortunatamente non dovette rinunciare alla passione per la pittura. Quando non riusciva a dormire si alzava e andava a dipingere, rigorosamente al buio. Sentiva le sirene di alcune macchine dell’esercito che passavano a tutta velocità e vedeva i soldati passeggiare da quella finestra, ma tentava di concentrarsi sulle proprie emozioni e su ciò che voleva imprimere su quella tela. Si ritrovò a pensare che aveva rinunciato a tutto: al titolo, ai soldi, ad un lavoro prestigioso e ad una protezione. Tutto per amore. Cominciò a buttare giù roba e non si accorse che un musetto curioso lo stava osservando. Quando percepì il rumore della porta che cigola, sussultò.

- Chi c’è?-

- Papà...- Era la vocina di Marleen che ormai aveva imparato a camminare. Stava lì sulla porta, i capelli lunghi e scarruffati, leggermente mossi, gli occhi assonnati e la vestaglia da notte un po’ sgualcita.

- Amore dovresti essere a letto- Le sussurrò con dolcezza.

- Papà russa- Bill sorrise intenerito e divertito. Era da un po’ di tempo che Marleen dormiva con loro. Era capitato che alla radio sentissero la notizia di un bombardamento e lei si era spaventata. Da quel momento in poi non aveva voluto saperne di dormire da sola. - Che fai?-

- Dipingo-

- Posso io?- Bill rimase stupito di questa domanda, tuttavia le passò il barattolo con la tempera.

- Non sporcarti troppo- Si raccomandò. Bill a quel punto si aspettava che Marleen cominciasse a dipingere a caso, visto e considerato che era notte fonda e non si vedeva un accidente, invece la piccola iniziò a tracciare linee chiare e precise. Per un attimo Bill pensò che aveva acquisito la sua vista da gatto e arrossì sciogliendosi in un brodo di giuggiole. Quella era la sua bambina ed era orgoglioso di lei.

- Che ci fate qui?- Una terza voce si intromise nella stanza ed era quella di Tom che si stava strofinando gli occhi con le mani per acquisire una buona vista, anche se era difficile in quell’oscurità. Bill si avvicinò e lo prese per mano. Lo fece sedere su una poltrona un po’ polverosa e gli si mise a sedere sulle ginocchia.

- Non avevamo sonno- Rispose mentre Tom aveva cominciato ad accarezzargli le lunghe gambe nude. - Abbiamo pensato di dipingere un po’ insieme- 

- Capisco- Egli non sembrava dello stesso avviso in quanto appariva molto assonnato. Bill cominciò a lasciargli teneri baci sulle guance, sulla fronte e sulla bocca. - Bill-

- Dimmi-

- Ti sei mai pentito di tutto questo? Voglio dire, guarda dove siamo, tu…-

- Shh- Bill gli poggiò un dito sulle labbra. - Non ho mai avuto dubbi da quando ti ho conosciuto, vada come vada, io sarò sempre con te- “...anche quando non mi vedi” avrebbe voluto aggiungere, ma non volle pensare minimamente ad un futuro senza Tom e Marleen.  Si fermarono a guardarla che stava andando davvero sicura su quel foglio con le dita sporche di vari colori. Era adorabile. - Ha un futuro da artista, non credi?- 

- Dipinge al buio?-

- Ha gli occhi da gatto...come me- La piccola procedeva concentrata, senza prestare ascolto ai loro discorsi. Era stupefacente. Ad un certo punto quella calma venne interrotta da un insolito fischio, come se qualcosa stesse cadendo dall’alto. Tom era sicuro che non gli era nuovo come rumore, e appena realizzò, il cuore si arrestò in un istante, e non seppe dove prese la forza ma riuscì a gridare: 

- PRENDI LA BAMBINA!- Bill si fiondò su Marleen e con Tom si rannicchiarono in un angolo. Pochi secondi dopo il rumore dell’esplosione di una bomba li scosse, ma rimasero fermi e abbracciati sperando che quella non fosse la fine. Dopo quel frastuono e leggero terremoto, realizzarono di essere ancora vivi, ma i vetri delle loro finestre erano saltati a causa dell’onda d’urto. Fu il pianto spaventato di Marleen la certezza che erano ancora in vita. - Oddio…-

