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Autore: itsanonymous    25/02/2021    0 recensioni
« Non ti lascio andare, Prue. Scordatelo » mi dice e so che non lo farà davvero. Vorrei guardarlo in faccia, ma non ci riesco, come se non mi fosse concesso.
[...] Ma dovrà lasciarmi andare, so che dovrà farlo. Altrimenti non sarò la sola a rimetterci: anche lui cadrà nel vuoto insieme a me.
Io potrei cavarmela, ma non lui, lui no. E non posso permetterlo.
So che è così importante, da lasciarmi cadere per salvarlo senza pensarci due volte e lo farò.
Inizio a mollare la presa sul suo polso.
« Mi dispiace » mormoro.
Lascio definitivamente la presa, sento la sua voce straziata che riecheggia nei ghiacciai mentre mi preparo a cadere nel vuoto.
So che adesso lui è al sicuro. Io non più.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao ragazzi! Questa è una mia vecchia storia che ho postato su il mio primo account. Mi è sempre piaciuta tanto e la sto rivisitando, visto che l'ho scritta molto tempo fa ed era piena di errori e buchi e sto cercando di compensare. Spero che diate a questa storia un'opportunità! Grazie in anticipo.
 
II.





 






Freddo.
C'è freddo ovunque e mi lambisce le gambe, senza dolermi. E' un freddo che dovrebbe inebetirmi i sensi, dovrei sentire l'ustione del ghiaccio sotto la pelle, ma non succede.
E' un freddo che invece di nuocermi, mi rinforza. Le correnti sono a mio favore, le posso sentire.
Sono sospesa nel vuoto, guardo sotto di me e vedo un'immensa massa di ghiaccio, attraversata da un piccolo fiume, che sarà gelato. Pensare a quell'acqua fredda dovrebbe farmi accapponare la pelle dai brividi, ma non è così. In un altro momento avrebbe potuto essere così, ma non adesso; forse, se fossi stata intelligente da capirlo, avrei potuto sfruttare quell'acqua a mio favore. Ma non sapevo come.
Guardo sopra di me, e vedo la mano che mi sta sorreggendo, che mi stringe più forte.
« Non ti lascio andare, Prue. Scordatelo » mi dice e so che non lo farà davvero. Vorrei guardarlo in faccia, ma non ci riesco, come se non mi fosse concesso.
Riesco a scorgere sul suo polso il bracciale a forma di tartaruga, identico al mio.
Sento i suoi occhi blu perforarmi la nuca dalla disperazione.
Ma dovrà lasciarmi andare, so che dovrà farlo. Altrimenti non sarò la sola a rimetterci: anche lui cadrà nel vuoto insieme a me.
Io potrei cavarmela, ma non lui, lui no. E non posso permetterlo.
So che è così importante, da lasciarmi cadere per salvarlo senza pensarci due volte e lo farò.
Inizio a mollare la presa sul suo polso.
« Mi dispiace » mormoro.
Lascio definitavemente la presa, sento la sua voce straziata che riecheggia nei ghiacciai mentre mi preparo a cadere nel vuoto.
So che adesso lui è al sicuro. Io non più.
 
 
 