- Tom…-

- Non è successo niente…- Prese la bambina con le braccia che ancora tremavano e la cullò per calmarla. Era molto terrorizzata e non smetteva di strillare logicamente. Nessuno sapeva se quella sarebbe stata la sola bomba che avrebbero lanciato su Schwerin. Fu in quel momento che, guardandosi negli occhi, Bill e Tom realizzarono che cambiare città era stato inutile. La seconda guerra mondiale li avrebbe seguiti ovunque loro cercassero di scappare e prima o poi li avrebbe trovati. Era un gioco a nascondino dove era facile capire chi avrebbe vinto, ma sul libro del destino poteva esserci scritto tutt’altro finale. 

 

***

 

- SEI MATTO, TOM!?- Non avrebbe mai pensato di riuscire ad urlarglielo addosso in quel modo, ciò che più aveva cercato di negare nella propria vita. Era la loro prima vera discussione e nessuno dei due immaginava che sarebbe stata così accesa.

- Smettila, Bill! Ho deciso di fare così e non puoi impedirmelo!-

- Allora io vengo con te!-

- Ti ho detto di no, maledizione!- Gridò con gli occhi iniettati di disperazione e stritolando nella mano una carta giallognola contenente una lettera da parte dei Winkler. Entrambi, non si sa come, avevano scoperto dopo due anni dove abitassero, e avevano spedito loro delle parole all’apparenza pacifiche. Era una lettera di scuse, lunga, sincera e sentita, dove chiedevano perlomeno di poter vedere Marleen un’ultima volta, giurando successivamente che non li avrebbero più importunati e che avrebbero ritirato la denuncia fatta a carico di Tom per averli buttati fuori dal loro domicilio. Bill si era opposto categoricamente alla cosa, temendo che ci fosse qualcosa sotto e volendo proteggere Marleen. Tom invece era di tutt’altra veduta, dato che credeva di essere abbastanza responsabile di lui e di sua figlia, ed inoltre gli avrebbe fatto comodo che quella denuncia venisse ritirata. Quando si erano resi conto di non percepire la questione allo stesso modo, era iniziata la litigata. Bill era arrivato al punto di insinuare che Tom volesse mettere a repentaglio la vita della figlia e questo il ragazzo non aveva potuto sopportarlo. Aveva preso la bambina e l’aveva chiusa in una stanza. Preferiva piangesse perché aveva paura della solitudine e non perché li vedeva discutere. A quel punto si era liberato. - Devi rimanere qui!-

- Sì, ad aspettarti!? Tu potresti non tornare, e neanche Marleen!-

- Torneremo, invece-

- E se così non fosse?- Gli occhi di Bill si inumidirono alla sola immagine. - A che cosa sono serviti i miei sforzi, le mie rinunce? A che cosa? A sapervi morti o magari...se venissero a conoscenza di noi due...catturati e...deportati…- Ed era crollato con le mani sul viso per nascondersi da un Tom che non sapeva se adesso lo avrebbe compreso ancora. - Tom, ammazzano la gente! E tu vuoi accontentare persone che ti sono sempre state ostili!? Preferisci rischiare per cosa!? Per una denuncia!? Tom, ora ti sparano con niente!-

- Stai esagerando, e poi sono tedesco, non ebreo-

- Certo, e pensi che quel pazzo si fermi all’idea che tu sei omosessuale! -

- Ma questo quel pazzo non lo sa!- 

- Tu...vuoi avere proprio l’ultima parola, vero?- Aveva realizzato che era inutile continuare. Tom non era intenzionato a cambiare la sua idea. - Ed io dovrei lasciare che tu metta in pericolo la vita di Marleen?- 

- Ancora con questa storia!? E’ mia figlia!-

- Sì e non fai niente per proteggerla! VUOI SOLO METTERLA IN PERICOLO! COME HO FATTO A PENSARE ANCHE PER UN ATTIMO CHE TU POSSA ESSERE UN BUON PADRE!?- Non passò neanche mezzo secondo prima che Bill sentì la propria guancia frizzare e stette quasi per perdere l’equilibrio. Tom era ansimante dalla rabbia accumulata. In quello schiaffo ce l’aveva messa tutta, al punto che per un secondo Bill non era sicuro di poter muovere la mascella per parlare. Tom aveva osato colpirlo, lo aveva fatto davvero. 

- Bill…-

- Voi uomini violenti li sapete piazzare proprio bene gli schiaffi…- Commentò massaggiandosi leggermente la parte lesa e che si stava visibilmente arrossando. Le lacrime scendevano calde e copiose, ma senza aiutare a lenire o sfogare il dolore morale che Bill stava provando in quell’istante. 

- Io...Bill, non so...non so cosa mi sia preso- Si avvicinò cercando di prendergli il viso tra le mani ma Bill si scostò malamente da lui.

- Non toccarmi!- E lo spinse via. - Voglio che tu te ne vada! Vai dove accidenti ti pare! Prendi quella bambina, prendi le tue dannate cose! VATTENE DI QUI!!!- Aveva gridato fuori di sé. Tom era rimasto bloccato non aspettandosi che una tale furia uscisse da Bill. La guerra stava cambiando anche lui. Si era spogliato degli abiti ricchi e del portamento posato, dell’uomo che gli piaceva leggere romanzi d’amore aspettando di poter vivere il proprio. Adesso era un uomo con stracci addosso, i capelli scompigliati, gli occhi rossi, il viso irruvidito da una leggera barba che stava cominciando a spuntare...e aveva smesso di credere alle favole. Tom aveva leggermente indietreggiato sotto gli occhi iracondi di Bill, che lo fissava accertandosi che facesse esattamente come aveva detto. Il ragazzo andò nella stanza dove Marleen aveva smesso di piangere e si stava intrattenendo con dei soprammobili, li tocchicchiava e li esplorava come una bimba di due anni fa. Suo padre la prese in braccio allontanandola da quel noioso passatempo. Le asciugò i residui delle lacrime senza dirle niente. Afferrò la sacca e cominciò a prepararla sotto lo sguardo della bimba che permaneva a sedere sul materasso dei suoi genitori.

- Che fai papà?- Chiese con la sua vocina, ma Tom non le rispondeva continuando a porre tutto dentro alla rinfusa. Sembrava avere l’intenzione di farla scoppiare. - Papà?-

- Andiamo via-

- Dove?-

- Dai nonni-

- Dai nonni?-

- Sì, dai nonni!- Rispose con un tono un po’ alto che fece sussultare la piccola. Sospirò accorgendosi che non era colpa sua. Lei non poteva avere colpa di essere venuta al mondo. Tom si pose in ginocchio davanti a lei e l'abbracciò. - Scusa, amore- Ma Marleen iniziò comunque a piangere.

- Papà cattivo!- E credeva che fossero le parole più giuste in quel momento, non le dava torto. Marleen cercò più volte di picchiarlo con quelle manine per allontanarlo da sé tutte le volte che egli tentava di vestirla. Tom tentò di non esasperarsi, anche se a volte avrebbe voluto colpire pure lei. Non in maniera brusca ed esagerata come era successo con Bill, ma semplicemente per farla stare ferma! Doveva obbedirgli, per la miseria! Con un po’ di pazienza alla fine riuscì a vestirla e la riprese in braccio. Bill era ancora in salotto con le braccia conserte, che attendeva. In quel tempo aveva riflettuto, ma la rabbia era ancora troppo forte. Tom si era permesso di fare un gesto che non sarebbe stato perdonato facilmente. - Papà…- Mormorò Marleen appena lo vide. Tentò di allungarsi, ma Bill si rifiutò di prenderla e questo le fece male. Non la stava neanche guardando, perché?

- Lascialo stare, noi dobbiamo andare-

- Papà!- Continuò lei, e Bill cercò di resistere alla sua vocina dolce. Era così brutto sentirsi chiamare “papà” e non poterle rispondere, fare finta di non sentirla e di non esistere. Fingere di non essere davvero il suo papà, che quella non fosse sua figlia. Stava deludendo anche Saphira, ma il quell’istante l’orgoglio lo muoveva, convinto che non poteva sistemare le cose con Tom adesso. Forse non avrebbe più avuto occasione di farlo...ma ora come ora non sembrava importargli. - Papà!- All’ennesima volta Bill alzò lo sguardo e vide la bimba in lacrime che tentava di sbracciarsi per raggiungerlo. Stava sentendo una sensazione di abbandono.