Apro gli occhi e scatto a sedermi. Sono nella mia stanza.
La luce della luna filtra delicatamente dalla finestra, conferendo ad ogni cosa una sfumatura argentata.
Mentre il mio respiro si regolarizza, mi prendo un attimo per osservarla e tranquillizzarmi.
Ogni notte, da quando quella barriera invisibile si era frapposa tra me e mio padre, il mio sonno era popolato da questo strano sogno.
E, da allora, ogni notte, la luna piena era sorta in cielo, come se stesse lì appositamente per me, come se sapesse che avrei avuto bisogno di lei per calmarmi. Per trovare la forza di andare avanti.
Sentivo sempre la sua voce, calda e roca, suadente al punto giusto ma determinata, coraggiosa.
Durante il giorno, la sentivo rimbombare nella testa quando mi sentivo troppo giù per affrontare il mondo intero, infondendomi coraggio.
Erano passati cinque giorni da quel bizzarro evento e non ne erano accaduti più.
Ero arrivata al punto di pensare che avessi immaginato tutto, che tanto era la disperazione, da indurmi a credere in qualcosa di inesistente per continuare a vivere.
Ma poi, quel sogno, mi inondava di dubbi. Di chi erano quegli occhi blu che sapevo di conoscere bene? Mi sembrava di vederli, quando chiudevo i miei. Ogni volta cercavo di ricordare un dettaglio in più, ma la mia ricerca non aveva sempre successo.
La seconda notte, avevo pensato persino di ricordarmi dei capelli bruno doraticci e per un attimo un viso mi era apparso nella mente, ma mi era sfuggito subito.
Questa notte, però, ho visto un altro dettaglio: il braccialetto con la tartaruga che, persino in questo momento, porto al polso.
Era stato un regalo di mia mamma quando avevo sette anni. In quel periodo avevo sviluppato una strana passione per le tartarughe. E, quando poteva, lei mi riempiva di oggetti che le raffigurassero.
Conservavo, chissà dove, una piccola agendina verde chiaro, dalla forma di una tartaruga. Verde come il mio colore preferito.
Sospiro e mi lascio andare di schiena sul letto, nella speranza di prendere sonno.
Piano piano mi assopisco e mi rendo conto che dovrebbero essere le sei del mattino e che non ho sentito la sveglia che mi avrebbe consentito un po' di pace.
Sento le loro urla, però; sbuffo e mi dirigo in bagno.
Quando scendo di sotto, le urla sono cessate, ma il disastro che c'è in casa è pari ai campi allagati dopo un'alluvione.
Lui è ancora lì fermo, si tiene poggiato al ripiano della cucina, una mano sul viso.
Capisco subito in quale fase si trova: quella del pentimento. Ma tranquilli, dura così poco che subito ci ritroviamo con un'altra bottiglia fracassata.
Mia madre è accovacciata sul pavimento e tenta di rimuovere tutto prima che mi svegli. Troppo tardi, direi.
« Buongiorno anche a voi » sbuffo irritata.
Lei non alza il viso per guardarmi e mio padre non si volta. Di solito il mio sarcasmo è così pungente per lui che gli è impossibile non cogliere le mie provocazioni e innescare il gioco delle bottiglie.
Prendo la mia tazza dal mobile e la riempio di latte e cereali e comincio a masticare.
« Credo che oggi proverò di nuovo a trovare lavoro » dico senza troppa convinzione.
Mia madre annuisce e non mi risponde. Brutto segno. Di solito cerca di convincermi che è solo una perdita di tempo; c'è qualcosa che non va.
« Mamma? » sussurro.
Lei si ferma e sospira, come se si stesse trattenendo, ma ancora non si volta. Finalmente mi guarda e la mia tazza mi scivola, finisce sul pavimento insieme al latte e ai cereali.
La parte destra del suo viso delicato è rovinato da una marea di tagli sottili, si riescono ad intravedere ancora dei minuscoli residui di vetro verde conficcati nei tagli.
Ed è allora che la vedo. La bottiglia che si trova ai suoi piedi, non completamente distrutta, ma solo per metà. Come se fosse stata battuta su qualcosa.
Ma non era qualcosa, era la faccia di mia mamma.
Lui è ancora appoggiato al tavolo ed io non riesco a controllarmi, si toglie la mano dal viso giusto il tempo di vedermi piombargli addoso.
Cadiamo insieme, sento le urla della mamma che mi dice di fermarmi e che intima a lui di non farmi del male. Troppo tardi.
Mi ha fatto male quindici anni fa, quando all'improvviso sono diventata parte dell'arredamento per lui.
Mi colpisce al viso ed io cado all'indietro, rotolo di lato e il suo pugno finisce sul pavimento. Lo sento ululare di dolore, il sangue mi pulsa alle tempie, sento scorrermi nelle vene un'adrenalina mai provata prima.
Mi alzo in piedi, pronta ad affrontarlo ancora. Non riesco ad essere lucida, non più; forse è la conseguenza di tutti questi anni in cui mi sono trattenuta, ora la mia rabbia fuoriesce da me come un fiume in piena.
Mi lancia la prima cosa che gli capita sotto mano, il centro tavola che ho regalato alla mamma per il Natale scorso. Ma è così prevedibile, che la barriera si attiva prima ancora che possa alzare il braccio.
Una rabbia cieca si è impossesata di me, sento un potere tutto nuovo invadermi, sento un formicolio pizzicarmi dalla testa fino alle mie mani.
Guardo fuori. Si è scatenata una tempesta di neve che fino ad un minuto fa non c'era. Mi è sempre piaciuta la neve, da bambina mi divertivo a creare un delizioso angelo dalle ali larghe.
Le finestre di ogni stanza si spalancano ritmicamente, una dopo l'altra, come in una sequenza programmata; sento il gelo attanagliarmi le gambe ma invece di trascinarmi giù, mi innalzano. Mi sento potente, fiera, come se fossi rinata proprio in questo momento.
La neve mi vortica intorno, come se fossi la sua Regina, la sento trasformarmi ed io la posso plasmare al mio volere.
Il mio bersaglio mi sta di fronte, sconvolto e terrorizzato allo stesso tempo, ma prima che possa scagliarmi contro di lui, le finestre esplodono in milioni di pezzettini.
E non sono stata io.
   
 
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