- Tom…-

- Dobbiamo andare o perderemo il treno- Affermò serio ignorando Bill e le urla di sua figlia, uscendo quindi dall’appartamento.

- Non piangere...piccola mia- Riuscì a dire prima che la porta si chiudesse, poi cadde in ginocchio scoppiando in un pianto disperato con le mani sul cuore. Non aveva avuto modo di dire addio alla piccola Marleen, a sua figlia. Era successo tutto così in fretta. Sapeva però di non poter dare tutta la colpa al tempo. - Non piangere…- Sussurrò in quella stanza ormai silenziosa.

 

***

 

Il viaggio verso Berlino era stato davvero lento, ma Tom era riuscito ad estraniarsi con la mente per fare in modo che passasse il più in fretta possibile. Marleen aveva tenuto un broncio offeso per una buona oretta, nella quale non aveva voluto saperne di rivolgere mezza parola a suo padre. Era molto arrabbiata con lui e gli mancava terribilmente papà Bill, anche se ce l’aveva pure con lui. Perché non aveva detto a Tom di fermarsi? Perché non gli aveva impedito di andarsene? Certi problemi lei ancora non poteva capirli, ma ne subiva comunque le conseguenze perché troppo giovane e indifesa. Marleen nel suo cuore non vedeva l’ora di diventare grande e alta come i loro papà, così nessuno avrebbe più potuto maneggiarla come fosse un oggetto da trasportare dove più aggradava loro. Tuttavia l’ultima mezz’ora di viaggio non aveva potuto fare a meno di addormentarsi e Tom di prenderla tra le proprie braccia. Nel mentre le accarezzava i capelli pensava a Bill, alla loro discussione e anche ai momenti vissuti in quegli anni. La prima parola e i primi passi della loro bambina, le notti d’amore, le risate...e non si rese conto delle lacrime.

- Papà...pangi?- Chiese una vocina. Abbassò lo sguardo e c’era la bimba che lo fissava con i suoi grandi occhioni di quel marrone-grigio indefinito. 

- Dormigliona, ti sei svegliata- Le sorrise per rassicurarla. 

- Facevi sigh sigh- Imitò dei singhiozzi. - E ho sentito…- Concluse con un tono un po’ colpevole, come se avesse appena fatto la spia. - Pecché piangi, papà?-

- Va tutto bene-

- Sicuo?- Chiese poggiandogli una mano sulla guancia ancora un po’ umida.

- Sicuro, amore. Scusa per prima, non volevo essere cattivo con te, mi perdoni?- La bambina sorrise e annuì abbracciandolo forte forte. Amava il suo papà, amava le sue braccia, il suo odore e il suo calore. Era capace di farla sentire davvero protetta. - La mia bambina…- Sospirò felice di quel momento. Pochi secondi dopo il treno fischiò e li separò dall’abbraccio. - Siamo arrivati, scendiamo- Marleen non ricordava come fosse Berlino. Quando uscirono dalla stazione, la vide così grande che quasi ne ebbe timore. Lei era ancora così piccola...

- Papà…-

- Dimmi-

- In baccio…- Protese le braccia verso l’alto e Tom, con un leggero gemito di sforzo, la prese e proseguì camminando. Alcuni soldati logicamente marciavano ma non li importunarono. Non portavano la stella gialla sui vestiti ed inoltre un uomo con una bambina non rappresentava alcuna minaccia per le forze dell’ordine. Fortunatamente la dimora dei Winkler non distava chissà quanto dalla stazione, circa venti minuti di camminata. Quando arrivarono, Tom si fermò e ricordò tante cose. Quella casa era sempre stata sotto delle nuvole grigie.

- Ci siamo-

- Dai nonni?-

- Sì- Deglutì infondendosi coraggio. Schiacciò il campanello e aspettò che qualcuno gli aprisse.

- Signorino Tom!- Una donna gli corse incontro verso il cancello e il ragazzo non ci mise molto a riconoscerla.

- Sarja!- Era sempre una donna bellissima, le era spuntata solo qualche ruga in più, al contrario di Tom che invece era ancora fresco nei suoi vent’anni. - Come stai?- Ella intanto aprì loro il cancello e li fece entrare.

- Bene...e questa piccina? Vieni qui, pasticcino- La prese in braccio e Marleen non protestò. Le piaceva quella donna anche se non sapeva minimamente chi fosse.- Quanto è diventata grande- Disse con voce commossa. Nella bambina rivedeva tanto Saphira e ricordò il giorno del suo funerale. Non aveva fatto sapere niente né a Tom né a Bill in modo che non si sentissero in colpa per non essere stati presenti.

- Il tempo passa per tutti-

- Già...e Bill? Ho sentito di quel bombardamento a Schwerin…-

- E’ stata una bella botta ma stiamo tutti bene- Cercò di mantenere un’espressione serena e non menzionò per niente il ragazzo. Non aveva voglia di parlarne adesso. La domestica condusse entrambi in casa e i signori Winkler erano lì nel salone in piedi per accoglierli. Frau Winkler si avvicinò subito prelevando Marleen dalle braccia di Sarja.

- Ciaooo, bene arrivata, bene arrivati a tutti e due- Si accostò a Tom e lo abbracciò, quando prima non si sarebbe minimamente azzardata a respirare la stessa aria di un pezzente come lui, e già quello parve molto strano. 

- Avete fatto buon viaggio, spero- Si palesò Herr Winkler. - Vuoi qualcosa da bere, Tom? Una birra?-

- No...sono a posto così- Si allentò il colletto sentendosi divorato dal nervosismo. Erano così strani, non sembravano neanche loro. Frau Winkler mostrò la nipotina al marito, il quale si congratulò per quanto fosse bella. Marleen in tutto questo si sentiva smarrita. Aveva visto così tanti volti nuovi in pochi secondi che le stava venendo da piangere, voleva il suo papà. 

- Papà…- Disse infatti. Tom scattò subito sull’attenti e si avvicinò prendendola dolcemente dalle braccia della signora Winkler.

- Non è abituata alla gente nuova- Cercò di giustificarsi.

- Non preoccuparti, Tom, è tutto normale, soprattutto in questo periodo dove è bene non uscire più di tanto- Era la prima volta che il ragazzo si trovò a sorridere loro, quasi contento che capissero la situazione e il temperamento della nipote. 

- Abbiamo una sorpresa per Marleen, le piace il succo ai mirtilli?- Tom fece un’espressione stranita.

- Ehm...non glielo abbiamo mai fatto bere- 

- Ah allora lo assaggerà. Vieni, Sarja deve aver preparato la merenda- Si spostarono nella sala da pranzo sedendosi a tavola. Tom venne nuovamente invaso dai ricordi di quando lui e Saphira si consideravano solo fratelli e si scambiavano il cibo da sotto il tavolo. Ora la sua sedia era vuota ma in compenso gli aveva lasciato una bellissima figlia, la quale stava divorando i biscotti preparati da Sarja. - Ma la nutrite?- Chiese scherzando Frau Winkler. Tom cercò di non percepirlo come un insulto e mostrò un’espressione bonaria.

- Si vede che i biscotti di Sarja sono davvero buoni, anche io li ricordo irresistibili-

- Allora serviti pure- Herr Winkler gli avvicinò il vassoio. Tom esitò un po’ ma alla fine allungò una mano e ne prese uno sgranocchiandolo quasi a disagio. - Proprio come li ricordavi?-

- Sì…-

- Bevi anche del succo- Fu Frau Winkler a versarglielo in un bicchiere che Tom si sforzò di accettare e di buttare giù giusto per non essere scortese. - Ti piace il succo ai mirtilli, amore?- Si rivolse poi alla bambina, la quale annuì con le guance piene di briciole e il pancino pieno. - Allora te ne faccio mettere da parte una boccetta così te la porti a casa, mh?- Prima che Tom potesse dire che non era necessario, la donna ordinò a Sarja di prepararla. Si trattennero con altre chiacchiere e ovviamente non poterono evitare di chiedere di Bill. Il ragazzo in quell’istante si bloccò un poco, ma non volle far trasparire niente di male. 

- Ha trovato un lavoro in un negozio di vestiti, ma purtroppo il bombardamento lo ha danneggiato abbastanza gravemente e poi in questo periodo è difficile incontrare un impiego stabile-

- Oddio...ci dispiace molto. E tu, Tom?-

- Io in una fabbrica, che è ancora in piedi fortunatamente- Non menzionò una loro relazione e non sapeva se i Winkler ne erano a conoscenza o meno, lui era lì solo per chiudere con il passato. - Direi che si è fatto tardi, dobbiamo tornare a casa- Anche se non sapeva se aveva ancora una casa. Voleva solo tornare da Bill e chiarire, gli mancava da morire. Si sarebbe fatto perdonare in tutti i modi possibili, se necessario. 

- Aspettate, non dimenticate questo- La donna passò loro la boccetta di succo di mirtilli e fu Marleen a prenderla tra le piccole mani. Salutarono anche Sarja, la quale sperava di rivederli un giorno, anche per caso, ma chissà perché, aveva il presentimento che non sarebbe stato così. I signori promisero di ritirare la denuncia, furono realmente di parola, e Tom rimase molto bene di questo incontro, cosa che sinceramente non si aspettava. Tornarono alla stazione e lì trovarono il dottor Listing nei pressi dei binari in attesa. Appena anche egli li vide, non si risparmiò un caloroso saluto.

- Ciao, Tom! Quanto tempo! Come stai?- Si prese la libertà di abbracciarlo e solo in quell’istante Tom notò che portava sul cappotto una stella gialla. 

- Ciao…tutto bene- Per questo lo salutò con una certa riluttanza nel tono. - Perché qui?- Tuttavia sorrise. In fondo quell’uomo non gli aveva fatto niente. Ebreo o no, non aveva senso odiarlo al punto di volerlo morto.

- Sto aspettando un treno per Potsdam, successivamente prendo quello per Schwerin- Tom annuì semplicemente, sempre con un sorriso accomodante. Georg notò anche la piccola Marleen e non mancò di farle qualche moina. - Mi sembra solo ieri che eri appena nata- La accarezzò sospirando al ricordo di sua madre e di quel parto a tratti traumatico. - Beh, allora ci vediamo, Tom-

- Sì, sicuramente- Il dottor Listing si allontanò e poco dopo si sentì il fischio del suo treno che partiva. Tom in quell’istante ebbe un giramento di testa e perse per un istante l'equilibrio.

- Papà!- Gridò la piccola preoccupata.

- Non preoccuparti, tesoro, non è stato niente. Vieni, quello deve essere il nostro treno- Salirono e trovarono posto in fretta fortunatamente. Tom stava cominciando a sentirsi poco bene. Non sapeva perché ma aveva delle caldane assurde e gli occhi pesanti. Marleen si addormentò ancora e in poco tempo si fece sera. Era comprensibile che fosse stanca. Tom quindi si dovette armare nuovamente di una forza che non possedeva per prenderla in braccio una volta giunti a Schwerin, dopo le solite due ore. Il ragazzo fermò un taxi e si fece lasciare nella via dove abitavano. Entrò nel condominio girando le chiavi nella toppa. Non aveva più fiato...si sentiva terribilmente accaldato e stanco. Si fece anche le scale e arrivò alla porta del loro appartamento. Bussò senza esitare. Quando la porta si scostò mostrando gli occhi di Bill, Tom già non li stava vedendo più. Aveva la vista appannata.

- Tom!-

- Bill…- Pronunciò debolmente. Il moro prelevò Marleen dalle sue braccia e andò a portarla nel suo lettino coprendola accuratamente. Non aveva fatto caso alla condizione di Tom, in quanto era già incredibile che si trovasse lì in casa sua ancora una volta e poi ce l’aveva ancora con lui per quello schiaffo. Il moro accarezzò il viso della bambina pensando che adesso era il momento di chiarire, ma non ebbe neanche il tempo di realizzare che udì un tonfo sordo provenire dal salotto. Accorse immediatamente e trovò il ragazzo disteso a terra completamente privo di sensi e con la febbre alta.

- TOM!- 

   
 
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